Il paradosso della “Persuasione”

Lectio presso l’Accademia San Marco – Pordenone, Città natale di Francesco Fattorello


Quando si parla di “persuasione”, il significato che le si attribuisce è molto spesso negativo. Persuadere, nell’immaginario comune, significa detenere il potere e far fare agli altri quello che si desidera. Abbiamo visto come fin dai tempi di Aristotele esiste una teoria centrale della persuasione, che si collega strettamente  alla retorica, la quale ha evidenziato come si ottenga il massimo delle presa sull’uditorio quando si adattano le proprie linee di ragionamento all’uditorio stesso.

Tale concetto è bene espresso dalla Tecnica Sociale dell’Informazione del prof. Francesco Fattorello che è stata l’impostazione che abbiamo seguito per la nostra analisi.

La Tecnica Sociale ha restituito dignità al soggetto recettore rendendolo protagonista del processo comunicativo che è di natura sociale.

Questo vuol dire che il processo dell’informazione e dell’adesione di opinione ha un carattere sociale, figlio del tempo e del contesto in cui si realizza e precede sempre senza, tuttavia, determinare il comportamento del recettore.

La formula ideografica è chiara: il Sp informa la X), cioè la interpreta secondo la sua visione e la trasmette al Sr attraverso un mezzo (M) congeniale a questo ultimo, proponendo una formula di opinione adeguata al soggetto recettore stesso che, dunque, va studiato anteriormente. Il Sr può aderire o non aderire, ma il processo si ferma lì. Stop!

Il conseguente comportamento che assumerà il nostro soggetto recettore non riguarda il processo e né, tanto meno, può essere determinato dallo stesso.

Il soggetto recettore può aderire al messaggio che gli abbiamo confezionato ad hoc, ma per tutta una serie di motivi che prescindono dalla natura sociale del processo, può non assumere il comportamento che noi auspichiamo (cioè gli può piacere la pubblicità che abbiamo proposto, ma questo non implica necessariamente che poi acquisti il prodotto presentato, per tutta una seri di motivi, specifici e particolari per ognuno di noi).

Partendo da ciò, l’unica cosa che si può fare è operare sulle opinioni dei recettori e realizzare il messaggio nel modo più adatto per ognuno di loro, ecco perché parliamo di adesione di opinione.

Adesione che verrà data se ci sarà una convergenza di interpretazione sull’opinione proposta.

Ed è proprio qui che risiede il paradosso della persuasione: il ‘persuasore’ deve solo incanalare la forza delle convinzioni e delle argomentazioni già presenti ed attive nell’interlocutore.

Eufrasia d’Amato e Giuseppe Ragnetti

“L’Attualità” – Così scriveva Francesco Fattorello nell’Aprile del 1975

Il giornalista, l’informatore dei fatti del giorno, dei fatti contingenti, per eccellenza, ha come oggetto delle sue attività professionali l’attualità.

Che cosa è l’attualità, che cosa sono i fatti del giorno? Scrive Guy Gauthier in un suo volume dal titolo “L’actualitè, le journal et l’èducation” (Paris; Tema editions 1975) “l’èvenèment est  un rècit de presse ». E la definizione può andar bene se si sa che cosa vuol dire “relazione giornalistica”, se si sa quali sono i vincoli dai quali è condizionata la stesura giornalistica.

Questi “rècit  de presse” suscitano in noi una certa emozione più o meno immediata. Possono esercitare anche un’emozione collettiva alla quale più o meno possono partecipare i recettori del giornale come un recettore di gruppo.

Naturalmente il “rècit de presse” non è una narrazione storica. La storia ha per oggetto i fatti trascorsi di cui conosciamo il principio, lo svolgimento e la fine. Qui ci troviamo, invece, nel bel mezzo dei fatti, ci troviamo nel mezzo degli avvenimenti ancora in via di svolgimento o appresso ai fatti di cui riteniamo di conoscere un certo svolgimento contingente.

E il rendiconto giornalistico dell’avvenimento, proprio per il suo rapporto ancor immediato col fatto, ha qualche cosa di vivo, come ha scritto Pierre Nora, qualcosa che, inserito nel contesto del giornale e per il rapporto diretto “ancora caldo” con l’avvenimento, suscita qualche effetto, emana delle “onde” che sono la sua forza sociale, quasi gli impulsi di qualche cosa ancora animata.

Ora,  mentre la storia non può incominciare se non dopo che quelle “onde” hanno cessato di farsi sentire, il giornalista proprio quelle “onde” deve percepire: in esse il senso dell’attualità.

Si aggiunga ancora che, mentre nella tradizione del giornalismo occidentale l’attualità è la realtà sociale immediata, ancora palpitante, realtà sociale contingente, non attinente a ciò che fu ma a ciò di cui l’informatore è testimone o partecipe e di cui riferisce, come altri ha detto, “al ritmo del presente”; nella tradizione del giornalismo a marxista-leninista l’attualità attiene non soltanto alla realtà sociale contingente, ma è soprattutto una valutazione di essa dal punto di vista politico e ideologico dell’editore, del giornalista e del lettore.

Non si tratta di una realtà astratta, rilevata secondo una teoria obiettivistica: perché se tale fosse non sarebbe più una realtà giornalistica.

