Da Palermo con amore

Ringraziamo Giorgia Butera per il suo validissimo contributo alla conoscenza e diffusione della nostra Tecnica Sociale dell’Informazione.

Giorgia non ha dimenticato la sua formazione al Fattorello e ben volentieri riconosce che i suoi successi professionali nel campo dell’informazione e della comunicazione, sono dovuti anche all’applicazione concreta della nostra impostazione teorica. Siamo grati a Giorgia e le auguriamo ogni successo possibile  nel lavoro da lei svolto con tanta passione, competenza e creatività.

Prof. Giuseppe Ragnetti, direttore dell’Istituto Fattorello.

Pubblicato in data 25/set/2012 da

Ancora oggi molti “teorici della comunicazione” insistono sul fatto che le persone, definite target, assorbono in maniera passiva e in toto, i dettami dello strapotere mediatico. La Teoria della Tecnica Sociale di Francesco Fattorello, nata nel 1947/48 è l’unica Teoria italiana sull’informazione e sulla comunicazione, formulata su rigorose basi scientifiche.

Gli attori del processo comunicativo sono “soggetti” entrambi dotati di facoltà opinanti e, quindi, di pari dignità. Non c’è un tiratore scelto che colpisce un bersaglio -target- ma vi sono due soggetti attivi che reagiscono ai numerosi stimoli ricevuti, sula base delle proprie facoltà opinanti e delle proprie attitudini sociali prodotte dalle diverse e determinanti acculturazioni.

E’ una costruzione, quindi, metodologica profondamente radicata nella tradizione culturale europea proprio perché si basa sul presupposto che non possa esistere una impostazione teorica sulla comunicazione sempre valida ed applicabile a qualunque recettore ma che, una metodologia sui processi di interazione tra chi promuove e chi riceve la comunicazione, debba necessariamente essere tarata sul recettore, in antitesi all’approccio anglosassone, dove si parlava di persuasione occulta dell’informazione.

In Italia, esiste l’Istituto Francesco Fattorello, si trova a Roma ed il direttore, è il Professore Giuseppe Ragnetti. La Tecnica Sociale fattorelliana viene diffusa attraverso Corsi di formazione nei contesti più diversi e in quelli istituzionali regolarmente attivati ormai da 65 anni, su tutto il territorio nazionale.

Filmmaker: Fabio Barberi.

Il perchè di una ristampa

Francesco Fattorello

TEORIA DELLA TECNICA SOCIALE DELL’INFORMAZIONE

a cura di Giuseppe Ragnetti

DEDICATA A …..

A Francesco Fattorello mio maestro.
Mi ha aiutato ed è riuscito a farmi
risalire dal baratro
in cui ero sprofondato.
Il baratro dello “strapotere”
dei mezzi di comunicazione.
Il baratro di superuomini
in grado di condizionare i
comportamenti degli
esseri umani.
Il baratro della persuasione
occulta.
Il baratro di suggestive teorie
anglosassoni capaci di
costruire frecce avvelenate
destinate ad una umanità
incapace di intendere e di volere e
ridotta a semplice bersaglio o meglio
target.
Il baratro della superficialità
e dell’incompetenza di
tutti coloro che si occupano di
informazione e comunicazione
sulla base dei più abusati luoghi comuni.

 

IL PERCHE’ DELLA RISTAMPA …..
A vent’anni dalla scomparsa di Francesco Fattorello e a distanza di diversi decenni dall’ultima edizione, ho sentito il dovere di pubblicare di nuovo la Teoria della Tecnica Sociale dell’Informazione ideata e insegnata per la prima volta da Francesco Fattorello sin dall’anno accademico 1947/ ‘48.

Come direttore dell’Istituto che porta il nome dell’insigne studioso ho avuto la responsabilità di diffondere i suoi insegnamenti attraverso i corsi di formazione nei contesti più diversi e in quelli istituzionali regolarmente attivati ormai da sessanta anni ed ora, attraverso questa nuova edizione della Tecnica Sociale.

L’obiettivo che intendiamo raggiungere è quello di mettere a disposizione degli studenti e degli operatori interessati l’approccio teorico fattorelliano che rappresenta una visione di una incredibile modernità e ci sembra poter fornire una risposta adeguata alle crescenti esigenze di informazione e comunicazione che connotano le società democratiche di oggi.

La Tecnica Sociale dell’Informazione è l’unica teoria italiana del settore, formulata su rigorose basi scientifiche.
E’ una costruzione metodologica profondamente radicata nella tradizione culturale europea proprio perché si basa sul presupposto che non possa esistere una impostazione teorica sulla comunicazione sempre valida ed applicabile a qualunque recettore ma che una metodologia sui processi di interazione tra chi promuove e chi riceve la comunicazione, debba necessariamente essere tarata sul recettore.

Ecco allora il recettore non più oggetto passivo della comunicazione che diviene, a sua volta, un soggetto opinante di pari dignità che interagisce sempre e comunque con il promotore, all’interno di una complessa dinamica sociale. Da qui l’apporto fondamentale di una Tecnica Sociale che ricerca l’adesione e quindi il consenso dei destinatari sulla base delle loro attitudini sociali.

Attitudini sociali intese come disponibilità ad accettare le opinioni proposte, a seconda della propria acculturazione, intendendo per acculturazione tutto ciò che l’ambiente sociale ha, inevitabilmente, trasferito nell’arco di tutta una vita a qualsiasi essere umano. La Teoria della Tecnica Sociale si pone in netta antitesi con l’impostazione teorica anglosassone che per decenni ha inteso far leva sulla psiche dell’individuo attribuendo alla comunicazione in senso lato capacità di “persuasione occulta”.

L’impostazione teorica di Francesco Fattorello, fondatore della “Scuola di Roma”, in tutto il contesto internazionale ha ormai acquisito sempre più valenza di fondamentale utilità pratica e metodologica per tutti coloro che si occupano di informazione e comunicazione.

In altri termini, possiamo tranquillamente affermare che oggi l’approccio mondiale alla comunicazione scaturisce dall’impostazione teorica fattorelliana.

Per concludere mi piace riproporre la prefazione alla terza edizione pubblicata nel 1963 così come Fattorello aveva scritto :
“L’interessamento da più parti dimostrato per la mia tecnica sociale dell’informazione mi ha spinto a pubblicare questo breve saggio per mezzo del quale il lettore viene introdotto alla interpretazione da me data al fenomeno sociale dell’informazione.

Le esperienze fatte nelle scuole dove questa teoria viene insegnata ed applicata già da parecchi anni e più il fatto che in luoghi diversi se ne citano i termini o si fanno illazioni senza indicare la fonte o la paternità della teoria stessa, mi inducono a superare la riservatezza cui mi ero attenuto fin qui proponendomi, caso mai, di apportare a questo testo altri perfezionamenti.
A questa pubblicazione mi hanno indotto segnatamente i miei colleghi e allievi del Centre International d’ Enseignement Superieur du Journalisme dell’Università di Strasburgo che hanno ascoltato le miei lezioni e discusso le miei proposizioni. Ed è appunto confortato segnatamente da queste discussioni fatte in una sede internazionale, con esperti che provenivano da tutte le parti del mondo, che mi sono deciso a pubblicare questa prima esposizione della mia sistematica.

Qualcuno dei capitoli qui pubblicati era già apparso nelle stampe, ma qui viene ripubblicato con modifiche o con varianti intese a rendere in modo più chiaro e completo il mio pensiero.

Per l’esattezza cronologica questa teoria fu esposta per la prima volta al Corso propedeutico alle professioni pubblicistiche, istituito in seno alla Facoltà di Scienze Statistiche della Università degli Studi di Roma, nell’anno accademico 1947/ ’48. Successivamente essa divenne anche uno degli argomenti del programma didattico del Centro Internazionale di Strasburgo.
Questa terza edizione, che appare nel 1963, comprende due capitoli in più delle edizioni precedenti. Con questi ritengo di aver completato la mia esposizione.”

Prova di abilità

A tutti coloro, che individueranno a chi assomiglia il soggetto della foto sottostante, verranno accreditati  un milione di punti,  da utilizzare il prossimo anno per le famose merende al Fattorello.

sosia

Forza, impegnatevi e fateci sapere!

LA DIREZIONE

Fattorello 2.0 – Online Communication

fattorello_autors

Francesca Romana Seganti e Giuseppe Ragnetti

 

Fattorello Institute, Rome, Italy

L’obiettivo principale di questo lavoro è quello di illustrare la teoria Francesco Fattorello (la “Tecnica sociale dell’informazione”, scritto negli anni ’50) al fine di fornire agli studiosi nel campo della comunicazione con un modello di comunicazione che è una risposta adeguata alle esigenze di oggi società democratiche.

Nonostante il fatto che Fattorello era stato un membro del gruppo fondatore dell’Associazione Internazionale di Comunicazione e Media Research IAMCR / AIERI a Parigi, 1957, oggi il suo lavoro non è noto a livello internazionale, in particolare nel mondo accademico anglosassone.

Ciò è dovuto al fatto che quando la teoria Fattorello è stato sviluppato, non è stato preso in considerazione a causa della dominanza di teorizzazioni della Scuola di Francoforte, che individuati in un processo di comunicazione di massa che ha determinato i comportamenti della gente.

Sessant’anni fa non era facile per gli studiosi e gli addetti in industria ad accettare Fattorello idea di un pubblico che aveva pari dignità al soggetto promotore, perché s / aveva le stesse abilità di pensiero. Invece di accettare l’idea che le imprese del settore dei media ha imposto valori, comportamenti e modelli che servivano per mantenere il dominio, Fattorello focalizzata sul pubblico come partecipanti attivi, come il perno del processo di comunicazione.

Vedremo che la formula schematica in cui si esprime il modello Fattorello di un aspetto molto simile a qualcosa che ci è molto familiare, che è il paradigma di comunicazione web. Fattorello modello, che è significativamente diverso rispetto ad alcune delle attuali approcci teorici tradizionali a media e della comunicazione, è rispetto ai modelli dominanti di comunicazione di massa (dai primi modelli contemporanei paradigmi dominanti) per arricchire ulteriormente il dibattito.

