Le 12 barriere della Comunicazione secondo Thomas Gordon

Thomas Gordon descrive i 12 atteggiamenti da evitare per non rischiare di interrompere la comunicazione e compromettere la relazione

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La Conversazione Telefonica

“Il telefono è ormai un ingrediente fondamentale della nostra vita. E’, quindi, opportuno ricordare le regole basilari della conversazione telefonica per evitare gli errori più banali della nostra comunicazione”

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Comunicare per Negoziare

In un momento storico in cui le difficoltà a trovare un punto d’accordo tra diversi Paesi sono sotto gli occhi di tutti, abbiamo recuperato un nostro PP, per ricordare i principi basilari delle tecniche di negoziazione. Contenuti comunque utili in ogni fase della vita di ciascuno di noi. Anche perché la mediazione è una costante delle relazioni sociali.


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Amore e Vita quotidiana

Riflessioni personali  e spunti (in ordine sparso) di varia provenienza che ho condiviso e riproposto, perché in linea con il tema delle mie conferenze sull’amore per FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari). Prof. Giuseppe Ragnetti


Così come avviene per i rapporti sociali plurivincolati (appartenenza a diversi gruppi sociali secondari) ci sentiamo liberi e legittimati ad entrare ed uscire dalle relazioni. Ma il tradimento amoroso fa particolarmente soffrire perché produce in noi una regressione allo stato della prima infanzia: papà o mamma non pensano esclusivamente a me ma si intrattengono anche con altri bambini! (Marco, 5 anni, ha un incubo perché pensa che la mamma è rimasta fuori dalla piscina con altre persone …)

(vedi “La società liquida di Bowman”)

Oggi si cerca di costruire l’identità  (BERGER parla di un IO SENZA CASA), ma nessuna identità si può formare in solitudine, perché ha bisogno dell’altro, ha bisogno di un identità altra per poter vivere la propria.

L’identità è relazionale. Ma una volta avuto l’altro, noi lo fagocitiamo.

Il bisogno dell’altro contrasta con l’affermazione del sé.

Ma DOBBIAMO ACCETTARE CHE POSSIAMO AVER BISOGNO DEGLI ALTRI. La nostra fragilità è normale, e anche la nostra dipendenza può essere bella per la costruzione della nostra identità, purché si arrivi al riconoscimento reciproco. Il rapporto è una relazione all’altro.

E allora il titolo “L’idea dell’amore e la vita quotidiana: sinonimi o contrari?  Può fornirci stimoli di riflessione per capire che proprio nella quotidianità della vita deve avvenire il riconoscimento reciproco e non solo in occasioni particolari. Nella vita di tutti giorni il rapporto si fa relazione e due identità diverse assumono pari dignità.

E cosi i diversi linguaggi, le diverse sensibilità, i diversi canoni estetici, i diversi interessi, li diverse forme di comunicazione, le diverse aspettative e i diversi sentimenti non debbono essere motivo di contrasto e di ostilità, ma piuttosto, motivo di arricchimento reciproco!

Carpe diem: =effetto Coolidge=  il Presidente americano dal 1923 al 1929, in visita a fattoria modello. Assieme alla moglie visita il pollaio dove un gallo si stava accoppiando vigorosamente con una gallina.

La signora chiese all’allevatore quante volte il gallo lo facesse durante la giornata. “Decine di volte “ fu la risposta. “Riferisca questo a mio marito” disse la first lady. L’allevatore riferì al Presidente che di rimando chiese: “Sempre con la stessa gallina?” E l’allevatore; “ Oh, no, ogni volta con una gallina diversa” E il Presidente: “Riferisca questo alla Signora!”

“Da come ci si innamora si può stabilire DA CHI SIAMO STATI AMATI”

Riflessioni: i giovani sposi di oggi e tutti quelli che hanno la “separazione facile” da chi e come e se sono stati amati? O, forse sono stati figli in un periodo storico in cui le priorità erano altre e certamente non c’era il tempo da “perdere” per star “vicino” ai figli.

Le donne di oggi, giocano a tutto campo e non hanno fatto scelte precise né, tantomeno, definitive.