Secondo Vladimir Hudec (di cui è apparso un saggio in “Journaliste dèmocratique”, n.2 del 1975) non si tratta di una realtà astratta. E’ il contenuto sociale con i suoi tratti politico-ideologici, il suo valore differenziato secondo interessi di classe e di partito che fa di una attualità una attualità giornalistica . L’attualità (sono sempre concetti di Hudec) non esiste da sola. Non si tratta di una presa di conoscenza, ma di una valutazione di quella attualità utilizzata nella lotta di classe per imporre le tendenze ritenute più giuste per lo sviluppo sociale.

Questa è la concezione dell’attualità in funzione giornalistica che discende dalla interpretazione politica del giornalismo marxista-leninista.

Dice ancora Hudec che, nel mondo occidentale, giornale, cinema, radio e televisione ritengono di avere come fine quello di fornire delle informazioni obiettive. Ma poiché non si possono presentare tutte le informazioni, esse sono presentate sempre secondo una scelta delle più interessanti o delle più importanti , e questa scelta è già una valutazione secondo determinati interessi e determinate ideologie.

Lo aveva già affermato uno dei maggiori maestri della propaganda politica: Lenin, quando diceva che un giornale deve avere un orientamento permanente. Un giornale senza orientamenti è una cosa assurda.

Così scriveva Francesco Fattorello nell’Aprile del 1975

Opinioni sull’Opinione

“L’uomo non può esimersi dall’esprimere opinioni su tutto ciò che lo riguarda direttamente o che, semplicemente, lo sfiora ma non conosce i mille “limiti” dell’opinione.”

Il libello “OPINIONI SULL’OPINIONE” è stato, per anni, uno dei testi che gli studenti dovevano leggere per preparare l’esame di “Scienze della Comunicazione” all’Università di Urbino.

Gli studi accademici, in Italia, non si sono occupati frequentemente dell’opinione: da una parte gli studiosi non le dedicano molta attenzione, dall’altra i cosiddetti “esperti” e quelli “neanche-esperti” ne parlano e straparlano in ogni occasione e in ogni contesto senza conoscerne minimamente la struttura e i meccanismi evolutivi. E allora sentiamo (ancora!), parlare di informazione obiettiva, condizionamento, persuasione occulta, messaggi subliminali, strapotere dei mezzi di comunicazione, di par condicio, e di altre amenità che quotidianamente ci vengono somministrate senza un minimo humus scientifico che renda il tutto appena credibile.

E’, tuttavia, quello dell’opinione un argomento affascinante che ci coinvolge tutti i momenti, tutti i giorni, tutta la vita.

L’uomo non può esimersi dall’esprimere opinioni su tutto ciò di cui viene a conoscenza, su tutto ciò che lo riguarda direttamente o che semplicemente lo sfiora, ma non conosce i mille limiti dell’opinione. Opinare è quasi un’esigenza fisiologica al pari del respirare o del parlare: e, forse, è proprio questo innato, naturale meccanismo mentale, ad affievolire l’interesse per lo studio e l’approfondimento del fenomeno. Giungiamo fino al paradosso che non esistono insegnamenti di “scienze dell’opinione” nelle scuole che preparano i tecnici dell’informazione, i giornalisti cioè, per i quali, invece, l’opinione rappresenta la materia prima, componente di base insostituibile di tutto il loro lavoro.

Questa non conoscenza, questa sciatta trascuratezza didattico-formativa consente ancora oggi a direttori di importanti quotidiani nazionali di affermare: “il nostro giornale, come sempre ha fatto, terrà separati i fatti dalle opinioni”. E, arrivando alla stazione di Roma Termini, non può non colpirci la pubblicità di un giornale della capitale che recita, ancora una volta, “I fatti e le opinioni”.

Ed ecco perché, con grande modestia e con piena consapevolezza dei limiti del nostro contributo, ci siamo lasciati convincere a mettere nero su bianco quello che andiamo raccontando, ahimé da molti anni, nei nostri corsi nei contesti più diversi.


Il libro è semplicemente una raccolta dei contenuti di tante mie lezioni: non c’è nulla di inedito e non ha pretese di originalità. I contenuti delle lezioni, a loro volta, derivano in parte da precedenti dispense che, partendo dagli insegnamenti del Prof. Fattorello, si sono via via aggiornate ed ampliate, ed in gran parte da riflessioni personali e dalle fonti più diverse. La bibliografia è modesta per il semplice fatto che tutto quello che ho detto nelle lezioni l’ho appreso da altri ma, spesso, non ricordo né mi interessa la fonte. Se ho dato la mia adesione alle opinioni da altri proposte, significa che le stesse mi hanno interessato, che le ho valutate e condivise e, quindi, fatte mie!

Ho avuto sempre pudore a scrivere qualcosa per non voler essere identificato come uno dei tanti replicanti: tutto ciò che c’era da dire è stato già detto in maniera migliore, in altre epoche, dai grandi del passato. Ho, poi, capito che tutti i miei pensieri, le mie idee, non erano mie. E allora, ho accettato gli incoraggiamenti che mi venivano da più parti: ora, voglio scrivere per restituire tutto ciò che mi era stato dato in prestito. Nel transito della vita mi è stata concessa la “servitù di passaggio”, ma la proprietà rimane ad altri.

