I Mezzi di Comunicazione creatori di un esercito manipolato o semplici interpreti di eventi ?

ISTITUTO FRANCESCO FATTORELLO – ROMA – dal 1947 “la via italiana alla comunicazione” – Direttore: prof. Giuseppe Ragnetti

Tesina di fine Corso a cura di Elena Fini

I Mezzi di Comunicazione creatori di un esercito manipolato o semplici interpreti di eventi ?

Proviamo paura quando ciò che abbiamo davanti è ignoto. Ammiriamo colui che riesce a percepirlo o meglio a crearlo, ma perché lasciare questo piacere agli altri quando da spettatori possiamo diventare protagonisti della nostra vita?

I comportamenti umani sono a volte sorprendenti, a volte bizzarri ed è questo che ci rende vivi e speciali.

A volte incontriamo muri che appaiono troppo solidi per essere abbattuti ma siamo noi che li rendiamo sempre più alti e dolorosi attraverso le nostre insicurezze che, spesso, ingiustamente ci rendono inermi davanti alla bellezza del dialogo e della conoscenza reciproca.

Josef Rattner ha detto che l’uomo ha superato la distanza che lo separava dalla luna, ma continua a non raggiungere il suo prossimo. “Quello che potrebbe salvare l’uomo dalla sua angustia sarebbe il dialogo autentico, la comunicazione con il tu. Il dialogo autentico potrà essere ritrovato solo dagli individui che hanno un interesse per i loro simili. Solo colui che ha rinunciato allo spirito del potere e della violazione è in grado di udire e di rispondere. Ragionevoli sono solo gli individui che hanno imparato ad accogliere in sé i pensieri degli altri senza cadere subito nell’angoscia o in una posizione di difesa”.

La parola! Questa grande arma che molti di noi non riescono ad usare bene o, ancor peggio, ignorano: essa è capace di fondere culture, idee e persone completamente diverse ed in quanto tali meritevoli di un nostro sforzo.

Scriveva Gorgia da Lentini in Elogio ad Elena: “La parola è una potente signora, che con piccolissimo corpo invisibile, sa compiere cose molte divine; riesce, infatti, sia a calmare la paura sia ad eliminare il dolore sia a suscitare la gioia sia ad aumentare la pietà”: con questo scritto, egli tendeva a dimostrare il potere persuasorio della parola dimostrando che più che dalla bellezza, Elena aveva seguito Paride per la sua capacità comunicativa.

Infatti, la strategia vincente per dissolvere le proprie difficoltà comunicative è nascosta dentro di noi ed aspetta solo di essere incentivata ed amata dalla forza interiore. Non sempre è facile esternare ciò che possediamo nella nostra mente e nel nostro cuore.

Ciò può concretizzarsi attivando un sistema comunicativo che si basa sia sul linguaggio verbale sia non verbale: è proprio così che si sconfigge il mostro dell’incomprensione.
Solo chi sa comunicare ha più successo di chi non lo sa o non vuole farlo!

Roland Barthes ha scritto che la comunicazione è un atto d’amore, perché essa è basata sempre su un rapporto tra più persone ed invita allo scambio di idee.

La comunicazione non è, però, solo verbale, ma anche non verbale e paraverbale. Le parole non possono viaggiare da sole, perché la voce o il timbro nonché la gestualità incidono moltissimo sulla loro efficacia.

Noi guardiamo giornalmente la televisione, ascoltiamo la radio, leggiamo i giornali, divenendo spesso schiavi delle parole e delle opinioni altrui.

Non siamo più capaci di ragionare e di capire cosa ci aggrada di più, perché guardiamo determinati programmi invece di altri. Non sempre sappiamo scegliere e ci facciamo intrappolare in un vortice di conformismo sociale. Si ha l’impressione, forse non errata, che i Potenti della terra decidano per noi , ma in fondo questo è il loro mestiere : lasciamoglielo fare. Ma noi abbiamo effettivamente una certa autonomia? Cos’è l’opinione per noi e cosa ci indirizza di più verso di essa sia a livello sociale sia economico?

Domanda: è davvero possibile, ad esempio, che guardando una pubblicità ci viene voglia di comprare qualcosa di cui non abbiamo bisogno? E’ davvero in corso la cosiddetta Alluvione Mediatica ?

In un anno i Paesi Europei trasmettono oltre tre milioni di spot pubblicitari: un giovane di 18 anni, dunque, è già stato esposto a 140mila spot. Inoltre, la quantità di informazioni pubblicate si raddoppiano di quattro o cinque volte ogni tre anni. Negli USA si è passati da 50 a 100 canali. Addirittura nello stesso istante i satelliti inviano in ogni angolo del pianeta una serie infinita di messaggi, ma la maggior parte di questi sforzi è inutile dato che entro 24 ore le persone dimenticano fino all’80% di quello che credono di aver imparato da questa alluvione mediatica. Quest’ultima ci porta alla falsa idea di aver imparato qualcosa.

Tutto ciò avviene perché la mente odia la confusione, è insicura, non cambia e può avere problemi di messa a fuoco.

Alcuni professionisti(in ogni campo e di qualsiasi nazione) ritenevano giusta “ l’impostazione teorica anglosassone”, secondo la quale il pubblico era un target(bersaglio) che non aveva scampo laddove le campagne pubblicitarie riuscivano a farci fare ciò che loro volevano, dimenticando che nessun essere umano è in grado di entrare nella nostra mente. Ogni individuo ha un filtro percettivo per cui siamo noi che decidiamo cosa fare entrare).