Infine, riteniamo che il modello Fattorello può far luce su altri modelli di comunicazione di massa.

 

Vediamo come:

Segui l’articolo su: http://www.cyberpsychology.eu/view.php?cisloclanku=2012062501

 

Correspondence to:

Giuseppe Ragnetti
Istituto Fattorello
Via del Seraphicum 1
00142, Rome, Italy

 

Email: eugeneios(at)libero.it
Email: frseganti(at)libero.it

Tecniche Relazionali e Comunicative

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Seminario Intensivo

“TECNICHE RELAZIONALI E COMUNICATIVE”

Santa Marinella 15-16-17 giugno 2012

Il prof. Giuseppe Ragnetti, Direttore dell’Istituto, ha incontrato, anche quest’anno, i “ragazzi” del “Fattorello” a Santa Marinella.

La casa per ferie Mater Gratiae li ha ospitati in una magnifica cornice di piante e fiori, in riva ad un mare azzurro intenso ed incredibilmente calmo nei tre giorni di permanenza: era difficile resistere e qualcuno si è buttato in acqua per un bagno ristoratore.

Nelle tre giornate dell’incontro il Seminario ha approfondito le diverse componenti della comunicazione ed ha alternato l’aula con momenti di relax e prove all’aperto, corroborati da una gradevole brezza marina.

Venerdì 15 giugno serata fuori programma, con la partecipazione ad uno spettacolo d’eccezione.

Il 12° festival della giovane cultura russa in Italia, ha accolto i fattorelliani in piazza Trento a Santa Marinella per una graditissima serata di musica, canto e danze tipiche del folclore russo.

Dobbiamo ringraziare per l’invito la dott.ssa Alessandra Romano che ha curato l’organizzazione del festival, consentendoci di partecipare all’importante avvenimento culturale.

Le tre giornate sono volate e il momento dei saluti è arrivato troppo presto: tutti hanno espresso il desiderio di replicare appena possibile.

 

Nel ricordo di Simonetta Dominijanni

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Vogliamo ricordarla così, solare e sorridente al mio matrimonio nonostante la sua malattia.

Ciao Simonetta da Federico e tutti i Fattorelliani.

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Ieri mattina siamo stati al Santuario del Divino Amore al funerale di Simonetta.

Siamo sicuri che Simonetta non avrebbe voluto il nostro pianto, ma non siamo riusciti a trattenere le lacrime; tutti senza parole, sgomenti ed increduli quasi a negare la realtà di quella bara coperta di fiori.

Simonetta era arrivata al Fattorello nel 2009, portando tra noi una carica incontenibile di simpatia, di positività, di intelligenza sempre creativa e di tanta , tanta gioia.

Ieri mattina, tutti noi, non ricordavamo un solo momento in cui Simonetta non fosse sorridente e sempre pronta ad incoraggiare tutti nelle situazioni difficili.
Dopo la conclusione del Corso, non ci siamo persi di vista, anzi, ogni occasione d’incontro la vedeva sempre presente, fiduciosa ed ottimista, dando serenità a tutto l’ambiente.

Nelle lunghe telefonate che avevamo, quando ormai la malattia aveva iniziato il suo inarrestabile percorso distruttivo, Simonetta chiedeva a noi di stare tranquilli, perché lei era determinata a sconfiggere il male e tornare a godere appieno del regalo che la vita le aveva concesso con l’arrivo del piccolo Mainor. Ora anche lei era finalmente mamma! E che mamma, che amore totale, che saggia dedizione!

Simonetta ,senza volerlo, ci hai dato tanto ed è stato bello averti avuto con noi.

Ora i tuoi “compagni di corso” e tutti gli amici del Fattorello, si stringono con tanto affetto a tuo marito Paolo, alla tua mamma Anna, al tuo piccolo dolcissimo Mainor e a tutti quelli che come noi ti hanno voluto bene.

Un’ultima cosa vogliamo dirti Simonetta: sarà impossibile dimenticarti e siamo certi che ogni volta che parleremo di te tu ci ripagherai con il tuo splendido sorriso.

Ciao Simonetta e grazie di tutto!

Edizione del 65° corso di formazione: dal 3 febbraio 2012

METODOLOGIA DELL’INFORMAZIONE

TECNICHE DELLA COMUNICAZIONE

Corso istituzionale anno 2012

A cura di: Prof. Giuseppe Ragnetti – Direttore “Istituto F. Fattorello”

“Itinerario di comunicazione”

rosadeiventi

 

Nelle complesse e innumerevoli “vie” della comunicazione, ognuno di noi si orienta in base alla propria “mappa” mentale. Ogni essere umano possiede, dunque, un suo personale “percorso” nel proprio mondo che gli consente di vederlo in maniera totalmente soggettiva, grazie al quale si avventura nel viaggio quotidiano della propria esistenza.

Accade, però, che l’uomo, essere incline all’associazione, compia, nella maggior parte dei casi, questo viaggio in compagnia di altri suoi simili! Come fare allora a mettere insieme tante e varie “mappe” per raggiungere la meta comune? Le strade da percorrere sono diverse in base al numero, all’orientamento e alle esigenze dei viaggiatori e, per evitare di “girare intorno”, è opportuno decidere insieme la via da intraprendere ….comunicando e aprendosi al dialogo.

Il bisogno di comunicare con gli altri è una prerogativa irrinunciabile dell’uomo. Il comunicare è come una strada a doppia corsia: viaggiano parallelamente l’essere consapevoli del proprio stato d’animo e il relazionarsi positivamente con gli altri.

La comunicazione è un processo mai definito e mai definitivo, proprio perché è un fenomeno che “scorre” incessantemente; è in continua evoluzione semplicemente perché gli esseri umani sono diversi gli uni dagli altri, mai rigidamente precostituiti, non si possono applicare, nelle relazioni interpersonali, ricette ad effetto immediato o formule magiche.

Capire i meccanismi della comunicazione in tutti i suoi aspetti ci aiuta, nel percorso della vita, a far fronte a tutti quei fattori che si immettono costantemente nel contesto sociale, lavorativo e familiare di ognuno di noi e che, a volte, rallentano, fermano, accelerano o, addirittura, ne deviano la meta da raggiungere.

“Al lavoro!!!”

Attraverso il “mare della comunicazione” approderemo, di volta in volta, a porti sicuri rappresentati dai vari capisaldi della comunicazione, oggetto del nostro Corso.

Le aree tematiche che verranno affrontate e sviluppate durante il corso sono:

La Tecnica sociale dell’Informazione. Le Scienze dell’Opinione. Corso di Comunicazione generale (Dalla comunicazione ai comportamenti; I presupposti della comunicazione; L’essere umano che ascolta e l’ascolto dell’essere umano; L’ascolto attivo; La comunicazione assertiva; Le componenti dell’assertività; La comunicazione come strumento; Le abilità comunicative; I blocchi della comunicazione; La comunicazione non verbale.)

La Teoria della Tecnica Sociale dell’Informazione fu ideata e insegnata per la prima volta da Francesco Fattorello sin dall’anno accademico 1947/’48.

L’obiettivo che intendiamo raggiungere con la nostra proposta formativa, è quello di mettere a disposizione degli studenti e di tutte le persone interessate l’approccio teorico fattorelliano che rappresenta una visione di una incredibile modernità e ci sembra poter fornire una risposta adeguata alle crescenti esigenze di informazione e comunicazione che connotano le società democratiche di oggi.

E allora….. scaldiamo i motori e prepariamoci a partire per l’edizione 2012 del nostro Corso , giunto ormai al 65° anno di formazione: dal 3 febbraio tutti i venerdi dalle 17.00 alle 20.30.

Il prof. Ragnetti , in attesa di conoscere i prossimi amici del “Fattorello” augura a tutti un nuovo anno interessante e utile per la propria crescita personale e professionale .

Prof. Giuseppe RAGNETTI

cell. 335-8334251

Mail: gragnetti@tiscali.it

http://www.istitutofattorello.org

 

 

        

Auguri ai Fattorelliani DOC – 2012

Il Prof. Ragnetti e docenti, estendono a tutti voi i migliori

AUGURI di BUONE FESTE.

Le favole e il vero lieto fine

Nicoletta Boriello

LE FAVOLE E IL VERO LIETO FINE

Analisi del libro “La principessa che credeva nelle favole.­ Come liberarsi del proprio principe azzurro” di M. Grad Powers, alla luce della Teoria Fattorelliana della Tecnica Sociale dell’Informazione

Indice

– Premessa
– La favola
– L’opinione che diventa convinzione
– Il sogno che si trasforma in incubo
– Il Sentiero della Verità
– Il Mare delle Emozioni come il fiume delle opinioni
– La Terra delle Illusioni come l’isola delle certezze
– La Terra di Ciò che è e la Valle della Perfezione
– Il Tempio della Verità e la pergamena sacra
– Il vero lieto fine

Premessa

Dalla lettura del libro “La principessa che credeva nelle favole ­ Come liberarsi del proprio principe azzurro” di M.G. Power, sono emersi molti punti di contatto con alcuni aspetti della teoria fattorelliana e il presente lavoro ha come obiettivo quello di metterli in luce.

Nella prima parte del lavoro verrà fatta una descrizione generale della storia e un’analisi complessiva.

Nei paragrafi successivi si andrà nello specifico e verrà ripercorsa l’intera storia della protagonista, attraverso alcune frasi estrapolate dal libro.

E’ proprio mediante le citazioni estratte dai vari capitoli che verranno messe in risalto, spiegandole di volta in volta, le analogie del pensiero espresso dall’autrice con la Teoria della Tecnica Sociale dell’Informazione di Francesco Fattorello.

La favola …

Il libro “La principessa che credeva nelle favole. ­Come liberarsi del proprio principe azzurro” ha come protagonista una principessa, di nome Victoria.

Il genere narrativo è quello di un romanzo, anche se la narrazione ha ben poco di realistico ed assume sempre più le sembianze di una favola, vedendo l’ingresso in scena di elementi fantastici, personaggi fantasiosi e situazioni irreali.