Secondo il filosofo Pascal, “l’opinione è la regina del mondo”[1].

L’opinare è una funzione sociale. Noi abbiamo delle opinioni solo in quanto pensiamo “socialmente”.

L’opinione tende, in definitiva, a situarci in una determinata posizione nell’ambito del gruppo al quale apparteniamo (in quel momento!).

I problemi di opinione sono posti a noi belli e fatti. La nostra riflessione è libera, senza dubbio, di risolverli nella maniera a noi più confacente, ma non è essa che li ha inventati. L’opinione individuale è sempre il frutto dell’interazione sociale. Nessuna opinione è mai stata veramente autonoma: per esistere e sostenersi, seppure per un brevissimo lasso di tempo, essa ha bisogno di appoggiarsi a mille e mille preesistenti opinioni, alle quali ha di volta in volta aderito, anche senza assumerne consapevolezza. E allora, l’opinione “individuale” per sua natura non può che essere “collettiva”: senza condivisione o senza disaccordo e, in definitiva, senza “pubblicità” l’opinione non sarà mai nata e, pertanto, non potrà mai esistere. Sono gli altri che nel loro essere “altro da me” mi autorizzano e legittimano il mio “secondo me… a mio giudizio … a mio modo di vedere…”, me … mio … mio modo …, che non potrei neppure pronunciare se non fossi certo dell’esistenza del tuo … vostro … loro … .

Ricordo di aver letto in gioventù un autore spagnolo che affermava “i morti comandano”: il nostro presente e il nostro futuro non possono prescindere dal passato, dai nostri morti. Sono loro che dettano le regole del presente, sono loro il nostro irrinunciabile patrimonio genetico che ci permette di vivere anche se in termini antitetici e senza condivisione, nel tentativo, a volte disperato, di superarli, di andare oltre per essere noi stessi i morti del domani, che, continuando a tessere le maglie di una catena senza fine, potranno finalmente “comandare” le generazioni future.

E allora, ogni mio pensiero, ogni mia opinione su tutto l’opinabile non può prescindere da tutto ciò che mi ha preceduto, da tutto ciò che altri, prima di me, hanno opinato. L’opinione, pertanto, non può che ribadire la sua connotazione di impossibile autonomia, di improponibile spontaneità, di illusoria indipendenza.

Nella storia dell’umanità sono apparsi, molto raramente, personaggi forniti di intelligenza superiore e noi, nelle diverse discipline del sapere, li abbiamo considerati originali, creativi, innovativi, spiriti ispiratori. Il loro essere fuori dal comune ci ha costretti a classificarli con un termine fuori dal comune: li abbiamo chiamati geni!

In tal caso, l’idea che li ispirava non stava in rapporto con delle determinanti individuali prestabilite. Questa idea era un’intuizione, innanzi tutto, di cui neppure loro potevano vedere le conseguenze intellettuali e sociali che ne sarebbero scaturite.

L’uomo che cerca di pensare da solo, nell’inseguire una impossibile autonomia perché, comunque, le sue opinioni deriveranno, in qualche modo, da opinioni preesistenti, non cerca di riunire attorno a se un gruppo che sposerà le sue opinioni e le sosterrà. Egli è solo preoccupato di arrivare allo scopo e, perciò, incorre nell’incomprensione, nello scherno, nel ridicolo.

Per quanto mi riguarda, con grande realismo e con un pizzico di autoironia, desidero, invece, iscrivermi al partito che A. Camus auspicava quando affermava che “se mai esisterà il partito di quelli che non sono sicuri delle proprie opinioni io potrò farne parte”.

Prof. Giuseppe Ragnetti

Qui il libro Opinioni sull’opinione in formato PDF

[1] “L’opinion est la reine du monde”, B. Pascal (1623-1662), Pensées, V, 311.

La Tecnica Sociale Fattorelliana

Un Fattorello in Famiglia …

Persuasione o adesione di opinione? Il sogno della persuasione attraverso i secoli

La Tecnica Sociale dell’Informazione e l’Opinione

Università degli studi “Carlo Bo” Urbino – Corso di Laurea Specialistica in “Editoria Media Giornalismo”

A cura di Eufrasia D’Amato

  1. Il mondo della comunicazione e … la comunicazione con il mondo.

Colui che è in grado di cambiare continuamente, adeguandosi alle esigenze dei soggetti che incontra, viene considerato un buon comunicatore. Non si parla ne di magia ne di poteri occulti, ma soltanto di un po’ d’attenzione e capacità di ascolto.

Chi sa esprimere le proprie idee, scegliendo i mezzi e le formule d’opinione più adatte per coinvolgere il pubblico viene considerato dal Prof. Ragnetti , un buon comunicatore. Il Prof. Ragnetti ha più volte sottolineato, durante le lezioni, che la prima cosa da imparare per poter comunicare è l’ascoltare chi si ha davanti. L’informatore in grado di capire le esigenze dei propri recettori riesce a comunicare con loro, utilizzando i mezzi più adatti per essere compreso. Ascoltare per conoscere, conoscere per capire, capire per comunicare, comunicare per agire: è questo l’assioma che il prof. ci ha ripetutamente proposto.

