Associazione Sindacale Notai del Lazio – Seminario specialistico di formazione a cura del prof. Giuseppe Ragnetti
CONSIDERAZIONI DI FINE CORSOL’interesse e la partecipazione attiva dei Signori Notai, sempre di livello elevato, oltre che gratificare l’organizzazione e il docente, hanno determinato un contesto ricco di stimoli e riflessioni.
Nonostante gli argomenti trattati fossero inusuali rispetto alla classica formazione notarile, il vivace coinvolgimento di tutti i presenti ha dimostrato quanto fosse giusta ed opportuna la proposta del Sindacato di attivare un Corso “diverso”.
Filo conduttore di tutti gli incontri sono state le dinamiche relazionali e comunicative.
Accanto ad una imprescindibile base teorica su origine ed evoluzione dei processi comunicativi che hanno via via consentito agli uomini di conoscersi e di relazionarsi tra loro, il Corso si è man mano spostato verso una consapevole presa di coscienza dell’agire comunicativo della quotidianità.
Come obiettivo ambizioso ci siamo posti quello di stimolare un forte impegno personale per raggiungere una maggior serenità (e minor stress) in vista di una ricaduta positiva su tutte le attività espletate.
Si è fortemente sottolineata l’importanza della “vendita del sé” come priorità da realizzare nelle relazioni interpersonali: mai sentirsi appagati, migliorarsi sempre, acquisire autorevolezza e carisma per diventare assertivi e quindi credibili e quindi stimati e ricercati.
E’ stato utile e interessante trasferire in continuazione l’esperienza di aula sul vissuto lavorativo ed esistenziale della quotidianità, anche attraverso l’esposizione di casi vissuti in prima persona dai singoli partecipanti al Corso.
Il Corso mi ha consentito di attivare rapporti positivi anche dal punto di vista umano, con tutti i partecipanti ed è stata grande la sorpresa di scoprire che anche i notai sono “persone”!!!
In contrasto, tuttavia, con la mia alta stima e considerazione della figura notarile, mi ha colpito l’immagine un po’ appannata se non addirittura negativa che, secondo alcuni dei presenti, avrebbe oggi la loro professione.
La figura del Notaio sarebbe ormai molto scaduta e non godrebbe più della ottima percezione riscontrabile un tempo presso l’opinione pubblica.
Il Notaio di oggi verrebbe considerato quasi un “trafficante” in posizione intermedia e sempre “interconnessa” con precisi ritorni speculativi, con tecnici, avvocati, commercialisti, geometri etc.
E allora tutti i Notai del Corso, auspicano e sollecitano che qualcuno faccia qualcosa per loro in termini di comunicazione, di immagine e di leggi a tutela della loro professione.
Non tutti, però, hanno presente che la “salvezza” dovrà essere innanzi tutto individuale e che l’immagine globale della categoria non potrà che migliorare se ogni singolo Notaio riuscirà a migliorare se stesso e il suo rapporto con collaboratori, clienti e con la Società in generale.
Cosi come non tutti riescono ad accettare l’idea che una migliore organizzazione interna, una migliore gestione, una comunicazione organizzativa chiara ed efficace ma soprattutto una disponibilità intellettuale che ci consenta di capire ed adeguarci al nuovo, sono componenti strategiche di primaria importanza per la creazione di un “clima” positivo all’interno dello studio e per un ottimo ritorno di immagine, all’esterno.
Tutto ciò appare quasi ovvio e molti sono convinti di applicare da sempre tali principii e credono, quindi, che non ci sia molto da cambiare nella loro persona e nel loro studio notarile.
E’ questo il limite che è trapelato qua e là durante il Corso: io sono ok e chiedo ad altri specialisti non di aiutarmi a cambiare e a fare meglio, ma di fare loro qualcosa per me. E’ il trionfo della delega che consentirebbe anche un’onorevole via di fuga qualora le cose non dovessero migliorare: non è dipeso da me l’insuccesso, sono stati gli specialisti che hanno sbagliato!