Indubbiamente gli stimoli esistono ma non possono costringerci a fare nulla se non eravamo, già precedentemente, interessati a farlo. La realtà non esiste, ma esiste la nostra percezione, che è una visione della realtà. La percezione è, quindi, il filtro tra noi e il mondo che elabora gli stimoli attraverso meccanismi filtranti.

Ne consegue che non c’è niente di più facile che persuadere una persona che ha bisogno di essere persuasa. Facciamo un esempio: una nuova pubblicità propone un mascara rivoluzionario che promette di ingrandire gli occhi e rendere più intenso lo sguardo attraverso l’infoltimento delle ciglia ed io, dunque, lo voglio provare. In questo caso potrei ipotizzare tantissimi motivi come cause scatenanti del mio ipotetico acquisto. Potrei essere o una giovane ragazza che ama molto curarsi ed ha una passione sfrenata per il make-up, o un professionista che lavora per privati e quindi per questioni lavorative io decido di provarlo, oppure una signora che con il passare degli anni ha delle ciglia poco folte e corte, oppure un uomo che ha una moglie particolarmente esigente e tanti altri ancora.

Questo prodotto ha un particolare mercato, vasto o meno, ma questo non ci interessa: è la sua fruizione che è a cuore sia a chi lo deve produrre, sia a chi lo deve mettere sul mercato sia al fruitore!

Prima della sponsorizzazione c’è una lunga catena per la produzione, un iter lunghissimo per il quale, in alcuni casi, ci vogliono anche anni, soprattutto se il prodotto in questione è tecnologicamente avanzato (in questo caso per tecnologia non intendiamo l’information tecnology ma semplicemente un livello superiore del prodotto). L’azienda deve effettuare un’analisi di mercato(sistemica raccolta, conservazione e analisi dei dati relativi a problemi di marketing dei beni e\o dei servizi) che aiuti gli imprenditori a trasformare le idee commerciali in utilità di prodotti. Le domande attraverso le quali il manager riesce a studiare la sostenibilità del suo prodotto sono le seguenti: chi sono i potenziali acquirenti e quali le loro esigenze?

Com’è strutturato il mercato riguardante il mio ambito? Quanti sono i competitori e quanto investono nella ricerca? Cosa stanno offrendo attualmente e cosa potrebbero introdurre sul mercato?

Attraverso dati statistici le imprese riescono ad ottenere un’ampia visione sui settori, sui comportamenti dei consumatori. Le stime sono approssimative dunque è consigliabile integrarle attraverso ulteriori studi e conviene valutare anche l’eventualità dello scenario peggiore. Lo studio di mercato è talmente importante che alcune aziende decidono di affidare le ricerche ad apposite società di consulenza esterna, altre invece hanno al loro interno un team di professionisti che praticano esclusivamente questa tecnica. I compiti attinenti a queste società o work team sono connessi alla raccolta di dati statistici e sono relativi:

  • alle tipologie di promozione più efficaci
  • ai gruppi di consumatori di riferimento
  • ai nuovi segmenti del mercato
  • alle caratteristiche della comunicazione pubblicitaria nell’area d’interesse
  • all’andamento delle aree in cui l’impresa compete nonché l’analisi della domanda e i cambiamenti dei consumi

Queste analisi supportano, perciò, le strategie decisionali dell’azienda stessa, riuscendo a prevedere le richieste e le preferenze degli acquirenti; allora si potrà effettuare la valutazione dei profitti e anticipare i volumi di produzione.

Dunque, le imprese studiano i nostri bisogni e le nostre abitudini per cui non sono loro a decidere per noi ma siamo noi ad influenzare le loro decisioni di marketing. Facciamo parte del sistema ed in realtà siamo noi a gestirlo anche se indirettamente. Non esiste un unico modo che vada bene per tutti. Ogni pubblico, alla fine, è diverso dall’altro.

Nonostante l’alluvione mediatica ognuno di noi può ancora scegliere di non dare nessun significato alle informazioni che ci vengono date e di dare importanza, al contrario, solo alle nostre necessità.

Proviamo ad analizzare la situazione da un altro punto di vista. Se fosse vero che la televisione riesce a farmi comprare ciò che non mi serve, allora io, casalinga in una casa senza giardino (e con nessun conoscente che si interessi o ami la coltivazione) grazie ad una pubblicità all’ultimo grido nella quale un contadino seminudo dal fisico impeccabile guida un trattore, dovrei comprare quest’ultimo. Non credo che lo acquistereste.
Compriamo solo ciò che ci incuriosisce, ma ci attira perché già l’ambito di produzione è corrispondente ai nostri interessi.

L’informazione è spudoratamente un’attività commerciale: vende notizie approfittando della curiosità dei potenziali clienti.

Veniamo al punto da cui siamo partiti: secondo alcuni la comunicazione influisce sullo stato psicologico dell’uomo e sulla sua volontà perché l’informazione sarebbe un particolare processo mediante il quale chi lo promuove punta ad ottenere l’adesione di opinione che egli propone riguardo ad essa.

Piace ricordare una frase del filosofo di età neroniana, Seneca, il quale, nella Lettere a Lucilio, asserisce che “a formare l’opinione comune come pure la giusta opinione, è necessaria una sicura nozione delle cose, senza le quali i nostri giudizi sono confusi e mutevoli; perciò sono necessari i principi, che permettono giudizi chiari e immutabili”.

