L’applicazione implicita della tecnica sociale nell’Antropologia

Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”

Corso di laurea in Editoria, Media e Giornalismo

ESAME DI TECNICHE DI RELAZIONE
PROF. GIUSEPPE RAGNETTI

Stud. MARTINA CELEGATO
Anno acc. 2009/2010

L’APPLICAZIONE IMPLICITA DELLA TECNICA SOCIALE NELL’ANTROPOLOGIA CULTURALE

1. La nascita dell’antropologia culturale

L’antropologia (come dice la stessa etimologia greca della parola ànthropos = “uomo” e lògos = nel senso di “studio”) è attualmente una disciplina sociale che si configura all’interno del grande insieme delle scienze umane in due grandi ramificazioni: da un lato quella culturale che più si concentra nello studio delle reti sociali, dei comportamenti, degli usi e costumi, degli schemi di parentela, delle leggi e istituzioni politiche, dell’ideologia, delle religioni e credenze, degli schemi di comportamento nella produzione e nel consumo dei beni e negli scambi e nelle altre espressioni culturali; dall’altro lato quella fisica o biologica, per così dire più “antica”, che studia l’evoluzione delle caratteristiche fisiche degli esseri umani, la genetica delle popolazioni e le basi biologiche dei comportamenti della specie umana e dei suoi parenti più stretti, le grandi scimmie (primatologia).

Con l’avvento dell’Illuminismo iniziarono gli studi sistematici della specie umana, studi che diedero vita alla cosiddetta corrente fisica o biologica dell’antropologia che quindi in questo periodo si caratterizza più come vera e propria scienza che come disciplina sociale.

Questo periodo, per così dire “fisico” dell’antropologia sarà un grosso limite per lo sviluppo della disciplina soprattutto perché verrà ripreso nel XX secolo, precisamente in Italia.

Non è comunque un caso che l’antropologia si sviluppi proprio durante questo periodo. Questo infatti è il periodo delle grandi colonizzazioni, i periodo in cui i grandi stati europei si stanziano in zone quali l’India, l’Africa e le Americhe. Ma questo è anche il periodo in cui le teorie evoluzioniste di Darwin, dopo un breve periodo di titubanza, vedono il loro massimo splendore e vengono applicate non solo al campo della biologia ma anche a quello umano e sociale.

L’antropologia culturale, come oggi la intendiamo noi, nasce ufficialmente nel ‘800, principalmente in Gran Bretagna per mano di Edward Tylor e Lewis Henry Morgan, e apporta grandi variazioni alla cosiddetta antropologia fisica anche se ne mantiene ancora alcune caratteristiche.

Questa antropologia, giustamente nei manuali definita etnologia, è ancora fortemente caratterizzata da una relazione indiretta e interposta dell’antropologo con le società considerate “altre”: infatti non era l’antropologo che si occupava di analizzare direttamente queste società, ma al contrario questo veniva fatto da un etnografo (spesso semplici mozzi di navi che si dirigevano in terre lontane) il cui compito era quello di raccogliere più informazioni possibili osservando questi popoli e dialogando con chi ne era venuto a contatto.

Questi taccuini venivano poi recapitati al cosiddetto antropologo che rielaborava le informazioni riportate. Questo dava quindi alla disciplina un taglio fortemente autoritario e semplicistico nel senso che ovviamente l’antropologo non poteva cogliere le sottili sfaccettature delle nuove realtà sociali, ma, per forza di cose doveva limitarsi a un giudizio fermo e distaccato.

Non bisogna comunque dimenticare che un importante fattore politico in influenzava queste ricerche cioè quello del colonialismo, che si doveva tutelare al fine di tutelare altresì il proprio lavoro. Quindi nonostante queste ricerche dal punto di vista della disciplina abbiano un valore abbastanza limitato o quasi nullo, all’interno del loro contesto storico-sociale rappresentano una forma di innovazione che non può passare inosservata.

Già con l’avvento del Romanticismo la visione di queste società “altre” viene valorizzato dal punto di vista della formazione sociale, anche se il forte limite di questa tradizione, sebbene totalmente opposto a quello precedente, è quello di creare il mito del selvaggio, dell’opposizione natura-cultura, che se da un lato è importante per rimuovere il senso di superiorità proprio dell’Occidentale e della sua tradizione sociale, da un lato ne limita le ricerche più strutturali e mirate.

