Giorgia Butera, Sociologa della Comunicazione, Scrittrice, Advocacy e Presidente di METE (Organizzazione basata in Sicilia, impegnata nella mediazione socio-culturale tra i popoli, nell’affermazione dei principi civili, democratici, liberali ed educativi di ciascun individuo e nella giustizia sociale. Promuove Cultura di Pace), dal 2015 interviene nelle varie Sessioni del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra.
Diverse, anche, le Conferenze alle quali ha partecipato, intervenendo.
Sin da subito ha sviluppato disciplina, competenza e creatività. Per la Butera, il lavoro, è avere l’idea visionaria che apre nuovi scenari. È avere la consapevolezza, che ogni successo sia frutto di disciplina e competenza. Che non esiste una casualità nell’ottenere risultati. È il cogliere stimoli, in ogni parte dell’universo.
Una forte emozione è avvenuta giorno 8 marzo, quando in apertura dei lavori, l’Alto Commissariato ha dichiarato nella Grande Sala, l’importanza della giornata essendo l’International Women’s Day. Ed ha avuto la risposta più naturale del mondo: essere nel posto giusto per l’impegno che quotidianamente mette in atto in difesa delle donne e bambine, in particolare.
Una giornata di richiamo istituzionale molto importante, avendo ricevuto l’invito strettamente personale da parte del Presidente della Repubblica Italiana, in occasione della Celebrazione Giornata Internazionale della Donna, che hanno avuto luogo al Palazzo del Quirinale, ma essendo Delegata Onu, con grande rammarico non ha potuto partecipare.
Un lavoro necessario quello che conduce all’utilizzo esatto della parola. Lei crea, comunica, significa, emoziona, dialoga e si confronta. Noi siamo ciò che diciamo.
In virtù di questo nobile concetto, considerato l’utilizzo dilagante di parole errate e di ossimori ingiustificabili, ho deciso di dedicare un Saggio all’utilizzo delle parole, a quelle che nell’ambito dei Diritti Umani contribuiscono alla percezione negativa “dell’altro”.
La ricerca, pubblicata dal Wall Street Journal in un articolo dal titolo «What words tell us» («Cosa le parole raccontano di noi»), restituisce l’istantanea di una società individualista, competitiva e poco educata.
Parole come famiglia, collettivo, tribù, sono lentamente sfumate: il senso di comunità è stato sostituito da uno spirito competitivo. Tutto questo comporta una non più educazione ai sentimenti del cuore.
La coppia di studiosi americani Pelin e Selin Kesebir hanno scoperto che l’uso di parole come “coraggio” e “forza d’animo” è diminuito del 66 per cento, quello di “gratitudine” e “apprezzamento” del 49 per cento.
Entriamo subito nel merito per far comprendere quanto una definizione, una parola, una frase possano indurre in stereotipi resi normali. Cito il caso dei Verbali ad uso del Ministero dell’Interno, ove, quando si tratta di un caso di trasferimento da una struttura ad altra per un migrante, leggiamo come dicitura in alto: “Verbale di Consegna”.
È drammatico, è pericoloso, è quanto di più offensivo possa esserci. Non si trasferiscono le persone, ma le merci. Se una Istituzione attribuisce valore materiale e non umano alle persone, stiamo servendo tutta quella parte che desidera denigrare il diverso.
Altra definizione è “Carico Residuale”. Le persone sono un carico? Siamo davvero capaci di ritenere le persone un carico?
E per entrare nel merito del nostro impegno riguardante i viaggi esteri con la finalità degli abusi sessuali minorili, volgarmente definito Turismo Sessuale, accolgo l’analisi dell’Avvocato Francesca Ghidini, la quale afferma: “Cambiare le parole può aiutare a cambiare la società e a modificare la percezione della realtà, ingenerando consapevolezza.”
L’uso del termine (improprio) “turismo sessuale” per descrivere un abuso sessuale perpetrato a danno di un minore è inaccettabile poiché accosta due parole avulse dal fenomeno sotteso e dalla connotazione intrinsecamene positiva come il turismo (viaggio, scoperta) e il sesso (inteso come atto consapevole, libero, gioioso).
