Intervista al prof. Ragnetti sull’opinione pubblica

GIUSEPPE RAGNETTI E L’OPINIONE PUBBLICA

Il professor Giuseppe Ragnetti ha gentilmente rilasciato un’intervista a Francesco Bergamo, direttore responsabile dell’Agenzia Informatore Economico-Sociale.

Giuseppe Ragnetti, ascoltatore parlante. Professore di Psicologia Sociale. Specializzato nelle discipline dell’Informazione e della Comunicazione. Ha raccolto l’eredità culturale e continua l’opera del suo maestro Francesco Fattorello, approfondendo lo studio della originale Teoria della Tecnica Sociale dell’Informazione che insegna nei contesti più diversi favorendone la conoscenza e la fruizione a tutti i livelli.

Dirige l’Istituto Francesco Fattorello in Roma, dando continuità scientifica e didattica alla prima Scuola italiana del settore, fondata nel 1947. E’ membro istituzionale di IAMCR-AIERI, organismo internazionale dell’UNESCO, fondato a Parigi nel 1957, con il compito di coordinare studi e ricerche sulla comunicazione in tutto il mondo. Docente alla Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno (SSAI) Roma.

Già docente al Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione e al Corso di Laurea specialistica in Editoria Media e Giornalismo dell’Università degli Studi Carlo Bo – Urbino.

Professore, lo scopo di questa intervista è quello di dare agli studiosi della pubblica opinione la possibilità di studiare la materia da una diversa visuale. Le farò otto domande.

Nel corso della sua vita privata e professionale si è mai posto la domanda da che cosa sia regolata l’opinione pubblica?

«Mi sono posto la domanda e mi sono dato la seguente risposta: l’uomo è animale sociale e, come tale, ha un bisogno fisiologico di un continuo confronto su tutto ciò che, in qualche modo, lo riguarda. E arriva al punto di opinare su tutto, purché attraverso l’informazione e i suoi mille strumenti di diffusione (ivi compresi anche i rapporti interpersonali) sia venuto a contatto con il problema opinabile. Si tratta di un innato e naturale meccanismo mentale, al pari del respirare e del parlare.

Potremmo azzardare l’ipotesi che a regolare l’opinione pubblica sia soprattutto ciò che ci ha reso gli animali sociali che ora siamo, con le mille sfumature e diversità che ci caratterizzano e ci identificano. In sintesi, penso che sia la vita a regolare l’opinione pubblica prima a livello individuale e poi a livello dei gruppi sociali di dimensioni sempre maggiori fino ad arrivare al comune sentire di un intero paese o di una comunità in senso lato».

Quando, per la prima volta, ha preso coscienza dell’esistenza dell’opinione pubblica?

«Forse da sempre. O, perlomeno, da quando ho capito che qualcuno per convalidare le sue idee e, soprattutto, per raggiungere i suoi obiettivi, faceva largo uso di affermazioni quali la gente dice … il Paese vuole … gli italiani ci chiedono … l’opinione pubblica si interroga … etc. E, tanto per citare un esempio concreto, nella comunicazione politica il malvezzo di fare riferimento alla opinione pubblica rappresenta la più diffusa forma di disonestà intellettuale.

Si parla di un fenomeno e si fa continuo riferimento allo stesso, senza avere la minima conoscenza del fenomeno stesso, della sua struttura e dei meccanismi evolutivi che presiedono al suo manifestarsi».

Il suo approccio al tema in questione è frutto di studio oppure è dettato dall’istinto e dall’esperienza personale?

«Senza dubbio da un istintivo interesse personale che mi ha spinto a studiare il fenomeno e a tentare di capire le sue componenti e le sue dinamiche, anche attraverso la pluriennale esperienza didattica di Scienze dell’Opinione.

A proposito di studio, sono il fortunato possessore di un volume del 1943. E’ in lingua francese: “Theorie des opinionsà” di Jean Stoetzel, uno dei massimi studiosi del fenomeno dell’opinione pubblica.

