Le Nuove tendenze della Comunicazione

Il tema “ le nuove tendenze della comunicazione” può indurre a pensare in modo sostanzialmente univoco alla rivoluzione introdotta dalla rete e dai nuovi mezzi di comunicazione.

E’ necessario però definire prioritariamente cosa si intende per “comunicazione” e cosa invece per “mezzo di comunicazione”.
Certamente le Telecomunicazioni di nuova generazione con gli SMS, Watsapp, Wiber e Skipe, oppure i social media come Twitter o Facebook costituiscono grandi novità rispetto ai tradizionali supporti alla comunicazione, ai consueti mezzi ma non è detto che il dato tecnico abbia avviato fondamentali trasformazioni dei contenuti comunicativi.

Su questo punto vorrei citare Bill Gates, fondatore ed ex presidente di Microsoft quando afferma” Il computer più nuovo al mondo non può che peggiorare, grazie alla sua velocità il più annoso problema delle relazioni tra esseri umani: quello della comunicazione. Chi deve comunicare, alla fine, si troverà sempre a confrontarsi con il solito problema: cosa dire e come dirlo”.

Nel contempo è necessario anche considerare che il sistema della comunicazione, al pari di altri sistemi sociali, non è certo estraneo ai processi di innovazione culturale e sociale, anzi, ne è quasi sempre il detonatore.

Del resto Niklas Luhmann ci ricorda che “i sistemi sociali esistono e si sviluppano soltanto attraverso la continua comunicazione”. Ne consegue che non esiste sistema sociale senza comunicazione.

L’annullamento dello spazio ed il superamento degli “steccati”, ottenuto grazie alle nuove tecnologie di collegamento, hanno ampiamente modificato quei diaframmi sociali e culturali che persistevano prima del loro avvento generando profondissime ripercussioni sociologiche ancora tutte da decodificare.

Oggi basta digitare un numero di telefono per raggiungere un utente, anche mobile, nella quasi totalità del globo terrestre, una cosa impensabile fino a pochi anni fa.

La rivoluzione nel trasporto del testo scritto poi non è certo da meno. Con le E-mail possiamo inviare testi, lettere di lavoro, lettere amicali e familiari in tempo reale senza dover attendere settimane o mesi per avere riscontro.

Tuttavia, al telefono o nelle e-mail permane la centralità del messaggio, l’oggetto della comunicazione e la necessaria attenzione nel considerare il nostro interlocutore, se vogliamo che ci sia veramente scambio comunicativo.

Voglio rimarcare ancora il concetto di contenuto della comunicazione e della sua distinzione rispetto alla tecnologia.

E’ ormai noto che avvio delle trasmissioni televisive diffuse via satellite, hanno reso noto ad intere popolazioni di indigenti, relegate fino a quel punto al pressoché totale isolamento informativo della realtà sociale e del tenore di vita del cosiddetto occidente industrializzato, contribuendo probabilmente ad avviare una tendenza, mai registrata prima, alla migrazione di massa.

In questo esempio la tecnologia ha consentito di illuminare territori prima inesplorati dai media occidentali ma certamente sono stati i contenuti mediali a creare il fenomeno.

Il “cosa dire” rimane quindi basilare, come ovvio del resto, nei processi della comunicazione, mentre è indubbio è che il “come dirlo” è un processo che risente profondamente delle nuove tecnologie e su questo credo che debba essere concentrata la riflessione sulle nuove tendenze della comunicazione.

Strumenti come gli sms o come Twitter con i suoi 140 caratteri, hanno imposto necessariamente una trasformazione della semantica lessicale e frasale rispetto alla precedente tradizione linguistica, da qui lo sviluppo di nuove tendenze comunicative.

Le abbreviazioni in uso negli sms (classico il riferimento all’ormai famoso TVB ovvero l’abbreviazione di “ti voglio bene”) i neologismi di twitter entrati nell’uso comune del nostro linguaggio come gli hashtag (#sapevatelo,) fino ad arrivare ad elementi grafici a sostegno del testo, come le iconcine e gli smails, compongono decisamente un quadro di progressivo adattamento dei contenuti della comunicazione al tipo di mezzo prescelto.

Con ciò, a differenza del passato e considerando la galassia di nuovi mezzi di comunicazione oggi disponibile, si potrebbe finalmente convenire sulla validità della famosa affermazione di Marshall McLuhan “ Il mezzo è il messaggio” inteso come opportuna “messa in forma” dell’oggetto della comunicazione attraverso un opportuno adattamento, necessario ad essere correttamente veicolato sul mezzo prescelto.