Si deve ricordare che gli studi accademici, nel nostro paese non si sono occupati spesso dell’opinione nella maniera più consona, sebbene essa sia un argomento che può ancora affascinare, proprio perché essa fa parte dell’uomo. Pascal dichiarava che l’opinione è la regina del mondo: essa è sempre il frutto dell’interazione sociale.
Camus, perspicacemente, diceva che se mai sarebbe esistito un partito di coloro che non sono sicuri delle proprie opinioni, egli ne avrebbe fatto parte. Cosa vuol dire?

L’opinione o dòxa, come dicevano i Greci, non è la stessa cosa della conoscenza. Scriveva Platone in Repubblica: “E poiché chi opina non opinerà né l’essere né il non essere, l’opinione non può essere né ignoranza né conoscenza, bensì sta in mezzo tra le due”. Il filosofo ateniese, dunque, aveva già compreso che l’opinione è una conoscenza imperfetta e mutevole, non propriamente episteme.

Ora l’opinione pubblica è un fenomeno molto moderno nonostante tutti i riferimenti che troviamo nelle età precedenti e, per noi uomini di età contemporanea, la storia del concetto d’opinione non può che coincidere con la formazione dello stato moderno, il quale, con il monopoli della forza, ha relegato l’individuo nella sfera priva della morale, mentre la sfera pubblica è stata assorbita dallo Stato.

Se il potere diviene, però, pubblico, dall’altra parte l’economia si privatizza, concetto affermato da Habermas, il quale vede le radici dell’opinione pubblica proprio nell’origine del capitalismo e della stampa.

E’ nella cultura illuminista, per l’intrinseco carattere di razionalismo, che nasce il concetto moderno di opinione pubblica, aprendo un enorme interesse su di essa. Per Kant l’opinione non può essere motivo di scienza proprio per il suo carattere soggettivo, dal che si deduce ciò che pensava Platone, ossia che “all’opinione piace opinare”.

Ma veniamo al 1900: è merito di Pasquale Rossi di aver compreso con largo anticipo che esiste una psicologia sociale dei gruppi organizzati e una psicologia collettiva della folla. Da quel momento psicologisti francesi e americani si sono dedicati ampiamente al tema in esame. Interessante è la posizione dello studioso Sprott, il quale sostiene che le persone che si lasciano psicologicamente condizionare da essa rientrano in un’attitudine, mentre quelle che vi dedicano un interesse solo intellettuale hanno un’opinione.

KrecK e Crutchfield si sono occupati di conoscenza, opinione e credenza, Bauer di opinione statica e dinamica, la quale ha dimostrato tutta la propria forza nell’età di Pericle, Lippman della teoria degli stereotipi, per cui l’opinione pubblica è una finzione e Dewey condivide lo stesso pessimismo di Lippman, al punto di dichiarare che l’uomo non è solo un animale politico (come affermava Aristotele), ma anche un consumatore e uno che ama svagarsi, mentre per Dupréel la natura tra folla e opinione dipende dal grado d’intensità e della durata dei gruppi. E’ la Teoria di Stoetzel che ha avuto molta riscossa in Europa, soprattutto in Francia e in Italia, dove la Scuola di Roma del Prof. Fattorello ha raggiunto risultati validi nello studio dei processi informativi e delle loro relazioni con l’opinione pubblica.

Stoetzel ha individuato due tipi di distribuzione delle opinioni, quella normale e quella conformata, che possiedono anche una diversa natura: una è organizzata, l’altra non è organizzata.

Si giunge al concetto di conformismo, oggi più che mai dilagante soprattutto con le mode grazie anche ad una globalizzazione che s’impone sempre di più, per cui è sempre più valevole, a mio avviso, quanto asserisce Lippman, ossia del fatto che noi crediamo di avere delle opinioni mentre è solamente sulla rappresentazione di esse che le opinioni si sono formate nella nostra mente e che noi giudichiamo.

Vero è che già Cicerone aveva definito l’opinione imbecillam assensionem, dato che, per la sua stessa natura, l’opinione contempla al suo interno l’errore. Incisiva è a questo punto la definizione di Locke: non dobbiamo giudicare le cose secondo le opinioni, ma le opinioni secondo le cose.

Dunque, le opinioni sono manifestazioni valide solo nel contesto e nel preciso momento in cui vengono prese (G. Ragnetti), ma non è detto che le persone che esprimono l’opinione in quel momento rimangano fedeli alla stessa per sempre: Tot hominse, tot sententiae (Terenzio).

Ma l’azione sull’opinione pubblica come avviene? Le campagne fanno leva sui valori dell’individuo, ossia: educazione, propaganda, pubblicità, la quale si è sviluppata maggiormente negli U.S.A. e informazione. Fermiamoci sull’informazione che, secondo Fattorello, è la maggior parte di messaggi e ciò significa che non c’è momento comunicativo senza il momento informativo, per cui c’è comunicazione quando tra promotore e recettore si stabilisce una convergenza d’interpretazione. Quindi, la realtà può essere trasmessa solo attraverso la sua formula d’opinione che il soggetto promotore propone in maniera tale da adattarsi al soggetto recettore ed ottenerne l’adesione.

