Siamo particolarmente grati a GIOVANNI MINOLI per la sua intervista a FEDERICA NOCERA, analista dei dati della Cambridge Analytica di Londra (Agenzia di strategie di comunicazione che ha seguito la campagna elettorale di Trump e contribuito alla sua vittoria).
L’intervista “Così abbiamo aiutato Trump a vincere” è stata diffusa prima da IL SOLE 24ORE del 10/01/2017 e poi dalla trasmissione televisiva de La7 “FACCIA A FACCIA” del 15/01/2017.
Ringraziamo Giovanni Minoli e Federica Nocera per aver dato l’opportunità ad un vasto pubblico di capire quali debbano essere le regole da seguire nella moderna comunicazione definita da Minoli come “la rivoluzione della comunicazione”.
E allora tutti i fattorelliani che da 70 anni ormai si impegnano a diffondere la Tecnica sociale dell’Informazione, non possono non esserne orgogliosi.
L’Istituto di Comunicazione “Francesco Fattorello”
Un chiaro esempio (e quale esempio!!) di corretta applicazione alla Comunicazione politica della impostazione teorica fattorelliana.
L’applicazione pratica della teoria della Tecnica sociale dell’Informazione alla campagna elettorale del 45° Presidente degli Stati Uniti d’America, ha dimostrato ancora una volta la sua indiscussa e concreta efficacia.
Lo studio il più approfondito possibile di acculturazione e conseguenti attitudini sociali del Soggetto recettore (in tal caso cittadino elettore) ha permesso a Donald Trump di sovvertire ogni pronostico a lui avverso e risultare vincitore di una contesa al limite dell’impossibile.
Tutte le nostre considerazioni ovviamente non riguarderanno la persona o i principii che connoteranno l’azione politica del nuovo Presidente americano.
Quello che ci interessa esaminare e capire, sono gli aspetti fondamentali della sua comunicazione, a prescindere da tutto ciò che potrà mettere in atto da oggi in avanti.
Non possiamo e non vogliamo cadere nell’errore più comune che l’Informazione, più o meno libera, continua a fare: quando il personaggio. per motivi diversi non ci piace, tutto quello che fa è sbagliato! Ma sappiamo bene che un giudizio d’opinione è l’antitesi di un giudizio certo; è quanto di più soggettivo e mutevole che il pensiero umano possa produrre e dobbiamo impegnarci tutti contro il malvezzo giornalistico di far passare per certezze quelle che sono invece banali opinioni e ,pertanto, prive di qualsiasi validità. Ho sempre detto ai miei studenti che se venissi chiamato “opinionista” ne sarei profondamente offeso. E allora noi che siamo gli eredi e diamo continuità alla prima Scuola italiana di Comunicazione, intendiamo affrontare il “problema della vittoria elettorale di Trump” scientificamente, dal punto di vista di studiosi che vogliono indagare sulla corretta applicazione dell’impostazione teorica di Francesco Fattorello che pur pensata e descritta 70 anni fa’, risulta essere ancor oggi una vera e propria rivoluzione nel campo dell’Informazione e della Comunicazione.
Fattorello subito dopo la fine della seconda guerra mondiale rimette in discussione il “clima culturale” sull’Informazione in cui si era trovato a vivere durante le due dittature e ormai cristallizzato anche in Europa secondo l’approccio anglosassone.
Francesco Fattorello fu il primo studioso dell’informazione e della comunicazione ad andare controcorrente. Anticipando di oltre mezzo secolo quella che sarebbe stata poi l’impostazione teorica adottata in tutto il mondo, grazie all’avvento delle nuove tecnologie informatiche, ebbe il coraggio e la determinazione di destrutturare le più accreditate teorie di oltreoceano. E lo ha fatto in un periodo, il primo dopoguerra, in cui tutta l’élite culturale e tutta l’Accademia del nostro Paese accettava acriticamente impostazioni “esotiche”, suggestive quanto si vuole, ma prive di qualsiasi humus scientifico. I risultati pragmatici permettevano agli Americani di insistere nelle loro assurde impostazioni senza porsi troppe domande teoriche e ai nostri “accademici” di inchinarsi ossequiosi di fronte a cotanto ingegno.
Francesco Fattorello non si uni’ al coro dei replicanti ma volle analizzare a fondo e capire il fenomeno giungendo a conclusioni diametralmente opposte.