Victoria è una bambina che cresce con la convinzione che la vita risieda nel magico mondo delle favole, in cui tutti vivono per sempre felici e contenti.

Durante i suoi primi anni di vita tutte le sue aspettative risiedono nell’incontro con il principe azzurro, un ragazzo forte, coraggioso, bellissimo e affascinante, con il quale vivere il resto dei suoi giorni, felice e contenta.
Questo sogno di vita fantastica è costruita ed alimentata dai suoi genitori e dal contesto reale nel quale vive: intorno a lei tutto le fa credere che il suo sogno incantevole sia la realtà alla quale è destinata.

Victoria è anche una bambina molto allegra ed esuberante e questa sua vivacità la esprime attraverso una amica immaginaria, Vicky, un suo alter ego, che spesso la mette nei guai poiché tende a far fuoriuscire quel lato spensierato, leggero, proprio di
una qualsiasi bambina della sua età, che la famiglia reale non può tollerare.

I genitori cercano di chiudere la sua esistenza all’interno di schemi rigidi e così facendo limitano la sua persona, la quale scalpita per emergere, ed il risultato è che la principessina si sente spesso in fallo e, al contempo, in colpa per non riflettere le aspettative dei genitori e per non essere la persona che dovrebbe essere.

Il suo istinto è calpestato dalla razionalità indotta dall’ambiente familiare che la circonda e così Victoria decide di schiacciare del tutto Vicky, chiudendola in uno sgabuzzino, e di crescere seguendo le regole imposte dal Codice reale, facendo divenire esse proprie convinzioni.

E così la voglia di cantare, di danzare, l’affetto smisurato per il suo cane, le sue emozioni, la sua sensibilità, la sua fantasia, i suoi sentimenti vengono del tutto annullate.

Tutto scorre secondo copione, Victoria si diploma, si iscrive all’università, incontra il suo Principe azzurro, il dottor Sorriso, perfetto come nel suo immaginario, si laurea, si sposa ed inizia la vita comune in uno splendido palazzo.
Il suo destino sembra così realizzato e la favola sembra esser giunta alla classica conclusione “…e vissero per sempre felici e contenti”. Ma succede qualcosa.

Il Principe inizia a dubitare dell’amore di Victoria, che invece lo adora In un primo momento questi ama la sensibilità della moglie, apprezza le sue doti, e la spinge a seguire le sue aspirazioni personali; successivamente le fa pesare di essere come è e di fare ciò che fa, accusandola di pensare solo a se stessa e dubitando del suo amore e, sottoponendola a un ricatto morale piuttosto subdolo, condiziona le sue scelte.

Lo splendido dottor Sorriso diventa l’orribile signor Nascosto: in alcuni momenti, che diventano sempre più frequenti, l’adorabile Principe si trasforma in un uomo burbero, arrogante, sfrontato, irrispettoso della sua sposa, e toglie a Victoria e a se stesso tutta la serenità e la felicità che li aveva accompagnati fino a quel momento.

La Principessa è completamente succube del Principe, cerca di fare ogni cosa per farlo guarire e si sente addirittura lei la responsabile di quella situazione, convinta da un’idea del marito. E’ qui che inizia il suo percorso.

Sbigottita, turbata, incredula e colpita dal fatto che la vita non è come quella sognata da bambina, che il principe non è poi così azzurro, e che la felicità non è implicita nella favola, decide di affidarsi ad uno strano personaggio ed intraprendere un percorso
che la porta a scoprire se stessa e la verità.

Lo strano personaggio è un gufo, il dottor Henry Herbert Hoot, per gli amici Doc, il quale fornisce a Victoria numerosi spunti di riflessione e una guida da sostituire a quella reale: “Una guida per vivere sempre felici e contenti”.

La ragazza inizia a prendere in considerazione la possibilità di vivere felice e contenta anche senza esser salvata da un principe azzurro. Si convince ad intraprendere un viaggio e si incammina sul Sentiero della Verità, costituito da diverse ambientazioni in cui incontra vari personaggi, ognuno dei quali risveglierà una parte di lei, mostrandole un pezzettino di quel mosaico che la porterà alla verità.

Victoria attraversa il mare delle emozioni, la terra delle illusioni, il campeggio per viaggiatori smarriti, la terrà di ciò che è, il viale dei ricordi e la valle della perfezione, fino a raggiungere al tempio della verità.

A poco a poco comprende quali sono stati i suoi errori, e cioè l’aver trasformato le sue opinioni in convinzioni, l’essersi chiusa all’interno di schemi mentali troppo rigidi, l’aver seguito sempre e solo le mappe precostituite della sua mente, l’aver smesso di cercare, il non aver reciso il legame condizionale tra esperienza e percezione, l’aver confuso l’amore per una persona con l’amore per la storia sempre sognata, l’aver concesso un amore che era sbagliato in partenza, perchè privo dell’amore per se stessa.

Durante il percorso smonterà ad una ad una le credenze e gli stereotipi negativi da cui era stata condizionata fino a quel momento, per giungere infine al tempio della verità, dove è custodita la pergamena sacra. Una volta superati i portali del tempio, Victoria cambierà per sempre, la pergamena sacra risveglierà la sua mente e libererà il suo cuore e le farà comprendere dove è che risiede la felicità.

E solo in quel momento capirà che le favole sì, esistono e sì, si realizzano, ma in un modo diverso da come si è sempre abituati a immaginarle e che il lieto fine la sta aspettando.
 
L’opinione che diventa convinzione 

“C’era una volta una tenera principessina dai capelli dorati di nome Victoria, fermamente
convinta che le favole prima o poi si avverino, e che le principesse siano destinate a vivere per sempre felici e contente. La piccola credeva nella magia dei desideri, nel trionfo del bene sul male e nell’amore che vince ogni cosa: le sue convinzioni si basavano infatti sulla saggezza delle favole.

[…]
“Arriverà mai il mio principe?” chiese una sera alla regina, spalancando per la meraviglia e l’innocenza gli occhioni color ambra. “Sì, cara, un giorno arriverà. […] Sarà come lo sogni, e ancora più incantevole. Sarà la luce della tua vita, la tua ragione di vita, perchè così è scritto nel libro del destino.” “E vivremo sempre felici e contenti, come succede nelle favole?”
[…]“Proprio come nelle favole.” ”

Balza all’occhio l’adesione di Victoria alla formula di opinione che le propone sua madre. La forma dell’opinione è il modo in cui un soggetto manifesta il suo punto di vista su un problema determinato, problema che costituisce invece la materia dell’opinione.

Spesso colui che opina non è in grado di riflettere su un problema di opinione che gli viene posto, ma si trova di fronte a formule di opinione precostituite, innanzi alle quali si preoccupa solo di aderirvi. In questo caso Victoria, una bambina, si trova di fronte all’enigma del futuro, della vita, dell’amore e della felicità da raggiungere, e, come afferma Stoetzel, fa le prime esperienze sociali con l’ambiente che la circonda.

Il suo orizzonte è limitato, non conosce molto i misteri e gli inganni dell’ambiente in cui si troverà, e così resta ferma su di sé e non può far altro che aderire ad un’opinione già costituita, che è quella che esprime sua madre. Victoria balla nella sua camera, in presenza della cameriera, sognando il principe azzurro.

“Ma la principessa era così assorta che non badò affatto alla madre, fino a quando questa non gridò alla cameriera di andarsene. “Victoria, come hai potuto inscenare uno spettacolo così indegno? […] e come se non bastasse, davanti a un membro della servitù!”

Mortificata, la bambina si chiese com’era possibile che una cosa così bella fosse invece riprovevole.”
Victoria torna dal giardino e canta spensierata una canzone, seguita dagli uccelli che la seguono, e non sente arrivare il padre.

“Victoria” la chiamò in tono rabbioso, marciando deciso verso di lei. “Smetti subito di fare baccano! Non ne abbiamo già discusso più volte? Perchè non mi dai mai retta?

[…] Il tuo canto è rivolto agli uccelli! Ecco a chi è destinato! E il fatto che quelle infernali creature si radunino in terra e volino dentro e fuori dalle finestre del palazzo, facendo un clamore
spaventoso ogni volta che tu dai inizio alle tue esibizioni vocali, ne è la prova lampante.

[…] Fateli uscire subito! Ho il salone pieno di dignitari stranieri, e non riusciamo quasi a sentirci con questo baccano assordante che tu chiami canto!”

Soddisfatto, il re si girò e si diresse verso la porta da cui era appena uscito, ma all’improvviso apparve Timothy Vandenberg III (il cane di Victoria) che, abbaiando come un pazzo, gli tagliò la strada di corsa e per poco non lo fece cadere. “Guardie!” urlò il monarca. “Allontanate questo bastardo dal palazzo e assicuratevi che non vi faccia mai più ritorno!

[…]
Victoria riuscì a dominare la rabbia che l’agitava, e non disse nulla. Venne però tradita dall’espressione del suo viso.
“Sai che non devi comportarti così!” la rimproverò la madre, notando la sua aria cupa. “Vai subito in camera tua e ripassa il Codice reale, soprattutto i punti che parlano del comportamento degno di una signora e dell’indecente manifestazione delle proprie emozioni. E non uscire finchè non saprai sorridere di nuovo!”
[…]

Il Codice reale stabiliva il modo in cui la principessa doveva apparire, agire e parlare in qualunque momento; indicava come avrebbe dovuto pensare, e decretava con estrema precisione ciò che lei non avrebbe mai potuto provare e sentire, (e che invece lei provava e sentiva spesso). In nessun punto le spiegava però come avrebbe potuto smettere di comportarsi male, e lei non riusciva a fare a meno di chiedersi perchè mai dovesse fare la principessa.

“Sei convinta che sia tutta colpa mia come al solito, vero?” le chiese Vicky, la vocina che proveniva da un angolo profondo del suo essere.

[…] Sorridere mentre dentro di sé piangeva era una delle sue lezioni più difficili, e lei era decisa a impararla. Si costrinse quindi a esercitardi a sorridere davanti all’enorme specchio dalla cornice di ottone.