  1. Informazione fenomeno sociale.

Se con l’informazione si concreta un processo che salda il rapporto fra chi informa ed il suo recettore, si manifesta anche l’inclinazione dell’uomo a vivere in società. Sono i rapporti d’informazione, infatti, che consentono all’uomo di associarsi con gli altri uomini. Da qui si deduce che l’informazione è un fenomeno sociale e quindi si mette in pratica mediante una tecnica sociale. Questa permette di agire sulle opinioni degli uomini. Questi ultimi sono i protagonisti del rapporto d’informazione: definiti come soggetto promotore e soggetto recettore.

Per analizzare il fenomeno sociale, quindi, è necessario conoscere i due soggetti protagonisti del rapporto d’informazione, l’oggetto del rapporto ed il mezzo utilizzato per concentrare il rapporto stesso. Quando tutti questi elementi vengono presi in considerazione si realizza non solo un’informazione, perché si rende partecipe qualcun altro delle nostre idee. E’ importante percepire il mondo degli altri, perché siamo in ‘comunicazione’ continua con chi ci circonda. Il mondo d’oggi è basato sui rapporti di comunicazione e sulle relazioni pubbliche. E’ necessario quindi rivalutare le tecniche di comunicazione, alla luce di quelle fattorelliane.

  1. Informazione dell’attualità.

Seguendo l’impostazione teorica fattorelliana, possiamo affermare che l’informazione s concreta in no speciale rapporto fra i due termini principali: quello promotore e quello recettore. Oltre a questi due termini principali, è necessario considerare lo strumento che salda il rapporto tra i primi ed il suo contenuto. Quest’ultimo termine è la forma di ciò che è oggetto del rapporto di informazione, che resta fuori dal rapporto stesso.

In questa luce possiamo riconsiderare anche l’informazione pubblicista, il cui promotore risulta essere il giornalista, che dà inizio al processo dell’informazione. Lo strumento è il giornale e la forma data al fatto del giorno è la notizia. Il recettore si configura con il lettore e l’oggetto di cui si parla con il fatto del girono. Evidente quindi l’importanza che il giornalista apprenda la tecnica sociale dell’informazione.

Tecnica sociale fattorelliana.

La comunicazione, legata allo status sociale di ciascuno, è un elemento di un complesso sistema organico in cui tutte le componenti hanno un proprio significato. Cambiando quindi il contesto ed i mezzi in una comunicazione, cambia anche l’efficacia di quest’ultima e la percettività dei suoi soggetti. Analizzando più da vicino i termini della tecnica sociale, si può affermare che vengono indicati come:

  • x) il motivo per il quale si mette in atto il processo di comunicazione
  • Soggetto promotore: che deve trasmettere il messaggio
  • Soggetto recettore: del messaggio, che interpreta secondo i propri schemi il messaggio ricevuto
  • M: il mezzo utilizzato per comunicare
  • O: la visione o l’opinione sulla quale si mira ad ottenere l’adesione di opinione del recettore.
  1. Il Soggetto Promotore.

Colui che trasmette non un fatto ma la forma che ha data a ciò che ha interpretato viene definito soggetto promotore. Soggetto perché in prima persona è il promotore di un’informazione o meglio di un’interpretazione di un fatto con cui cerca di rappresentare qualcosa ad altri.

In qualsiasi situazione, sia essa una comunicazione in ambito familiare o lavorativo o diversamente a livello mondiale, il soggetto promotore esprime sempre un proprio pensiero, in merito a qualcosa. Anche quando è richiesta l’obiettività assoluta. Ogni uomo come soggetto opinante è portato ad opinare su tutto, anche su ciò che non conosce. Questo significa che nella soggettività dell’informazione risiede il suo valore e che l’informazione sa nel gioco delle interpretazioni. Potrebbe sembrare un discorso insensato, ma in questo risiede la grande innovazione degli studi fattorelliani. Considerando che ciascuno di noi ha una propria visione del mondo, creata in base alle esperienze e al bagaglio socio-culturale, è facile capire il perché ciascuno interpreti uno stesso fatto a modo proprio. La percezione, infatti, è un processo che elabora gli stimoli, attraverso meccanismi di filtro percettivo che determinano la nostra mappa del mondo. E’ chiaro quindi come sia impossibile interpretare e trasmettere oggettivamente un fatto. Analogamente vale per chi riceve l’informazione.

  1. Il soggetto recettore

Il soggetto recettore è anche lui definito soggetto perché non ascolta passivamente le informazioni che gli vengono comunicate, bensì, attraverso la sua mappa del mondo, le percepisce, le interpreta e a sua volta le comunica. Con la messa in atto di un processo di informazione, infatti, hanno inizio le responsabilità sociali di un informatore, che dà avvio ad una catena di rapporti di informazione che potrebbe svilupparsi all’infinito. Per questo motivo se il promotore trasmette un messaggio interpretando la realtà come il recettore, ottiene il suo scopo.

La comunicazione ha successo quando chi si fa promotore di un processo d’informazione capisce esattamente quello che i suoi soggetto recettori vorrebbero sentire. Questi ultimi, a loro volta, lo comunicano diventando promotori di una nuova comunicazione. L’obiettività quindi è la negazione dell’informazione, perché informare equivale a dare il proprio punto di vista.

