La Teoria Fattorelliana alla Conferenza su Panel “Educazione e Consapevolezza al Sexting. Stop al Revenge Porn”

METE, Organizzazione, presieduta da Giorgia Butera, e riconosciuta in ambito nazionale ed internazionale, sviluppa la sua azione attraverso la “Tecnica Sociale dell’Informazione” di Francesco Fattorello.

Ed in occasione della Conferenza Istituzionale, tenutasi in Sala Tatarella (Camera dei Deputati, Roma) lo scorso 28 novembre 2023, alla presenza dell’On. Eugenia Roccella (Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità), discutendo il Panel ‘Educazione e Consapevolezza al Sexting. Stop al Revenge Porn’, è stata introdotta la Teoria fattorelliana, quale metodo scientificamente perfetto per ideare e mettere in atto una Campagna di Responsabilità Sociale. Come quella, discussa in Conferenza.

Secondo la Teoria di Fattorello, gli attori del processo comunicativo sono parimenti elevati al rango di soggetti, egualmente dotati di facoltà opinanti e, di conseguenza, hanno pari dignità. Allo stesso modo non esiste alcun tiratore che colpisce un target, bensì due soggetti attivi che reagiscono ai numerosi stimoli ricevuti sulla base delle proprie facoltà di giudizio e delle proprie attitudini sociali, prodotte da determinati processi di acculturazione.

Sono intervenuti tra gli altri: On. Carolina Varchi (Segretario di Presidenza – Camera dei Deputati), Roberto Tobia (Segretario Nazionale Federfarma), On. Elisabetta Lancellotta (Commissione di Inchiesta Violenza di Genere e Femminicidi), Angela Margiotta (Presidente Nazionale ‘Farmaciste Insieme’), Sara Baresi (Direttrice Generale OIDUR – Osservatorio Internazionale Diritti Umani e Ricerca) ed Antonio Votino (Presidente CE.S.MA.L.).

In conferenza è stato presentato l’impegno portato avanti da più di 3 anni dall’Organizzazione METE nell’educazione e consapevolezza al Sexting, ed al contrasto al Revenge Porn (un reato, vero e proprio). I dati dichiarano, che oltre due milioni di persone in Italia ne sono vittime. Le denunce sono in aumento in ogni regione d’Italia.

È fondamentale per METE, precisare un equivoco sibillino: si continua a parlare di Revenge Porn, con il sottinteso pensiero che se le immagini non fossero state girate, non avrebbero nemmeno potuto essere diffuse e dunque anche la vittima risulta essere un po’ colpevole, è un atteggiamento pericoloso. L’art. 612-ter del Codice Penale parla di “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, ed è così che dobbiamo definire questo reato.

Inoltre, necessita una regolamentazione differente, trattandosi di forme di violenza che attraversano facilmente i confini e vengono perpetrate attraverso le tecnologie digitali. Durante il Panel, il Professore Antonio Votino ha tracciato il rapporto tra Intelligenza Artificiale e Sexting/Revenge Porn.

Lecture of professor Francesca Romana Seganti (American University in Rome)

On March 01, 2013 Professor Francesca Romana Seganti (American University in Rome) delivered two lectures at the Faculty of Journalism, Lomonosov Moscow State University. The lectures were devoted to the theory of Italian researcher Francesco Fattorello.

– What the theory of Francesco Fattorello is about?

– Fattorello’s Social Technique of Information is a communication model written in the ’50s that has always focused on audiences as active participants, as the pivot of the process of communication. Fattorello’s theory has always been in contrast with Anglo-Saxon theories. While these focused on the quality of the media product thinking that what a few considered to be a “good” product could be embraced by a variety of recipients, the Social Technique of Information’s main principle is that each media product has to be constructed by adapting the message to the expectations and the acculturaion of each specific audience.

– Why should it be studied nowadays?

