Mediamente Contrario

Riflessioni in libertà sul sistema Radiotelevisivo italiano e sulla comunicazione mediatica in generale

a cura di Marco Cuppoletti


SOMMARIO:

  • INTRODUZIONE
  • LA RADIO E LA TELEVISIONE – CENNI STORICI
  • IL POTERE DEI MASS MEDIA
  • I PROCESSI DELLA COMUNICAZIONE
  • IL SISTEMA MEDIATICO IN ITALIA PRESENTE E FUTURO
  • CONSIDERAZIONI FINALI

INTRODUZIONE

Sulla storia della Radio e della Televisione in Italia e sul tema della Comunicazione in generale sono stati scritti centinaia se non migliaia di autorevoli libri, spesi fiumi di inchiostro e milioni di gigabyte di archivi della rete internet.

Molte delle informazioni presenti in questo scritto, se non addirittura tutte, sono perciò facilmente scaricabili dalla rete, così come le biografie dei personaggi che cito nel testo e che quindi non riporterò volutamente.

Molti autori e saggisti asseriscono che al mondo, oramai, tutto quello che c’era da scrivere è stato già scritto e che tutto ritorna ciclicamente ad essere riproposto.

A chi voglia in ogni caso avventurarsi in una analisi di questa ampia letteratura disponibile, non sfuggirà certo una evidente ridondanza di posizioni, quasi una pedissequa analogia nei concetti espressi sul tema dai vari autori, così come si potrà anche facilmente riscontrare che molti di questi lavori altro non sono che un’algida cronaca di quanto nel tempo è occorso alla realtà dei mass media nel nostro Paese, senza però entrare nell’analisi di dettaglio per spiegare le ragioni sociali e politiche che hanno generato tali accadimenti.

L’argomento in questione in realtà è assai complesso ma grazie a Dio opinabile; pertanto quanto espresso in questo lavoro non ha certamente carattere saggistico, anche se i riferimenti storici saranno precisi; al contrario vuole essere una raccolta di considerazioni personali, quasi sempre confortate e sostenute da dati statistici o da fatti acclarati, nel tentativo di agevolare un racconto fluido che va dalla nascita dei Mass media Radiotelevisivi in Italia fino ai giorni nostri e sul sistema sociale della comunicazione e le molte credenze in merito, con la speranza culturale di lanciare una pietra in uno stagno, quello della “Comunicazione”, che merita di essere agitato da qualche provocazione che voglio fare.

Dal canto mio quindi ho provveduto ad una compilazione delle informazioni qui riportate, cosa che mi è utile per sviluppare un discorso di senso compiuto rispetto a quanto voglio dire sul tema e che per la sua natura, essendo frutto di un pensiero personale, è inedito ed anche perché mi serve per motivare il fatto che mi dichiaro “mediamente contrario”.

Ciò non vuol dire che mi pongo mediamente critico di fronte a ciò che mi circonda, anzi, di norma sono piuttosto accomodante; io sono decisamente contrario all’odierna omologazione verso la quale sta scivolando il sistema mediatico italiano, il quale, se non ritroverà presto la sua identità perduta, sarà destinato ad un inevitabile ed irreversibile declino.

Quelli che, dimostrando buona erudizione linguistica, indicano il “Mainstream” quale pensiero condiviso e opinione consolidata della maggioranza, in realtà, a mio modesto avviso, almeno per una larghissima parte, si lasciano guidare e cullare dal confortante flusso del pensiero dominante senza effettuare il minimo sforzo critico.

Per questa ragione, le critiche al mio pensiero saranno da me assai gradite; l’importante è che queste servano ad un confronto dialettico e genuino che ritengo interessante avviare, come ho avuto già modo di dire, in merito al futuro assai incerto del sistema mediatico in Italia.

Volutamente nello scrivere proverò ad essere ironico, come del resto è mia natura, in quanto sono convinto che se riuscissi a stimolare nel lettore non solo interesse per l’argomento ma anche un sorriso, questa mia fatica non sarebbe stata inutile.

Mi piacerebbe che a leggere non fossero solo gli addetti ai lavori ma anche i molti cultori della materia, gli appassionati, i giovani che si accingono a lavorare nel settore della Comunicazione, una realtà che è e resta affascinante sotto molti punti di vista.