Allora diventa prioritaria la domanda: “Chi sono, che cosa voglio?(e non solo la ricerca freudiana delle lontane cause dell’attuale malessere), perché solo rispondendo a questa domanda potrò orientarmi verso un partner complementare e non antagonista.

“Quali sono le mie priorità? La carriera, la casa, i figli?” Avrò così una prima mappatura della mia personalità su cui costruire un rapporto che completi ed integri l’unione.

Spunti:

La bellezza è nell’occhio di chi guarda. Oggi tutte le donne possono essere attraenti (non necessariamente belle secondo i canoni classici della bellezza).

Abiti, trucco, moda capello, palestra piscina, dieta etc.
Feste di paese. Balli in Piazza. Donne di ieri e donne di oggi.

Dal film “lezioni d’amore”: “Quando un uomo fa l’amore con una donna, si vendica di tutte le sconfitte che ha subito nella sua vita”

Il film è tratto da: “L’ animale morente” di Philip Roth.

Commento alle slide di “oggi parliamo d’amore”: Il valore dell’amore prevede l’integrazione e la comprensione nei confronti dell’altro sesso e la soddisfazione di entrambi i bisogni, non la squalifica e la svalutazione della visione altrui. Tutto va vissuto il più possibile in modo integrato, all’insegna di una CONTINUA E CHIARA COMUNICAZIONE AMOROSA.

Il lavoro è importante, ma non può escludere l’espressione delle emozioni, dei sentimenti, della sessualità e dei valori spirituali.

CREARE UN RAPPORTO DI COPPIA FELICE E’ IL COMPITO UMANO PIU’ COMPLESSO AL MONDO.

Per Seminario su Amore a Rimini:

… una che capisce che noi uomini abbiamo bisogno di approvazione, di comprensione e non certo di rimproveri (come se fossimo alunni di 3° elementare)

… qualsiasi femmina all’inizio di un rapporto accetta tutto (o quasi tutto) di un uomo e approva ogni cosa che fa.

Lei vede in noi l’uomo perfetto. Quello che ha sempre desiderato e, non appena scopre l’amara verità, inizia il lento lavoro di restauro per plasmarci e trasformarci nell’auspicato e idealizzato “principe  azzurro”

 

N.B.  La coppia ideale non è quella  tra due bisognosi ed affamati mendicanti, ma quella tra due persone che essendo ricche non hanno bisogno di ricevere, ma sentono il piacere di dare.

Luglio 2013 – Concetti per mia intervista in trasmissione TV sul tema di grande attualità “La violenza sulle donne: quali le cause scatenanti e quali possibili rimedi”.

Fenomeni di emulazione

Passare dall’io al noi: richiede un profondo cambiamento di prospettiva. Una coppia autentica è il risultato di un’evoluzione.

L’uomo si sente superiore ed è lui il più forte: con uno di pari livello non lo potrebbe fare e non lo farebbe.

In realtà sono persone deboli e spesso telecomandate dai nuovi partner.

E’ necessario accettare il limite delle differenti personalità e non pretendere di trasformare il matrimonio a proprio piacere, come un pezzo di creta da modellare.

Cronache di orrori, dove irrompe la violenza inarrestabile, omicidi e suicidi: si tratta di colpi di coda di una cultura maschile che non si arrende all’evidenza.

 

Non sempre la comunicazione disturbata all’interno della coppia è fatta di parole urlate e di continui litigi. Spesso è il silenzio che diventa più insinuante ed inesorabile delle parole.

La violenza verbale significa comunque tu ci sei, tu esisti” anche solo perché io possa infierire sino ad annullarti.

Il silenzio significa “tu sei inesistente, non sei degna neanche di un insulto” e, quindi, con il silenzio posso annullare la consapevolezza del sé, che l’altra ha faticosamente costruito fin dalla nascita.

Alcuni legami sono nutriti di sadismo e intrecciati di perversione: ciascuno deve far pagare all’altro un conto più salato possibile. E allora il più forte ha il sopravvento sull’altro fino alle estreme conseguenze.

Campanello d’allarme: non c’è più passione, complicità anche nelle piccole cose, assenza di progettazione in comune.

Il primo impegno da mettere in atto, quando si ha la sensazione che la relazione sia in difficoltà, è parlare con il partner.

Non si deve mai presumere che l’altro capisca da solo.