– According to Fattorello, media can only act on people’s opinions but cannot act on the way we behave which is due to our subjectivity. Instead of accepting the idea that the media industry enterprises imposed values, behaviours and patterns that served to maintain domination, Fattorello in the ’50s focused on audiences as active participants. We think that today for those with economic power, it is still convenient to have people believe in the power of publicity, public relation and propaganda. So, people can blame the media and don’t think about their own responsibility in social change. Instead, if journalists, copywriters and politicians who are not yet powerful and don’t belong to the dominant media industry, became aware of the audiences’ active role in the process of communication and used Fattorello’s technique, they can create a shift in power relations. Therefore, we believe that the Social Technique of Information is an appropriate answer to the needs of today’s democratic societies.

– Can the theory somehow be applied to studying the political processes as well, and if yes – can it be used in analyzing the process and results of the Italian elections in 2013?

– Definetly yes. Italian processes can be interpreted in the light of Fattorello’s model. Those who managed to understand and interpret the expectations and acculturation of their audiences have been succesful, while those who based their campaign on their own believes without adapting the message to the audience had worst results. It is not sufficient to do things in a certain way but it is necessary to pay attention to the audiences’ desires and expectations. The Social Technique of Information in an extremly useful model to analyze political communication.

– What are your impressions about Moscow, meeting students, faculty staff?

– Moscow is a very fascinating city and I am “glad” I did not have the chance to see many parts of it because now I have an excuse to go back there! Also, I have been impressed by the great curiosity and the intellectual vivacity of the young aspiring journalists who paid attention to my speech and especially have been open and willing to understand a theory that was new to them. So it really looks like I have to return to Moscow soon!


La Teoria Fattorelliana all’Università della Tuscia

Giorgia Butera (Sociologa della Comunicazione, Presidente Mete Onlus e Scrittrice) è stata invitata dal Professor Michele Zizza ad intervenire online in occasione di una lezione da lui stesso tenuta sulla “Tecnica Sociale” di Francesco Fattorello.

L’incontro è avvenuto con gli Studenti dell’Università degli Studi della TUSCIA – Dipartimento di DISUCOM (Scienze Umanistiche, della Comunicazione e del Turismo).

La Butera ha iniziato il suo intervento ringraziando il Professor Giuseppe Ragnetti (Direttore dell’Istituto) e successivamente ha illustrato la teoria fattorelliana.

Attraverso la presentazione di fatti realmente accaduti è stato spiegato quanto sia imprescindibile la conoscenza del soggetto recettore.

Gli attori del processo comunicativo sono “soggetti” entrambi dotati di facoltà opinanti e quindi di pari dignità. Non vi è più un tiratore scelto che colpisce l’uomo-bersaglio-target, ma vi sono due soggetti attivi che reagiscono ai numerosi stimoli ricevuti, sulla base delle proprie facoltà opinanti e delle personali attitudini sociali prodotte dalle diverse e determinanti acculturazioni.

Qui il link al sito personale di Giorgia Butera

“L’Attualità” – Così scriveva Francesco Fattorello nell’Aprile del 1975

Il giornalista, l’informatore dei fatti del giorno, dei fatti contingenti, per eccellenza, ha come oggetto delle sue attività professionali l’attualità.

Che cosa è l’attualità, che cosa sono i fatti del giorno? Scrive Guy Gauthier in un suo volume dal titolo “L’actualitè, le journal et l’èducation” (Paris; Tema editions 1975) “l’èvenèment est  un rècit de presse ». E la definizione può andar bene se si sa che cosa vuol dire “relazione giornalistica”, se si sa quali sono i vincoli dai quali è condizionata la stesura giornalistica.

Questi “rècit  de presse” suscitano in noi una certa emozione più o meno immediata. Possono esercitare anche un’emozione collettiva alla quale più o meno possono partecipare i recettori del giornale come un recettore di gruppo.

Naturalmente il “rècit de presse” non è una narrazione storica. La storia ha per oggetto i fatti trascorsi di cui conosciamo il principio, lo svolgimento e la fine. Qui ci troviamo, invece, nel bel mezzo dei fatti, ci troviamo nel mezzo degli avvenimenti ancora in via di svolgimento o appresso ai fatti di cui riteniamo di conoscere un certo svolgimento contingente.