Il mio maestro Francesco Fattorello si è confrontato con lui condividendone appieno la sua impostazione teorica. Personalmente ho trovato in questo autore molte risposte che cercavo e ritengo fondamentale per tutti gli studiosi e per gli addetti ai lavori, la conoscenza della sua impostazione scientifica.

Il suo approccio prettamente sociologico ci aiuta a capire l’individuo all”interno dei gruppi sociali e la sua acculturazione, che ha generato le sue attitudini sociali, ci spiega come possa nascere un’opinione condivisa e quindi una pubblica opinione».

Che metodi usa per rilevare la pubblica opinione?

«Il metodo più comune è quello delle ben note indagini demoscopiche che presentano accanto alla loro breve validità temporale, un limite ben più grave e, tuttavia, costantemente ignorato, e cioè il non tener conto dei diversi contesti in cui si effettuano le rilevazioni.

L’unica garanzia offerta è quella dell’attendibilità del campione, in quanto qualitativamente e quantitativamente rappresentativo dell’universo da indagare. Non si può pensare che un ragazzo possa fornire la stessa risposta ad esempio sull’argomento sesso, se interrogato fuori della scuola, nel gruppo ristretto degli amici maschi, in aula con il prof presente, o magari in famiglia.

E, invece, tutti i guru televisivi dei sondaggi quando va bene ci indicano l’ampiezza del campione e la sua distribuzione territoriale (nord, centro, sud e isole maggiori) o la sua dichiarata(!!??) appartenenza politica (centro, centrosinistra, centrodestra). E allora non posso, sommessamente, non ricordare a questi grandi esperti che non basta essere laureati in Scienze statistiche (quando lo sono) per poter conoscere e rappresentare correttamente un fenomeno di tale complessità .

Personalmente applico un metodo molto diretto , semplice ed efficace, per farmi un’idea dell’aria che tira e, quindi, capire qual’è l’opinione condivisa dai più su un determinato problema contingente. Si tratta di ascoltare le persone nei contesti più diversi (la fila alla cassa del supermercato, il viaggio in treno Roma-Milano, la sala d’attesa dello studio medico, le ore sotto l’ombrellone, lo spostamento in taxi, la serata conviviale …) non dimenticando, ovviamente, l’importanza dei diversi contesti».

Il suo metodo personale per creare un’opinione pubblica a lei favorevole: in che cosa consiste e di quali strumenti si avvale?

«Il mio metodo consiste nell’essere credibile perché io credo in quel che dico e faccio, enfatizzando di volta in volta gli aspetti della mia personalità che possono essere di maggior interesse per chi mi ascolta. Ricordate il Presidente Pertini? anch’io ho fatto la resistenza … anch’io ho fatto il muratore. … anch’io anch’io sono stato in galera … e, incredibile ma vero, anch’io sono stato bambino !!! detto agli scolari in visita al Quirinale!

Il mio metodo è un segreto di Pulcinella tuttavia ignorato dai più: per creare un’opinione pubblica a me favorevole non è importante ciò che per me è importante, ma è di fondamentale importanza ciò che è importante per i miei interlocutori. La posta in palio è altissima: si vince o si perde, si vende o non si vende e allora si lavora o non si lavora, si seduce o non si seduce etc. etc. …

Quando saranno passati un po’ d’anni e gli storici indagheranno a bocce ferme e con occhio sociologico il ventennio politico attuale, sarà chiaro comprendere il perché dei successi o degli insuccessi dei vari schieramenti. Ho dimenticato di dire che la mamma della credibilità è la coerenza, mentre la figlia è l’affidabilità, qualità ormai sempre più rara e per questo sempre più apprezzata».

Trova differenza tra la formazione dell’opinione pubblica in Italia e all’estero?

«Penso proprio di sì: ma farei in primis una differenza sostanziale tra la vecchia Europa e la giovanissima America e poi tra i Paesi del nord Europa e quelli mediterranei.

Negli Stati Uniti, ad esempio, non è un problema dichiarare la propria appartenenza politica. In Italia rispondere ad un sondaggio sia pure in forma anonima, di votare in un certo modo, non ci offre nessuna garanzia che poi il voto reale sia coerente con quanto dichiarato.