Nel XX secolo gli antropologi per la maggior parte rifiutarono la concezione secondo la quale tutte le società umane dovrebbero passare attraverso tutti gli stadi di sviluppo nello stesso ordine, quindi la teoria Darwiniana applicata alla società, e dalle ceneri di questa tradizione nacquero le due più grandi teorie antropologiche destinate a stravolgere la storia e le modalità della stessa: lo strutturalismo francese di Claude Levi-Strauss e il funzionalismo inglese della Scuola di Manchester e di Bronislaw Malinowski.
Con queste due correnti culturali infatti nasce la concezione dell’antropologia ancorata alla realtà che no può essere descritta per così dire “a distanza” ma deve essere guardata e testata.

Tutti questi antropologi infatti scrivono i loro testi e traggono le loro conclusioni solo ed esclusivamente dopo aver passato un periodo più o meno lungo a contatto diretto con le società considerate “altre” ( Levi- Strauss nei Tropici e nell’Amazzonia, Malinowski nelle Isole Trobriand….).

Proprio grazie alla “discesa in campo” diretta degli antropologi nasce quella che oggi è considerata la caratteristica principale e peculiare della ricerca antropologica: l’osservazione partecipante. Questa tecnica di ricerca è fondata sull’osservazione appunto delle società, delle tradizioni e delle relazioni con l’antropologo che si pone a diretto contatto con esse, chiedendo informazioni, interagendo con i soggetti e a volte provando sulla sua stessa pelle alcune esperienze più difficili da descrivere.

2. il passaggio dell’antropologia da informazione non contingente riconosciuta a informazione contingente

Come già detto tracciando brevemente la storia dell’antropologia nel paragrafo precedente essa è nata come una ramificazione principalmente della sociologia e più in generale delle discipline sociali.

Come tale l’antropologia intesa, come del resto tutte le discipline sociali alla loro nascita, si può dire quindi venga definita come una disciplina non contingente, statica, da insegnare così come si propone sulle basi etnografiche e porta insita in sé stessa tutte le caratteristiche dell’informazione non contingente cioè:

• La materia, cioè le ricerche e le informazioni etnografiche sono cristallizzate;

• Non ha limiti di tempo, le ricerche necessitano di tempi lunghi sia di stesura che di rielaborazione;

• Le novità non sono frequenti e comunque non manomettono le caratteristiche principali del corpus di teorie;

• Il promotore delle teorie è comunque un antropologo o etnografo ben qualificato con una certa fama all’interno del suo ambito scientifico e politico di appartenenza;

• Il recettore di tali informazioni è solitamente un soggetto qualificato alla ricezione di tali nozioni, l’etnografia non è soggetta a divulgazione popolare;

• Il contenuto è specifico e non generalizzabile (l’analisi di determinate popolazioni no è espandibile ad altre)

• Si basa sull’esistenza di determinati processi logici razionali e valori già esistenti all’interno della comunità scientifica,

• Vi sono degli strumenti e delle tecniche che vengono utilizzate solo ed esclusivamente per queste ricerche e per la conferma di queste teorie,

• È bilaterale nel senso che le teorie possono essere ampliate o approfondite con nuove ricerche senza però variarne il senso principale.

Come si può facilmente dedurre con le nuove scoperte sociali da parte di tutte le discipline che si occupano di tale argomento un’impostazione così rigida e precostituita non è certamente accettabile, infatti dalle impostazioni di Bronislaw Malinowski in poi l’antropologia, assumendo consapevolezza dei suoi limiti e delle sue insite potenzialità, si pone in un’ottica meno storicistica e più contingente, coordinandosi ( e non subordinandosi) alle altre discipline sociali, quindi ponendosi i un’ottica più contingente.

Quindi vi è un passaggio formale da informazione non contingente riconosciuta a informazione contingente:

• La materia, cioè gli studi e le ricerche sono i continua variazione cioè possono cambiare di volta in volta, approfondendo peculiari caratteristiche;

• Vi sono dei limiti di tempo dettati dall’ambiente accademico e soprattutto dalla consapevolezza della sempre più rapida dissoluzione delle società che si studiano;

• Vi sono frequenti novità, dovute soprattutto al fatto che le realtà sociali e culturali subiscono profonde e costanti variazioni;

• I promotori delle teorie non sono solo antropologi affermati ma nella maggior parte dei casi ricercatori o seguaci di determinate teorie;

• I ricettori oltre ad essere qualificati in materia sono anche i comuni studenti di qualsiasi facoltà umanistica (non è un caso infatti che vi sia un corso di antropologia culturale in pressoché tutte le lauree che confluiscono sotto la facoltà di lettere e filosofia);

• Si tenda di far in modo che il contenuto sia sempre più generalizzabile e applicabile a più società possibili;

• Qualsiasi teoria già esistente può essere confutata e rielaborata per una maggiore comprensione del fenomeno sociale;

• Sebbene vengano mantenuti gli strumenti “storici” della ricerca non si escludono totalmente altre tipologie di ricerca;

• Può essere un processo unilaterale, anche se in linea di massima si mantiene bilaterale.