Il processo di adattamento dell’oggetto della comunicazione rispetto al mezzo prescelto per veicolare il messaggio, non è nuovo ed è ampiamente contemplato nella “Tecnica sociale dell’informazione” la sola ed unica teoria italiana sulla comunicazione, formulata dal Professor Francesco Fattorello, fondatore, nel 1947, dell’Istituto Italiano di Pubblicismo e oggi applicata in tutto il mondo.

Le nuove tendenze della comunicazione si basano su tre parametri irrinunciabili: la velocità, l’autodeterminazione del palinsesto, l’interattività, l’autoeditorialità. Le ricerche condotte da enti di ricerca sociale e da varie università nazionali ed estere (terzo rapporto CENSIS sulla comunicazione in Italia, Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, Mario Morcellini in “capire il legame Giovani e media”-atti del Convegno Internazionale Infanzia e Società Roma novembre 2005), indicano con chiarezza che i giovani in particolare hanno oggi un approccio assai diverso dal passato rispetto ai media tradizionali quali la radio, la televisione, la stampa quotidiana, media che stanno progressivamente abbandonando a favore del personal computer e degli Smart phone.

Con i social media, primo tra tutti Facebook, tutti si propongono come editori di loro stessi e tutti sperano nel più ampio consenso verso i propri contenuti di profilo e di diario.

E’ come se gli utenti di questo strumento comunicativo, oramai scalati i gradini più bassi della piramide di Maslow, possano finalmente ricercare ed ottenere la soddisfazione dei bisogni di stima e autorealizzazione tanto difficile da raggiungersi in precedenza.

Per raggiungere questa soddisfazione si è disponibili ad accettare anche rischi e pericolosi compromessi.

“Cosa stai pensando?” propone Facebook ed allora senza troppe remore, concetti come la tutela della Privacy personale e della discrezione vengono spazzati via pur di poter essere “pubblici” e di proporre il nostro stile di vita, i nostri gusti, le nostre preferenze e le nostre opinioni, sperando che, attraverso la ricerca di fattori di conformità tra altri utenti, ci sia il sostegno gratificante del “mi piace” o ancor meglio una adesione di opinione ancor più marcata attraverso il “condividi”.

Purtroppo, nonostante gli ammirevoli sforzi ideativi di molti, ottenere una ampia adesione di opinione è cosa assai difficile, lo testimonia l’esistenza in rete di miliardi di bogs personali cosiddetti a “zero comments”.

Eppure, assecondando una moda intellettuale maggioritaria e vagamente radical chic, per ottenere il consenso basterebbe seguire pedissequamente il decalogo proposto dal sempre troppo osannato Noam Chomsky, il quale sa bene, a sua detta, come manipolare il consenso perché per lui l’opinione pubblica è una merce, la nostra opinione è una merce, noi siamo una merce nel mercato del consenso.

In verità bisogna ricordare che alcuni movimenti politici che recentemente hanno ospitato Chomsky nei loro congressi e lo hanno elevato a loro ideologo nelle strategie comunicative, hanno riportato risultati elettorali disastrosi non riuscendo nemmeno a raggiungere la soglia minima di voti necessaria per entrare in parlamento.

Le nuove tendenze comunicative affondano oggi nella piena interattività, oggi possibile grazie alle nuove tecnologie in dotazione ai nuovi mezzi comunicativi, una interattività peraltro già desiderata e ipotizzata negli anni ‘20 dal commediografo Bertolt Brecht nel suo famoso discorso sulla funzione della radio.

Assistiamo quindi ad un sistema sociale della comunicazione in continuo divenire e davvero corrispondente a quel processo di sviluppo autopoietico così ben illustrato dallo studio sui sistemi sociali di Luhmann che lo ha mutuato dalla ricerca del biologo e filosofo Humberto Maturana.

Non ci resta che rimanere attenti alle trasformazioni, “Stay tuned!” oggi si usa dire, consapevoli che le nuove tendenze della comunicazione genereranno a loro volta altre nuove tendenze ma senza mai prescindere dal fatto che a concludere con esito positivo un processo comunicativo saranno pur sempre gli esseri umani sempre meno disponibili ad abbattere le proprie certezze o, meglio, l’artificio delle loro convinzioni personali.