Allora l’industria dei mezzi di comunicazione non fa altro che “ mettere in forma” un prodotto che è pari ai gusti del pubblico al quale è indirizzato. Proprio come il marketing, l’industria dei mezzi di comunicazione deve studiare il suo mercato-recettore e fornire un prodotto adeguato per ottemperare alle regole di mercato, che si basano in fin dei conti sul gradimento.

Da ciò si deduce che la Tecnica Sociale del prof. Fattorello ha restituito dignità al soggetto recettore perché lo rende il vero protagonista di un processo comunicativo che è di natura sociale. L’opinione, dunque, ha i suoi attori: i soggetti attivi (pochi), che possiedono una propria opinione e un minimo di originalità e i soggetti passivi, i quali sono comunque recettori uniti in gruppi vincolati o plurivincolati. L’adesione all’opinione avviene mediante il contatto, l’interesse e l’attenzione, la valutazione, l’adesione o il rifiuto e l’adozione.

L’opinione pubblica rappresenta il percorso preferenziale nella società attuale, in cui la standardizzazione sociale ne è terreno di coltura, per cui l’omologazione è evidente nell’insegnamento con un’eguaglianza di opportunità e la specializzazione e la democratizzazione con un’educazione pianificata, che isolano l’uomo, sebbene sia circondato da moltitudine. In questa maniera, egli non è più in grado di esprimere un’opinione individuale e neppure una pubblica. La personalità dell’individuo e la sua acculturazione divengono i fattori preminenti di ogni scelta d’opinione. Francesco Fattorello, dunque, ribadisce la circolarità del processo e la pari dignità del promotore e del recettore., per cui egli respinge la tesi secondo cui nella formazione dell’opinione l’azione va dal promotore al recettore. Egli dubita anche sul presunto potere dei mezzi d’informazione di condizionare il pubblico, che agiscono indubbiamente sulle opinioni ma non sono in grado di condizionare i comportamenti delle persone.

Ergo: solo in relazione ai propri rapporti con la sfera sociale l’uomo ricerca e trova la sua posizione, perché è membro della società e del suo gruppo; l’opinione cosiddetta individuale non può che essere collettiva.

…dal Pettegolezzo all’Opinione

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” – URBINO – Laurea Specialistica Editoria Media Giornalismo – TECNICHE DI RELAZIONE – Prof. Giuseppe Ragnetti

“…dal Pettegolezzo all’Opinione”

Elaborato scritto di Francesca Di Felice

INDICE

  1. Che cos’è il pettegolezzo
  2. Le funzioni del pettegolezzo
  3. Le dicerie
  4. Opinioni
  5. La Tecnica Sociale dell’Informazione
  6. Mezzi di comunicazione e pettegolezzi
  7. Bibliografia

Introduzione

Pettegolezzi, voci, chiacchere … a chi non è mai capitato di essere Oggetto o Soggetto di gossip?

Questo breve lavoro nasce con il proposito di presentare la pratica quotidiana del pettegolezzo come insita alle relazioni sociali, evidenziandone i meccanismi di costruzione paragonati a quelli in cui si formano le Opinioni all’interno di un gruppo sociale.

Grazie alla Tecnica Dell’Informazione sociale di Fattorello colui che riceve un messaggio ha pari dignità e capacità di opinione di colui che informa, e così l’autore di pettegolezzi ha l’importante ruolo di mediazione e in-formazione che spetta al giornalista.

Un breve confronto che permette di capire quanto ognuno di noi possa essere responsabile attivamente all’interno dei processi di comunicazione.


“Il pettegolezzo è la voce della verità (..)
E questa voce è magica (..)
Il pettegolezzo è leggero,
freddo e in tal modo assurge
a una sorta di obiettività:
la sua voce sembra insomma
doppiare la voce della scienza

Roland Barthes

Che cos’è il pettegolezzo

Per ‘voce’ ‘rumore’, ‘pettegolezzo’, ‘chiacchera’ si intendono cose diverse. Etimologicamente essi sono effetti: ossia suoni che hanno una intensità e durata variabili. Tuttavia voce e rumore non hanno riferimento solo all’effetto bensì anche alla causa di quell’effetto. La voce infatti rimanda ad un processo di diffusione a catena, mentre il rumore a un processo sconnesso, esitante, limitato localmente. Dal vocabolario il termine pettegolezzo viene invece definito come una “chiacchera inopportuna o indescreta e malevola” e l’origine etimologica è stata individuata nell’antico verbo veneto “petegolàr” che significava emettere piccoli peti (e forse questa espressione ha dato vita a un riferimento all’incontinenza verbale). Oggi il termine ha corrispondenza sia al contenuto che all’oggetto della comunicazione, come storie di bassa lega messe in circolo di proposito da qualcuno per calunniare qualcun altro.

Il pettegolezzo può essere considerato a tutti gli effetti una pratica culturale della vita quotidiana, analizzabile tramite le tipologie dei frames comunicativi nei gruppi ristretti, degli stereotipi, delle modalità di credenze, della sua funzione fàtica.

Gli interlocutori, per trattare il pettegolezzo come forma di comunicazione, devono avere una competenza che implichi la capacità di riconoscere attraverso particolari indicatori quando le azioni comprese intersoggettivamente sono orientate in modo da considerare la conversazione un pettegolezzo. Questa competenza può essere considerata una forma di comprensione quotidiana.