Occorre, tuttavia, sottolineare anche diverse affermazioni convinte che i Notai, nonostante tutto, anche oggi hanno consapevolezza piena del ruolo e della loro dignità professionale.
Per concludere queste mie riflessioni sul Corso ritengo molto positiva la voglia di “esserci “ e di partecipare cosi numerosi ai 5 incontri, desiderosi innanzi tutto di uno scambio di esperienze, a prescindere dai contenuti più o meno interessanti che ho cercato di somministrare.
“Esserci” ha voluto significare la disponibilità, almeno nelle intenzioni, di aprirsi all’,ascolto, la capacità di mettersi in discussione e l’esigenza sentita di un confronto costruttivo.
L’esame, pertanto, è stato superato brillantemente da tutti con un bel 30 e lode!
E adesso i Signori Notai dovranno tutti impegnarsi per mantenere la media a questi livelli!
Lectio presso l’Accademia San Marco – Pordenone, Città natale di Francesco Fattorello
Quando si parla di “persuasione”, il significato che le si attribuisce è molto spesso negativo. Persuadere, nell’immaginario comune, significa detenere il potere e far fare agli altri quello che si desidera. Abbiamo visto come fin dai tempi di Aristotele esiste una teoria centrale della persuasione, che si collega strettamente alla retorica, la quale ha evidenziato come si ottenga il massimo delle presa sull’uditorio quando si adattano le proprie linee di ragionamento all’uditorio stesso.
Tale concetto è bene espresso dalla Tecnica Sociale dell’Informazione del prof. Francesco Fattorello che è stata l’impostazione che abbiamo seguito per la nostra analisi.
La Tecnica Sociale ha restituito dignità al soggetto recettore rendendolo protagonista del processo comunicativo che è di natura sociale.
Questo vuol dire che il processo dell’informazione e dell’adesione di opinione ha un carattere sociale, figlio del tempo e del contesto in cui si realizza e precede sempre senza, tuttavia, determinare il comportamento del recettore.
La formula ideografica è chiara: il Sp informa la X), cioè la interpreta secondo la sua visione e la trasmette al Sr attraverso un mezzo (M) congeniale a questo ultimo, proponendo una formula di opinione adeguata al soggetto recettore stesso che, dunque, va studiato anteriormente. Il Sr può aderire o non aderire, ma il processo si ferma lì. Stop!
Il conseguente comportamento che assumerà il nostro soggetto recettore non riguarda il processo e né, tanto meno, può essere determinato dallo stesso.
Il soggetto recettore può aderire al messaggio che gli abbiamo confezionato ad hoc, ma per tutta una serie di motivi che prescindono dalla natura sociale del processo, può non assumere il comportamento che noi auspichiamo (cioè gli può piacere la pubblicità che abbiamo proposto, ma questo non implica necessariamente che poi acquisti il prodotto presentato, per tutta una seri di motivi, specifici e particolari per ognuno di noi).
Partendo da ciò, l’unica cosa che si può fare è operare sulle opinioni dei recettori e realizzare il messaggio nel modo più adatto per ognuno di loro, ecco perché parliamo di adesione di opinione.
Adesione che verrà data se ci sarà una convergenza di interpretazione sull’opinione proposta.
Ed è proprio qui che risiede il paradosso della persuasione: il ‘persuasore’ deve solo incanalare la forza delle convinzioni e delle argomentazioni già presenti ed attive nell’interlocutore.
La capacità di ascolto non è un’abilità magica. Lo diventa se si impara ad usarla bene, con l’esercizio e con l’umiltà nel riconoscere anche la propria responsabilità in una comunicazione che non ha funzionato.
La comunicazione è il terreno su cui si gioca ogni opportunità di incontro tra gli uomini e fra i singoli uomini e gli avvenimenti, dunque anche il futuro dell’umanità.