Convegno nazionale ANS
Intervento del Dott. Marco Cuppoletti
Ordinario dell’Istituto di Comunicazione Francesco Fattorello

Giovani, Media, Società: Come saremo domani

Convegno Nazionale ANS

Giovani, Media, Società: Come saremo domani

 

Roma, 15 giugno 2010

Via Salaria 113, facoltà di Scienze della comunicazione “Aula Wolf”

 

ANS Associazione Nazionale Sociologi

In collaborazione con

Facoltà di Scienze della Comunicazione – Università “La Sapienza” di Roma

Dipartimento Lazio ANS Associazione Nazionale Sociologi

Cooperativa sociale “Maggio ‘82”

Programma
Intervento convegno ANS 15 giugno 2010

Dott. Marco Cuppoletti

Voglio iniziare il mio intervento cercando di rispettare il tema proposto in questo convegno : ” Giovani, Media, Società: Come saremo domani”, sapendo bene però che in questo titolo è racchiuso un mondo in continua evoluzione, una costellazione di discorsi, dibattiti, riflessioni, ricerche sociali, che a tutt’oggi non sono giunti ad un paradigma precisamente definito e mai, probabilmente, ci giungeranno.

Per introdurre meglio il mio ragionamento, vi leggo un breve scritto, riguardo al mondo ed alla condizione giovanile, che ci perviene da un autore molto noto.

Leggo testualmente:

“Oggigiorno, i nostri giovani amano il lusso, hanno un pessimo atteggiamento e disprezzano l’autorità: dimostrano poco rispetto per i loro superiori e preferiscono la conversazione insulsa all’impegno: I ragazzi sono ormai i despoti e noi i servi della casa; non si alzano più quando qualcuno entra; non rispettano i genitori, conversano tra di loro quando sono in compagnia di adulti, divorano il cibo e tirannizzano i propri insegnanti”.

Ebbene, queste affermazioni, che potrebbero essere davvero attuali, risalgono a “SOCRATE” – IV secolo – A.C.

Ho voluto leggere questo breve passaggio, per convenire con voi che considerazioni analoghe a quelle fatte da Socrate, oggi si possono ascoltare comunemente dimostrando che esse non sono frutto esclusivo della nostra epoca ma che al contrario si sono ripetute nel corso dei secoli.

Tuttavia, non possiamo disconoscerlo, la storia dell’umanità ha potuto contare sempre sui giovani per progredire, sulle loro energie ideative e sulla loro costante azione innovatrice della società.

Gli illustri scienziati, artisti, letterati, statisti di tutte le epoche che l’umanità ha avuto la fortuna di conoscere, debbono pur essere stati anche loro parte di quella gioventù che le generazioni più “mature” non esistano a “bollare” come a suo tempo ha fatto il grande filosofo greco.

Se conveniamo allora che esiste un “conflitto generazionale” più o meno accentuato o perlomeno una percezione falsata del mondo giovanile che si ripropone ciclicamente con affermazioni generiche ed opinioni preconcette, allora possiamo anche affermare che esse sono, evidentemente, un luogo comune, un modo superficiale per liquidare l’argomento.

Per dibattere sul tema della condizione giovanile, di come i giovani si rapportano con i media e verso quale società stiamo andando, gli studiosi della materia sociale e noi sociologi in particolare, non possiamo esimerci dal fare riferimento a studi analitici e dati statistici di oggettiva interpretazione.

Dico questo perché, nonostante io sia uno strenuo sostenitore della soggettività e della libertà di opinare, secondo gli insegnamenti del Prof. Giuseppe Ragnetti, Direttore dell’Istituto Francesco Fattorello di Roma, con il quale ho l’onore di collaborare, quando siamo chiamati professionalmente a studiare e definire i comportamenti di una categoria sociale, come quella dei giovani e del loro rapporto con i Media, ad esempio, non possiamo non ricorrere agli strumenti che ci mette a disposizione la ricerca sociale anche se, come premesso, le variabili in campo e le modificazioni dei modelli di riferimento che intervengono continuamente non consentono univoche e durature determinazioni del fenomeno.

Lo sforzo in ogni caso deve essere quello che ci propone Emile Durkeim quando dice: “Studia i fatti sociali come cose!” riferendosi al fatto che se la sociologia deve considerarsi una disciplina scientifica allora deve studiare i fatti sociali con gli stessi metodi con cui si studiano i fenomeni scientifici.

Eppure assistiamo spesso, purtroppo, sui temi di natura sociale, a dibattiti televisivi e radiofonici con panel di partecipanti quasi mai qualificati che esprimono quelle che sono però posizioni e apprezzamenti personali.