Se si osservano le forme del parlare nella vita di tutti i giorni, soprattutto quelle informali si presentano spesso come narrazioni di storie non sempre sviluppate interamente. Gli eventi sociali vengono tematizzati e raccontati in vario modo, e ogni conversazione di pettegolezzi forma un contesto in cui il significato non è altro che il risultato delle azioni dei singoli partecipanti orientati verso un obiettivo.

Oggetto del pettegolezzo

Oggetto del pettegolezzo è in genere la persona riguardo la quale si spettegola, che viene ovviamente esclusa dalla partecipazione attiva della comunicazione, la sua presenza è marcata solo come oggetto delle chiacchere. Una condizione strutturale del pettegolezzo è sicuramente la conoscenza da parte del destinatario e dell’autore della persona assente che costituisce l’oggetto del pettegolezzo. Un’altra condizione strutturale è la variabile di segretezza reciproca che in un qualche modo è richiesta. 

L’autore del pettegolezzo

È il regista che manovra le informazioni e le trasmette. Il termine inglese gossip infatti non designa solo il pettegolezzo ma anche la persona che spettegola. La posizione dell’autore è intermediaria tra la non conoscenza e la familiarità con il soggetto\oggetto del pettegolezzo. Della sua importante figura di intermediazione ne torneremo a parlare più avanti.

Il destinatario del pettegolezzo

La figura del destinatario non è affatto passiva in quanto chi riceve il pettegolezzo è un partecipante attivo che mostra la volontà di ascoltare e di interagire con l’interlocutore. È soltanto grazie al fatto che esiste un legame specifico tra l’autore e l’oggetto del pettegolezzo che la conversazione diventa infine pettegolezzo. L’oggetto deve essere un conoscente del destinatario almeno indirettamente, dato che la notizia può essere rilevante per lui solo se non riguarda un estraneo. Il rapporto tra l’autore e il destinatario è fortemente modellato dal tipo particolare di informazione che viene trasmessa nell’interazione. Questa relazione di co-informazione unisce i partecipanti in un rapporto di complicità e incide sulla loro relazione fino all’ultimo anche attraverso  lo stile e il tono di scambio che è caratterizzato dalla parità.

Le funzioni del pettegolezzo

Robert Paine nel suo studio “Gossip and Transaction” affermò che il pettegolezzo è innanzitutto un modello di comunicazione informativa che riguarda essenzialmente lo scambio di informazioni rilevanti per i partecipanti dello stesso gruppo sociale. Il pettegolezzo può essere considerato cioè un’istituzione che crea e distribuisce informazioni in base ad interessi individuali. Una forma di azione strategica insomma, il cui scopo primario sarebbe quello di attribuire una validità agli interessi delle persone che spettegolano. Quindi il pettegolezzo, per  il suo modo di trattare l’informazione, sarebbe una tecnica e una risorsa per la gestione dell’informazione dall’interno del gruppo.

Paine è responsabile anche dello studio sull’approccio strategico in prospettiva transnazionale, che spiega il fenomeno del pettegolezzo come un genere di comunicazione informale e un meccanisco per favorire e proteggere gli interessi individuali. Ciò va in contrasto con gli approcci che vedono nel pettegolezzo una forma di preservazione del gruppo (per esempio quello di Gluckman) perché per Paine, in linea con la teoria drammaturgica di Goffmann, le dicerie sono delle forme di controllo dell’informazione per scopi personali, manipolate per influenzare le impressioni che si possono formare.

Forse certe situazioni e certi contesti contribuiscono a determinare la pratica del pettegolezzo e questa prospettiva è strettamente legata al modello teorico della collettività di Turner e Killian secondo cui l’azione di massa deriva da una definizione collettiva di situazione ambigua.

Oltre ad avere una funzione strategica per l’informazione, il pettegolezzo ha funzioni di tipo:

  • Espistemologico, perché si interroga sui valori di verità, sulla veridicità della fonte e sul modo di costruire la verità partendo da informazioni incontrollabili.
  • Sociale, perché essendo implicato nell’intersoggettività mette a fuoco le relazioni sociali.
  • Etica, riguardando tutte le forme di sentimenti, trasgressioni, tradimenti che possono esservi focalizzati.
  • Fàtica, perché mantiene vivo l’interesse nell’interazione e non la fa cadere o chiudere.

Le Dicerie

Diceria e pettegolezzo testimoniano come le persone intendono dare un senso al loro mondo e accordare fiducia al carattere morale e al significato degli eventi. 

Mentre però il pettegolezzo è una forma di interazione sociale che dipende dalla gestione strategica dell’informazione, la diceria (rumor) è stata definita da Allport e Postman come una proposta di credenza trasmessa da persona a persona senza che vi siano criteri di veridicità certi. Essa collega il presente immediato al passato, del quale si serve come bacino di ricorrenza. Una sua caratteristica distintiva è la collocazione attuale e locale, tratta quell’informazione detta contigente, sia simbolicamente che geograficamente.

Knapp ha classificato le dicerie in base alle motivazioni analizzando quelle che si diffusero negli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale e giunse a raggrupparle in 3 categorie:

le dicerie fantasma che esprimono paure e ansie, le dicerie di fantasia che esprimono il desiderio della gente di realizzare un sogno sostenendo che gli eventi siano realmente accaduti, e quelle che portano disaccordo, socialmente nocive.