E il rendiconto giornalistico dell’avvenimento, proprio per il suo rapporto ancor immediato col fatto, ha qualche cosa di vivo, come ha scritto Pierre Nora, qualcosa che, inserito nel contesto del giornale e per il rapporto diretto “ancora caldo” con l’avvenimento, suscita qualche effetto, emana delle “onde” che sono la sua forza sociale, quasi gli impulsi di qualche cosa ancora animata.

Ora,  mentre la storia non può incominciare se non dopo che quelle “onde” hanno cessato di farsi sentire, il giornalista proprio quelle “onde” deve percepire: in esse il senso dell’attualità.

Si aggiunga ancora che, mentre nella tradizione del giornalismo occidentale l’attualità è la realtà sociale immediata, ancora palpitante, realtà sociale contingente, non attinente a ciò che fu ma a ciò di cui l’informatore è testimone o partecipe e di cui riferisce, come altri ha detto, “al ritmo del presente”; nella tradizione del giornalismo a marxista-leninista l’attualità attiene non soltanto alla realtà sociale contingente, ma è soprattutto una valutazione di essa dal punto di vista politico e ideologico dell’editore, del giornalista e del lettore.

Non si tratta di una realtà astratta, rilevata secondo una teoria obiettivistica: perché se tale fosse non sarebbe più una realtà giornalistica.

Secondo Vladimir Hudec (di cui è apparso un saggio in “Journaliste dèmocratique”, n.2 del 1975) non si tratta di una realtà astratta. E’ il contenuto sociale con i suoi tratti politico-ideologici, il suo valore differenziato secondo interessi di classe e di partito che fa di una attualità una attualità giornalistica . L’attualità (sono sempre concetti di Hudec) non esiste da sola. Non si tratta di una presa di conoscenza, ma di una valutazione di quella attualità utilizzata nella lotta di classe per imporre le tendenze ritenute più giuste per lo sviluppo sociale.

Questa è la concezione dell’attualità in funzione giornalistica che discende dalla interpretazione politica del giornalismo marxista-leninista.

Dice ancora Hudec che, nel mondo occidentale, giornale, cinema, radio e televisione ritengono di avere come fine quello di fornire delle informazioni obiettive. Ma poiché non si possono presentare tutte le informazioni, esse sono presentate sempre secondo una scelta delle più interessanti o delle più importanti , e questa scelta è già una valutazione secondo determinati interessi e determinate ideologie.

Lo aveva già affermato uno dei maggiori maestri della propaganda politica: Lenin, quando diceva che un giornale deve avere un orientamento permanente. Un giornale senza orientamenti è una cosa assurda.

Così scriveva Francesco Fattorello nell’Aprile del 1975

Opinioni sull’Opinione

“L’uomo non può esimersi dall’esprimere opinioni su tutto ciò che lo riguarda direttamente o che, semplicemente, lo sfiora ma non conosce i mille “limiti” dell’opinione.”

Il libello “OPINIONI SULL’OPINIONE” è stato, per anni, uno dei testi che gli studenti dovevano leggere per preparare l’esame di “Scienze della Comunicazione” all’Università di Urbino.

Gli studi accademici, in Italia, non si sono occupati frequentemente dell’opinione: da una parte gli studiosi non le dedicano molta attenzione, dall’altra i cosiddetti “esperti” e quelli “neanche-esperti” ne parlano e straparlano in ogni occasione e in ogni contesto senza conoscerne minimamente la struttura e i meccanismi evolutivi. E allora sentiamo (ancora!), parlare di informazione obiettiva, condizionamento, persuasione occulta, messaggi subliminali, strapotere dei mezzi di comunicazione, di par condicio, e di altre amenità che quotidianamente ci vengono somministrate senza un minimo humus scientifico che renda il tutto appena credibile.

E’, tuttavia, quello dell’opinione un argomento affascinante che ci coinvolge tutti i momenti, tutti i giorni, tutta la vita.