Per questo motivo ho deciso di inserire aneddoti e dettagli storici sotto forma di notizie curiose, una sorta di “non tutti sanno che” utili ed interessanti per conoscere e ricordare.

Proveremo a smontare il “giocattolo” della Comunicazione per guardarci dentro e capirne i meccanismi, sperando poi di saperlo rimontare e con ciò magari sfatare qualcuno dei “luoghi comuni” che affliggono l’argomento Comunicazione e che non mancano di essere puntualmente citati da coloro i quali (li vediamo spesso ospiti nei talk shows), si definiscono comunicatori e si ergono a grandi esperti pur non avendone titolo.

Magari chissà, a loro per primi potrebbe essere utile questa lettura!

E siccome non voglio seguire le mosse di questi ultimi, nel parlare di comunicazione non ho preso in considerazione i giornali quotidiani ed il mondo della carta stampata del quale so poco o nulla e certamente non abbastanza da sostenere tesi personali.

Faccio anche la promessa di evitare nel testo di fare ricorso, per quanto possibile, a termini stranieri ed inglesismi vari, volendo ragionare su questioni che riguardano casa nostra e il sistema della Comunicazione del nostro Paese, così come, seguendo lo stile di chi mi ha molto insegnato, potrei ricorrere a citazioni non rammentandone l’autore ma poco importa visto che queste, evidentemente, hanno trovato sintonia con il mio pensiero.

E se alla fine della fiera il lettore dovesse riscontrare che si ritrova con più dubbi che certezze, con più domande da fare rispetto alle risposte date ebbene, vorrà dire che forse ho colto nel segno delle mie intenzioni.

Mi è gradito a questo punto ringraziare pubblicamente il Professor Giuseppe Ragnetti al quale, come ho detto, debbo molto in termini di competenze acquisite nel campo della Comunicazione e qui nello scrivere ho attinto molto dagli esempi utilizzati nelle sue lezioni.

Egli, già docente dell’Università Carlo Bo di Urbino e Direttore della Scuola superiore di Comunicazione intitolata al grande studioso Francesco Fattorello, nonostante la sua non certo giovane età, svolge ancora oggi un certosino e puntuale lavoro di testimonianza e approfondimento degli studi effettuati dal Fattorello, studi che portarono questo poco conosciuto eminente studioso italiano a formulare in anni difficili e nei quali le teorie sulla comunicazione di origine anglosassone volgevano in tutt’altra direzione, la “Teoria sociale dell’Informazione” che vi invito ad approfondire.

Prima di entrare nel vivo del mio ragionamento, ho inserito dei brevi cenni storici sulla nascita della Radio e della Televisione.

Ho cercato di condensarli al massimo per non appesantire la lettura ritenendo comunque necessario inserirli per inquadrare bene quale percorso di sviluppo questi hanno subito prima di giungere alla realtà odierna che noi tutti conosciamo.

Buona lettura


La Radio e la Televisione

cenni storici

– La Radio

Sono trascorsi più di cento anni dal primo positivo esperimento di Radio trasmissione effettuato da Guglielmo Marconi a Villa Griffone nei pressi di Bologna nel 1895, almeno in Italia ritenuto come l’evento che ha dato vita alla trasmissione a distanza di segnali elettrici senza fili. (per i russi l’inventore della Radio è Aleksandr Popov mentre per gli americani è Nikola Tesla; Una diatriba storica ancora oggi insoluta!)

Eppure la Radio, non intesa qui nella sua accezione tecnica come mero apparato trasmittente e ricevente i segnali radioelettrici, bensì come “quella pratica sociale che chiamiamo radio”, quello cioè che il Prof. Enrico Menduni chiama un vettore di “funzioni identitarie e partecipative”, dimostra, ancora nel presente, di essere un medium  tutt’altro che decotto e che i suoi vissuti storici, i variegati influssi culturali e sociali indotti in determinati momenti storici e le varie forme comunicative con cui nel tempo si è proposta ai suoi ascoltatori,  meritano e lasciano spazio ad ulteriori approfondimenti del tema.