E questo perché? Perché siamo persone ancora con un minimo di autonomia di scelta e non vorremmo essere incasellati in nessun modo. Non tutti e non sempre ci si riesce ma quando è possibile ci piace pensare di poterlo fare! E allora proverò il piacere di una decisione autonoma e sarà una gratificante trasgressione il fare di testa mia.

Per questo non dovremmo dimenticare mai la storia dei pifferi di montagna e non vendere mai a qualche credulone come oro colato indagini frettolose e superficiali senza la minima credibilità scientifica. E poi quel che funziona negli Stati Uniti non è detto che funzioni anche da noi».

Influenza di più il giornale, la televisione, la radio, internet o le relazioni e le amicizie con il passaparola?

«Qualche anno fa’ all’Università di Urbino proposi una Tesi di laurea dal titolo “Il modello turistico riminese: un fenomeno sociale tra dimensione umana e comunicazione”. Si trattò di un’analisi approfondita e documentata alla ricerca degli ingredienti principali del successo della Riviera romagnola.

I risultati? Nel capitolo conclusivo che affronta “Gli strumenti di promozione” si legge testualmente: “Se la televisione rende popolari i luoghi dai quali trasmette, quello che fa scegliere, decidere, prenotare, però, il passaparola”!!!

E allora permettetemi di dubitare del presunto potere, più o meno occulto, dei mezzi di informazione di condizionare il pubblico. Basti pensare alla fine ingloriosa di regimi e dittatori che disponevano, in assoluto, di tutti i mezzi d’informazione.

Basti pensare alla perfetta organizzazione mediatica di cui dispone la Chiesa: i suoi messaggi trovano una risonanza ed una visibilità non comune su tutti i mezzi d’informazione.

Da duemila anni la Sala stampa vaticana emette lo stesso comunicato, puntualmente ripreso dai media di tutto il mondo: “Amatevi l’un l’altro, non fate la guerra” ma quel che, invece, accade nel mondo è, purtroppo, di triste attualità.

I mezzi di informazione certamente agiscono sulle opinioni (siamo tutti contro la guerra!) ma non sono in grado di condizionare i comportamenti degli uomini: sono altri i motivi, alcuni noti altri meno, che stanno alla base delle nostre azioni».
Nei Paesi democratici il governo influenza l’opinione pubblica?

«I governi, anche democratici, attraverso l’intero sistema dell’informazione e della comunicazione, tendono sempre ad influenzare l’opinione pubblica, ma non è detto che ci riescano. E spesso i risultati non sono quelli attesi!

A costo di ripetermi debbo ribadire la complessità del fenomeno opinione pubblica è fatto di mille sfaccettature perché di mille sfaccettature è fatta la mente umana. Non sempre risulta facile comprenderne i meccanismi ed influenzarli, così come illustri personaggi di scuola americana vorrebbero far credere.

Basterà leggere l’ultimo manuale del perfetto persuasore et voilà nessuno potrà resisterti e l’opinione individuale prima e collettiva poi, ti seguiranno tranquillamente, felici di poterti dire: Son come tu mi vuoi! … Ipse dixit!».

Professore, grazie.


Nota: Intervista del 24 aprile 2013

Il diavolo, Francesco Fattorello e Jean Stoetzel vestono “Prada”

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” URBINO – Corso di Laurea specialistica in EDITORIA MEDIA GIORNALISMO – Esame di Tecniche di relazione – Prof. Giuseppe Ragnetti

Il diavolo, Francesco Fattorello e Jean Stoetzel vestono “Prada”