[…] “Ormai sei tropppo grande per queste cose” si fece sentire di nuovo la regina (riferendosi all’esistenza di Vicky). “E’ ora che impari la differenza tra ciò che è reale e ciò che non lo è, altrimenti la gente comincerà a spettegolare. 

“Non mi importa di quello che dice la gente. Vicky parla, ride, piange e sa cosa sono i sentimenti.  Le piace cantare, ballare, sognare e…” Il re era furioso.

[…] La piccola non sopportava l’idea di vedersi riflessa nei loro occhi, perchè quell’immagine le mostrava in continuazione tutto quello che c’era in lei di sbagliato.

[…] La regina tornò alla carica: “Le principesse devono essere forti, veri modelli di perfezione reale. Ormai dovresti saperlo: c’è un modo giusto e uno sbagliato di essere, di comportarsi e di provare le emozioni e tu devi imparare la differenza una volta per tutte, mia cara signorina!” 

Questa serie di dialoghi riportati rappresentano l’annullamento di Victoria come persona particolare e dei suoi sentimenti, operato attarverso il ricatto morale e il conseguente condizionamento. Sempre tornando a Stoetzel e alla sua analisi dello sviluppo della personalità umana, l’individuo, e in questo caso Victoria, crescendo, tende ad allargare i propri orizzonti, ad
avere degli interessi, a fare sue le norme sociali attorno a questi interessi e ad affermare le proprie intenzioni personali.

Questo è quello che sta accadendo in Victoria, la quale però viene richiamata a quei preconcetti e a quegli schemi mentali imposti dall’ambiente, dallo stato economico e dal luogo.

Victoria, furiosa, rivolta a Vicky: “Vai subito lì dentro!” le ordinò, indicandole un ripostiglio pieno di abiti posto sull’altro lato della stanza. “E non voglio più sentire i tuoi pianti e le tue lamentele!” 

Così dicendo, la fece scendere dal letto e la trascinò urlante attraverso la camera per poi spingerla nello sgabuzzino che si affrettò a richiudere. Con lo stesso tono di voce che aveva sentito usare mille volte dalla regina, le disse: “Lo faccio per il tuo bene.” Infilò la chiave d’oro nella serratura e la girò con aria decisa.

[…]La primavera seguì l’inverno, l’estate lasciò spazio all’autunno, e Victoria fiorì, trasformandosi in una deliziosa giovane donna, dolce e graziosa come ogni principessa che si rispetti. Si diplomò con onore alla Royal High Academy of Excellence, ma con ogni probabilità il risultato più grande che ottenne fu l’acquisizione della capacità di dire, fare, pensare e provare esattamente ciò che stabiliva il Codice reale.

[…] Sapeva già dov’era diretta: per prima cosa avrebbe frequentato l’Università Imperiale, in modo da acquisire un’educazione degna di una principessa e una laurea, e sarebbe poi finita in un palazzo tutto suo nel quale avrebbe vissuto per sempre felice e contenta insieme al Principe azzurro.”

Victoria, all’Università, incontra un ragazzo, un principe. “Quella visione dall’aspetto così virile, dai capelli corvini, le spalle e il petto ampi, era forse ciò che aveva aspettato per tutta la vita? Sembrava adattarsi alla perfezione ai suoi parametri: era un principe bello e affascinante, e aveva abbastanza coraggio da tentare un approccio.”

Victoria fa uscire Vicky dallo sgabuzzino e permette al principe di conoscerla. “Frequentando Vicky, il principe mostrò infatti di apprezzarla. Gli piaceva la sua sensibilità nei confronti di tutti coloro che la circondavano, condivideva i suoi sogni e amava sentirla cantare. 

[…] Nel pomeriggio di giugno in cui Victoria si laureò, il principe conquistò per sempre il suo cuore, e lei accettò di sposarlo.
Pochi giorni prima del matrimonio, la principessa tutta eccitata cominciò a impacchettare le sue cose.

[…] Sbirciò il Codice reale appeso alla parete, pensando che non era necessario prenderlo: ormai lei era diventata quel Codice!” 

E’ in questa parte della storia che Victoria trasforma le sue opinioni in vere e proprie convinzioni.

Innanzi tutto appare evidente come Victoria si omologhi a quello che è lo status di principessa. Si affilia a questa idea, adotta gli stereotipi di questo status e i suoi non sono tanto giudizi ed azioni coscienziose, quanto un modo di uniformarsi a quello che è il suo gruppo sociale, adottando un comportamento in armonia con quest’ultimo.

E’ per l’adesione a stereotipi come questi che spesso l’essere umano si sente affiliato ad un gruppo e quando esso esprime la sua opinione, questa sarà in pieno accordo con il suo gruppo sociale di appartenenza, perchè gli stereotipi di quella categoria sono
ormai permeati dentro di lui.

Victoria rappresenta l’individuo che si trova a esprimere giudizi non tanto sulle cose, quanto sulla rappresentazione di esse. L’individuo che crede di avere delle opinioni personali sulle cose del mondo mentre in realtà le opinioni che si sono formate nella sua mente e con le quali si esprime giudizi sono solamente sulla rappresentazione delle cose del mondo.

Tali stereotipi possiedono una grande forza di persuasione che non permette alla percezione della realtà fenomenologica di essere libera.

Molto spesso, e Victoria ne è una rappresentante, è più semplice accettare la rappresentazione, lo stereotipo, piuttosto che formarsi un’opinione del tutto personale. Inoltre, in questi estratti, emerge un altro aspetto importante dell’opinione, che la porta a trasformarsi in convinzione.

L’opinione è caratterizzata dalla mutevolezza, dalla contingenza, è un qualcosa di involontario che non è provocato dall’evidenza di un oggetto, bensì si forma, come già detto, sulla rappresentazione che il singolo ha di quell’oggetto.

Per questo l’adesione ad un’opinione non sarà mai totale, bensì soggetta a modifiche, a dubbi, perchè la paura di sbagliare è implicita nell’opinione stessa. Per questo motivo l’opinione si trova sempre al di sotto della certezza, caratterizzata invece da stabilità e fermezza.ì Si finisce così con l’esprimere una opinione per uscire dal dubbio e dall’irrequietezza che esso provoca. L’opinione viene quindi vista come un pronto soccorso del cervello umano a cui esso ricorre per alleviare le sofferenze rappresentate dall’inquietudine. E’ per questa funzione salvifica che la mente umana aderisce completamente ad un’opinione, confluendo in una convinzione.

L’intelletto in questo modo sente di aver raggiunto la quiete, ma in realtà si tratta di una illusione in quanto nella convinzione non si può riposare così come nella certezza. Convinzione e certezza sembrano dare lo stesso effetto di tranquillità ed è per questo che spesso si confondono. Ma la convinzione non è e mai potrà essere certezza, in quanto è un artificio strumentale, una costruzione mentale, irrazionale e del tutto soggettiva. Ed ecco che si cade in fallo, come fa Victoria, perchè ognuno di noi crede di possere la verità, ma in realtà si tratta di una verità costruita che poggia su basi molto instabili, contingenti e non necessariamente vere.

Il sogno che si trasforma in incubo.

Una compagnia teatrale sta tenendo le audizioni per lo spettacolo di Cenerentola.

“Il principe, rivolto a Victoria: “Io credo che dovresti farlo. Sei incredibilmente brava, chiaro?”

[…] La principessa si presentò all’audizione, e ottenne il ruolo da protagonista.

[…] Victoria recitò una splendida Cenerentola, e al termine ricevette un caloroso applauso dal pubblico che si alzò ad acclamarla.Victoria pensa di seguire il consiglio di un critico teatrale e di presentarsi ad un grande teatro per avere un posto. Il principe:“L’otteresti senza dubbio. […] Sarai così richiesta che non avrai più tempo per me.

[…] E il nostro matrimonio finirà. […] Non voglio che tu faccia niente del genere… ti prego.

Victoria era sbalordita e al tempo stesso delusa, ma la sua priorità era rappresentata come sempre dal marito; senza la minima esitazione decise quindi di rinunciare all’idea di tornare sul palcoscenico.”

Il principe assume dei comportamenti completamente diversi da quelli soliti, dolci, propri del dottor Sorriso. Ha degli sbalzi di personalità e diventa burbero, dice delle cose orribili allamoglie.

“Che cosa ti sta succedendo?” “Non lo so, è come se qualcuno prendesse il sopravvento su di me… non capisco proprio.” […] “Il dottor Sorriso diventa il signor Nascosto!” […] “ Deve trattarsi di un incantesimo o qualcosa del genere.” […] “Ti prego, aiutami” la implorò, afferrandole disperato le spalle. 

“Certo che ti aiuterò, tesoro mio” lo rassicurò Victoria. […] Quando c’era il signor Nascosto, lei si preoccupava e si chiedeva quanto tempo dovesse passare prima che ripartisse; se c’era il dottor Sorriso, si preoccupava lo stesso, e si domandava quanto sarebbe rimasto. E ogni volta che si ritrovava da sola, pensava con timore a chi di loro sarebbe arrivato per primo, e cercava di immaginare come fermare i tremori, lo stomaco sottosopra, il senso di soffocamento e il dolore.” […]

Il Principe rivolto a Victoria:

“Ho capito chi è stato a colpirmi con il maleficio! […] Sei stata tu”
“Io? L’unica che ha sempre cercato di aiutarti, che ti ha…” […] “Non so nemmeno come si fa una cosa del genere”

“Non importa io so che è colpa tua.” La principessa seguì il marito, implorandolo di ascoltarla, che uscì invece come una furia dalla cucina, rischiando di farla cadere e sbattendo la porta. Victoria: “Stai bene? Che cosa ti è successo?”
“Tu, mi sei successa! E’ tutta colpa tua!” […]

Victoria e Vicky parlano tra di loro.

“Vicky: “Forse… forse l’incantesimo malvagio è davvero colpa nostra. E può darsi che ogni cosa sia colpa nostra.” “Non so più cosa pensare” sospirò Victoria. “Sono stanca, troppo stanca…” […]“Forse c’è un fondo di verità in quello che dici, Vicky. Non possiamo rischiare.