Le caratteristiche testuali delle dicerie mostrano come la loro brevità sia una proprietà fondamentale della loro forma narrativa. Ciò richiama due processi insiti nella diceria: uniformare e affilare. E’ chiaro a tutti che durante la trasmissione delle dicerie gran parte dei dettagli vengono dimenticati e altri esagerati, infatti l’affilamento è da intendersi come il lavoro di percezione selettiva che avviene durante la memorizzazione di un numero limitato di dettagli.

Un ulteriore aspetto della diceria è che spesso essa è introdotta da particolari frames, cornici testuali che possono rafforzare la credibilità dell’informazione o altre volte possono essere usate per prendere le distanze dall’informazione che si sta per dire, per non assumersi certe responsabilità.

Shibutani e successivamente Allport e Postman hanno espresso la “legge fondamentale della diceria” secondo cui il numero delle dicerie varia a seconda dell’importanza dell’argomento, moltiplicata per l’ambiguità dei dati realmente a disposizione. Se l’importanza dell’evento è nulla o privo di ambiguità, non vi sarà voce. Secondo Shibutani poi, le dicerie derivano dalla rottura dei canali di comunicazione normale e sono “un’improvvisazione cooperativa di interpretazioni”.

La diceria, per il suo essere così breve, legata al contingente e in cerca dell’adesione tempestiva è quindi intrensicamente simile alla notizia giornalistica, a cui si aggiunge il fatto di non essere sempre verificabile.

Pettegolezzo, diceria e moralità

Il legame tra pettegolezzo e conservazione della moralità è stato approfondito da diversi studiosi tra cui Herskovits e West i quali sostengono che il controllo religioso della morale agisce anche attraverso la condanna dei piccoli peccati altrui e la paura.  L’intreccio fra questione morale e pettegolezzo è altresì intricato a livello tematico, non a caso gli argomenti che interessano ai pettegoli sono per lo più quelli ad alto contenuto morale, come le trasgressioni o l’infedeltà.

Per Gluckman il pettegolezzo e le dicerie nei gruppi sociali più ristretti hanno l’importante virtù di mantenere l’unità, i valori e quindi anche la moralità di quel gruppo. Inoltre permettono di controllare i gruppi sociali concorrenti e gli individui che aspirano ad entrarci.

Pettegolezzo e maldicenza sono anche fonti di piacere, ma solo quando un individuo è accettato come membro di un gruppo acquista tale diritto di spettegolare : esso è una caratteristica peculiare dell’essere parte di una comunità. Il meccanismo della maldicenza riconferma e incrementa l’identità e l’esclusività del gruppo rispetto ad altri gruppi e quindi la coesione di un reale senso di comunità.

Gli individui membri di un gruppo sociale giudicano gli altri sulla base di stereotipi, cioè le rappresentazioni fatte della realtà nel tentativo di comprenderla. Sulla base di ciò che ha affermato Lippmann nella sua teoria, anche per quanto riguarda la trasmissione di dicerie e pettegolezzi è necessario tenere presente che gli individui non possono comprendere a pieno ciò che accade nella realtà e i loro giudizi  di opinione sono sempre permeati dagli stereotipi sociali nati dalla collettività di cui fanno parte.

Opinioni

Essendo pettegolezzi e dicerie espressione di opinioni soggettive maturate all’interno di un gruppo sociale, di seguito si specificherà quali sono le teorie costituive dell’opinione.

La teoria elaborata da Joen Stoetzel afferma che “opinare significa per il soggetto porsi socialmente in rapporto con il suo gruppo e con gli altri gruppi esterni” e che quindi essa è una “manifestazione che si concreta nell’adesione a determinate formule di un’attitudine che può essere valutata su una scala obiettiva delle opinioni”. Su una data questione quindi, si possono raccogliere molteplici formule di opinione, che provengono dalle singole elaborazioni dell’uomo su un determinato evento. Ogni soggetto infatti può esprimere un suo particolare punto di vista che dà forma all’opinione, la quale potrà essere condivisa da altri soggetti che vi aderiranno.

L’individuo che fa parte di un gruppo sociale eredita da esso diverse idee, credenze, modi di vedere l’universo e il mondo che si interpongono alla sua visione delle cose, ideali e sentimenti collettivi.

Questo suo essere sociale dell’individuo influenza chiaramente il suo modo di sviluppare opinioni. Affiliarsi ad un gruppo sociale significa identificarsi con gli stereotipi adottati da quella collettività  e comportarsi quindi in armonia con essi nel momento in cui l’individuo esprimerà una opinione.

Stoetzel ha affermato che esistono due modi di sviluppo delle opinioni: in un primo caso ci abbandoniamo ad un pensiero che non è il nostro e a cui abbiamo aderito, nell’altro caso invece sviluppiamo opinioni in relazione alle nostre attitudini personali. Quest’ultime però non possono avere un’autonomia psicologica perché dipendono dalle attitudini profonde della personalità le quali rilevano l’esistenza di principi comuni che dominano i pensieri.

Il pettegolezzo e la diceria, sia considerati come elementi di coesione o controllo del gruppo sociale, sono quindi un esempio di opinioni soggettive sviluppatesi dall’adesione agli stereotipi della comunità sociale di cui si fa parte. Come per le dicerie, l’opinione è frutto di una conoscenza soggettiva di fatti contingenti, uno specifico modo personale di spiegare un fatto, è provvisoria, aleatoria e intrattiene con la realtà legami piuttosto blandi.