L’uomo non può esimersi dall’esprimere opinioni su tutto ciò di cui viene a conoscenza, su tutto ciò che lo riguarda direttamente o che semplicemente lo sfiora, ma non conosce i mille limiti dell’opinione. Opinare è quasi un’esigenza fisiologica al pari del respirare o del parlare: e, forse, è proprio questo innato, naturale meccanismo mentale, ad affievolire l’interesse per lo studio e l’approfondimento del fenomeno. Giungiamo fino al paradosso che non esistono insegnamenti di “scienze dell’opinione” nelle scuole che preparano i tecnici dell’informazione, i giornalisti cioè, per i quali, invece, l’opinione rappresenta la materia prima, componente di base insostituibile di tutto il loro lavoro.

Questa non conoscenza, questa sciatta trascuratezza didattico-formativa consente ancora oggi a direttori di importanti quotidiani nazionali di affermare: “il nostro giornale, come sempre ha fatto, terrà separati i fatti dalle opinioni”. E, arrivando alla stazione di Roma Termini, non può non colpirci la pubblicità di un giornale della capitale che recita, ancora una volta, “I fatti e le opinioni”.

Ed ecco perché, con grande modestia e con piena consapevolezza dei limiti del nostro contributo, ci siamo lasciati convincere a mettere nero su bianco quello che andiamo raccontando, ahimé da molti anni, nei nostri corsi nei contesti più diversi.


Il libro è semplicemente una raccolta dei contenuti di tante mie lezioni: non c’è nulla di inedito e non ha pretese di originalità. I contenuti delle lezioni, a loro volta, derivano in parte da precedenti dispense che, partendo dagli insegnamenti del Prof. Fattorello, si sono via via aggiornate ed ampliate, ed in gran parte da riflessioni personali e dalle fonti più diverse. La bibliografia è modesta per il semplice fatto che tutto quello che ho detto nelle lezioni l’ho appreso da altri ma, spesso, non ricordo né mi interessa la fonte. Se ho dato la mia adesione alle opinioni da altri proposte, significa che le stesse mi hanno interessato, che le ho valutate e condivise e, quindi, fatte mie!

Ho avuto sempre pudore a scrivere qualcosa per non voler essere identificato come uno dei tanti replicanti: tutto ciò che c’era da dire è stato già detto in maniera migliore, in altre epoche, dai grandi del passato. Ho, poi, capito che tutti i miei pensieri, le mie idee, non erano mie. E allora, ho accettato gli incoraggiamenti che mi venivano da più parti: ora, voglio scrivere per restituire tutto ciò che mi era stato dato in prestito. Nel transito della vita mi è stata concessa la “servitù di passaggio”, ma la proprietà rimane ad altri.

Secondo il filosofo Pascal, “l’opinione è la regina del mondo”[1].

L’opinare è una funzione sociale. Noi abbiamo delle opinioni solo in quanto pensiamo “socialmente”.

L’opinione tende, in definitiva, a situarci in una determinata posizione nell’ambito del gruppo al quale apparteniamo (in quel momento!).

I problemi di opinione sono posti a noi belli e fatti. La nostra riflessione è libera, senza dubbio, di risolverli nella maniera a noi più confacente, ma non è essa che li ha inventati. L’opinione individuale è sempre il frutto dell’interazione sociale. Nessuna opinione è mai stata veramente autonoma: per esistere e sostenersi, seppure per un brevissimo lasso di tempo, essa ha bisogno di appoggiarsi a mille e mille preesistenti opinioni, alle quali ha di volta in volta aderito, anche senza assumerne consapevolezza. E allora, l’opinione “individuale” per sua natura non può che essere “collettiva”: senza condivisione o senza disaccordo e, in definitiva, senza “pubblicità” l’opinione non sarà mai nata e, pertanto, non potrà mai esistere. Sono gli altri che nel loro essere “altro da me” mi autorizzano e legittimano il mio “secondo me… a mio giudizio … a mio modo di vedere…”, me … mio … mio modo …, che non potrei neppure pronunciare se non fossi certo dell’esistenza del tuo … vostro … loro … .