  1. Il simbolo X).

La X da sempre rappresenta un’incognita, qualcosa o qualcuno che non si conosce. Anche nei processi di informazione equivale a ciò che è oggetto di un’informazione. Sia esso un fatto, un’ideologia, un prodotto, ecc. E’ evidente che in una successione di rapporti di informazione, come avviene nella realtà del fenomeno, in luogo del punto X) è operante il precedente rapporto. Quello di cui si parla, il motivo per cui sia articola un rapporto di informazione resta fuori dal rapporto perché non è di importanza vitale per lo sviluppo di un processo. Quello che realmente interessa è lo studio del soggetto recettore e del mezzo più efficace per comunicare e far capire ciò di cui si parla. Perché in un rapporto di comunicazione l’insuccesso e quindi l’inefficacia di un qualsiasi messaggio, risiede nel comunicare senza essere capiti.

  1. Il linguaggio del mezzo.

Il mezzo, questo sconosciuto per la grande maggioranza dei comunicatori odierni, ha suggellato molti insuccessi anche in grandi campagne pubblicitarie. Nello sviluppo della tecnica sociale fattorelliana, invece, riveste un ruolo fondamentale. Se non si considera, infatti, il mezzo più adatto per raggiungere il bersaglio di una comunicazione, non si possono ottenere risultati efficaci. Il metodo utilizzato diventa dunque la base del risultato. Che sia audiovisivo, meccanico, verbale, un mezzo risulta essere lo specchio della società in cui si esprime, strumento di formazione del costume e delle opinioni. Come queste, quindi, è sensibile al cambiamento e le sue innovazioni sono continue.

Il mezzo ha un proprio linguaggio. Parla la lingua del recettore a cui si riferisce, o meglio, così dovrebbe essere in una corretta comunicazione. Tuttavia bisogna porre attenzione a non confondere le prerogative del massaggio con quelle del mezzo e non attribuire quest’ultimo responsabilità che non gli competono. Proprio perché si tratta di un mezzo, infatti, di uno strumento, la sua funzione resterà sempre e comunque “funzione d’uso”, al servizio dell’opinione che si vuole accreditare.

  1. Il termine ‘O’.

Con la lettera ‘O’ viene identificata la forma della rappresentazione, la manifestazione dell’opinione sulla quale si mira per ottenere l’adesione del recettore. Ogni azione, infatti, ogni cosa che è motivo di un processo di informazione riceve la sua forma dallo scopo dell’informazione e della cultura che ha socializzato il promotore ed il recettore. Questa rappresentazione di ciò che viene espresso dal soggetto, è una nuova rappresentazione derivata dal processo di opinione e configurata in modo tale da provocare l’adesione del recettore. Le informazioni sono ‘formule d’opinione’.

“L’opinione in particolare si concreta nell’adesione a determinate formule, di un’attitudine che può essere valutata sulla scala delle opinioni”. Per un tecnico dell’informazione, l’opinione pubblica è il campo d’azione di ogni suo lavoro, pertanto, è importante valutare il giudizio e l’attitudine del recettore.

  1. La storia dell’opinione.

La storia dell’opinione affonda le proprie radici nella filosofia greca. Il dilemma di quanto questa verità sia opinabile e quindi soggettiva ha coinvolto nei secoli filosofi e studiosi che hanno cercato di dare all’opinione una definizione. Platone ha scritto che “all’opinione piace opinare”, perché deriva dai sensi e dagli stimoli della realtà esterna. Questo dimostra non solo la sua imperfezione e mutevolezza ma anche la sua contrapposizione alle scienze matematiche. Hegel ha parlato del concetto sostenendo l’inesistenza di un’opinione filosofica, essendo al filosofia una scienza universale. Anche per Kant l’opinione non può essere motivo di scienza, perché ha valore soggettivo, ma è proprio questa caratteristica a far si che la comunicazione sia lo stimolo e la fonte principale delle opinioni. Questa è la grande rivoluzione degli studi fattorelliani, ogni verità è considerata un’opinione individuale, ossia l’opinione cambia con il mutare della società dei soggetti e degli ambienti, come la definì Cicerone, imbecillam assertionem.

  1. Le fasi dell’opinione.

Gli studi sociologici sul fenomeno dell’opinione abbracciati dalla scuola di comunicazione ‘Francesco Fattorello’, condividono quelli affrontati da Stoetzel. L’autore francese, in chiave sociologica, ha studiato non solo la natura e la configurazione del fenomeno opinione, ma anche i motivi che determinano un’adesione di opinione e quali soggetti vengono coinvolti. considerando che un’opinione è sempre relativa ad un problema determinato (materia d’opinione) su cui il soggetto esprime il proprio punto di vista (forma dell’opinione), esistono varie fasi attraverso le quali il recettore passa prima di aderire all’opinione propostagli.

Prima di giungere ad adottare come propria l’opinione del promotore, il soggetto recettore ha bisogno di entrare in contatto con il problema opinabile. Questa prima fase presume un’abilità del promotore che deve carpire l’attenzione e l’interesse fornendo un messaggio attrattivo ed efficace (formula d’opinione proposta). A questo punto il recettore confronta automaticamente l’opinione proposta ed il proprio schema globale di valori, valuta l’informazione e decide: le opinioni in sintonia con il suo modo di pensare vengono ascoltate, le altre rifiutate. Quindi adozione o rifiuto sanciscono la fine dell’evoluzione del recettore che, se aderisce alla proposta, diventa a sua volta un nuovo promotore.