Comunicare è un segnale che ancora nulla è perduto: e allora “dire” perché l’altro possa sapere.

Talvolta non si parla per paura delle reazioni. Ma se l’alternativa è il silenzio, si arriva alla forma più terribile di disprezzo.

Non ci sono regole precise da seguire ma avere tatto, usare parole con valenza suggestiva positiva, andare per gradi e non pretendere che l’altro capisca tutto subito.

Non serve a nulla “togliersi i sassolini” dalla scarpa e pronunciare frasi che si sono taciute per anni: sono ferite inutili. Rispettarsi sempre anche se la relazione dovesse finire.

Un amore può finire, ma non finisce la vita. Entrambi possono e debbono trovare la forza di ricominciarla.

Spesso la separazione significa sconfitta e si ha la sensazione di aver sbagliato tutto, di aver fatto un imperdonabile errore, e tutto ciò può diventare talmente insopportabile da spingere all’eliminazione fisica del “responsabile” del nostro fallimento.

Non è tanto la perdita della persona amata a ferirci, quanto la sensazione di non aver capito, ci siamo traditi da soli, non siamo stati capaci di vedere chi era realmente la persona su cui avevamo investito. In altri termini ci ferisce la constatazione di non essere ancora cresciuti. Quindi disistima totale per una iniziale scelta sbagliata e per l’incapacità di “sistemare il rapporto” durante il percorso, spesso di anni.

 

Se si perde il rispetto per se stessi, si perde la dignità.

L’indifferenza sottile, il modo freddo a volte saccente, sarcastico, irritante di rivolgersi la parola.

Spesso nella coppia c’è solo una “comunicazione di servizio”: uno scambio freddo, anaffettivo che lascia un vuoto interiore.

Al ristorante la “comunicazione afasica”: coppie silenziose che fanno quello che fanno a casa, magari con il televisore acceso per la partita o altro. L’obiettivo è evitare di parlarsi. Parlano solo per ordinare e poi … il silenzio! E la bocca si riapre solo per mangiare.

E invece, più che mai nella coppia, la comunicazione è essenziale.

Un aperto scambio di idee e di emozioni è la linfa vitale dell’amore.

 

Non esistono persone che non si sono capite: esistono persone che non si sono parlate.

 

LA COMUNICAZIONE E’ AMORE

Enorme difficoltà perché cerco di entrare in sintonia dialettica e in uno scambio comunicativo non con una entità-persona reale, diversa da me, ma con l’immagine mentale della stessa che è totalmente mia, perché da me costruita, voluta ed idealizzata.

Non ci si può innamorare se non si idealizza la persona amata, se la fantasia non interviene a farne qualcosa di unico e fuori dal comune.

Ma l’idealizzazione è regressione infantile perché trasferisce sulla persona amata, quel senso di unicità che i bambini attribuiscono ai genitori.

IDEALIZZAZIONE =IMPOVERIMENTO, perché tutto ciò che ha valore è collocato nell’altro.

La conoscenza di sé stessi passa attraverso lo studio delle emozioni: emozioni intese come risposta del tutto soggettiva (figlia di un passato generale comune e di un passato fortemente personale) a stimoli non necessariamente originali e a me soltanto indirizzati ma quasi sempre comuni e di ordine generale.

E’ la mia risposta emozionale che è solo mia, diversa perché figlia della mia diversità!

E allora perché non accettare che l’essere amato, inevitabilmente diverso, possa esprimere liberamente la sua diversità anche emozionandosi o non emozionandosi a modo suo, anche in risposta a stimoli comuni!?

Le emozioni ci servono da specchio che ci mostra chi siamo. Ma bisogna avere la forza e il piacere di guardarci dentro!

Uno degli scopi più importanti delle emozioni dal punto di vista evolutivo, è aiutarci a decidere cosa occorre ricordare e cosa è opportuno dimenticare.

Le emozioni, recettori destinatari di stimoli  psichici attivano meccanismi biochimici in grado di fornire informazioni al sistema nervoso centrale, sui comportamenti da adottare.

L’emozione fondamentale , originaria è la paura.

Originaria perché sorge all’inizio della nostra vita, e perfino nel feto.

Fondamentale perché si insinua in ogni cuore e fa nascere e si unisce a numerose emozioni.