Lavoro a cura di Martina Zelco

Al titolo “Il diavolo veste Prada”  alla maggior parte della gente verrà in mente il  film di David Frankel ma, non tutti sapranno che, alla base di questa pellicola di risonanza mondiale c’è il romanzo, dal medesimo titolo, dell’autrice statunitense Lauren Weisberger. Prima di diventare un’affermata scrittrice tradotta in tutto il mondo, la giovane Weisberger ha iniziato a lavorare, proprio come la protagonista del suo bestseller come giornalista: appena laureata ha infatti trovato un impiego come assistente della dirigente di una importante rivista di moda, Anna Wintour di ‘Vogue’ (tra l’altro citata anche nelle ultime pagine del romanzo), ritratta poi nel suo libro col nome di Miranda Priestly, della fittizia rivista ‘Runway’. Andrea, l’alter-ego della scrittrice, accantona il suo obiettivo di diventare una giornalista del ‘New Yorker’ quando le viene fatta la proposta di lavoro in questo giornale, posto che nessuna neolaureata può rifiutare in quanto, dopo solo un anno di gavetta, si è certi di poter arrivare dove si vuole grazie alla potenza e alle conoscenze di questo guru della moda.

Siamo nella colorata e caotica New York, città per eccellenza della moda e del glamour. Andrea è una giovane neolaureata in lettere che cerca disperatamente lavoro. Nonostante il suo curriculum di tutto rispetto l’unico lavoro che le viene offerto è come assistente in una rivista di moda: Runway. Alla ventitreenne, in realtà, questo mondo non interessa ma, sa che entrando in una rivista di così grande portata le si potrebbero aprire molte strade nel mondo del giornalismo.

Andrea non è frivola, è la tipica ragazza seria “della porta accanto” con degli amici con dei lavori umili ed un cuoco come fidanzato. A capo della rivista in cui è stata presa c’è la crudele Miranda Priestly. Lei, esattamente come la sua rivista, sono impeccabili in ogni particolare. Miranda è la donna più potente nel settore della moda,  e basta un minino errore per perdere il lavoro nella sua azienda. Miranda è classe, eleganza e perfezione, Andrea è semplicità, “goffaggine” e sbadataggine. Eppure lavoreranno assieme.

Miranda si rivela essere il più spietato e crudele dei capi e caccia Andrea in situazioni scomode, che risultano poi divertenti, e cerca di piegarla al suo volere e di plasmarla a sua immagine fino a quasi rovinarle la vita. Essere l’assistente personale di Miranda significa: girare in limousine per cercare un antiquario fantasma in tutta New York, scartare e catalogare centinaia di regali di Natale, lasciare a casa il fidanzato per andare a una festa di vip, spedire una gonna a Santo Domingo senza sapere quale, imparare a memoria tutti gli invitati della settimana della moda di Parigi e mandare oltreoceano una copia dell’ ultimo  Harry Potter, la sera prima dell’uscita ufficiale. Senza contare una serie infinita di assurde richieste quotidiane, che arrivano ad ogni ora del giorno e della notte. Il “gioco” è duro ma per Andrea si tratta solo di stringere i denti per un anno senza lasciarsi trasportare esageratamente dal mondo della moda. Con il passare dei mesi, però, il non lasciarsi trasportare non risulta così semplice.

Se all’inizio la neolaureata guardava quasi con disprezzo il mondo di passerelle e lustrini ora l’ammirazione per il talento di Miranda e l’attrazione verso accostamenti, accessori di lusso e scarpe firmate prendono il sopravvento su di lei, innescando un processo di trasformazione radicale del look, del guardaroba e del modo di rapportarsi con il suo lavoro. Andrea sembra quasi dimenticarsi delle sue radici e comincia a prendere più consapevolezza di se e ad acquisire quella perfezione ed efficienza lavorativa che erano esclusivi del suo capo.

La prima lezione che Andy impara è che l’industria della moda, che lei guarda con intellettuale disprezzo, è meno superficiale di come si immagini, dietro a quello che vediamo sulle passerelle o sulle copertine delle riviste, c’è il duro lavoro di migliaia di persone. La nostra assistente impara inoltre molte cose sull’ambizione e la sulla carriera, e quale prezzo si è disposti a pagare pur di raggiungere il successo: sacrificare famiglia, amore e valori vale il raggiungimento di un obiettivo professionale?