Peraltro, “turismo sessuale” non ha alcuna valenza giuridica poiché non descrive alcun reato, né si conforma alla definizione Europea della fenomenologia (“sexual exploitation and sexual abuse”, cfr. Lanzarote Convention).
Si tratta (solo) di una parola di comodo, totalmente fuorviante rispetto alla percezione del fenomeno che dovrebbe descrivere, ovvero, gli abusi sessuali sui minori.
“Turismo sessuale” suona meno ripugnante, l’abominio resta in sordina. Il viaggio volto allo sfruttamento sessuale dei minori potrà essere indicato come “viaggio per abuso sessuale di minore” (oppure con altra definizione analoga). È ora di rendere giustizia alle vittime della violenza. Chi parte per abusare sessualmente di un minore non è un “turista”, bensì un pericolosissimo criminale.
Siamo quotidianamente sempre di più inondati da “parole” non sempre correttamente utilizzate; diviene, quindi, opportuno ricordare e sottolineare la valenza terapeutica della “Parola” ed il suo corretto utilizzo in funzione della Comunicazione.
Nell’ambito della problematica delle “informazioni” e quindi in chiave geopolitica e geostrategica della “guerra delle informazioni”, non si può non ricordare la «Teoria» di Fattorello, che è stata proseguita e propugnata dal suo allievo Giuseppe Ragnetti. Nel volume di Danilo Ceccarelli Morolli, Appunti di Geopolitica (Roma 2018), l’Autore riprende tale questione ricordando al lettore proprio l’importanza di tale «Teoria».
Capitolo II §2.2. Info War e geopolitica delle comunicazioni
Connessi ai concetti sopra accennati vi è quello della Info War, letteralmente la “guerra delle informazioni”. Se la Cyber War ha come oggetto l’attacco delle reti informatiche e dei sistemi informatici, l’Info War ha come scopo quello di cercare di orientare la pubblica opinione. Il problema della pubblica opinione e dell’impatto sulla classe dirigente è stato da sempre avvertito da tutti i poteri. I Nazisti fecero della propaganda uno strumento teso alla manipolazione sociale di cui Joseph P. GOEBBLES (1897-1945, ministro della propaganda hitleriana dal 1933 al 1945) può considerarsi come una sorta di fautore. Ai tempi del nazismo si riteneva che la massa fosse un soggetto passivo; al contrario la “scuola” italiana della tecnica sociale dell’informazione, propugnata da Francesco FATTORELLO (1902-1985)45 – poi brillantemente proseguita da Giuseppe RAGNETTI – ha chiarito come anche la pubblica opinione (46) sia composta da soggetti opinanti, sfatando così la chimera della dominazione mentale della massa.
(46) Cfr. RAGNETTI G. (a cura di), Francesco Fattorello – Teoria della tecnica sociale dell’informazione, Urbino 2005.
Siamo di nuovo in piena campagna elettorale, in vista delle elezioni amministrative Regionali e Comunali e del Referendum, del prossimo 20 e 21 settembre 2020.
Ancora una volta, proponiamo agli interessati lavori e conseguenti spunti di riflessione sulla Comunicazione Politica, argomento sempre attuale e degno di attenzione.
Istituto Fattorello – Corso di Comunicazione Politica
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Negli ultimi vent’anni l’uso massiccio delle metodologie e degli strumenti di comunicazione applicati alla politica ha cambiato il modo di concepire la stessa, riorganizzando il rapporto tra Stato, sfera pubblica e cittadini.
Nel periodo che stiamo vivendo, siamo quotidianamente sommersi da un’alluvione mediatica che, spesso, invece di aiutarci a capire, aumenta la nostra confusione.
E allora ci sembra opportuno ricordare agli addetti ai lavori quali sono le abilità comunicative di cui dovrebbero essere dotati e fornire alcune istruzioni per l’uso.