Da quando c’è la dualità c’è la paura.

Basta che io mi senta separato dal mio prossimo, e comincia la paura dell’altro! Il sentimento di unità non è più possibile.

I compromessi sono inevitabili.

Ci saranno momenti difficili. Se li affronteremo con consapevolezza e con rispetto reciproco, vinceremo entrambi.

Il rispetto è l’amore che non vuole soffocare, possedere, convincere, dominare.

E’ la gioia di vedere  nell’altro un diverso da sé.

E’ il sentimento di chi osserva e ama l’altro per quello che è, di chi non intende invadere il suo spazio.

(“Rispettare è un verbo che deriva dal latino respicere = guardare, e indica, quindi un atto contemplativo.”)

Molti, al contrario, confondono l’amore con la loro volontà di influenzare e di  dominare: vedono in questo sentimento la possibilità di sottomettere l’altro, di farne un altro se stesso, di piegarlo alle proprie convinzioni. (vedi anche genitori, docenti, missionari  che quasi sempre invece di educare si limitano ad inculcare le proprie convinzioni, i propri schemi mentali e la proprie visione del mondo, impedendo all’altro di essere se stesso.)

La Teoria Fattorelliana all’Università della Tuscia

Giorgia Butera (Sociologa della Comunicazione, Presidente Mete Onlus e Scrittrice) è stata invitata dal Professor Michele Zizza ad intervenire online in occasione di una lezione da lui stesso tenuta sulla “Tecnica Sociale” di Francesco Fattorello.

L’incontro è avvenuto con gli Studenti dell’Università degli Studi della TUSCIA – Dipartimento di DISUCOM (Scienze Umanistiche, della Comunicazione e del Turismo).

La Butera ha iniziato il suo intervento ringraziando il Professor Giuseppe Ragnetti (Direttore dell’Istituto) e successivamente ha illustrato la teoria fattorelliana.

Attraverso la presentazione di fatti realmente accaduti è stato spiegato quanto sia imprescindibile la conoscenza del soggetto recettore.

Gli attori del processo comunicativo sono “soggetti” entrambi dotati di facoltà opinanti e quindi di pari dignità. Non vi è più un tiratore scelto che colpisce l’uomo-bersaglio-target, ma vi sono due soggetti attivi che reagiscono ai numerosi stimoli ricevuti, sulla base delle proprie facoltà opinanti e delle personali attitudini sociali prodotte dalle diverse e determinanti acculturazioni.

Qui il link al sito personale di Giorgia Butera

il “Benessere Organizzativo”

Con il termine “BENESSERE ORGANIZZATIVO” possiamo intendere l’insieme dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro, promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative.

Le categorie alla base del “Benessere Organizzativo” sono:
– Caratteristiche dell’ambiente nel quale si svolge il lavoro
– Chiarezza degli obiettivi organizzativi e coerenza tra enunciati e pratiche organizzative
– Riconoscimento e valorizzazione delle competenze
– Comunicazione intraorganizzativa circolare
– Circolazione delle informazioni
– Prevenzione degli infortuni e dei rischi professionali
– Clima relazionale franco e collaborativo
– Scorrevolezza operativa e supporto verso gli obiettivi
– Giustizia organizzativa
– Apertura all’innovazione
– Stress
– Conflittualità

SEGNALI INDIVIDUALI DI “BENESSERE”
1) Soddisfazione per l’organizzazione
2) Voglia di impegnarsi per l’organizzazione
3) Sensazione di far parte di un team
4) Voglia di andare al lavoro
5) Elevato coinvolgimento
6) Speranza di poter cambiare le condizioni negative attuali
7) Percezione di successo dell’organizzazione
8) Rapporto tra vita lavorativa e privata
9) Relazioni interpersonali
10) Valori organizzativi
11) Immagine del management (credibilità e stima)

SEGNALI INDIVIDUALI DI “MALESSERE”
1) Insofferenza nell’andare al lavoro
2) Assenteismo
3) Disinteresse per il lavoro
4) Desiderio di cambiare lavoro
5) Alto livello di pettegolezzo
6) Covare risentimento verso l’organiz.
7) Aggressività inabituale e nervosismo
8) Disturbi psicosomatici
9) Sentimento di inutilità
10) Sentimento di irrilevanza
11) Sentimento di disconoscimento
12) Lentezza nella performance
13) Confusione organizzativa in termini di ruoli, compiti etc
14) Venir meno della propositività a livello cognitivo
15) Aderenza formale alle regole e anaffettività lavorativa.