Miranda, quasi a conclusione dell’anno di lavoro, sceglierà proprio Andrea per accompagnarla all’ambita settimana della moda di Parigi dove si “guadagnerà” un possibile avanzamento di carriera. La giovane assistente si trova così davanti ad una scelta: cercare di ricostruire la sua vita sentimentale e relazionale o avanzare nel lavoro? Complici i consigli e il perbenismo del mentore – art director Nigel e di una Miranda nuova nelle vesti della moglie abbandonata e triste Andrea decide di tornare alle sue origini ritrovando, come era prevedibile, l’amore del suo delizioso fidanzato. La non scelta del sottostare a Miranda ci ricorda che la nostra libertà resta, indissolubilmente coniugata con la possibilità e la responsabilità della decisione.

IL LIBRO “Il diavolo veste Prada” di Lauren Weisberger

 Un libro leggero, scorrevole che diverte, non manca di verve e fa anche pensare. Potremmo definire questo romanzo come una commedia glamour dalle ambientazioni scintillanti e sfarzose, le battute pungenti e le solite rivalità tra donne. E’ un quadro colorato del mondo della moda, la sua efficacia è forte ed è sicuramente aiutata da una città di stile come New Your.

La scrittrice Lauren Weisberger dipinge situazioni al limite del paradosso con ironia e passione, perché quello descritto è lo sfavillante mondo della moda, che lei conosce bene, come  ex assistente personale di Anna Wintour, direttore di Vogue America. Nel romanzo la storia è raccontata seguendo i passi di Andrea con stile amalgamato, deciso e coinvolgente, senti di essere una sua amica, di condividere le sue confidenze, la conosci, la ammiri. Andrea nel libro cambia, si evolve. Da brutto anatroccolo a cigno su 15 centimetri di tacchi, ma non è solo un cambiamento estetico il suo. C’è anche un’evoluzione affettiva e psicologica. La domanda di fondo, quindi, è: vale la pena di affannarsi così tanto per il lavoro? Sta proprio qui la parte più profonda e attuale del libro, che analizza, tramite battute e aneddoti, una vera e propria questione sociale in grande ascesa in una società così frenetica che vede la famiglia sempre più in crisi, spesso proprio per stress e mancanza di tempo.

Probabilmente questo romanzo deve il suo successo di vendite anche ad un titolo intrigante ed al fatto di essere figlio di questi tempi e in quanto tale gradito a un pubblico che vi si riconosce, anche se il mondo della moda, che doveva essere il punto forte del romanzo, è trattato un po’ superficialmente. Il romanzo è indicativo di una dimensione della narrativa declinata al femminile e di una certa posizione di questa “femminilità stereotipata ma non troppo” nella società; in esso c’è una componente che un giorno verrà vista come parzialmente sovversiva, perché i generi sessuali perdono i confini, perché le donne rivelano disinibizioni e pensieri che non si potrebbero credere, perché i romanzi migliori offrono contesti originali e impensabili.

IL FILM “Il diavolo veste Prada” di David Frankel

Divertente, frivolo, straordinario. Trasposizione cinematografica dell’omonimo best-seller autobiografico di Laura Weisberger, “Il Diavolo veste Prada” è quasi una rivisitazione della favola di Cenerentola, dove la protagonista più che un principe azzurro trova una mai posseduta eleganza e una maggiore consapevolezza di se.

Il film guarda con ironia all’inferno della moda, mettendo in luce gli aspetti dominanti di un universo in cui “milioni di ragazze ucciderebbero per avere un posto”: ambizione, carrierismo, ipocrisia, culto della forma. Ma soprattutto: abiti, gioielli, scarpe, borse e cinture. Tutto rigorosamente firmato.
Una commedia ben riuscita che riflette sull’eterno fascino di lusso, fama e successo professionale. In breve: lavoro di responsabilità, ascesa sociale e ricchezza assicurate o “due cuori e una capanna” con normalissimi amici e tenero boyfriend, umile cuoco innamorato? La protagonista si trova perennemente di fronte a questo interrogativo e la sua anima sembra scegliere la via del Diavolo: come le ricorda il compagno, “la persona con cui hai un vero rapporto è quella di cui non perdi mai una telefonata”. Miranda Priestly, dunque.