Temo che dovremmo impegnarci ancora di più per non fare o dire qualcosa che potrebbe evocare il sortilegio.” “Ma come possiamo aumentare i nostri sforzi?” “Dovremo essere brave, anzi, più che brave… perfette!” “Io non ci riesco.

Avevo già provato con il re e la regina, ricordi? Non posso mostrarmi migliore di come sono.” “Temo che dovrai mettercela tutta, e questa volta devi farcela, altrimenti il principe ci lascerà.” 

Giorno dopo giorno la principessa si sforzava in tutti i modi di essere perfetta, in modo da evitare stregonerie. Nonostante ciò Vicky, ancora sofferente per non essere mai stata abbastanza brava da guadagnarsi l’amore del re e della regina, e tuttora perseguitata dagli incubi che le ricordavano il lungo periodo trascorso nello sgabuzzino , non voleva correre alcun rischio con il principe, e trascorreva ogni singolo istante cercando di essere brava, anzi, migliore per non dire perfetta, rischiando però di far impazzire Victoria.” 

Victoria si rende vittima del principe e accetta in pieno il suo ricatto. Viene condizionata dall’immagine che ha di lui e da tutto quello che è sempre stato il suo sogno.

E’ emblematico il passaggio in cui Vicky si sente inadeguata, così come da bambina era accaduto con i genitori, e si sente colpevole.

Victoria rinuncia a tutto pur di far contento il suo principe e in questo modo non ascolta se stessa bensì rinuncia anche a se stessa, non ottenendo tra l’altro alcun margine di miglioramento.

Di nuovo, si annichilisce, annulla ogni suo sentimento, ogni sua individualità e quando arriva il signor Nascosto, finisce per autoaccusarsi della situazione.

Si fa carico di ogni responsabilità, distorcendo la realtà. Si vede riflessa negli occhi dell’altro e non è libera di vedere e di guardare con i propri occhi.

Ogni suo pensiero è rivolto al principe e all’immagine che esso rappresenta. Qui ci si ricollega al tema delle mappe mentali e delle reti associative.

Ogni persona ha la sua mappa, con le sue priorità. Quando arrivano degli stimoli dall’esterno, questi sono percepiti in maniera del tutto soggettiva, il filtro percettivo che abbiamo dentro di noi permette di far entrare tutto ciò che è in sintonia con l’attività intellettuale del momento.

La percezione, che altro non è che l’elaborazione automatica, inconsapevole e condizionata degli stimoli sensoriali, è influenzata da quanto è già presente nella nostra mente. Lo stimolo viene appreso e riconosciuto attraverso la rete associativa, che ci porta
quindi a ritenere che la nostra percezione sia quella giusta.

Le reti associative sono di tipo cognitivo, quelle che permettono l’apprendimento, e di tipo emotivo, quelle che ci consentono di rivivere emozioni già provate e che si basano sul riconoscimento.

In questo modo è evidente come le reti associative siano una condanna perchè causa determinante del pregiudizio, della presunzione di essere nel vero, precludenti della conoscenza. Sono gli schemi mentali precostituti che impediscono all’individuo di avere occasioni di crecita e di fare nuove esperienze.

Bisognerebbe uscire da tali schemi ed evitare di farsi condizionare dalle percezioni preesistenti.

Il sentiero della Verità

“Principessa, le cose non sono sempre come appaiono.” in quel preciso istante un gufo discese volteggiando come una piuma sul terreno, battè le ali, raddrizzò lo stetoscopio che aveva appeso al collo, e depose con cura una valigetta nera
vicino alle zampe. […] “Sono il dottor Henry Herbert Hoot, ma gli amici mi chiamano Doc.”
[…] “Forse non soffriresti così tanto se ascoltassi più spesso la tua musica personale” le suggerì il gufo. […]“Puoi guarire il mio cuore?” “Temo di no, principessa. Solo tu puoi riuscirci.” […] “Se solo riuscissi a trovare il modo di eliminare il maleficio, sarei di nuovo felice e tornerei a cantare con gli uccellini, e a questo mondo andrebbe tutto bene.

Devi aiutarmi, Doc. Io ho provato di tutto, ma non ha funzionato niente.” “Hai ragione, non funziona niente. […] So cosa occorre: il nulla. […] Il nulla è qualcosa che non hai ancora tentato. Devi smettere di fare qualunque cosa e cominciare a non fare e non dire nulla: niente spiegazioni o difese, non sistemare la situazione, non implorare, chiedere scusa, minacciare, preoccupato o restare alzata di notte a pensare, programmare ed elaborare.

Hai capito? […] Il principe è troppo occupato a cercare di capire cosa non va in te per sforzarsi di vedere cosa non funziona in lui. Se tu non fai nulla, è probabile che si accorga che lui sta facendo qualcosa.”

Victoria: “Non posso fare a meno di cercare di aiutare il principe. Che ne sarà di lui?” “Che ne è stato di lui con tutto quello che hai detto e fatto finora? E che ne è stato di te?” […] “L’unico che può compiere una magia che riguarda il principe è il principe stesso. […] E voi siete in grado di fare qualcosa per voi stesse.”

Doc dà a Victoria un libro: “Una guida per vivere sempre felici e contenti – Per le principesse che non ne possono più di essere sempre stanche morte.” “Tieni bene a mente che leggere il libro è solo l’inizio” l’avvertì Doc.

“Affinchè le cose possano cambiare, tu stessa devi cambiare.” “Io?” ribatté lei. “Ma è il principe a dover cambiare!” “Questo deve deciderlo lui.”

[…] “Finchè continui a fare quello che hai fatto finora, continuerai a ottenere quello che hai ottenuto” le spiegò Doc. “Non devi più fare quello che non funziona. […] Devi scegliere di essere felice, e non di avere ragione.”

 “Doc: “Occorre lasciar perdere il senso di impotenza e accogliere lo spirito di accettazione. […] L’amore fa star bene. In caso contrario, si tratta di un sentimento ben diverso.

Se soffri più spesso di quando sei felice, vuol dire che non è amore, ma qualcosa di differente che ti tiene intrappolato in una sorta di prigione, e ti impedisce di vedere la posrat verso la libertà,
spalancata davanti a te.

[…] Puoi percorrere il Sentiero della Verità.” “Ho già imparato alcune cose a proposito della verità” commentò Victoria in tono pacato. “Ed è che le favole non si avverano, e la certezza di vivere per sempre felici e contenti non è altro che un sogno infantile.” “al contrario, le favole si realizzano, ma sono spesso diverse da come le si uò intendere in un
primo momento. Il tuo lieto fine ti sta aspettando lungo il sentiero.”

“Davvero?” esclamò lei, raggiante. “una favola diversa?”

La principessa non aveva mai preso in considerazione la possibilità di vivere felice e contenta anche senza essere slavata da un coraggioso e affascinante Principe azzurro, arrivato al galoppo su uno stallone bianco, che se la sarebbe portata via nella luce del tramonto. Con un sospiro aggiunse: “In passato ho creduto che la felicità mi stesse aspettando, e guarda invece dove sono finita…”

Victoria, sotto consiglio di Doc, decide di partire, di percorrere il Sentiero della Verità, che le permetterà di conoscere se stessa.

“Ricordati di seguire il sentiero, qualunque cosa accada, e di cercare la verità che ti aspetta in fondo a esso. Non permettere a niente e nessuno di distoglierti dalla ricerca della verità che può guarirti. Quando si percorre il sentiero, la verità diventa sempre pi chiara. Seguila fedelmente, e alla fine raggiungerai il Tempio della Verità, dov’è custodita la pergamena sacra.

[…] La pergamena sacra risveglierà la tua mente e libererà il tuo cuore; troverai pace e serenità, e conoscerai il segreto del vero amore, quello che hai sognato per tutta la vita. E sarai a buon punto anche per ciò che riguarda la realizzazione della tua favola.”

Il passo successivo consiste nell’acquisire la consapevolezza che la percezione è influenzata dagli schemi precostituiti e dall’esperienza. E il punto è proprio quello di riuscire a vedere questo legame condizionale che l’uomo pone a se stesso come limite di crescita e di conoscenza.

Si tratta infatti di un circolo chiuso del sistema percettivo dell’individuo, circolo in cui la percezione alimenta l’esperienza, la quale, a sua volta, condiziona la percezione.

Bisogna operare un taglio, e slegare il legame condizionale tra esperienza e percezione. E’ quello che fa Victoria e che emerge chiaramente dagli estratti illustrati.

A questo punto, dopo aver compreso quanto spiegato precedentemente, bisogna ritornare sull’opinione, sui pregiudizi e capire quale è il percorso per liberarsi del tutto da questi e dai condizionamenti e per allegerire il cuore.

Victoria lo fa attraverso il cammino sul sentiero della verità, imbattendosi in una serie di luoghi e di personaggi che le mostreranno la realtà delle cose.

Il Mare delle Emozioni come il fiume delle opinioni

“ Terrorizzata e senza fiato, la principessa venne così scagliata nel Mare delle Emozioni. Pietre aguzze e rami rotti le turbinavano intorno nell’acqua ghiacciata mentre lottava disperatamente per rimanere a galla.

Una forte corrente sotterranea pareva tirarla per i piedi, e le gocce di pioggia le cadevano implacabili sul viso e sulla testa.  “Annegheremo di sicuro!” gemette Vicky, tr un sorso e l’altro di acqua salata. […] Si sentì risucchiare sul fondo del mare, e a un tratto le parve di scorgere qualcosa in lontananza.

[…] Era una semplice barca a remi, molto più piccola di quanto le fosse sembrato, e non c’era sopra nessuno. […] Non appena le fu accanto, si aggrappò a un fianco e cercò con tutte le sue forze di issarsi a bordo.

[…] Si inerpicò e cadde all’interno. […] Esausta, rimase immobile, sdraiata sul fondo della barca tarballante, sopra a due vecchi remi di legno. […] Il fondo della barca cominciò a riempirsi d’acqua.