È indubbio infatti che, anche dopo le sue profonde crisi di identità generate vuoi dall’avvento dei nuovi media, vuoi dalle varie trasformazioni tecnologiche intervenute in corso d’opera e dopo essere stata letteralmente saccheggiata dalla sorella TV di generi e formati di successo, il mezzo radiofonico è ancora oggi interessato da grande vitalità e sperimentazione. (dati recenti riportano oltre 38 milioni di contatti giornalieri che interessano la radiofonia in Italia nel suo complesso)

La Radio, più della Televisione, anche in virtù della sua agile modalità di fruizione è stata da sempre sinonimo di libertà di espressione, di sperimentazione, di trasgressione, di anticipazione di mode, di rivoluzioni culturali e musicali.

In Europa la disgregazione del modello pubblico della radiofonia avvenuta agli inizi degli anni ’60 e con esso la fine del modello pedagogico imperniato su testi scritti accuratamente vagliati e calibrati nei contenuti ed impersonalmente traslati al microfono, ha generato nuovi modi di trasmettere, di interagire con gli ascoltatori, coinvolgendoli spesso nella simbiosi partecipativa, ha stimolato la ribellione dagli schemi predefiniti e la voglia di cambiare modelli comportamentali consueti veicolando nuove e dirompenti sonorità musicali.

In Europa, anche molto prima dell’invenzione della stampa a caratteri mobili il sistema della comunicazione consisteva in un modello in cui l’accrescimento dei processi diffusivi creavano squilibri fra quei pochi cui è concesso di emettere numerosi messaggi ed i molti destinati ad essere semplici recettori. In parole povere i vari regnanti e signorotti potevano diffondere il loro verbo con araldi e portavoce mentre al popolo non rimaneva che ascoltare passivamente.

Questo, con tutta probabilità, seppur in una situazione evoluta, ha posto le basi per la centralizzazione istituzionale delle comunicazioni diffusive attraverso il controllo monopolistico della diffusione radiofonica.

Prima di parlare della Radio di casa nostra, credo sia interessante procedere con alcuni cenni storici anche della Radiofonia negli Stati Uniti e di quella in Inghilterra, due modelli nati e cresciuti in un modo assai diverso tra loro.

– Il caso degli Stati Uniti

Il 2 novembre del 1920, forte di una concessione governava per la creazione di un sistema di radiodiffusione pubblica, la stazione KDKA dalla città di Pittsburg nello stato della Pennsylvania iniziò le regolari trasmissioni con la radiocronaca in diretta del secondo turno delle elezioni presidenziali statunitensi.

Sebbene gli ascoltatori effettivamente sintonizzati fossero in numero assai esiguo, l’evento ebbe un risalto talmente grande da generare una frenetica corsa alla realizzazione di nuove stazioni trasmittenti ed alla progettazione e commercializzazione di un gran numero di nuovi modelli di radioricevitori.

L’anno seguente si presentò, per il futuro della radio, un’altra occasione di grande interesse: la radiocronaca in diretta di un grande avvenimento sportivo, costituito dall’incontro di pugilato tra i pesi massimi Jack Dempsey e George Carpentier.

Questa volta a trasmettere l’evento sarà un ancora sconosciuto David Sarnoff con la stazione WJY di proprietà della RCA – Radio Corporation of America, per la quale egli lavorava e della quale poi diventerà mitico Presidente.

Sarnoff, aiutato dal club dei radioamatori locali, attrezzò per l’evento un centinaio di posti di ascolto nelle sale dei teatri, nei locali e music hall.

A metà del 1923 le stazioni Broadcasting radiofoniche negli Stati Uniti attivate da amatori, associazioni, istituzioni ma anche soggetti commerciali erano ormai più di un migliaio (450 in soli otto mesi tra il 1922 ed il 1923) con un pubblico stimato intorno ai due milioni di ascoltatori.

Tale proliferazione era dovuta ad una crescente domanda di intrattenimento ed informazione proveniente dai siti più disparati del paese. Spesso si trattava di programmi di basso costo, che lasciavano larga parte all’improvvisazione nella cronaca di eventi sportivi o nella proposizione di musica popolare.

Tutte le emittenti, sia a carattere locale che nazionale, erano state autorizzate ad operare sulla stessa lunghezza d’onda.

Nonostante le ampie raccomandazioni di evitare gli stessi orari di trasmissione tra stazioni limitrofe, questo rese sempre più frequenti i disturbi nella ricezione e l’accavallamento nelle stazioni ricevute.

Di fronte a questo caos, le emittenti dotate di risorse finanziarie adeguate ricorrevano al potenziamento della loro emissione, contribuendo, nelle zone marginali, a rendere praticamente impossibile la ricezione.