In linea di massima si può dire che questi siano stati i maggiori cambiamenti riguardo alla disciplina antropologica anche se mi sento di sottolineare che, essendo una disciplina accademica, e in quanto tale fonte di insegnamento e apprendimento, alcune caratteristiche dell’informazione non contingente si mantengono, soprattutto nello studio della storia antropologica, ed è giusto che sia così, per non perdere l’autorevolezza che le è stata attribuita con tante difficoltà.

3. il rapporto “studioso-studiato” e le sue evoluzioni

Fino ad adesso ho volutamente trascurato il rapporto diretto dell’etnografo e successivamente dell’antropologo con le popolazioni e le culture che si pone ad analizzare.

Come prima infatti vi sono delle sostanziali differenze tra il primo periodo più etnografico e quello più spiccatamente antropologico. Nel periodo etnografico infatti si può vedere come, sia per l’influenza dell’evoluzionismo sia per una sorta di superiorità sociale insita nell’europeismo in sé, l’etnografo, e poi l’antropologo che rielabora le informazioni, si pongano con un certo distacco nei confronti delle popolazioni che si vanno a valutare.

“Il selvaggio”, sostantivo che viene spesso attribuito a queste popolazioni, viene visto come una sorta di cavia, di target da colpire, di soggetto senza capacità pensanti o volontà, atteggiamento questo che limita fortemente lo sviluppo di una disciplina sociale in senso lato, che ne minimizza gli sforzi e che soprattutto semplifica l’articolazione inevitabilmente. Il non-capire il soggetto con il quale si vuole fondare una teoria, il non-capire le motivazioni di determinate usanze o riti, li semplifica con mere descrizioni.

Nella seconda fase, cioè quella antropologica e soprattutto quella più contemporanea, al contrario, la considerazione del soggetto analizzato, il suo studio e soprattutto le sue esigenze sono state messe al centro di discussioni che sono tuttora vivaci e molto sentite all’interno della comunità accademica mondiale.

Attraverso le modalità dell’osservazione partecipante infatti quello che prima era catalogato come “selvaggio” ora viene considerato come “uomo”, “essere pensante” e le sue esigenze come tali vengono percepite e approfondite. Proprio con il metodo di indagine infatti i soggetti studiati vengono direttamente a contatto con gli studiosi, i quali tentano di capirne caratteristiche e necessità, per poter portare avanti una ricerca ricca di presupposti teorici come di conoscenze pratiche.

Si può quindi dire che proprio in questa fase vi è una comunicazione fattorellianamente intesa, con soggetto promotore e soggetto recettore che collaborano e formano un corpus di opinioni fondato e ricco.

Conclusioni

Nonostante la storia dell’antropologia sia ovviamente più ampia e articolata spero che le semplificazioni e la sintesi qui riportate siano abbastanza esaurienti da far capire l’importanza delle evoluzioni che sono avvenute al suo interno. La comprensione di tali cambiamenti è di vitale importanza per un approccio creativo e non solo passivo allo studio della disciplina stessa.

Il cambiamento radicale avvenuto ovviamente non è solo per la disciplina antropologica, ma coinvolge tutte le discipline sociali e la teoria della Tecnica sociale dell’informazione mi ha aiutato a palesare le sostanziali variazioni avvenute e che ancora stanno avvenendo. Inoltre mi ha aiutato a vedere come sia di primaria importanza la comprensione del recettore, o del soggetto “studiato” per poter dare il giusto ruolo a colui senza il quale non avrebbe senso parlare di “ricerca”.

Riferimenti Bibliografici
Fattorello, F. “ Teoria della tecnica sociale dell’informazione”, QuattroVenti, Urbino, 2005
Ragnetti, G. “Opinioni sull’opinione”, QuattroVenti, Urbino, 2006
Fabietti, U. “Storia dell’antropologia”, Zanichelli, Bologna, 2005 [2001]
Clifford, J. e Marcus G. E. (a cura di), Scrivere le culture: poetiche e politiche dell’antropologia, Meltemi, Roma, 1997 [1986].
Fabietti, U., Antropologia culturale: l’esperienza e l’interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 1999