  1. Il fattore di conformità.

Per capire in maniera diretta cosa sia il fattore di conformità, basta riflettere sulla vincita delle ultime elezioni politiche americane negli USA (Novembre 2004 – rivince G. W. Bush). Il candidato favorito dagli elettori USA sembrava essere John Carry, fino alla messa in onda di un video di Al Queda. Il leader del gruppo terrorista, Bin Laden, ha ricordato agli americani che i suoi obiettivi statunitensi persistono, così come il suo odio per l’America. Questo è bastato a risvegliare negli animi statunitensi paura e terrore, davanti ad una situazione che soltanto George Bush saprebbe continuare ad affrontare. Ecco il motivo della sua vittoria. Quindi è sufficiente una distribuzione pianificata e conformata per determinare una pressione che, esercitata sugli individui, determina un’adesione pressoché unanime verso un’opinione. I più comuni fattori di conformità risultano essere la ragione, i valori, l’interesse comune, l’opinione della maggioranza, le opinioni stereotipate.  Ci si illude di avere delle opinioni sulle cose del mondo, ma in realtà è solamente sulla rappresentazione di esse che le opinioni si formano e vengono poi giudicate. Sono questi stereotipi a costituire una vera e propria forza di persuasione.

  1. Opinione pubblica.

La massificazione della società attuale, la standardizzazione e spersonalizzazione dell’uomo moderno. Questi sono i temi fondamentali per la nascita dell’opinione pubblica. Il suo soggetto ed oggetto sono pubblici, conosciuti e condivisi dai più che privi di una propria personalità si fanno forza nella massa. L’opinione pubblica, una pubblica condivisione di idee, rassicura gli uomini facendoli sentire meno soli. Pur non conoscendo le persone che incarnano le proprie idee, gli uomini si vestono della altrui opinioni, sostenendole e contribuendo alla creazione di un’opinione pubblica, il cui oggetto è conosciuto e condiviso dai più. Questi i presupposti per la formazione di un’opinione pubblica, la cui forza ed efficacia è direttamente proporzionale con la quantità e la qualità delle persone che la sostengono. Il mezzo che meglio esprime l’opinione pubblica odierna è l’informazione, colonna portante dei nostri tempi.

  1. Informazione contingente.

L’attualità delle notizie dà vita all’informazione di carattere contingente. E’ il contingente che dà vita alla notizia; vive quanto quel rapporto contingente tempestivo che si instaura fra l’evento, l’estensore, il testo ed il recettore. Quest’ultimo è costituito da un soggetto generico che può abbracciare anche tutto il mondo ed è proprio per questo che il contenuto di questa informazione non può che essere generico. Importante risulta l’accessibilità e quindi la pubblicità dell’informazione dell’attualità. Le opinioni contingenti devono essere ‘fattori di conformità’ per il gruppo a cui si rivolgono. Ciò vuol dire che il successo di un’informazione di ordine pubblicistico si ha quando il recettore è portato ad accettare l’opinione che il promotore gli propone. Per concentrare e limitare l’attenzione del pubblico è necessaria la ripetizione e la periodicità, elementi caratterizzanti questo tipo di informazione. Strumento principe il giornale.

  1. Informazione non contingente.

Il termine informazione non contingente, indica un lento, non coercitivo e razionale processo di informazione, tipico di notizie che non hanno rapporto con il momento presente. Si parla di cultura, di didattica, di notizie inerenti opinioni cristallizzate e valori. Questo il contenuto di informazioni di carattere non contingente, di cui né la tempestività né la novità sono elementi caratterizzanti. Il promotore in questo caso è per lo più qualificato, così come il recettore, perché il processo è bilaterale. Come dire che tra chi propone un tema e chi lo apprende, è necessaria un’interazione. Seppure il non contingente si articoli tramite procedimenti logici e razionali, su opinioni cristallizzate, può utilizzare gli stessi strumenti validi per l’informazione contingente, quindi la radio, la televisione, il cinema, la cui informazione si distingue per i contenuti.

I Presupposti della Comunicazione

La Tecnica Sociale dell’Informazione di Francesco Fattorello

Come esiste una tecnica industriale per operare sui materiali, così possiamo servirci di una tecnica sociale per agire sull’opinione: la Tecnica sociale dell’Informazione.

Intervista al prof. Ragnetti sull’opinione pubblica

GIUSEPPE RAGNETTI E L’OPINIONE PUBBLICA

Il professor Giuseppe Ragnetti ha gentilmente rilasciato un’intervista a Francesco Bergamo, direttore responsabile dell’Agenzia Informatore Economico-Sociale.

Giuseppe Ragnetti, ascoltatore parlante. Professore di Psicologia Sociale. Specializzato nelle discipline dell’Informazione e della Comunicazione. Ha raccolto l’eredità culturale e continua l’opera del suo maestro Francesco Fattorello, approfondendo lo studio della originale Teoria della Tecnica Sociale dell’Informazione che insegna nei contesti più diversi favorendone la conoscenza e la fruizione a tutti i livelli.