Ricordo di aver letto in gioventù un autore spagnolo che affermava “i morti comandano”: il nostro presente e il nostro futuro non possono prescindere dal passato, dai nostri morti. Sono loro che dettano le regole del presente, sono loro il nostro irrinunciabile patrimonio genetico che ci permette di vivere anche se in termini antitetici e senza condivisione, nel tentativo, a volte disperato, di superarli, di andare oltre per essere noi stessi i morti del domani, che, continuando a tessere le maglie di una catena senza fine, potranno finalmente “comandare” le generazioni future.

E allora, ogni mio pensiero, ogni mia opinione su tutto l’opinabile non può prescindere da tutto ciò che mi ha preceduto, da tutto ciò che altri, prima di me, hanno opinato. L’opinione, pertanto, non può che ribadire la sua connotazione di impossibile autonomia, di improponibile spontaneità, di illusoria indipendenza.

Nella storia dell’umanità sono apparsi, molto raramente, personaggi forniti di intelligenza superiore e noi, nelle diverse discipline del sapere, li abbiamo considerati originali, creativi, innovativi, spiriti ispiratori. Il loro essere fuori dal comune ci ha costretti a classificarli con un termine fuori dal comune: li abbiamo chiamati geni!

In tal caso, l’idea che li ispirava non stava in rapporto con delle determinanti individuali prestabilite. Questa idea era un’intuizione, innanzi tutto, di cui neppure loro potevano vedere le conseguenze intellettuali e sociali che ne sarebbero scaturite.

L’uomo che cerca di pensare da solo, nell’inseguire una impossibile autonomia perché, comunque, le sue opinioni deriveranno, in qualche modo, da opinioni preesistenti, non cerca di riunire attorno a se un gruppo che sposerà le sue opinioni e le sosterrà. Egli è solo preoccupato di arrivare allo scopo e, perciò, incorre nell’incomprensione, nello scherno, nel ridicolo.

Per quanto mi riguarda, con grande realismo e con un pizzico di autoironia, desidero, invece, iscrivermi al partito che A. Camus auspicava quando affermava che “se mai esisterà il partito di quelli che non sono sicuri delle proprie opinioni io potrò farne parte”.

Prof. Giuseppe Ragnetti

Qui il libro Opinioni sull’opinione in formato PDF

[1] “L’opinion est la reine du monde”, B. Pascal (1623-1662), Pensées, V, 311.

Giorgia Butera, fattorelliana D.O.C.

“E’ un invito nel ritenere la rete uno strumento di formidabile connessione con il mondo. Noi siamo presenti in un preciso luogo ed un previso spazio, ma questo non impedisce il dialogo e l’azione con l’Universo, basta avere una connessione Wi-Fi ed ino Smartphone. Da decenni porto avanti la metodologia online, restando fedele alla Teoria della “Tecnica Sociale” di Francesco Fattorello. La rete è uno strumento potente, la regola è saperne fare buon uso.”

Giorgia Butera, Sociologa della Comunicazione, Scrittrice, Advocacy

Qui il sito personale di Giorgia Butera

La Tecnica Sociale Fattorelliana

Info War e geopolitica delle comunicazioni

Nell’ambito della problematica delle “informazioni” e quindi in chiave geopolitica e geostrategica della “guerra delle informazioni”, non si può non ricordare la «Teoria» di Fattorello, che è stata proseguita e propugnata dal suo allievo Giuseppe Ragnetti. Nel volume di Danilo Ceccarelli Morolli, Appunti di Geopolitica (Roma 2018), l’Autore riprende tale questione ricordando al lettore proprio l’importanza di tale «Teoria».

Capitolo II
§2.2. Info War e geopolitica delle comunicazioni
Connessi ai concetti sopra accennati vi è quello della Info War, letteralmente la “guerra delle informazioni”. Se la Cyber War ha come oggetto l’attacco delle reti informatiche e dei sistemi informatici, l’Info War ha come scopo quello di cercare di orientare la pubblica opinione. Il problema della pubblica opinione e dell’impatto sulla classe dirigente è stato da sempre avvertito da tutti i poteri. I Nazisti fecero della propaganda uno strumento teso alla manipolazione sociale di cui Joseph P. GOEBBLES (1897-1945, ministro della propaganda hitleriana dal 1933 al 1945) può considerarsi come una sorta di fautore. Ai tempi del nazismo si riteneva che la massa fosse un soggetto passivo; al contrario la “scuola” italiana della tecnica sociale dell’informazione, propugnata da Francesco FATTORELLO (1902-1985)45 – poi brillantemente proseguita da Giuseppe RAGNETTI – ha chiarito come anche la pubblica opinione (46) sia composta da soggetti opinanti, sfatando così la chimera della dominazione mentale della massa.
(46) Cfr. RAGNETTI G. (a cura di), Francesco Fattorello – Teoria della tecnica sociale dell’informazione, Urbino 2005.