E arriva così alla sorprendente intuizione e alla coraggiosa elaborazione della sua Teoria della Tecnica Sociale dell’Informazione. Ecco, allora, che dallo strapotere dell’Informazione, impostazione teorica ancora oggi dura a morire, emerge una visione rivoluzionaria che stravolge le logiche di un sistema rigidamente configurato in funzione di una relazione comunicativa fortemente asimmetrica.
Per il nuovo pensiero fattorelliano gli attori del processo comunicativo sono “soggetti” entrambi dotati di facoltà opinanti e quindi di pari dignità.
Non c’è più un tiratore scelto che colpisce l’uomo-bersaglio-target, ma vi sono due soggetti attivi che reagiscono ai numerosi stimoli ricevuti, sulla base delle proprie facoltà opinanti e delle personali attitudini sociali prodotte dalle diverse e determinanti acculturazioni.
L’approccio teorico fattorelliano rappresenta una visione di una incredibile modernità e , ci sembra, poter fornire una risposta adeguata alle crescenti esigenze di informazione e comunicazione che connotano le società democratiche di oggi.
A distanza di 70 anni dalla sua prima elaborazione, l’impostazione teorica fattorelliana è ormai adottata in tutti i paesi del mondo, anche e soprattutto nel mondo anglosassone ormai totalmente allineato con le nostre posizioni, così come la campagna elettorale di Donald Trump ha chiaramente dimostrato.
La Tecnica Sociale dell’Informazione è l’unica teoria italiana del settore, formulata su rigorose basi scientifiche.
E’ una costruzione metodologica profondamente radicata nella tradizione culturale europea proprio perché si basa sul presupposto che non possa esistere una impostazione teorica sulla comunicazione sempre valida ed applicabile a qualunque recettore ma che una metodologia sui processi di interazione tra chi promuove e chi riceve la comunicazione, debba necessariamente essere tarata sul recettore.
Ecco allora il recettore non più oggetto passivo della comunicazione che diviene, a sua volta, un soggetto opinante di pari dignità che interagisce sempre e comunque con il promotore, all’interno di una complessa dinamica sociale. Da qui l’apporto fondamentale di una Tecnica Sociale che ricerca l’adesione e quindi il consenso dei destinatari sulla base delle loro attitudini sociali.
Attitudini sociali intese come disponibilità ad accettare le opinioni proposte, a seconda della propria acculturazione, intendendo per acculturazione tutto ciò che l’ambiente sociale ha, inevitabilmente, trasferito nell’arco di tutta una vita a qualsiasi essere umano. La Teoria della Tecnica Sociale si pone in netta antitesi con l’impostazione teorica anglosassone che per decenni ha inteso far leva sulla psiche dell’individuo attribuendo alla comunicazione in senso lato capacità di “persuasione occulta” in grado di condizionare i comportamenti dei destinatari.
E infine, sappiamo che molti autori hanno già spiegato il successo della comunicazione on-line , concentrandosi sul ruolo attivo di tutti i partecipanti e siamo certi che il modello della Tecnica Sociale può sostenere e rafforzare tali risultati, fornendone i presupposti teorici.
di Giuseppe Ragnetti
Direttore dell’Istituto di comunicazione Francesco Fattorello
L’intervista di Giovanni Minoli a Federica Nocera è nella seconda parte, intorno al minuto 30, della trasmissione andata in onda su La7 il giorno 15-01-2017
Federica Nocera ha un master in Ingegneria alla Oxford University (2011) e un master in Sociologia e data science alla University of Chicago (2015). Federica ha lavorato come Equity research analyst alla Bank of America Merrill Lynch dal 2011 al 2013 dove seguiva società quali Europee Telecom e Media. Dal 2015 lavora all’Scl Group e alla sussidiaria Cambridge Analytica come data scientist.
Federica Nocera, la vostra società come è stata scelta da Trump?
Cambridge Analytica è una delle società più importanti di Data science per le campagne elettorali. Premiante è il nostro approccio scientifico che combina raccolta, analisi di dati e marketing digitale.
Che cosa fate esattamente?
Cambridge Analytica svolge molte funzioni: Data science, ricerca nel senso di polling e marketing digitale. Ciò è funzionale per trovare gli elettori più inclini a essere persuasi a votare per Trump.
Quindi, durante le elezioni, la vostra sede operativa era in Texas. Perché?
La sede digitale della campagna era là.
In cosa consisteva il vostro lavoro?