Anche la stampa è su questa linea, infatti è facile leggere articoli dove chi scrive rappresenta una sua idea, una sua opinione, seppur rispettabile ma che raramente trae spunto da dati oggettivi.

Rispetto a questo, va detto, i Sociologi dovrebbero impegnare molta energia ed imporsi per recuperare autorevolezza e centralità nel dibattito sociale.

Tornando ai giovani e al loro rapporto attuale con i media, potremmo dire semplificando che esso si basa su almeno tre parametri innegabili: la velocità dell’informazione, l’autodeterminazione del palinsesto, l’interattività.

Ricerche condotte da enti di ricerca sociale e da varie università nazionali ed estere (terzo rapporto CENSIS sulla comunicazione in Italia, Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, Mario Morcellini in “capire il legame Giovani e media”-atti del Convegno Internazionale Infanzia e Società Roma novembre 2005), indicano con chiarezza che i giovani hanno oggi un approccio assai diverso dal passato rispetto ai media tradizionali quali la radio, la televisione, la stampa quotidiana, media che stanno progressivamente abbandonando a favore del personal computer.

I dati che emergono dalle ricerche, utili certamente a chi si muove professionalmente ed imprenditorialmente nel settore dei Mass-media e necessari quando si voglia affinare strategie editoriali o di marketing pubblicitario, non debbono trovare impreparato il sociologo che è chiamato per impegno professionale ad interpretare le nuove tendenze sociali per ipotizzare il futuro ed i riflessi che tali trasformazioni provocano sulla società del domani.

Il sistema della comunicazione, al pari di altri sistemi sociali, non è certo estraneo ai processi di innovazione culturale e sociale, anzi, ne è quasi sempre il detonatore.

Del resto Niklas Luhmann ci ricorda che i sistemi sociali esistono e si sviluppano soltanto attraverso la continua comunicazione.

I Giovani, emerge dalle ricerche, stanno passando da una fruizione dei mezzi di comunicazione sociale di tipo “generalista e di flusso” ad un progressivo spostamento verso l’opzione di scelta personalizzata, meglio se supportata dalla possibilità interattiva, per giungere alla costruzione di un “palinsesto personalizzato” attraverso lo schermo del computer, quello che Giuseppe Gnagnarella nel suo ultimo libro” Storia Politica della RAI” definisce come un “nuovo egoismo individuale”.

Se fino a qualche anno fa “i giovani del muretto” facevano comitiva e si incontravano in piazzetta, oggi si frequentano e restano in contatto con i social network.

Certamente la rete è uno strumento comodo, specialmente in quelle realtà di provincia dove incontrarsi fisicamente nella giornata può essere difficile, resta il problema relativo ad un uso”patologicamente esagerato”.

Attraverso la rete si accetta il contatto amicale e sociale ma in modo “asettico e superficiale”, poco coinvolgente.

Come si fa del resto a considerare “amici” nel senso stretto della parola, con tutte le implicazioni che conosciamo bene quando ci riferiamo al sentimento amicale, le centinaia e centinaia di contatti Facebook che molti possono “vantare”?

La tecnologia procede autonomamente proponendo nuove abitudini d’uso e consumo e se fino a qualche anno fa i giovani giocavano con il “meccano”, con le “costruzioni Lego” ed al “piccolo chimico”, oggi giocano al “piccolo editore” , si cimentano con la produzione di filmati da inserire su YouTube o scrivendo sul loro Blog personale, magari uno dei sei miliardi di blogs attivi in rete, dove nessuno con tutta probabilità andrà mai a leggere e commentare nulla.

Ciò però avviene non senza contraddizioni: da una parte i giovani affermano di non essere interessati ai programmi televisivi con particolare riferimento ai cosiddetti programmi trash, mentre contemporaneamente anelano ad essere visibili in rete per “esistere” e non hanno remore pur di conquistare la loro “audience” nel proporre i video shock di corse dissennate di moto contromano o le immagini riprese con il telefonino delle percosse al compagno down.

Una ulteriore contraddizione è quella relativa alla richiesta di gratuità dei contenuti presenti in rete.

Se da una parte i giovani rivendicano la libertà democratica di scaricare musica e filmati senza oneri economici e di fare download free di software e documenti, dall’altra sono essi stessi a subire una progressiva desertificazione della produzione culturale che non trova al momento ancora adeguate garanzie di tutela del frutto dell’ingegno e della creatività e quindi nessun interesse di sostanza da parte, ad esempio, di autori e musicisti.