Amici, amore, famiglia: tutto sembra vacillare di fronte allo sfarzo del glamour newyorkese e parigino, vero protagonista del film, ritratto con abilità da David Frankel. Lo spettatore si butta dentro le immagini a capofitto, ritrovando una leggiadra perfidia che c’è nel romanzo, i tempi e i ritmi ti catturano; un film dotato di una potenza capace di far sussultare il nostro contemporaneo e i suoi pilastri fondanti. Al cinema, a differenza delle pagine del libro, invece di farti coinvolgere si ammira, si resta esterni. Spettatori di qualcosa di bello e curato, il prodotto è raffinato e si propone come eccitantissimo; una sfilata di moda lunghissima, un bagno di colori e griffe dove ciò che è glamour è anche crudele, in agguato, pretenzioso, capriccioso, affilato come una lama che taglia l’ autostima e il rispetto degli altri. Sta di fatto che il “vendere l’anima al Diavolo” da parte della protagonista si realizza solo attraverso un cambio d’immagine.

Come dire: è un quasi addio all’introspezione psicologica che è presente nel libro. Andrea, dopo un breve ma intenso periodo di fatiche e umiliazioni, inizia a guardare il mondo con gli occhi del successo e dell’ambizione (tanto che Miranda le confesserà di vedersi rispecchiata in lei), ma la trama non approfondisce questo momento di passaggio: si limita a mostrarla rinnovata nel look e nell’atteggiamento. Nel film la dimensione affettiva della protagonista è semplificata e narrata male, Anne Hathaway, infatti, ci dona un’apprezzabile interpretazione di “occhioni dolci” , forse un pò troppo affascinante nei panni di Andy, l’adattamento tende ad appiattire lo spessore e l’introspezione psicologica della protagonista.

Questa forse una delle poche pecche della pellicola.  Un film comunque da vedere, perchè bruciante e ficcante come solo la satira americana sa essere, ma anche efficacemente patinato ed edulcorato da diventare una sorta di cenerentola moderna priva dello zucchero Disney.

Il film regala uno spaccato tagliente e sarcastico del pianeta moda, pur riconoscendone le traiettorie trasversali all’arte e alla cultura , nonché le sostanziose ricadute economiche e l’influenza sul costume globale, ma il suo aspetto meglio riuscito e memorabile è rappresentato dalla performance attoriale di Meryl Streep, la quale da vita ad un personaggio estremo nella sua sgradevolezza e presunzione , ma anche umano nella sua ambizione e nella sua apparente contraddittoria fragilità. L’attrice rapisce con una recitazione che è tutta nei movimenti delle labbra, nei cenni del capo, nell’angolazione e nell’inclinazione dello sguardo, nel registro vocale, nei toni bisbigliati; fredda ma in fondo umana, regale ed altera anche quando mostra la sua vulnerabilità; impeccabile nel modo di congedare con “è tutto!”

Analisi de “Il Diavolo veste Prada” (film e libro) secondo le teorie dell’informazione di Fattorello e la teoria delle opinioni di  Stoetzel.

La Tecnica Sociale Fattorelliana,  spiega con una semplice e altrettanto esaustiva formula quali siano le correlazioni tra i vari fattori che operano in ogni processo di informazione. Esiste un Soggetto Promotore, il quale interpreta secondo la propria visione soggettiva un fatto, un’informazione, che chiameremo “X”. Il Soggetto Promotore trasmette l’informazione usando un mezzo (il giornale, ad esempio) per comunicare questo messaggio a un Soggetto Recettore (chi legge il giornale). Inoltre il Soggetto Promotore elabora l’informazione usando un modo di raccontare l’accaduto.

Questo elemento si chiama “Formula d’Opinione” e varia a seconda del destinatario al quale va il messaggio. Infatti il Soggetto Promotore non può avere la presunzione di scrivere come se stesse stilando un diario personale e che un pubblico indistinto debba riuscire a capire ciò che scrive. A seconda del Soggetto Recettore (il quale va studiato anteriormente, nella sua acculturazione, nelle modalità che questo preferisce usare per comunicare, ecc…) la Formula d’Opinione e il Mezzo varieranno. Nella sua rappresentazione grafica, possiamo esprimere la formula fattorelliana seguendo queste interconnessioni:

In questo modo le due parti coinvolte nel processo di informazione assumono una pari dignità. Il Soggetto Promotore racconta la sua visione soggettiva della realtà, il Soggetto Recettore riceve il rapporto d’informazione nei modi e con i mezzi che a questo si adattano maggiormente. Per comprendere correttamente i contenuti il Soggetto Recettore rielabora a sua volta l’informazione ricevuta secondo la sua percezione della realtà. Questo diviene così Soggetto Promotore instaurando un nuovo rapporto d’informazione verso altri Soggetti Recettori con Mezzi e modalità (M ed O) consoni a questi ultimi, e così via.

In questo modo si costruisce la rete dell’informazione rispetto a un determinato fatto e per un determinato gruppo di persone tra loro legati da rapporti d’informazione.

Da ciò deriva il nome di Tecnica Sociale dell’Informazione.           

Il fenomeno dell’informazione è molto vasto e complesso, ed è opportuno quindi fare una duplice classificazione: l’informazione può essere contingente e non contingente.

L’Informazione Contingente si avvale di opinioni generiche legate alla loro tempestività, sono punti di vista di un soggetto che ha a sua disposizione stretti limiti di tempo nei confronti di un recettore che è altrettanto pressato dall’urgenza e dalla curiosità di conoscere. La rappresentazione ed interpretazione di ciò che è oggetto di informazione, ovvero la forma, si avvale di stereotipi, i quali vengono recepiti istantaneamente. Possiamo quindi dire che le caratteristiche principali dell’informazione contingente sono:

  • unilateralità del processo
  • tempestività
  • pubblicità
  • soggetto promotore specialista
  • soggetto recettore generico
  • contenuto generico
  • stereotipi di cui si avvale
  • novità

L’Informazione Non Contingente, non è legata a stretti limiti di tempo, certo legate ad esigenze contingenti ma accettate attraverso un processo storico da una società, di cui sono diventate patrimonio tradizionale; qui la forma rispetta i valori, atti a formare attitudini profonde.

Quindi l’informazione non contingente è dotata di:

  • bilateralità del processo
  • soggetto promotore specialista
  • soggetto recettore qualificato, omogeneo
  • contenuto specifico
  • si avvale di valori
  • articolazione tramite procedimenti logici e razionali
  • assenza di novità
  • assenza di tempestività

Secondo Fattorello, l’attività di informare si può avvalere di molti strumenti, in questo caso; con il “Diavolo veste Prada” la vicenda viene narrata con due mezzi di comunicazione diversi : la carta stampata e il cinema.

Il libro è informazione non contingente in quanto le esigenze del soggetto recettore riflettono una modalità di apprendimento che non ha limiti ne di tempo, ne di spazio, non sono quindi caratterizzate dall’immediatezza e dalla tempestività. Questi limiti definiscono i bisogni di un differente tipo di recettore, vincolato dalla necessità di ricevere un informazione tempestiva, dunque contingente. Semplicemente, il libro è un chiaro esempio di informazione non contingente perché l’adesione ad esso è più lunga, in quanto entrano in ballo esigenze di comprensione, di riflessione e di razionalità. Bisogna capire prima di aderire, infatti il soggetto usa il suo  bagaglio socioculturale, i suoi schemi mentali, per poter leggere e comprendere il romanzo. Il processo si basa su procedimenti logici e razionali.  

Al contrario il film ha un tempo breve, poco più di un’ora e mezzo, e quindi l’adesione è rapida, essendo ricca di splendide immagini e sgargianti colori il recettore non si ferma a riflettere ma si limita ad osservare. Il recettore, inoltre, è rappresentato da un gruppo generico, eterogeneo e intenso. Lo stesso mezzo è usato per saldare il rapporto tra i due Soggetti: il cinema è caratterizzato dalla ripetitività e periodicità delle proiezioni in un arco del tempo variabile. L’informazione è quindi contingente.