Il nostro compito principale era identificare potenziali elettori di Trump. A livello di Data science, ci occupavamo di analisi di dati in arrivo giorno dopo giorno. E questi venivano usati per aggiornare modelli predittivi.
Lei in particolare che cosa faceva?
Mi occupavo di creare questi modelli per stimare la preferenza di certi gruppi di elettori per il candidato o per modellare la probabilità di presentarsi alle urne o la sensibilità verso particolari questioni di politica.
Molti dicono che il vostro lavoro è stato determinante per la vittoria di Trump. È vero?
Le campagne elettorali sono vinte dai candidati, però il nostro approccio può aiutare il candidato a indirizzare il messaggio in modo più preciso.
Quanti italiani c’erano nel vostro team?
Eravamo tre su quattro nel team di Data science.
Data science cosa significa, per capire bene?
La Data science è l’analisi di dati combinata con la creazione di modelli predittivi. Ci siamo trovati a fare previsioni in base ai dati in arrivo.
Da dove arrivavano i dati?
Sviluppavamo questionari e poi raccoglievamo risposte sia telefoniche che online. Queste poi venivano combinate in vari modi, ad esempio, per Stati diversi.
In che cosa Trump, secondo Lei, è stato superiore alla Clinton nell’uso dei social, a parte il fatto che aveva voi?
Trump – ed è un’opinione personale – è stato molto abile nello sfruttare la sua personalità per creare attività sui social e ha fatto scalpore raggiungendo anche una copertura alta da parte dei media tradizionali.
In che Stati avete avuto la soddisfazione più grande voi?
Florida.
Lì si vincono le elezioni…
È sempre stato lo Stato più importante per il voto Usa. La sera dell’elezione ci ha dato un brivido di emozione perché i risultati del Nord-Ovest erano molto più positivi e questo era il primo indizio di quello che sarebbe poi accaduto.
Era molto grazie al vostro lavoro?
Questo è sempre stato uno degli Stati su cui ci siamo concentrati.
Per capire bene, voi raccoglievate i dati che vi arrivavano da ovunque, da ogni fonte, li analizzavate e poi li personalizzavate?
Abbiamo un database molto ampio su molti americani.
Quanti milioni di americani?
Probabilmente circa 200 milioni.
E su questo database voi profilavate le singole persone?
Sì, creavamo modelli per prevedere le probabilità degli individui a votare per un candidato particolare o per presentarsi alle urne.
Nello scontro tra media tradizionali e social qual è il punto a favore dei social?
La velocità di diffusione e l’ampiezza dell’audience raggiungibile. Poi con un feedback quasi immediato.
Trump ha speso molto meno della Clinton per gli spot. Sono un mezzo superato?
Secondo me, il marketing digitale permette di raggiungere un target audience molto più specifico con una pubblicità particolare. Mentre lo spot televisivo ha un’audience più generalizzato.
Indistinta. Ma la vostra superiorità tecnica è stata proprio quella di raggiungere audience particolari.
Sì, è stata proprio questa.
Questa è la qualità specifica del vostro lavoro?
È un grande vantaggio sapere chi contattare, in che momento e con più o meno che messaggio.
Quindi, praticamente parlando a ognuno la sua lingua?
È quello che provavamo a fare con più e meno successo.
Mi sembra un successo discreto. Da poco in Italia si è votato per il referendum. Renzi ha perso. Avete valutato i suoi errori di comunicazione?
Per poter fare questo tipo di lavoro avremmo bisogno di mettere insieme un team dedicato che ha accesso a certi dati e che può svolgere una ricerca approfondita.
Come società sareste in grado di organizzare una strategia nella prossima campagna elettorale?
Saremmo in grado di sviluppare una strategia di comunicazione digitale.
Ma su che basi?
Il nostro servizio è su misura perché alla fine ogni candidato è diverso, ogni elezione è particolare come abbiamo visto con il voto Usa.
Tutti hanno l’idea di fare delle campagne su misura, ma qual è la vostra specificità?
Crediamo nei dati più attuali.
Ci fa un esempio concreto. Cioè per convincere me a votare Trump cosa avresti fatto?
Dovrei un po’ studiare prima di poterlo sapere. Però, per esempio, mandavamo messaggi specifici sulle policy d’immigrazione o del servizio sanitario a dei gruppi di elettori diversi.
Lei è un’italiana che vive a Londra. Dopo la Brexit cosa è cambiato?
Personalmente ancora non ho sentito l’effetto.
È vero che con la vostra società avete aiutato anche la Brexit?