[…] Victoria continuò a remare in silenzio e al mattino era così debole che non riusciva a muovere le braccia. L’imbarcazione si abbassava sempre più.” In quel momento appare un delfino, Dolly, al quale Victoria chiede di portarla in salvo. “Nessuno può salvarti, mia cara, né io né un principe o chiunque altro.

E’ un fatto che spesso sfugge anche a chi è bravo a capire le cose.” “Vorresti dire che mi lascerai annegare?” strillò la principessa, sbalordita. “No, voglio dire che tu ti lascerai annegare, adesso o la prossima volta, a meno che non impari a nuotare… tutto qui.

Anche se adesso ti carico sulla mia schiena e ti porto via dalla tempesta, depositandosi sana e salva sulla terrafer,a, sarebbe solo una questione di tempo prima che si scateni un’altra tempesta e tu ti trovi di nuovo in pericolo.

[…] L’unico modo per non annegare consiste nell’imparare e nuotare.” […] “Allora trascorrerai l’intera esistenza cercando di non annegare, così come stai facendo adesso, stando di vedetta e aspettando che la tua scialuppa di salvataggio ideale venga a salvarti una volta per tutte.” 

[…] “Non sei forse rimasta disperatamente aggrappata a qualcosa che minaccia di affondare e trascinarti con sé?” […] “Ti sei imbarcata in questo viaggio per evitare di andare a fondo con una imbarcazione che stava affondando.” 

[…] “A volte bisogna smettere di restare aggrappati, e occorre cominciare a muoversi.” […] “L’unica sicurezza durevole è quella che ci consente di sapere che siamo in grado di prenderci cura di noi stessi. Capite adesso per quale motivo dovete imparare a nuotare?” 

[…] Dopo innumerevoli tentativi,e grazie anche alle continue rassicurazioni di Dolly, la principessa riuscì finalmente a galleggiare sulla superficie dell’acqua. Pur essendo stanca e delusa, la principessa non aveva alcuna intenzione di darsi per vinta. “Non dobbiamo mai arrenderci ma solo accogliere.”

Nell’attimo stesso in cui la piccola accettò, la tensione abbandonò il corpo della principessa, che alzò lentamente un braccio e poi l’altro, con gesti colmi di grazia. La principessa divenne un tutt’uno con il mare sotto di lei, liscio come il vetro. […] E proprio allora apparve un lembo di terra. Victoria era sbalordita. “Ma da dove è uscita? Prima non c’era!” 

“C’era, c’era…” “Allora per quale motivo non riuscivo a vederla?” “Perchè la paura e il dubbio ci impediscono di vedere ciò che è ovvio” “

Vuoi dire che c’è sempre stata, ma io non la vedevo perchè ero troppo spaventata?” “Sì: hai dubitato della risposta del tuo cuore.” […] 

Lo sguardo della principessa corse sull’acqua sfavillante e si colmò di gioia: Victoria sapeva che
sarebbe riuscita a raggiungere la terraferma da sola.

Senti nascere in sé un improvviso senso di potenza, e una grande pace l’avvolse mentre le onde gentili le accarezzavano la schiena.”

Il mare delle emozioni, così descritto, riporta all’immagine del fiume delle opinioni, una metafora incotrata durante le lezioni sulla opinione della Tecnica Sociale dell’Informazione. E’ il primo step del percorso che porta l’individuo alla conoscenza, alla verità. Per spiegarlo si deve partire dal principio, e considerare tutta quella serie di stimoli esterni che colpiscono l’uomo. L’uomo, in base alla sua natura razionale e alla capacità di elaborazione, inizierà a riflettere sul problema. Si troverà cioè in mezzo al fiume delle opinioni, dal quale verrà trasportato, rischiando in taluni casi anche di annegare a causa delle forti correnti e dei numerosi pericoli che può incontrare. L’angoscia del dubbio, della paura, spingeranno l’uomo a cercare un riparo per metter fine all’afflizione, e per sentirsi al sicuro, per non continuare a soffrire. Il riparo è il pronto soccorso visto in precedenza, e qui è costituito dalla terra ferma, l’isola delle certezze.

 La Terra delle Illusioni come l’isola delle certezze

“Svegliatasi, la principessa sentì la sabbia calda sotto di sé, e tale sensazione non le era mai sembrata cos piacevole. Fece scivolare i granelli fra le dita, afferrandone una manciata: era tutto vero e reale, e questo voleva dire che era arrivata sana e salva a riva. 

[…] Il mattino dopo la principessa si rimise in marcia, e ben presto si trovò davnti un sentiero che si divideva in sue. Si fermò e sbirciò a sinistra: il viottolo, lungo e stretto, si inerpicava pigramente sul lato di una montagna che si scorgeva in lontananza. Non male, pensò. Guardò poi la via a destra, irta e stretta, tortuosa e disseminata di pietre, buchi, arbusti e alberi troppo cresciuti.

[…] Decise di non correre rischi inutili, prese dalla borsa la mappa della famiglia reale. “Andremo a sinistra” annunciò.

[…] Subito dopo aver imboccato il sentiero, la principessa si accorse che, sebbene il terreno sembrasse pianeggiante, lei aveva la netta sensazione di camminare in discesa. Ancora più strano era il fatto che quando raggiunse il punto in cui aveva intravisto una fonte a cui avrebbe voluto abbeverarsi, scoprì che non c’era alcune sorgente. 

[…] All’improvviso andrò a sbattere contro un masso enorme, posto proprio in mezzo alla via. Avrebbe giurato che non ci fosse finchè non vi inciampò…. […] Victoria:“Questo sentiero non è affatto come sembra. Io potevo vedere alcune cose che non c’erano, e non riuscivo a vederne altre che invece c’erano. Ho fatto una gran confusione.” 

[…] Doc: “Nella Terra delle Illusioni si vedono di rado le come sono.[…] Sappi che è il luogo dove tu hai trascorso gran parte della tua esistenza. […] Nella Terra delel Illusioni tutti si aggirano nella nebbia, che non è però l’elemento più importante: anche se dovesse splendere il sole, nessun riuscirebbe infatti a vedere cosa ha davanti al proprio viso.” 

[…] “Il viaggi è diverso per ognuno: un sentiero può essere giusto per una persona e sbagliato per un’altra. Solo il cuore di ogni singolo essere umano conosce la via. […] Quando ti sei trovata davanti il bivio, per capire come comportarti hai fatto affidamento sulle convinzioni di qualcun altro… ed è proprio così che una persona si perde.” […] 

Victoria giunge al Campeggio per viaggiatori smarriti dove incontra un uomo, Willie, il responsabile del campeggio.

“Willie:“Molta gente si perde seguendo la mappa di qualcun altro. E la maggior parte di loro finisce qui. […] La Terra delle Illusioni è un luogo piuttosto seducente, dove la gente vede solo quello che sceglie di vedere.

[…] Qui la gente ha il cervello ha un po’ annebbiato, e continua a macerarsi su quello che è o non è. Naturalmente non fanno altro che perdere temp, perchè nella Terra delle Illusioni nessuno può mai avere la ceretzza di ciò che è vero.” […] “La gente rimane per diversissimi motivi, soprattutto perchè è abituata a stare qui. In un certo strano modo, si sentono a proprio agio ocn la follia, con il fatto di non saper distinguere ciò che è o meno reale, con la capacità di vedere solo quello che vogliono e di sopportare la sofferenza.

Se dovessero andare da qualche altra parte non sparebbero cosa aspettarsi; preferisocno quindi evitare di correre rischi.” “Io so come scegliere i lsentiero giusto” dichiarò Victoria, convinta.

[…] “Io non voglio rimanere la stessa” esclamò Victoria, pensando a tutte le cose su cui doveva ancora scoprire la verità.

[…] Più pensava a tutte le cose che doveva ancora scoprire, più diventava ansiosa di raggiungere la Terra di Ciò che è.”

E così lascia il campeggio e si rimette in viaggio. La terra ferma è in realtà un’isola, con i contorni molto limitati, sulla quale non esistono certezze, bensì opinioni trasformate in convinzioni. Come già visto, le convinzioni hanno la consistenza delle certezze, ma non sono tali; per questo diventano illusioni.

Emerge anche un altro aspetto importante che è quello dell’affidarsi alle mappe altrui, allontanandosi da se stessi e diventando incapaci di ascoltare il proprio cuore. Ogni essere umano ha un suo percorso, ha delle sue caratteristiche, è un pezzo unico. Ed è importante capirlo.

Si può vivere tutta la vita sull’isola delle certezze, in un mondo in cui si vede solo quello che si vuol vedere, oppure si può scegliere di abbandonare l’isola, ributtandosi nel fiume delle opinioni, cercando un attracco che sia fermo sul serio e che rappresenti la certezza e la verità.

La Terra di Ciò che è e la Valle della Perfezione

“Poi avanzò decisa e si trovò di fronte a un cartello che diceva: “Terra di Ciò che è ­ sempre dritto”

Victoria, rivolgendosi a Vicky: “Io voglio amarti come sei. Perchè un melo deve produrre le mele e le tartarguhe devono avere il guscio, perchè un bruco dentro di sé è una farfalla, e le canzoni di tutti gli uccellini sono splendide.”

Victoria incontra una donna, il mago di Ciò che è, la quale la porta lungo il Viale dei Ricordi e le fa rivivere il passato, mostrandoglielo per quello che è.
Mago di Ciò che è: “Molti hanno dei preconcetti in merito a come devono essere le cose, a come sono state o saranno. Tali concetti impediscono loro di vedere le cose come stanno. A volte si tratta di una condizione decisamente grave.”

[…] “Non si può imparare la verità da un altro: bisogna scoprirla da soli.”

[…] “Quando permetti ai giudizi degli altri di diventare più importanti dei tuoi, finisci per cedereil tuo potere.”

[…] “Gli anni sono passati, al pari dei pericoli, adesso non corri più alcun rischio a essere così come sei.”

[…]La guidò in cima a una collina. “Ti presento uno dei panorami più spettacolari sulla facia della terra… la Valle della Perfezione” 

“Questo significa che laggiù tutto è perfetto?” “Sì!” 