“Il telefono è ormai un ingrediente fondamentale della nostra vita. E’, quindi, opportuno ricordare le regole basilari della conversazione telefonica per evitare gli errori più banali della nostra comunicazione”
In un momento storico in cui le difficoltà a trovare un punto d’accordo tra diversi Paesi sono sotto gli occhi di tutti, abbiamo recuperato un nostro PP, per ricordare i principi basilari delle tecniche di negoziazione. Contenuti comunque utili in ogni fase della vita di ciascuno di noi. Anche perché la mediazione è una costante delle relazioni sociali.
Riflessioni personali e spunti (in ordine sparso) di varia provenienza che ho condiviso e riproposto, perché in linea con il tema delle mie conferenze sull’amore per FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari). Prof. Giuseppe Ragnetti
Così come avviene per i rapporti sociali plurivincolati (appartenenza a diversi gruppi sociali secondari) ci sentiamo liberi e legittimati ad entrare ed uscire dalle relazioni. Ma il tradimento amoroso fa particolarmente soffrire perché produce in noi una regressione allo stato della prima infanzia: papà o mamma non pensano esclusivamente a me ma si intrattengono anche con altri bambini! (Marco, 5 anni, ha un incubo perché pensa che la mamma è rimasta fuori dalla piscina con altre persone …)
(vedi “La società liquida di Bowman”)
Oggi si cerca di costruire l’identità (BERGER parla di un IO SENZA CASA), ma nessuna identità si può formare in solitudine, perché ha bisogno dell’altro, ha bisogno di un identità altra per poter vivere la propria.
L’identità è relazionale. Ma una volta avuto l’altro, noi lo fagocitiamo.
Il bisogno dell’altro contrasta con l’affermazione del sé.
Ma DOBBIAMO ACCETTARE CHE POSSIAMO AVER BISOGNO DEGLI ALTRI. La nostra fragilità è normale, e anche la nostra dipendenza può essere bella per la costruzione della nostra identità, purché si arrivi al riconoscimento reciproco. Il rapporto è una relazione all’altro.
E allora il titolo “L’idea dell’amore e la vita quotidiana: sinonimi o contrari? Può fornirci stimoli di riflessione per capire che proprio nella quotidianità della vita deve avvenire il riconoscimento reciproco e non solo in occasioni particolari. Nella vita di tutti giorni il rapporto si fa relazione e due identità diverse assumono pari dignità.
E cosi i diversi linguaggi, le diverse sensibilità, i diversi canoni estetici, i diversi interessi, li diverse forme di comunicazione, le diverse aspettative e i diversi sentimenti non debbono essere motivo di contrasto e di ostilità, ma piuttosto, motivo di arricchimento reciproco!
Carpe diem: =effetto Coolidge= il Presidente americano dal 1923 al 1929, in visita a fattoria modello. Assieme alla moglie visita il pollaio dove un gallo si stava accoppiando vigorosamente con una gallina.
La signora chiese all’allevatore quante volte il gallo lo facesse durante la giornata. “Decine di volte “ fu la risposta. “Riferisca questo a mio marito” disse la first lady. L’allevatore riferì al Presidente che di rimando chiese: “Sempre con la stessa gallina?” E l’allevatore; “ Oh, no, ogni volta con una gallina diversa” E il Presidente: “Riferisca questo alla Signora!”
“Da come ci si innamora si può stabilire DA CHI SIAMO STATI AMATI”
Riflessioni: i giovani sposi di oggi e tutti quelli che hanno la “separazione facile” da chi e come e se sono stati amati? O, forse sono stati figli in un periodo storico in cui le priorità erano altre e certamente non c’era il tempo da “perdere” per star “vicino” ai figli.
Le donne di oggi, giocano a tutto campo e non hanno fatto scelte precise né, tantomeno, definitive.