L’informazione oltre a passare attraverso due differenti strumenti, è narrata da due differenti soggetti promotori, legati dal rapporto che si instaura tra promotore e recettore. Fattorello sostiene che i due principali termini dell’informazione sono soggetti opinanti, in quanto il soggetto promotore, come già detto in precedenza, trasmette la forma che ha dato a ciò che ha interpretato, cercando in questo modo di rappresentare ad altri quel fatto o quell’ ideologia. Il soggetto recettore, invece, interpreta a sua volta l’informazione pervenuta e si fa promotore verso altri della sua personale interpretazione.

Semplicemente, il promotore ed il recettore sono sullo stesso livello e sono sempre gli stessi. Nel “Diavolo veste Prada” (libro) il soggetto promotore primo, è la Lauren, la quale attraverso il libro ha narrato la sua storia. I lettori, soggetti recettori, sono diventati a loro volta promotori nel momento in cui hanno riferito la vicenda letta, secondo la personale interpretazione, ad altri (soggetti recettori). Il regista e la sceneggiatrice fanno parte dei soggetti recettori perché hanno interpretato ed elaborato, secondo il loro punto di vista e la loro opinione, la trama del libro adattandola alle esigenze cinematografiche.

Anche la teoria di Jean Stoetzel è applicabile ad un passaggio del libro in questione (dico libro, e non film, perché il cambiamento di Andrea è molto più completo ed efficace nelle pagine del romanzo che non nelle immagini del film). La neolaureata dall’inizio della storia alla conclusione ha un cambiamento radicale di opinione sul mondo della moda. Da non sapere se Gabbana si scrive con due o una B a vestirsi con dei capi extralusso, da ignorare i nomi dei giornali sulla moda a leggerne tantissimi tutti i giorni.

Inizialmente il suo scopo era poter lavorare in un famoso giornale, e il lavoro di assistente a Runaway era solo la via per esaudire il suo sogno. Avere dei pregiudizi e rimanere sulle sue idee erano le caratteristiche con cui Andy inizialmente si approcciava al nuovo lavoro e al mondo della moda. Con il passare del tempo, però, si accorge che per raggiungere il proprio obbiettivo e finire l’anno di lavoro a Runway era necessario adattarsi a quel mondo che, a suo “primo” parere, era così superficiale e frivolo.

Nel momento in cui Andrea cambia il suo look, diventando una quasi modella, in lei cambia anche l’opinione sulla moda in generale. Stoezel sostiene che ogni uomo appartiene ad un gruppo sociale, e lo ritiene come ideale, considerando gli altri gruppi inferiori; l’adesione ad un gruppo comporta anche l’adozione degli stereotipi, questo, per l’uomo è un modo di uniformarsi e di stare in armonia con il proprio gruppo.

Il gruppo sociale di appartenenza della nostra protagonista è sicuramente un ambiente semplice dove la moda e il glamour sono solo elementi superficiali e da prima pagina. Andrea ha quindi, adottato dal suo ambiente sociali determinati stereotipi che erano ben lontani dal mondo della moda. Nonostante ciò è interessante come l’assistente di Miranda si trasformi pagina dopo pagina. Abbiamo l’adesione ad un altro gruppo sociale che con il passare del tempo porterà all’allontanamento dalla famiglia e dagli affetti avviene, cioè, rottura con il suo gruppo sociale di appartenenza. Il cambiamento di opinione sulla moda è stata quindi una manifestazione che si è concretizzata con l’adesione ad un gruppo sociale diverso da quello in cui Andrea è cresciuta.

Opinione per Stoetzel è infatti porsi socialmente in rapporto con il proprio e altri gruppi. L’opinione della minoranza, in questo caso il mondo di Miranda e più in generale della moda, ottiene l’adesione del recettore, Andrea, che non lo accetta passivamente ma solo dopo un’attenta valutazione di coerenza con le proprie scale di valori. Andrea scopre che la moda non è solo frivolezza ma anche duro lavoro fatto con passione. L’Impegno è sicuramente un valore con il quale lei è cresciuta. Anche la scoperta della fragilità di Miranda rimanda al gruppo sociale di appartenenza di Andy. Andrea quindi si uniforma al nuovo gruppo sia perché ritrova in questo dei valori a lei cari sia per stare in armonia con esso e con i suoi membri.