Scendono giù nella valle. Nel frattempo la principessa continuava a guardarsi intorno, e più guardava, più si accorgeva
che niente era perfetto come le era sembrato in lontananza, e la sua delusione continuava a crescere.

“E’ senz’altro un bel posto, ma osservando da vicino ti accorgi che i cespigli non sono poi così verdi, gli laberi sono mediocri, il laghetto non è molto limpido… questa fragola è acida! Non c’è proprio nullal di perfetto qui!” “La perfezione, come la bellezza, è negli occhi di chi la guarda. Ogni cosa è come dev’essere” la rassicurò il mago. “E’ questa la perfezione: e il tuo modo do percepirla ad essere difettoso.”

[…] “Quando accetti il miracolo di chi sei e ami te stessa senza condizioni, cambiare le cose che devono essere modificate ti risulta molto più facile. Alcuni aspetti che hai sempre pensato di dover cambiare perchè li giudicavi tue mancanze, veri e propri nemici, in realtà sono stati tuoi fedeli servitori. E’ grazie a loro che sei chi sei, una creatura unica e perfetta, diversa da
chiunque altro venga prima o dopo di te.”

[…] All’improvviso ogni cosa nella valle le sembrò diversa.

[…] All’improvviso si sentì avvolta da un grande senso di amore.

[…] Con il cuore finalmente leggero, Victoria si mise in cammino e attraversò la valle, diretta verso il Tempio della Verità.”

Victoria comprende quanto sia importante essere ciò che si è. Comprende che non era perfetta la favola in cui credeva, perchè lei si rispecchiava in essa, anziché concentrarsi sulla bellezza di quello che lei rappresenta, con le sue debolezze e fragilità e con la sua sensibilità.

Ogni persona è unica e non bisogna uniformarsi ad altro per sentirsi perfetti. Soltando accettandosi per come si è, amdandosi, si è in grado di amare ciò che ci circonda, senza condizioni.

In questo modo si procede alla scalata della verità, in cima alla quale si raggiunge la conoscenza.

Il Tempio della Verità e la pergamena sacra
“Victoria inspirò a fondo e attraversò il patio, calpestando gli enormi gradini di granito a forma di cuore, mentre sulla sua testa volteggiavano soffici nubi bianche trasportate da una brezza gentile.

[…] “Questo è l’uccellino della felicità?” esclamo la principessa. “La felicità non la portano gli uccellini. […] Sorge invece dal profondo di qualunque essere umano giunga a conoscere la verità.” “Vuoi dire che l’uccellino blu non porta la felicità?”
“Al pari del Principe azzurro, arriva per aiutare a festeggiare la felicità di una persona, ma non la porta affatto.” 

Si procede successivamente alla cerimonia di consegna della pergamena sacra a Victoria.

“Siamo qui riuniti, principessa, per rendere il giusto omaggio alla forza, il coraggio e la determinazione che hai mostrato nella una ricerca della verità.

[…] Ti sei fatta strada nel mare in tempesta, nella sabbia profonda, inerpicandoti sui ripidi pendii delle montagne e attraversando la nebbia più fitta.

Sei scivolata e slittata, hai inciampato e sei caduta, rialzandoti e riprendendo ogni volta il cammino. Hai sopportato tutto ciò, e anche altro, pur di raggiungere la verità che ti avrebbe fatta guarire, portandoti la pace e l’amore che desideri disperatamente.”

Consegna della pergamena sacra.

Victoria dichiarò: “Questo è il mio nuovo Codice reale!”

[…] Victoria si specchiò, e nell’immagine riflessa dei suoi enormi occhi color ambra apparve una scintilla molto più brillante di qualunque altra avesse mai visto in vita sua, persino quella che illuminava un tempo lo sguardo del suo principe.

[…] Victoria si chiese per quale motivo avesse sempre desiderato un principe, convincendosi di essere una nullità senza di lui: per poter essere felice e sentirsi splendida, speciale e degna di essere amata aveva avuto bisogno dell’amore del suo sposo e della scintilla che gli illuminava lo sguardo. Ricordando tutto ciò che aveva imparato sui principi, i salvataggi e l’amore, pensò che le sue vicende personali dimostrassero com’era facile sbagliarsi. Adesso sapeva che pur desiderando un principe all’interno della sua esistenza, non avrebbe mai dovuto permettergli di diventare la sua vita: amava se stessa abbastanza da poter vivere felice, con o senza di lui.

Doc:“Adesso devi imparare a utilizzare a livello pratico la conoscenza che hai appena acquisito. Per apprendere la verità occorre infatti realizzarla nella vita quotidiana.” Con un sorriso sulle labbra, una nuova elasticità nel passo e una canzone nel cuore, la principessa si avviò nello splendido tramonto rischiarato da una sinfonia di colori.”

Victoria impara a camminare da sola, con le proprie gambe. Impara che il vero amore significa libertà e crescita, e non senso di possesso e restrizioni; vuol dire pace e non agitazione; sicurezza e non paura. Ma una sicurezza che non scaturisce da un’illusione bensì dall’accettazione dei proprio limiti e della propria persona.
Il vero lieto fine

Le favole esistono, i sogni possono essere realizzati, purchè si tengano a mente gli insegnamenti qui appresi. Si può sognare, ma bisogna saperlo fare perchè il sogno può diventare una gabbia d’oro se per realizzarlo si accettano così tanti compromessi da perdere di vista la felicità.

Bisogna abbattere l’artificio della convinzioni, vedere ciò che è, uscire dagli stereotipi e fare largo allo spirito di accettazione.

Bisogna accettare i limite delle proprie opinioni.

Bisogna accettare che ognuno è perfetto nella sua imperfezione.

Bisogna accettare che ognuno è il protagonista di una favola che si può avverare, ma che è una favola diversa da quella di chiunque altro, che bisogna costruirla con le proprie forze e il proprio coraggio; è una favola che potrebbe essere diversa anche da quella che abbiamo sempre immaginato, ma è una favola che esiste in cui il lieto fine ci attende.

Zelig – Woody Allen allievo del Fattorello

Claudia Longarini

ZELIG – WOODY ALLEN ALLIEVO DEL FATTORELLO

Introduzione

La caratteristica che distingue l’homo sapiens dagli altri animali è la capacità di comunicare attraverso dei segnali semplici e comprensibili da tutti – denominati segnali analogici -, e attraverso segnali astratti, simbolici – definiti segnali digitali, i quali hanno bisogno di un ragionamento complesso per essere decifrati. Dato che ognuno di essi è una costruzione della mente umana, il loro significato è appreso e “letto” attraverso l’esperienza che inizia da bambini.

I segnali analogici sono quelli attinenti il linguaggio del corpo e accompagnano sempre i segnali digitali, cioè le parole. Così
ogni gesto analogico informa sul significato effettivo del segnale digitale. Capiamo il senso di una certa frase, in digitale, solo se decifriamo il simbolo analogico ossia l’espressione corporea che l’accompagna.

Perché la comunicazione abbia efficacia è importante che ci sia congruenza tra i due tipi di messaggi, ma, quando ciò non
accade, l’ascoltatore percepisce una disarmonia e non crede a quanto afferma il promotore: la discrepanza è sintomo di falsità ed è vissuta come tale da chi la coglie.

Tutto ciò avviene inconsapevolmente, nessuno di noi è in grado di mandare i segnali digitali senza quelli analogici, ma siamo educati a capire solo le parole e non i segnali del corpo, gli unici in grado di esprimere la verità. Imparare a leggere questi gesti aiuta a capire a fondo l’altra persona e a farci agire di conseguenza: posso interrompere o modificare la discussione se i gesti dell’altro mostrano la sua alterazione, chiusura o noia. Posso capire la gioia vera negli occhi dell’altro, anche se sono pieni di lacrime.

Ma perché tanta complessità? Non sarebbe tutto più facile se non ci fosse questa difformità? A cosa serve comunicare e soprattutto farlo in maniera congrua? Il motivo delle discordanze tra le due tipologie di segnali comunicativi sta nel fatto che l’uomo viene a trovarsi in un gruppo di riferimento e di questo deve rispettare le regole per evitare di esserne scacciato. Ognuno di noi viene a trovarsi in ambiente sociale che lo condizionerà nelle scelte di qualsiasi tipo: nel modo di vestire, camminare, parlare, mangiare, pensare, credere.

Essere riconosciuto come membro di un gruppo sociale legittimo, comporta il rispetto delle regole che lo definiscono, pure se urtano con il proprio essere. Anche se rispettare le regole limita i comportamenti e gli istinti umani, ognuno di noi è pronto a pagare questo scotto per essere riconosciuto: solo instaurando una relazione con gli altri potremo confrontare i nostri concetti.

L’apertura del gruppo sociale di riferimento sarà decretata dal modo in cui presenteremo la nostra opinione.

CAPITOLO 1

X): Il film Zelig

Il film parla dell’insicurezza di Leonard Zelig che, per sopravvivere e farsi accettare dalla società, sviluppa un metodo di adattamento che gli permette di trasformarsi in un soggetto di questo o quel gruppo di riferimento. È un irlandese il giorno si san Patrizio, con i relativi capelli rossi; è un ebreo con tanto di barba lunga, se si trova nella sinagoga.

Le metamorfosi avvengono all’istante, dimostrando una capacità di adattamento straordinaria, grazie alla quale può diventare uno del gruppo, accettato, benvoluto e protetto.

Lui ha capito come farsi gradire: prima di tutto ascolta e capisce chi ha di fronte, limitandosi a considerare i tratti esteriori, gli stereotipi. Zelig si immedesima a tal punto nella parte, da assumere una personalità sempre diversa, sentendosi veramente ebreo, o irlandese.

Attraverso tutte le personalità da lui interpretate, il protagonista vive interi periodi della sua vita durante i quali agisce e
compie delle scelte anche importanti che coinvolgono il prossimo, come sposarsi e mettere al mondo dei figli.