Opinioni sull’Opinione

Gli studi accademici, in Italia, non si sono occupati frequentemente dell’opinione: da una parte gli studiosi non le dedicano molta attenzione, dall’altra i cosiddetti “esperti” e quelli “neanche-esperti” ne parlano e straparlano in ogni occasione e in ogni contesto senza conoscerne minimamente la struttura e i meccanismi evolutivi. E allora sentiamo (ancora!), parlare di informazione obiettiva, condizionamento, persuasione occulta, messaggi subliminali, strapotere dei mezzi di comunicazione, di par condicio, e di altre amenità che quotidianamente ci vengono somministrate senza un minimo humus scientifico che renda il tutto appena credibile.

E’, tuttavia, quello dell’opinione un argomento affascinante che ci coinvolge tutti i momenti, tutti i giorni, tutta la vita.

L’uomo non può esimersi dall’esprimere opinioni su tutto ciò di cui viene a conoscenza, su tutto ciò che lo riguarda direttamente o che semplicemente lo sfiora, ma non conosce i mille limiti dell’opinione. Opinare è quasi un’esigenza fisiologica al pari del respirare o del parlare: e, forse, è proprio questo innato, naturale meccanismo mentale, ad affievolire l’interesse per lo studio e l’approfondimento del fenomeno. Giungiamo fino al paradosso che non esistono insegnamenti di “scienze dell’opinione” nelle scuole che preparano i tecnici dell’informazione, i giornalisti cioè, per i quali, invece, l’opinione rappresenta la materia prima, componente di base insostituibile di tutto il loro lavoro.

Questa non conoscenza, questa sciatta trascuratezza didattico-formativa consente ancora oggi a direttori di importanti quotidiani nazionali di affermare: “il nostro giornale, come sempre ha fatto, terrà separati i fatti dalle opinioni”. E, arrivando alla stazione di Roma Termini, non può non colpirci la pubblicità di un giornale della capitale che recita, ancora una volta, “I fatti e le opinioni”.

Ed ecco perché, con grande modestia e con piena consapevolezza dei limiti del nostro contributo, ci siamo lasciati convincere a mettere nero su bianco quello che andiamo raccontando, ahimé da molti anni, nei nostri corsi nei contesti più diversi.


Il libro è semplicemente una raccolta dei contenuti di tante mie lezioni: non c’è nulla di inedito e non ha pretese di originalità. I contenuti delle lezioni, a loro volta, derivano in parte da precedenti dispense che, partendo dagli insegnamenti del Prof. Fattorello, si sono via via aggiornate ed ampliate, ed in gran parte da riflessioni personali e dalle fonti più diverse. La bibliografia è modesta per il semplice fatto che tutto quello che ho detto nelle lezioni l’ho appreso da altri ma, spesso, non ricordo né mi interessa la fonte. Se ho dato la mia adesione alle opinioni da altri proposte, significa che le stesse mi hanno interessato, che le ho valutate e condivise e, quindi, fatte mie!

Ho avuto sempre pudore a scrivere qualcosa per non voler essere identificato come uno dei tanti replicanti: tutto ciò che c’era da dire è stato già detto in maniera migliore, in altre epoche, dai grandi del passato. Ho, poi, capito che tutti i miei pensieri, le mie idee, non erano mie. E allora, ho accettato gli incoraggiamenti che mi venivano da più parti: ora, voglio scrivere per restituire tutto ciò che mi era stato dato in prestito. Nel transito della vita mi è stata concessa la “servitù di passaggio”, ma la proprietà rimane ad altri.

Secondo il filosofo Pascal, “l’opinione è la regina del mondo”[1].

L’opinare è una funzione sociale. Noi abbiamo delle opinioni solo in quanto pensiamo “socialmente”.

L’opinione tende, in definitiva, a situarci in una determinata posizione nell’ambito del gruppo al quale apparteniamo (in quel momento!).