Qui la versione in formato PDF dell’abstract

La Tecnica Sociale dell’Informazione di Francesco Fattorello

Come esiste una tecnica industriale per operare sui materiali, così possiamo servirci di una tecnica sociale per agire sull’opinione: la Tecnica sociale dell’Informazione.

Intervista al prof. Ragnetti sull’opinione pubblica

GIUSEPPE RAGNETTI E L’OPINIONE PUBBLICA

Il professor Giuseppe Ragnetti ha gentilmente rilasciato un’intervista a Francesco Bergamo, direttore responsabile dell’Agenzia Informatore Economico-Sociale.

Giuseppe Ragnetti, ascoltatore parlante. Professore di Psicologia Sociale. Specializzato nelle discipline dell’Informazione e della Comunicazione. Ha raccolto l’eredità culturale e continua l’opera del suo maestro Francesco Fattorello, approfondendo lo studio della originale Teoria della Tecnica Sociale dell’Informazione che insegna nei contesti più diversi favorendone la conoscenza e la fruizione a tutti i livelli.

Dirige l’Istituto Francesco Fattorello in Roma, dando continuità scientifica e didattica alla prima Scuola italiana del settore, fondata nel 1947. E’ membro istituzionale di IAMCR-AIERI, organismo internazionale dell’UNESCO, fondato a Parigi nel 1957, con il compito di coordinare studi e ricerche sulla comunicazione in tutto il mondo. Docente alla Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno (SSAI) Roma.

Già docente al Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione e al Corso di Laurea specialistica in Editoria Media e Giornalismo dell’Università degli Studi Carlo Bo – Urbino.

Professore, lo scopo di questa intervista è quello di dare agli studiosi della pubblica opinione la possibilità di studiare la materia da una diversa visuale. Le farò otto domande.

Nel corso della sua vita privata e professionale si è mai posto la domanda da che cosa sia regolata l’opinione pubblica?

«Mi sono posto la domanda e mi sono dato la seguente risposta: l’uomo è animale sociale e, come tale, ha un bisogno fisiologico di un continuo confronto su tutto ciò che, in qualche modo, lo riguarda. E arriva al punto di opinare su tutto, purché attraverso l’informazione e i suoi mille strumenti di diffusione (ivi compresi anche i rapporti interpersonali) sia venuto a contatto con il problema opinabile. Si tratta di un innato e naturale meccanismo mentale, al pari del respirare e del parlare.

Potremmo azzardare l’ipotesi che a regolare l’opinione pubblica sia soprattutto ciò che ci ha reso gli animali sociali che ora siamo, con le mille sfumature e diversità che ci caratterizzano e ci identificano. In sintesi, penso che sia la vita a regolare l’opinione pubblica prima a livello individuale e poi a livello dei gruppi sociali di dimensioni sempre maggiori fino ad arrivare al comune sentire di un intero paese o di una comunità in senso lato».

Quando, per la prima volta, ha preso coscienza dell’esistenza dell’opinione pubblica?

«Forse da sempre. O, perlomeno, da quando ho capito che qualcuno per convalidare le sue idee e, soprattutto, per raggiungere i suoi obiettivi, faceva largo uso di affermazioni quali la gente dice … il Paese vuole … gli italiani ci chiedono … l’opinione pubblica si interroga … etc. E, tanto per citare un esempio concreto, nella comunicazione politica il malvezzo di fare riferimento alla opinione pubblica rappresenta la più diffusa forma di disonestà intellettuale.