L’incontro con la dottoressa Fletcher lo porta a ritrovare la propria personalità, dopo un brutto periodo che Zelig passa a fare il fenomeno da baraccone per volere di sua sorella. L’incontro con la dottoressa gli farà scoprire l’amore, ma la sua vita sarà di nuovo turbata dai conti che gli presenteranno le scelte compiute nel passato dalle sue molte personalità e ricomincerà a fare il camaleonte.

La fine del film sarà felice con i due innamorati ancora insieme.

CAPITOLO 2

SP: Zelig

Leonard Zelig nasce figlio di ebrei e dopo la morte della madre, il padre si risposa con una donna manesca e brutale. La vita del ragazzo è segnata dalle violenze e dalla mancanza dell’affetto familiare: è costretto a vivere nel degrado e nell’indifferenza dei
suoi genitori e dell’ambiente circostante che non lo riconosce. Il padre di Zelig era un attore dalle qualità artistiche mediocri, poco apprezzato nel suo ambiente e nel suo gruppo sociale di riferimento di ebrei piccolo borghesi.

Non visse mai i vantaggi di appartenente a quel gruppo, e probabilmente passò la vita con grande senso di inferiorità che si rispecchiò poi nell’incapacità di educare i figli con amore e di trasmettere loro quei valori a cui faceva riferimento. Il fratello e la sorella di Zelig si rivelarono meschini, costruendo le loro vite sullo sfruttamento del prossimo. Zelig sembra non avere tendenze particolari fino a che comincia a mostrare dei cambiamenti insoliti e mai visti prima in un essere umano.

La sua necessità è quella di farsi accettare socialmente, di avere un posto nel mondo: nelle sue condizioni di disperato non può prendere la strada della crescita intellettuale o professionale, con la conseguente fatica della preparazione e dello studio che richiedono anni di impegno.

Il bisogno di sentirsi vivo e considerato, lo porta a sviluppare un sistema di difesa che lo faccia emergere e liberare da quella condizione di emarginato dalla società, al limite dell’espulsione, costretto ad ammirare da lontano tutti gli altri che vivono un ruolo ben preciso e per quello sono accettati. Da bravissimo attore riesce a interpretare il ruolo scelto, ma non è mai stato in grado di capire la differenza tra la scena e la vita vera.

La sua maschera lo mette al riparo dagli attacchi del mondo esterno, ma il teatro non è mai troppo lungo: la sua natura, la sua acculturazione, certe scelte del passato, ben presto riemergono, evidenziando le dissonanze tra ciò che racconta e ciò che
effettivamente è.

Zelig fa proprie le caratteristiche più facili da assimilare, quelle contingenti, che possono essere apprese con una’attenta occhiata, mentre quel che riguarda le informazioni non contingenti, come la preparazione tramite lo studio e
l’apprendimento di eventuali tecniche, non sono mai prese in esame dal protagonista.

La vita per lui si ferma all’aspetto esteriore, alla superficie. Ogni identità assunta viene dimenticata non appena ne apprende un’altra, ma di quelle vite vissute verranno a galla i misfatti compiuti e i figli concepiti. La sua salvezza sarà l’incontro con la
psichiatra, la dottoressa Fletcher, che si appassionerà talmente tanto al suo caso, da portarlo a casa sua per curarlo e proteggerlo.

In una seduta ipnotica Leonard Zelig confesserà di essere innamorato della dottoressa. La conclusione del film vedrà
sbocciare l’amore.

CAPITOLO 3

SR: Gruppi con cui interagisce

I gruppi sociali con cui Zelig si viene a trovare sono terre da conquistare: ogni volta il suo scopo è quello di farsi riconoscere e accettare per non rischiare l’emarginazione.

Apprende le caratteristiche esteriori fondamentali e vi si adatta velocemente. Zelig è sempre vissuto considerandosi un niente, ma scopre che vestendo gli abiti di un certo gruppo sociale può essere ascoltato e vivere anche lui alla pari degli altri: cioè può
avere un ruolo nel mondo. Riesce talmente bene a impersonare la parte che, come un camaleonte, i suoi tratti somatici si modificano e le persone intorno a lui lo apprezzano e lo riconoscono come uno di loro.

Qualsiasi gruppo può diventare il suo riferimento e non sceglie in base alla convenienza economica o di potere o di religione, perché quello che vuole ottenere è l’adesione pura e semplice, il riconoscimento di se stesso come essere vivente. Zelig è flessibile e in ogni veste si adegua alle opinioni più consone al momento, anche se la volta precedente ha aderito ai pensieri opposti.

CAPITOLO 4

O: Formula d’opinione

In ogni occasione della sua vita il nostro Leonard si adatta alle situazioni in cui viene a trovarsi: da grandissimo osservatore, percepisce gli stereotipi di appartenenza a un dato ambiente e li fa suoi, nell’aspetto fisico e, soprattutto, nella mente. In questo modo Zelig riesce a vendersi, inventando la confezione più adatta all’acquirente che ha di fronte, senza mai sbagliare un colpo.

Per sopravvivenza, Leonard Zelig inventa questo metodo che gli permette di essere riconosciuto nel mondo: il giorno di San
Patrizio, in un pub irlandese, Leonard assume gli elementi distintivi di quel gruppo etnico con tanto di capigliatura e barba rossa e riesce così a non farsi picchiare.

Durante un concerto di un gruppo musicale jazz composto da neri, lui assume la colorazione della pelle dei musicisti e comincia a suonare la tromba. In questo caso la sua parte di attore viene smascherata dalla sua impreparazione a suonare lo strumento.

Vive un lasso di tempo nel quartiere cinese, in cui i suoi tratti somatici si trasformano da caucasici a orientali, e al momento del suo ritrovamento da parte della polizia, impreca in una lingua giudicata da tutti molto vicina a quella cinese.

Passa un altro periodo della vita nelle vesti di un medico: frequenta l’università e l’ambiente ospedaliero, arrivando addirittura a operare di appendicectomia un malcapitato paziente; quando la dottoressa Fletcher, la sua psichiatra, lo prende in cura, Zelig si manifesta come un suo collega e con lei discute di studi e convegni.

E’ un ebreo osservante e, con tanto di barba tipica degli ortodossi, discute nella sinagoga; assume le sembianze e i colori di un indiano d’America, con lunghi capelli lisci raccolti in una treccia, quando si trova in compagnia di uno di questi. Se interagisce con persone obese, anche il suo corpo si adatta a quello degli interlocutori e diventa grasso.

Riesce così in ogni occasione ad aprire uno spiraglio nel muro di protezione dell’altro, che gli offre la possibilità di essere ascoltato: il fine di tutto è sempre comunicare per dimostrare di esistere.

La sua formula d’opinione è sempre ben congegnata, ma molte volte il suo trucco viene scoperto perché l’opinione non è
supportata da conoscenze profonde e da certezze radicate in lui, non nata dalle esperienze di vita o dallo studio di determinati argomenti.

CAPITOLO 5

M: Il mezzo

Mimica, abbigliamento e valori

Zelig è un tipo minuto, ingobbito e sempre con l’aria di quello che ha paura di essere scovato: ha timore del prossimo. L’infanzia trascorsa a combattere per la sopravvivenza non gli ha permesso di rinforzare la sua personalità, di affiliarsi a un credo, ma solo di escogitare un sistema per sfuggire a quella continua sofferenza.

Da adulto Zelig ha come riferimento quei gruppi sociali in cui vede la soluzione ai suoi problemi, non tanto per i valori a cui fanno riferimento, quanto per la capacità che questi gruppi hanno di far fronte unico e compatto contro il mondo. Leonard Zelig non ha valori propri, non li ha mai coltivati e quindi si uniforma a quelli già precostituiti che si trova intorno di volta in volta.

Non ha remore a trasformarsi in gangster, pronto a uccidere un uomo, così come impersona un medico che cura e salva la vita ai pazienti. Lui non deve adattare le sue opinioni, semplicemente perché non ne ha. Vive delle opinioni altrui, solamente per passare un po’ della sua vita in un porto sicuro. Grazie alla dottoressa Fletcher, acquista la sua personalità e si scopre un Leonard Zelig di buon cuore, generoso con la sua donna e portato al rispetto delle persone, delle loro opinioni.

CAPITOLO 6

Conculusioni
FORMULA FATTORELLIANA
x) M
Sp Sr
O

Il protagonista del film incarna perfettamente la teoria fattorelliana: per Zelig è vitale arrivare a comunicare col suo prossimo, dato che solo così si sente vivo. Lui è il soggetto promotore che usa se stesso come mezzo per presentare il fatto (sempre se
stesso) al soggetto recettore di turno.

Applica alla perfezione la teoria tanto da diventare “Mezzo” che esprime l’opinione perfetta per il recettore che ha di fronte, dopo averlo studiato a fondo. Si adatta a questo o quello stereotipo, modificando addirittura il suo corpo, e riuscendo così a essere accettato. Zelig dimostra che lo studio del suo prossimo e l’adattamento allo stereotipo che di volta in volta si trova di fronte, gli permettono di raggiungere lo scopo, non incute timore o sospetto, arriva all’altro, e dunque esiste.

Zelig è perfetto in tutto, tranne che nel credere profondamente alla parte che recita, senza capire dove finisce l’interpretazione e dove inizia la sua vera vita.

Per comunicare veramente è fondamentale l’ascolto e lo studio, quindi la conoscenza del nostro interlocutore: lui ci darà la chiave per aprire la sua porta e ottenere la tanto desiderata adesione di opinione. Lo scopo di tutta la procedura che mettiamo in moto è arrivare all’altro, entrare in contatto con lui.

Se sbagliamo procedimento otterremo la chiusura dell’altra parte e il fallimento: non arriviamo, non comunichiamo, quindi
non diamo segni della nostra esistenza.

Bibliografia
Allen W., Zelig, film USA 1983.
Fattorello F., Teoria della tecnica sociale dell’informazione, 2005 ed. QuattroVenti, Urbino.
Ragnetti G., Opinioni sull’opinione, 2006, ed. QuattroVenti, Urbino.
Morris D., L’uomo e i suoi gesti, 2005 ed. Mondadori.
Birknbihl F. V., Segnali del corpo, 2008 Franco Angeli, Milano.