Il rischio è quindi, quello di disporre comodamente dei tanti contenuti esistenti in rete ma di non goderne di nuovi. I giovani navigano e rimestano tra le retrospettive, ripropongono il passato ma non aggiungono novità a quanto già disponibile.

Il rapporto tra i giovani e i media rischia quindi di essere in chiave culturalmente involutiva e non evolutiva come dovrebbe essere.

Il passato è tradizionalmente un bene rifugio, di per sé più rassicurante, rispetto allo scegliere di affrontare progetti per il futuro, così ambiguo ed imperscrutabile, specialmente in un periodo di crisi economico e sociale come quello che stiamo attraversando.

In realtà c’è bisogno di una nuova progettualità sociale per riportare i giovani ad avere un sogno, uno scopo, una passione, anche se non è certo facile convincerli che sia in generale più opportuno studiare ed impegnarsi in un onesto lavoro piuttosto che inseguire il successo del “tronista“ o della “Velina”.

Reso noto proprio in questi giorni, il rapporto Istat 2010 fotografa infatti una gioventù apatica, senza passioni, che non studia, non ha lavoro e nemmeno lo cerca. Ritorna prepotente l’appellativo “Bamboccione” per quelli che, intervistati affermano di non avere tra le loro priorità lo svincolo dalla famiglia di origine.

Questa realtà appare discordante da quanto invece si rileva riguardo la tendenza nell’uso dei media che indicherebbe al contrario nei giovani la voglia di indipendenza e autonomia di scelta.

Viene da pensare allora che non si tratti di una libera scelta, bensì di isolamento e di apatia nei confronti delle naturali sfide alle quali i giovani debbono tendere.

Loro malgrado i giovani gettano la spugna prima di iniziare il combattimento sapendo che le regole del gioco o non ci sono o sono truccate.

Credo che, in ogni caso, fatti salvi i dati statistici a cui fare doveroso riferimento, sia però necessario non generalizzare il rapporto tra i giovani e media e ancor più il riflesso che queste abitudini possano avere sulla società futura.

I giovani d’oggi sono né più e né meno i giovani di sempre, spetta alla società civile ed alla politica gettare le basi per investire su di loro.

Rispondo quindi alla domanda “come saremo domani” con “dipende da quel che vogliamo fare per il domani”.

Deve essere chiaro infatti che è responsabilità precisa di ogni singolo cittadino, ognuno per le proprie rispettive competenze supportare adeguatamente fattivamente o almeno moralmente le giovani generazioni a fare il salto, a spendersi nella competizione del futuro.

Anche noi sociologi del resto non siamo esclusi da questo processo, in quanto dobbiamo rilanciare autorevolmente la proposta di un progetto di società che, attraverso scelte decise, coraggiose, ed ormai irrinunciabili, diano il senso di un ritrovato patto etico e valoriale in un sistema di regole condivise cui fare riferimento.

Allora bisogna essere portatori di una proposta concreta: va chiesto con forza il rilancio del sistema scolastico ed universitario affinché punti alla valorizzazione reale delle competenze e che colga bene i bisogni del mondo del lavoro.

L’università in particolare deve stringere uno stretto rapporto di sinergia con il mercato del lavoro per definire percorsi di Laurea e specializzazione che siano in sintonia con le richieste imprenditoriali conservando evidentemente l’autonomia didattica. Non è possibile assistere ad una Università che va da una parte e le richieste di professionalità dall’altra se vogliamo dare una risposta concreta ai giovani in termini occupazionali.

Nel contempo il mondo del lavoro deve essere rispettoso delle potenzialità, delle competenze e delle qualità della persona affinché chi merita sia valorizzato a vantaggio della collettività.

Per concludere dico che è giunto il momento di abbandonare, o perlomeno attenuare di molto il dibattito intorno all’influenza dei media sui giovani, relegando definitivamente al passato il concetto di “televisione cattiva maestra” di Pasoliniana e Popperiana memoria per superare un periodo che ha attribuito, per nostra stessa colpa a questo “caleidoscopio di colori” fin troppa importanza.

Forse dovremmo sforzarci di ascoltare di più e meglio i segnali che ci giungono dai giovani, i quali hanno molto da dire e lo lasciano intendere in molti modi anche attraverso la loro musica, come il Rap, ad esempio che non ha melodia ma soltanto una esasperata enfasi del testo, una disperata voglia di farsi ascoltare.

In fondo per capire i giovani basterà pensare come i giovani.

Roma 15 giugno 2010

Marco Cuppoletti