Dal pettegolezzo all’opinione

Non c’è alcun ambiente sociale o professione che può sfuggire alla pratica dello scambio di ‘voci’, specialmente negli ambienti politici, intellettuali e nel mondo delle informazioni. Più regna l’incertezza e l’antagonismo, maggiore è lo stato d’animo di dubbio e più il meccanismo del ‘si dice’ e i giudizi di opinione sono rapidi a mettersi in azione. Il dubbio infatti è quel particolare stato d’animo che ci avvolge quando non riusciamo a trovare una risposta ad una domanda o ad uscire da una qualsiasi ambiguità esistenziale. L’inquietudine che accompagna il dubbio provoca quindi uno sforzo di ricerca della verità che sfocia in quei giudizi particolari, non veritieri chiamati appunto giudizi di opinione. Esprimere opinioni è così uno stadio per uscire dal dubbio nei riguardi di problemi contingenti.

Ma come è possibile che si passi dal pettegolezzo alla credenza o addirittura all’opinione?

Le credenze sono quell’insieme di rappresentazioni immagazzinate come descrizioni del reale che vengono attivate ogni volta che l’occasione è appropriata, generando l’indizio comportamentale dell’asserzione e assenso. In realtà molto dipende dal contesto. Nella maggioranza dei casi per esempio, il tema della voce risulta essere molto banale, e l’ambiente in cui ha luogo molto ristretto: in queste situazioni la consistenza della chiacchera difficilmente si irrobusisterà fino a raggiungere lo stato di credenza. Per contro, esistono situazioni in cui un certo contenuto si congiunge con un particolare contesto, tale che la voce riesce a forzare qualsiasi tipo di silenzio o barriera e venga amplificata.

Ovviamente la credibilità della voce dipende dalla natura particolare della persona che la trasmette e del messaggio che comunica. Il credere consiste nel riconoscere l’alterità e costruire un contratto fiduciario . Nell’appropriazione di un’informazione, colui che aderisce a quella particolare forma di opinione, accetta di credere al messaggio del Soggetto Promotore, abbandonando una sua posizione riguardo a qualcosa per fare credito al Destinatario.

Inoltre per essere considerato credibile, si deve poter supporre che l’enunciatore della voce creda nell’informazione sostenuta, e che si ritenga obbligato nei confronti del Recettore a non tradire la sua fiducia. E’ naturale che per essere credibile non basta affermare di dire il vero ma occorre avere alle spalle le prove della propria credibilità. Ecco quindi che chi ci riferisce una voce lo fa presentandosi come molto vicino alla fonte originaria dell’informazione, e anche se dice di non aver assistito direttamente all’evento in causa in compenso afferma di conoscere chi ha visto e sa ecc.

Il lessico usato per proporre la voce, è indicatore di neutralità descrittiva che lascia così aperta la possibilità di ritrattare (‘si dice che’), o rinforzo della credibilità con l’uso di vocaboli che testimoniano una presa di posizione (‘si assicura che’).

L’accettare un’informazione come vera dipende dallo schema di riferimento che ciascuno usa per valutarla come tale. Raramente poi, una voce ci giunge nuda e cruda: è sempre una rielaborazione di chi ce la trasmette che trasforma il rumore in voce, che a sua volta passa dallo stato sconosciuto a quello di conoscenza, dal privato al pubblico, dall’immaginario al reale. È così che una voce assicura la propria continuità trasformando le disposizioni a credere in credenze e poi, se le condizioni si prestano, in convinzioni.

Rumore/Proposte di credenza   >>>   Credenza   >>>   Convinzione

(scambi informali)                   (Memoria collettiva)          (Opinione pubblica)

Viene sottolineato così il legame esistente tra voce, credenza, convinzione e le rispettive casse di risonanza pubbliche : gli scambi di tipo informale per quanto riguarda la prima, ovvero i passaggi di informazioni da bocca a bocca; per quanto concerne la seconda la memoria collettiva, acquisendo una struttura solida  e durevole, e poi la convinzione legata all’opinione pubblica in quanto si consolida attraverso la coesione delle opinioni degli individui, coerentemente alle convinzioni presenti nella società di riferimento.  Nel processo di adesione\rifiuto di un individuo rispetto ad un’opinione esistono diverse fasi, la credenza può diventare una convinzione quando si aderisce totalmente ad un’opinione, finendo per considerarla propria anche se orginariamente non lo è.

Per opinione pubblica si intende quella relativa ad una collettività, il cui soggetto è rappresentato dall’insieme di persone che hanno quell’opinione e ritengono che altri la condividano. Questo soggetto coincide con il concetto sociologico di ‘pubblico’, cioè un gruppo dalle caratteristiche speciali, difficilmente definibile.

Ecco quindi che gli scambi di voci informali possono diventare credenze se acquisiscono una struttura statica, per poi sfociare in vere e proprie convinzioni allorchè l’individuo aderisce totalmente a quelle determinate opinioni, tanto da credere di possedere la verità.

Questo dimostra come l’opinione pubblica non necessiti per forza di estrinsecarsi nelle varie forme in maniera aperta, ma essa può formarsi anche tramite il passa-parola, le voci bocca a bocca. 

La tecnica sociale dell’informazione

La trasmissione di pettegolezzi e dicerie si basa ovviamente sulla comunicazione face-to-face che prevede una interazione diretta tra chi parla e chi ascolta.