Si parla di un fenomeno e si fa continuo riferimento allo stesso, senza avere la minima conoscenza del fenomeno stesso, della sua struttura e dei meccanismi evolutivi che presiedono al suo manifestarsi».

Il suo approccio al tema in questione è frutto di studio oppure è dettato dall’istinto e dall’esperienza personale?

«Senza dubbio da un istintivo interesse personale che mi ha spinto a studiare il fenomeno e a tentare di capire le sue componenti e le sue dinamiche, anche attraverso la pluriennale esperienza didattica di Scienze dell’Opinione.

A proposito di studio, sono il fortunato possessore di un volume del 1943. E’ in lingua francese: “Theorie des opinionsà” di Jean Stoetzel, uno dei massimi studiosi del fenomeno dell’opinione pubblica.

Il mio maestro Francesco Fattorello si è confrontato con lui condividendone appieno la sua impostazione teorica. Personalmente ho trovato in questo autore molte risposte che cercavo e ritengo fondamentale per tutti gli studiosi e per gli addetti ai lavori, la conoscenza della sua impostazione scientifica.

Il suo approccio prettamente sociologico ci aiuta a capire l’individuo all”interno dei gruppi sociali e la sua acculturazione, che ha generato le sue attitudini sociali, ci spiega come possa nascere un’opinione condivisa e quindi una pubblica opinione».

Che metodi usa per rilevare la pubblica opinione?

«Il metodo più comune è quello delle ben note indagini demoscopiche che presentano accanto alla loro breve validità temporale, un limite ben più grave e, tuttavia, costantemente ignorato, e cioè il non tener conto dei diversi contesti in cui si effettuano le rilevazioni.

L’unica garanzia offerta è quella dell’attendibilità del campione, in quanto qualitativamente e quantitativamente rappresentativo dell’universo da indagare. Non si può pensare che un ragazzo possa fornire la stessa risposta ad esempio sull’argomento sesso, se interrogato fuori della scuola, nel gruppo ristretto degli amici maschi, in aula con il prof presente, o magari in famiglia.

E, invece, tutti i guru televisivi dei sondaggi quando va bene ci indicano l’ampiezza del campione e la sua distribuzione territoriale (nord, centro, sud e isole maggiori) o la sua dichiarata(!!??) appartenenza politica (centro, centrosinistra, centrodestra). E allora non posso, sommessamente, non ricordare a questi grandi esperti che non basta essere laureati in Scienze statistiche (quando lo sono) per poter conoscere e rappresentare correttamente un fenomeno di tale complessità .

Personalmente applico un metodo molto diretto , semplice ed efficace, per farmi un’idea dell’aria che tira e, quindi, capire qual’è l’opinione condivisa dai più su un determinato problema contingente. Si tratta di ascoltare le persone nei contesti più diversi (la fila alla cassa del supermercato, il viaggio in treno Roma-Milano, la sala d’attesa dello studio medico, le ore sotto l’ombrellone, lo spostamento in taxi, la serata conviviale …) non dimenticando, ovviamente, l’importanza dei diversi contesti».

Il suo metodo personale per creare un’opinione pubblica a lei favorevole: in che cosa consiste e di quali strumenti si avvale?

«Il mio metodo consiste nell’essere credibile perché io credo in quel che dico e faccio, enfatizzando di volta in volta gli aspetti della mia personalità che possono essere di maggior interesse per chi mi ascolta. Ricordate il Presidente Pertini? anch’io ho fatto la resistenza … anch’io ho fatto il muratore. … anch’io anch’io sono stato in galera … e, incredibile ma vero, anch’io sono stato bambino !!! detto agli scolari in visita al Quirinale!

Il mio metodo è un segreto di Pulcinella tuttavia ignorato dai più: per creare un’opinione pubblica a me favorevole non è importante ciò che per me è importante, ma è di fondamentale importanza ciò che è importante per i miei interlocutori. La posta in palio è altissima: si vince o si perde, si vende o non si vende e allora si lavora o non si lavora, si seduce o non si seduce etc. etc. …

Quando saranno passati un po’ d’anni e gli storici indagheranno a bocce ferme e con occhio sociologico il ventennio politico attuale, sarà chiaro comprendere il perché dei successi o degli insuccessi dei vari schieramenti. Ho dimenticato di dire che la mamma della credibilità è la coerenza, mentre la figlia è l’affidabilità, qualità ormai sempre più rara e per questo sempre più apprezzata».