Ci si rese conto, perciò, che era inevitabile varare un sistema nazionale della radiodiffusione.

Nel 1922 venne organizzata la prima conferenza nazionale sulla radio, per affrontare il problema della radiodiffusione negli Stati Uniti.

Un presupposto della conferenza consisteva nel fatto che, secondo quanto sancito dal “Radio Act” approvato nel 1912 dal Congresso Americano, non si potesse negare a nessun cittadino statunitense la licenza di trasmissione radio.

Questo diritto acquisito contribuì a creare un clima di acceso conflitto tra coloro i quali volevano riportare la disponibilità delle frequenze radio sotto lo stretto controllo statale e tra chi invece insisteva in una visione aperta all’imprenditoria privata.

Alla conferenza partecipò anche, come uditore, un inviato del Postmaster General inglese (corrispondente al nostro Ministero delle Comunicazioni) il quale rimase impressionato molto negativamente dal nascente sistema americano. Non è escluso che il suo rapporto abbia influenzato la scelta britannica di porre, da subito, l’uso delle frequenze radio sotto stretto controllo statale.

Contestualmente in America si stava affermando il consumismo di massa, con la nascita delle grandi catene di supermercati e centri commerciali. La domanda di beni e servizi andava aumentando progressivamente.

I responsabili delle emittenti radiofoniche si resero immediatamente conto che le trasmissioni da loro prodotte, non dovevano essere soltanto immaginate per stimolare l’acquisto dei radioricevitori, ma che potevano essere vantaggiosamente finanziate dalla pubblicità dei prodotti commerciali.

La compagnia monopolista telefonica AT&T, da poco sganciatasi dal sodalizio di partecipazione alla RCA con Westinghouse e General Electric, diede vita nel 1922 alla stazione WEAF di New York, la prima emittente ad essere finanziata completamente dalla pubblicità.

Inoltre, potendo contare sulla disponibilità delle linee telefoniche della compagnia presenti in tutto il paese, la WEAF, collegando in rete altre emittenti a copertura regionale, costituì il primo network radiofonico nazionale.

Il fondato timore della AT&T di finire nel mirino della commissione federale antitrust a causa di una evidente posizione dominante sia nel comparto della telefonia che della radiofonia, convinse la compagnia a cedere nel 1926 il network radiofonico alla RCA e ad uscire dal mercato della radiodiffusione in cambio di vantaggiosi contratti di affitto delle linee telefoniche.

La RCA a sua volta, ricapitalizzata da Westinghouse e General Electric, realizzò il grande network nazionale denominato National Broadcasting Company meglio conosciuta come NBC, alla quale si affiancò presto un competitor di pari grandezza, la Columbia Broadcastig Corporation meglio conosciuta come CBS.

A questo punto il modello americano per l’emittenza radiofonica era tracciato inequivocabilmente. Tale modello venne preso a riferimento anche in tutto il Centro e Sud America.

Esso prevedeva un settore con un forte orientamento commerciale e pubblicitario.

I programmi da diffondere venivano studiati e prodotti di concerto tra le stazioni radiofoniche, gli sponsor e le agenzie pubblicitarie, anche se la responsabilità ufficiale dei contenuti trasmessi, a seguito della legge federale del 1927, competeva alla stazione emittente.

 il “Radio Act” del 1927 descrisse bene la situazione dichiarando come l’“etere” fosse una risorsa di pubblico dominio e dovesse essere distribuita preservando il pubblico interesse. Nella causa “Great Lakes Broadcasting” (1929), la Commissione Federale sulle trasmissioni Radio (successivamente chiamata FCC) dichiarò che seguire il “pubblico interesse” significava, per chi trasmetteva, soddisfare “gusti, bisogni e i desideri dei gruppi più rilevanti tra i pubblici ascoltatori . . . nella giusta proporzione, con una programmazione a tutto tondo, dove l’intrattenimento sia composto da musica, classica e leggera, religione, istruzione, cultura, eventi importanti, discussioni di pubbliche problematiche, meteo, resoconti di mercato, notizie e questioni percepite da ogni membro della famiglia.

Dopo questa legge, seguirono anni di acceso dibattito sostenuto anche da autorevoli personaggi ed organizzazioni influenti come, ad esempio, la Fondazione Rockefeller, i quali erano per una apertura del sistema radiofonico verso situazioni che favorissero le radio no-profit e accentuassero la funzione educativa del mezzo, piuttosto che una completa commercializzazione della radiofonia.