Dirige l’Istituto Francesco Fattorello in Roma, dando continuità scientifica e didattica alla prima Scuola italiana del settore, fondata nel 1947. E’ membro istituzionale di IAMCR-AIERI, organismo internazionale dell’UNESCO, fondato a Parigi nel 1957, con il compito di coordinare studi e ricerche sulla comunicazione in tutto il mondo. Docente alla Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno (SSAI) Roma.

Già docente al Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione e al Corso di Laurea specialistica in Editoria Media e Giornalismo dell’Università degli Studi Carlo Bo – Urbino.

Professore, lo scopo di questa intervista è quello di dare agli studiosi della pubblica opinione la possibilità di studiare la materia da una diversa visuale. Le farò otto domande.

Nel corso della sua vita privata e professionale si è mai posto la domanda da che cosa sia regolata l’opinione pubblica?

«Mi sono posto la domanda e mi sono dato la seguente risposta: l’uomo è animale sociale e, come tale, ha un bisogno fisiologico di un continuo confronto su tutto ciò che, in qualche modo, lo riguarda. E arriva al punto di opinare su tutto, purché attraverso l’informazione e i suoi mille strumenti di diffusione (ivi compresi anche i rapporti interpersonali) sia venuto a contatto con il problema opinabile. Si tratta di un innato e naturale meccanismo mentale, al pari del respirare e del parlare.

Potremmo azzardare l’ipotesi che a regolare l’opinione pubblica sia soprattutto ciò che ci ha reso gli animali sociali che ora siamo, con le mille sfumature e diversità che ci caratterizzano e ci identificano. In sintesi, penso che sia la vita a regolare l’opinione pubblica prima a livello individuale e poi a livello dei gruppi sociali di dimensioni sempre maggiori fino ad arrivare al comune sentire di un intero paese o di una comunità in senso lato».

Quando, per la prima volta, ha preso coscienza dell’esistenza dell’opinione pubblica?

«Forse da sempre. O, perlomeno, da quando ho capito che qualcuno per convalidare le sue idee e, soprattutto, per raggiungere i suoi obiettivi, faceva largo uso di affermazioni quali la gente dice … il Paese vuole … gli italiani ci chiedono … l’opinione pubblica si interroga … etc. E, tanto per citare un esempio concreto, nella comunicazione politica il malvezzo di fare riferimento alla opinione pubblica rappresenta la più diffusa forma di disonestà intellettuale.

Si parla di un fenomeno e si fa continuo riferimento allo stesso, senza avere la minima conoscenza del fenomeno stesso, della sua struttura e dei meccanismi evolutivi che presiedono al suo manifestarsi».

Il suo approccio al tema in questione è frutto di studio oppure è dettato dall’istinto e dall’esperienza personale?

«Senza dubbio da un istintivo interesse personale che mi ha spinto a studiare il fenomeno e a tentare di capire le sue componenti e le sue dinamiche, anche attraverso la pluriennale esperienza didattica di Scienze dell’Opinione.

A proposito di studio, sono il fortunato possessore di un volume del 1943. E’ in lingua francese: “Theorie des opinionsà” di Jean Stoetzel, uno dei massimi studiosi del fenomeno dell’opinione pubblica.

Il mio maestro Francesco Fattorello si è confrontato con lui condividendone appieno la sua impostazione teorica. Personalmente ho trovato in questo autore molte risposte che cercavo e ritengo fondamentale per tutti gli studiosi e per gli addetti ai lavori, la conoscenza della sua impostazione scientifica.

Il suo approccio prettamente sociologico ci aiuta a capire l’individuo all”interno dei gruppi sociali e la sua acculturazione, che ha generato le sue attitudini sociali, ci spiega come possa nascere un’opinione condivisa e quindi una pubblica opinione».

Che metodi usa per rilevare la pubblica opinione?

«Il metodo più comune è quello delle ben note indagini demoscopiche che presentano accanto alla loro breve validità temporale, un limite ben più grave e, tuttavia, costantemente ignorato, e cioè il non tener conto dei diversi contesti in cui si effettuano le rilevazioni.

L’unica garanzia offerta è quella dell’attendibilità del campione, in quanto qualitativamente e quantitativamente rappresentativo dell’universo da indagare. Non si può pensare che un ragazzo possa fornire la stessa risposta ad esempio sull’argomento sesso, se interrogato fuori della scuola, nel gruppo ristretto degli amici maschi, in aula con il prof presente, o magari in famiglia.

E, invece, tutti i guru televisivi dei sondaggi quando va bene ci indicano l’ampiezza del campione e la sua distribuzione territoriale (nord, centro, sud e isole maggiori) o la sua dichiarata(!!??) appartenenza politica (centro, centrosinistra, centrodestra). E allora non posso, sommessamente, non ricordare a questi grandi esperti che non basta essere laureati in Scienze statistiche (quando lo sono) per poter conoscere e rappresentare correttamente un fenomeno di tale complessità .

Personalmente applico un metodo molto diretto , semplice ed efficace, per farmi un’idea dell’aria che tira e, quindi, capire qual’è l’opinione condivisa dai più su un determinato problema contingente. Si tratta di ascoltare le persone nei contesti più diversi (la fila alla cassa del supermercato, il viaggio in treno Roma-Milano, la sala d’attesa dello studio medico, le ore sotto l’ombrellone, lo spostamento in taxi, la serata conviviale …) non dimenticando, ovviamente, l’importanza dei diversi contesti».