Allora diventa prioritaria la domanda: “Chi sono, che cosa voglio?(e non solo la ricerca freudiana delle lontane cause dell’attuale malessere), perché solo rispondendo a questa domanda potrò orientarmi verso un partner complementare e non antagonista.
“Quali sono le mie priorità? La carriera, la casa, i figli?” Avrò così una prima mappatura della mia personalità su cui costruire un rapporto che completi ed integri l’unione.
Spunti:
La bellezza è nell’occhio di chi guarda. Oggi tutte le donne possono essere attraenti (non necessariamente belle secondo i canoni classici della bellezza).
Abiti, trucco, moda capello, palestra piscina, dieta etc. Feste di paese. Balli in Piazza. Donne di ieri e donne di oggi.
Dal film “lezioni d’amore”: “Quando un uomo fa l’amore con una donna, si vendica di tutte le sconfitte che ha subito nella sua vita”
Il film è tratto da: “L’ animale morente” di Philip Roth.
Commento alle slide di “oggi parliamo d’amore”: Il valore dell’amore prevede l’integrazione e la comprensione nei confronti dell’altro sesso e la soddisfazione di entrambi i bisogni, non la squalifica e la svalutazione della visione altrui. Tutto va vissuto il più possibile in modo integrato, all’insegna di una CONTINUA E CHIARA COMUNICAZIONE AMOROSA.
Il lavoro è importante, ma non può escludere l’espressione delle emozioni, dei sentimenti, della sessualità e dei valori spirituali.
CREARE UN RAPPORTO DI COPPIA FELICE E’ IL COMPITO UMANO PIU’ COMPLESSO AL MONDO.
Per Seminario su Amore a Rimini:
… una che capisce che noi uomini abbiamo bisogno di approvazione, di comprensione e non certo di rimproveri (come se fossimo alunni di 3° elementare)
… qualsiasi femmina all’inizio di un rapporto accetta tutto (o quasi tutto) di un uomo e approva ogni cosa che fa.
Lei vede in noi l’uomo perfetto. Quello che ha sempre desiderato e, non appena scopre l’amara verità, inizia il lento lavoro di restauro per plasmarci e trasformarci nell’auspicato e idealizzato “principe azzurro”
N.B. La coppia ideale non è quella tra due bisognosi ed affamati mendicanti, ma quella tra due persone che essendo ricche non hanno bisogno di ricevere, ma sentono il piacere di dare.
Luglio 2013 – Concetti per mia intervista in trasmissione TV sul tema di grande attualità “La violenza sulle donne: quali le cause scatenanti e quali possibili rimedi”.
Fenomeni di emulazione
Passare dall’io al noi: richiede un profondo cambiamento di prospettiva. Una coppia autentica è il risultato di un’evoluzione.
L’uomo si sente superiore ed è lui il più forte: con uno di pari livello non lo potrebbe fare e non lo farebbe.
In realtà sono persone deboli e spesso telecomandate dai nuovi partner.
E’ necessario accettare il limite delle differenti personalità e non pretendere di trasformare il matrimonio a proprio piacere, come un pezzo di creta da modellare.
Cronache di orrori, dove irrompe la violenza inarrestabile, omicidi e suicidi: si tratta di colpi di coda di una cultura maschile che non si arrende all’evidenza.
Non sempre la comunicazione disturbata all’interno della coppia è fatta di parole urlate e di continui litigi. Spesso è il silenzio che diventa più insinuante ed inesorabile delle parole.
La violenza verbale significa comunque “tu ci sei, tu esisti” anche solo perché io possa infierire sino ad annullarti.
Il silenzio significa “tu sei inesistente, non sei degna neanche di un insulto” e, quindi, con il silenzio posso annullare la consapevolezza del sé, che l’altra ha faticosamente costruito fin dalla nascita.
Alcuni legami sono nutriti di sadismo e intrecciati di perversione: ciascuno deve far pagare all’altro un conto più salato possibile. E allora il più forte ha il sopravvento sull’altro fino alle estreme conseguenze.