Trova differenza tra la formazione dell’opinione pubblica in Italia e all’estero?

«Penso proprio di sì: ma farei in primis una differenza sostanziale tra la vecchia Europa e la giovanissima America e poi tra i Paesi del nord Europa e quelli mediterranei.

Negli Stati Uniti, ad esempio, non è un problema dichiarare la propria appartenenza politica. In Italia rispondere ad un sondaggio sia pure in forma anonima, di votare in un certo modo, non ci offre nessuna garanzia che poi il voto reale sia coerente con quanto dichiarato.

E questo perché? Perché siamo persone ancora con un minimo di autonomia di scelta e non vorremmo essere incasellati in nessun modo. Non tutti e non sempre ci si riesce ma quando è possibile ci piace pensare di poterlo fare! E allora proverò il piacere di una decisione autonoma e sarà una gratificante trasgressione il fare di testa mia.

Per questo non dovremmo dimenticare mai la storia dei pifferi di montagna e non vendere mai a qualche credulone come oro colato indagini frettolose e superficiali senza la minima credibilità scientifica. E poi quel che funziona negli Stati Uniti non è detto che funzioni anche da noi».

Influenza di più il giornale, la televisione, la radio, internet o le relazioni e le amicizie con il passaparola?

«Qualche anno fa’ all’Università di Urbino proposi una Tesi di laurea dal titolo “Il modello turistico riminese: un fenomeno sociale tra dimensione umana e comunicazione”. Si trattò di un’analisi approfondita e documentata alla ricerca degli ingredienti principali del successo della Riviera romagnola.

I risultati? Nel capitolo conclusivo che affronta “Gli strumenti di promozione” si legge testualmente: “Se la televisione rende popolari i luoghi dai quali trasmette, quello che fa scegliere, decidere, prenotare, però, il passaparola”!!!

E allora permettetemi di dubitare del presunto potere, più o meno occulto, dei mezzi di informazione di condizionare il pubblico. Basti pensare alla fine ingloriosa di regimi e dittatori che disponevano, in assoluto, di tutti i mezzi d’informazione.

Basti pensare alla perfetta organizzazione mediatica di cui dispone la Chiesa: i suoi messaggi trovano una risonanza ed una visibilità non comune su tutti i mezzi d’informazione.

Da duemila anni la Sala stampa vaticana emette lo stesso comunicato, puntualmente ripreso dai media di tutto il mondo: “Amatevi l’un l’altro, non fate la guerra” ma quel che, invece, accade nel mondo è, purtroppo, di triste attualità.

I mezzi di informazione certamente agiscono sulle opinioni (siamo tutti contro la guerra!) ma non sono in grado di condizionare i comportamenti degli uomini: sono altri i motivi, alcuni noti altri meno, che stanno alla base delle nostre azioni».
Nei Paesi democratici il governo influenza l’opinione pubblica?

«I governi, anche democratici, attraverso l’intero sistema dell’informazione e della comunicazione, tendono sempre ad influenzare l’opinione pubblica, ma non è detto che ci riescano. E spesso i risultati non sono quelli attesi!

A costo di ripetermi debbo ribadire la complessità del fenomeno opinione pubblica è fatto di mille sfaccettature perché di mille sfaccettature è fatta la mente umana. Non sempre risulta facile comprenderne i meccanismi ed influenzarli, così come illustri personaggi di scuola americana vorrebbero far credere.

Basterà leggere l’ultimo manuale del perfetto persuasore et voilà nessuno potrà resisterti e l’opinione individuale prima e collettiva poi, ti seguiranno tranquillamente, felici di poterti dire: Son come tu mi vuoi! … Ipse dixit!».

Professore, grazie.


Nota: Intervista del 24 aprile 2013