I problemi di opinione sono posti a noi belli e fatti. La nostra riflessione è libera, senza dubbio, di risolverli nella maniera a noi più confacente, ma non è essa che li ha inventati. L’opinione individuale è sempre il frutto dell’interazione sociale. Nessuna opinione è mai stata veramente autonoma: per esistere e sostenersi, seppure per un brevissimo lasso di tempo, essa ha bisogno di appoggiarsi a mille e mille preesistenti opinioni, alle quali ha di volta in volta aderito, anche senza assumerne consapevolezza. E allora, l’opinione “individuale” per sua natura non può che essere “collettiva”: senza condivisione o senza disaccordo e, in definitiva, senza “pubblicità” l’opinione non sarà mai nata e, pertanto, non potrà mai esistere. Sono gli altri che nel loro essere “altro da me” mi autorizzano e legittimano il mio “secondo me… a mio giudizio … a mio modo di vedere…”, me … mio … mio modo …, che non potrei neppure pronunciare se non fossi certo dell’esistenza del tuo … vostro … loro … .

Ricordo di aver letto in gioventù un autore spagnolo che affermava “i morti comandano”: il nostro presente e il nostro futuro non possono prescindere dal passato, dai nostri morti. Sono loro che dettano le regole del presente, sono loro il nostro irrinunciabile patrimonio genetico che ci permette di vivere anche se in termini antitetici e senza condivisione, nel tentativo, a volte disperato, di superarli, di andare oltre per essere noi stessi i morti del domani, che, continuando a tessere le maglie di una catena senza fine, potranno finalmente “comandare” le generazioni future.

E allora, ogni mio pensiero, ogni mia opinione su tutto l’opinabile non può prescindere da tutto ciò che mi ha preceduto, da tutto ciò che altri, prima di me, hanno opinato. L’opinione, pertanto, non può che ribadire la sua connotazione di impossibile autonomia, di improponibile spontaneità, di illusoria indipendenza.

Nella storia dell’umanità sono apparsi, molto raramente, personaggi forniti di intelligenza superiore e noi, nelle diverse discipline del sapere, li abbiamo considerati originali, creativi, innovativi, spiriti ispiratori. Il loro essere fuori dal comune ci ha costretti a classificarli con un termine fuori dal comune: li abbiamo chiamati geni!

In tal caso, l’idea che li ispirava non stava in rapporto con delle determinanti individuali prestabilite. Questa idea era un’intuizione, innanzi tutto, di cui neppure loro potevano vedere le conseguenze intellettuali e sociali che ne sarebbero scaturite.

L’uomo che cerca di pensare da solo, nell’inseguire una impossibile autonomia perché, comunque, le sue opinioni deriveranno, in qualche modo, da opinioni preesistenti, non cerca di riunire attorno a se un gruppo che sposerà le sue opinioni e le sosterrà. Egli è solo preoccupato di arrivare allo scopo e, perciò, incorre nell’incomprensione, nello scherno, nel ridicolo.

Per quanto mi riguarda, con grande realismo e con un pizzico di autoironia, desidero, invece, iscrivermi al partito che A. Camus auspicava quando affermava che “se mai esisterà il partito di quelli che non sono sicuri delle proprie opinioni io potrò farne parte”.

[1]              “L’opinion est la reine du monde”, B. Pascal (1623-1662), Pensées, V, 311.

Prof. Giuseppe Ragnetti – “Scienze dell’Opinione”

Full Amore: Le regole d’oro dell’Amore

Prima di tutto dobbiamo amare noi stessi. Il rapporto che abbiamo con noi stessi è il modello su cui si formano gli altri. Per creare un’unione profonda e felice con un’altra persona è essenziale imparare ad amare noi stessi

Oggi parliamo d’Amore

Oggi il pragmatismo (soldi, lavoro, potere, successo ….) supera la dimensione affettiva e relazionale, a discapito della capacità di far crescere i rapporti e coltivare i sentimenti.

La Seduzione

La seduzione è una pratica che è naturalmente insita in noi. La natura ci ha fornito di questa per garantire l’evoluzione della specie e la sopravvivenza. Senza la seduzione probabilmente non saremmo riusciti a superare la dura selezione naturale in millenni di storia evolutiva.