Campanello d’allarme: non c’è più passione, complicità anche nelle piccole cose, assenza di progettazione in comune.
Il primo impegno da mettere in atto, quando si ha la sensazione che la relazione sia in difficoltà, è parlare con il partner.
Non si deve mai presumere che l’altro capisca da solo.
Comunicare è un segnale che ancora nulla è perduto: e allora “dire” perché l’altro possa sapere.
Talvolta non si parla per paura delle reazioni. Ma se l’alternativa è il silenzio, si arriva alla forma più terribile di disprezzo.
Non ci sono regole precise da seguire ma avere tatto, usare parole con valenza suggestiva positiva, andare per gradi e non pretendere che l’altro capisca tutto subito.
Non serve a nulla “togliersi i sassolini” dalla scarpa e pronunciare frasi che si sono taciute per anni: sono ferite inutili. Rispettarsi sempre anche se la relazione dovesse finire.
Un amore può finire, ma non finisce la vita. Entrambi possono e debbono trovare la forza di ricominciarla.
Spesso la separazione significa sconfitta e si ha la sensazione di aver sbagliato tutto, di aver fatto un imperdonabile errore, e tutto ciò può diventare talmente insopportabile da spingere all’eliminazione fisica del “responsabile” del nostro fallimento.
Non è tanto la perdita della persona amata a ferirci, quanto la sensazione di non aver capito, ci siamo traditi da soli, non siamo stati capaci di vedere chi era realmente la persona su cui avevamo investito. In altri termini ci ferisce la constatazione di non essere ancora cresciuti. Quindi disistima totale per una iniziale scelta sbagliata e per l’incapacità di “sistemare il rapporto” durante il percorso, spesso di anni.
Se si perde il rispetto per se stessi, si perde la dignità.
L’indifferenza sottile, il modo freddo a volte saccente, sarcastico, irritante di rivolgersi la parola.
Spesso nella coppia c’è solo una “comunicazione di servizio”: uno scambio freddo, anaffettivo che lascia un vuoto interiore.
Al ristorante la “comunicazione afasica”: coppie silenziose che fanno quello che fanno a casa, magari con il televisore acceso per la partita o altro. L’obiettivo è evitare di parlarsi. Parlano solo per ordinare e poi … il silenzio! E la bocca si riapre solo per mangiare.
E invece, più che mai nella coppia, la comunicazione è essenziale.
Un aperto scambio di idee e di emozioni è la linfa vitale dell’amore.
Non esistono persone che non si sono capite: esistono persone che non si sono parlate.
LA COMUNICAZIONE E’ AMORE
Enorme difficoltà perché cerco di entrare in sintonia dialettica e in uno scambio comunicativo non con una entità-persona reale, diversa da me, ma con l’immagine mentale della stessa che è totalmente mia, perché da me costruita, voluta ed idealizzata.
Non ci si può innamorare se non si idealizza la persona amata, se la fantasia non interviene a farne qualcosa di unico e fuori dal comune.
Ma l’idealizzazione è regressione infantile perché trasferisce sulla persona amata, quel senso di unicità che i bambini attribuiscono ai genitori.
IDEALIZZAZIONE =IMPOVERIMENTO, perché tutto ciò che ha valore è collocato nell’altro.
La conoscenza di sé stessi passa attraverso lo studio delle emozioni: emozioni intese come risposta del tutto soggettiva (figlia di un passato generale comune e di un passato fortemente personale) a stimoli non necessariamente originali e a me soltanto indirizzati ma quasi sempre comuni e di ordine generale.
E’ la mia risposta emozionale che è solo mia, diversa perché figlia della mia diversità!
E allora perché non accettare che l’essere amato, inevitabilmente diverso, possa esprimere liberamente la sua diversità anche emozionandosi o non emozionandosi a modo suo, anche in risposta a stimoli comuni!?