In particolare da una parte abbiamo l’Autore del pettegolezzo e dall’altra il suo Destinatario. Essendo l’oggetto della comunicazione in questo caso un’informazione, si mette in atto il rapporto che intercorre tra Soggetto Promotore e Soggetto Recettore così come intesi da Francesco Fattorello nella sua Tecnica sociale dell’informazione. Egli ha affermato che il Soggetto Promotore è colui che ha l’iniziativa dell’informazione da trasmettere al Soggetto Recettore che la riceve attraverso un Mezzo. L’Oggetto dell’informazione, è così una forma, una rappresentazione e manifestazione dell’opinione sulla quale il Destinatario mira ad ottenere l’adesione del Recettore.

L’informazione è quindi una formula di opinione quale risultante da un processo di opinione.

Il pettegolezzo o diceria che vogliamo trasmettere è infatti frutto di una visione soggettiva di un evento, scaturita dal mancato rispetto delle norme sociali presenti in una determinata collettività.

L’autore del pettegolezzo ha l’importante funzione di mediatore nel processo di comunicazione, che spetta al giornalista nell’ambito della tecnica sociale. Il tecnico dell’informazione infatti non trasmette una visione della realtà oggettiva, ma in-forma nel senso di dare forma, manipolare l’oggetto che vuole trasmettere al suo recettore.  Il mediatore-affabulatore si colloca così tra ”l’obiettività” dell’accadimento e il suo Soggetto Recettore attraverso una doppia valenza di soggettività:  quella sua personale  e quella del destinatario dotato delle sue stesse facoltà opinanti e quindi capace di interpretare a sua volta l’interpretazione offertagli.

La notizia da trasmettere è così rielaborata a seconda dell’interpretazione del giornalista e delle caratteristiche degli individui ai quali lui si rivolge. Lo stesso è per l’autore di pettegolezzi, che trasmette visioni soggettive, opinabili, di fatti che ritiene veri e che vuole trasmettere nel modo più possibile vicino al suo recettore. È chiaro così che parlare di obiettività in entrambi i casi è fuori discussione: la soggettività delle informazioni si ripete all’infinito, sia che si tratti raccontare un evento o di raccontare un pettegolezzo.

L’influenza personale

La presunta passività di colui che riceve informazioni è smentita dal fatto che entrambi i termini del rapporto informativo si condizionano a vicenda. L’autore del pettegolezzo in quanto Soggetto Promotore è condizionato dal suo Recettore perché deve adeguarsi a lui nel modo di trasmettere le informazioni per permettergli di percepirle come tali, e viceversa il Recettore apprende notizie a seconda dell’interpretazione propostagli dal soggetto Promotore.

Il potere dell’influenza personale all’interno delle relazioni intersoggettive è stato riscontrato anche dagli studi condotti da Lazarsfield, Berelson e Gauder riguardanti il flusso a due fasi della comunicazione. Secondo questo modello infatti, avrebbero maggiore effetti persuasivi le relazioni interpersonali che i mezzi di comunicazione. Le conversazioni infatti sono più flessibili dei messaggi recepiti attraverso i media, possono essere modificate rispetto all’interlocutore che abbiamo di fronte.  Si è capito così che gli individui non sono isolati socialmente come pensavano le precedenti teorie sugli effetti dei media e soprattutto che i messaggi recepiti vengono sempre mediati e influenzati dalle relazioni sociali. Gli individui più preparati e informati assumono così il ruolo di Leader d’opinione di un gruppo sociale, essendo in grado di influenzare gli altri membri della comunità grazie alla loro conoscenza diretta.

Ecco quindi che l’autore del pettegolezzo si configura come una persona informata di ciò che succede all’interno di una comunità e quindi è il leader d’opinione, ma soprattutto una persona che grazie alle dirette relazioni sociali con gli altri membri del gruppo è in grado di far aderire gli altri alla propria opinione pur non avvalendosi di nessun mezzo di comunicazione se non sé stesso. 

Mezzi di comunicazione e Pettegolezzi

Il rapporto che lega i mezzi di comunicazione con le voci e i pettegolezzi è piuttosto ambiguo.

A volte i mezzi stessi si fanno paladini della lotta contro le chiacchere, mentre a volte si fanno prendere  e confondere da esse, sottostando ai loro meccanismi contorti.

Può capitare che i giornalisti, magari mossi da motivazioni personali, esagerino nello svolgere il loro ruolo di informatori divenendo dei veri e propri trampolini di lancio per l’amplificazione e l’espansione di voci di poca consistenza che però attirano un così vasto pubblico (pensiamo alla diffusione di periodici di stampa scandalistici). In questo caso si può affermare che siano gli stessi informatori a subire una sorta di manipolazione e di pressione. 

La curiosità che alimenta la gente rispetto ai fatti altrui, sia che si tratti di personaggi famosi come per la stampa scandalistica, che di perfetti sconosciuti protagonisti di un reality show, è il cardine del profitto economico che i mezzi di comunicazione sono in grado di fare sfruttando la potenza sociale del pettegolezzo.

Bibliografia

  • Fattorello F., La teoria della Tecnica sociale dell’informazione, a cura di G., Ragnetti, QuattroVenti, Urbino, 2005
  • Marcarino A., Il “pettegolezzo” nella dinamica comunicativa dei gruppi informali, QuattroVenti, Urbino, 1997
  • Ragnetti G., Opinioni sull’Opinione, QuattroVenti, Urbino, 2006.