Il suo metodo personale per creare un’opinione pubblica a lei favorevole: in che cosa consiste e di quali strumenti si avvale?

«Il mio metodo consiste nell’essere credibile perché io credo in quel che dico e faccio, enfatizzando di volta in volta gli aspetti della mia personalità che possono essere di maggior interesse per chi mi ascolta. Ricordate il Presidente Pertini? anch’io ho fatto la resistenza … anch’io ho fatto il muratore. … anch’io anch’io sono stato in galera … e, incredibile ma vero, anch’io sono stato bambino !!! detto agli scolari in visita al Quirinale!

Il mio metodo è un segreto di Pulcinella tuttavia ignorato dai più: per creare un’opinione pubblica a me favorevole non è importante ciò che per me è importante, ma è di fondamentale importanza ciò che è importante per i miei interlocutori. La posta in palio è altissima: si vince o si perde, si vende o non si vende e allora si lavora o non si lavora, si seduce o non si seduce etc. etc. …

Quando saranno passati un po’ d’anni e gli storici indagheranno a bocce ferme e con occhio sociologico il ventennio politico attuale, sarà chiaro comprendere il perché dei successi o degli insuccessi dei vari schieramenti. Ho dimenticato di dire che la mamma della credibilità è la coerenza, mentre la figlia è l’affidabilità, qualità ormai sempre più rara e per questo sempre più apprezzata».

Trova differenza tra la formazione dell’opinione pubblica in Italia e all’estero?

«Penso proprio di sì: ma farei in primis una differenza sostanziale tra la vecchia Europa e la giovanissima America e poi tra i Paesi del nord Europa e quelli mediterranei.

Negli Stati Uniti, ad esempio, non è un problema dichiarare la propria appartenenza politica. In Italia rispondere ad un sondaggio sia pure in forma anonima, di votare in un certo modo, non ci offre nessuna garanzia che poi il voto reale sia coerente con quanto dichiarato.

E questo perché? Perché siamo persone ancora con un minimo di autonomia di scelta e non vorremmo essere incasellati in nessun modo. Non tutti e non sempre ci si riesce ma quando è possibile ci piace pensare di poterlo fare! E allora proverò il piacere di una decisione autonoma e sarà una gratificante trasgressione il fare di testa mia.

Per questo non dovremmo dimenticare mai la storia dei pifferi di montagna e non vendere mai a qualche credulone come oro colato indagini frettolose e superficiali senza la minima credibilità scientifica. E poi quel che funziona negli Stati Uniti non è detto che funzioni anche da noi».

Influenza di più il giornale, la televisione, la radio, internet o le relazioni e le amicizie con il passaparola?

«Qualche anno fa’ all’Università di Urbino proposi una Tesi di laurea dal titolo “Il modello turistico riminese: un fenomeno sociale tra dimensione umana e comunicazione”. Si trattò di un’analisi approfondita e documentata alla ricerca degli ingredienti principali del successo della Riviera romagnola.

I risultati? Nel capitolo conclusivo che affronta “Gli strumenti di promozione” si legge testualmente: “Se la televisione rende popolari i luoghi dai quali trasmette, quello che fa scegliere, decidere, prenotare, però, il passaparola”!!!

E allora permettetemi di dubitare del presunto potere, più o meno occulto, dei mezzi di informazione di condizionare il pubblico. Basti pensare alla fine ingloriosa di regimi e dittatori che disponevano, in assoluto, di tutti i mezzi d’informazione.

Basti pensare alla perfetta organizzazione mediatica di cui dispone la Chiesa: i suoi messaggi trovano una risonanza ed una visibilità non comune su tutti i mezzi d’informazione.

Da duemila anni la Sala stampa vaticana emette lo stesso comunicato, puntualmente ripreso dai media di tutto il mondo: “Amatevi l’un l’altro, non fate la guerra” ma quel che, invece, accade nel mondo è, purtroppo, di triste attualità.

I mezzi di informazione certamente agiscono sulle opinioni (siamo tutti contro la guerra!) ma non sono in grado di condizionare i comportamenti degli uomini: sono altri i motivi, alcuni noti altri meno, che stanno alla base delle nostre azioni».
Nei Paesi democratici il governo influenza l’opinione pubblica?

«I governi, anche democratici, attraverso l’intero sistema dell’informazione e della comunicazione, tendono sempre ad influenzare l’opinione pubblica, ma non è detto che ci riescano. E spesso i risultati non sono quelli attesi!

A costo di ripetermi debbo ribadire la complessità del fenomeno opinione pubblica è fatto di mille sfaccettature perché di mille sfaccettature è fatta la mente umana. Non sempre risulta facile comprenderne i meccanismi ed influenzarli, così come illustri personaggi di scuola americana vorrebbero far credere.

Basterà leggere l’ultimo manuale del perfetto persuasore et voilà nessuno potrà resisterti e l’opinione individuale prima e collettiva poi, ti seguiranno tranquillamente, felici di poterti dire: Son come tu mi vuoi! … Ipse dixit!».

Professore, grazie.


Nota: Intervista del 24 aprile 2013