Le emozioni ci servono da specchio che ci mostra chi siamo. Ma bisogna avere la forza e il piacere di guardarci dentro!
Uno degli scopi più importanti delle emozioni dal punto di vista evolutivo, è aiutarci a decidere cosa occorre ricordare e cosa è opportuno dimenticare.
Le emozioni, recettori destinatari di stimoli psichici attivano meccanismi biochimici in grado di fornire informazioni al sistema nervoso centrale, sui comportamenti da adottare.
L’emozione fondamentale , originaria è la paura.
Originaria perché sorge all’inizio della nostra vita, e perfino nel feto.
Fondamentale perché si insinua in ogni cuore e fa nascere e si unisce a numerose emozioni.
Da quando c’è la dualità c’è la paura.
Basta che io mi senta separato dal mio prossimo, e comincia la paura dell’altro! Il sentimento di unità non è più possibile.
I compromessi sono inevitabili.
Ci saranno momenti difficili. Se li affronteremo con consapevolezza e con rispetto reciproco, vinceremo entrambi.
Il rispetto è l’amore che non vuole soffocare, possedere, convincere, dominare.
E’ la gioia di vedere nell’altro un diverso da sé.
E’ il sentimento di chi osserva e ama l’altro per quello che è, di chi non intende invadere il suo spazio.
(“Rispettare è un verbo che deriva dal latino respicere = guardare, e indica, quindi un attocontemplativo.”)
Molti, al contrario, confondono l’amore con la loro volontà di influenzare e di dominare: vedono in questo sentimento la possibilità disottomettere l’altro, di farne un altro se stesso, di piegarlo alle proprieconvinzioni. (vedi anche genitori, docenti, missionari che quasi sempre invece di educare si limitano ad inculcare le proprie convinzioni, i propri schemi mentali e la proprie visione del mondo, impedendo all’altro di essere se stesso.)
Con il termine “BENESSERE ORGANIZZATIVO” possiamo intendere l’insieme dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro, promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative.
Le categorie alla base del “Benessere Organizzativo” sono:
– Caratteristiche dell’ambiente nel quale si svolge il lavoro
– Chiarezza degli obiettivi organizzativi e coerenza tra enunciati e pratiche organizzative
– Riconoscimento e valorizzazione delle competenze
– Comunicazione intraorganizzativa circolare
– Circolazione delle informazioni
– Prevenzione degli infortuni e dei rischi professionali
– Clima relazionale franco e collaborativo
– Scorrevolezza operativa e supporto verso gli obiettivi
– Giustizia organizzativa
– Apertura all’innovazione
– Stress
– Conflittualità
SEGNALI INDIVIDUALI DI “BENESSERE”
1) Soddisfazione per l’organizzazione
2) Voglia di impegnarsi per l’organizzazione
3) Sensazione di far parte di un team
4) Voglia di andare al lavoro
5) Elevato coinvolgimento
6) Speranza di poter cambiare le condizioni negative attuali
7) Percezione di successo dell’organizzazione
8) Rapporto tra vita lavorativa e privata
9) Relazioni interpersonali
10) Valori organizzativi
11) Immagine del management (credibilità e stima)
SEGNALI INDIVIDUALI DI “MALESSERE”
1) Insofferenza nell’andare al lavoro
2) Assenteismo
3) Disinteresse per il lavoro
4) Desiderio di cambiare lavoro
5) Alto livello di pettegolezzo
6) Covare risentimento verso l’organiz.
7) Aggressività inabituale e nervosismo
8) Disturbi psicosomatici
9) Sentimento di inutilità
10) Sentimento di irrilevanza
11) Sentimento di disconoscimento
12) Lentezza nella performance
13) Confusione organizzativa in termini di ruoli, compiti etc
14) Venir meno della propositività a livello cognitivo
15) Aderenza formale alle regole e anaffettività lavorativa.