La FCC avrebbe potuto, a norma di legge, riservare alle radio no-profit una quota di frequenze. In realtà negli anni a seguire, le licenze concesse furono in numero davvero residuale, evidentemente anche a causa delle opposizioni delle associazioni degli industriali.

Questa regolamentazione del settore, non monopolistico e non controllato direttamente dallo stato, contribuì all’affermazione ed al conseguente predominio dei grandi network commerciali.

Nonostante le battaglie delle organizzazioni civili e di base contrarie alla pubblicità e alle posizioni dominanti nel settore, la seguente legge di regolamentazione del 1934 riaffermò sostanzialmente la precedente impostazione.

Ormai la radiofonia negli Stati Uniti si era consolidata in una realtà presente in tutto il paese ed una larga parte delle famiglie statunitensi era in possesso di almeno un apparecchio ricevente.

L’offerta di programmi, di molto ampliata, si era strutturata in “generi” che, attraverso un lavoro di riadattamento al nuovo mezzo, riprendevano le forme di spettacolo popolare oppure ne proponevano di nuove.

La programmazione venne suddivisa in fasce d’ascolto ed ai tradizionali programmi sportivi e musicali, considerati più impegnativi e prestigiosi e destinati, quindi, ad un ascolto prevalentemente serale, si affiancarono i programmi diurni studiati e conformati per raggiungere le casalinghe, individuate dai pubblicitari e dagli sponsor radiofonici come soggetti con spiccata inclinazione all’acquisto.

Si lavorò, con questo fine, alla ideazione di commedie a sfondo poliziesco ed a riduzioni radiofoniche di drammi classici; ma la vera novità nell’intrattenimento radiofonico si ottenne con l’affermazione della fiction a lunga serialità: le famose “Soap opera”, così chiamate poiché finanziate dalle imprese produttrici di saponi e saponette.

Le “soap opera” avevano per soggetto situazioni che si protraevano puntata dopo puntata, a volte anche per anni, in un connubio tra il dramma e la commedia ricreando la tipica atmosfera familiare.

Gli anni a seguire, fino al secondo conflitto mondiale, furono per la radiofonia statunitense segnati da tappe memorabili, sia sotto il profilo delle mode musicali, con il fenomeno delle “Big Bands”, come quella magistralmente diretta da Glenn Miller ed anche sotto il profilo della propaganda politica che scommetteva sulle potenzialità del mezzo radiofonico, come gli storici “discorsi al caminetto” che il presidente Franklin Delano Roosevelt tenne quasi ininterrottamente dal 1933 al 1945.

Come già detto, la radiofonia statunitense, seppur iniziata da una spinta dilettantistica e commerciale, conobbe immediatamente l’egemonia e l’oligopolio dei grandi Broadcaster, lasciando spazio assai marginale ad una radiofonia che fosse voce ed espressione di minoranze sociali.

Dal secondo dopoguerra in poi, la radiofonia statunitense trovò una parziale riaffermazione dopo la crisi generata all’avvento della televisione cercando nuovi sbocchi di possibile sviluppo

A ridosso degli anni Cinquanta poi, sotto la spinta dei movimenti per diritti civili, la radio fu interpretata come possibile megafono per i problemi della popolazione nera.

In quegli anni, infatti, si registrò la nascita di molte radio locali impegnate contro l’emarginazione dei ghetti nelle città a grande concentrazione afroamericana.

Anche la specializzazione nella trasmissione di particolari generi di musica per raccogliere il favore di nicchie di ascoltatori giovanili fu un tentativo riuscito di adeguare il mezzo radiofonico ai gusti delle nuove generazioni.

Se volete, per comprendere bene quanto in America negli anni a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘70 la Radio sia stata motivo di emancipazione culturale e identità giovanile vi basterà vedere il bellissimo film diretto da George Lucas “American graffiti” dove i programmi tramessi dal mitico Dj “Lupo solitario”, che nel film ha interpretato sé stesso, costituivano il fluido portante del vivere giovanile.

– Il caso inglese

Come abbiamo visto, mentre negli Stati Uniti a partire dal 1920 sotto le spinte dei capitalisti e dei grandi imprenditori ritenne necessario regolamentare il nascente mercato della radio commerciale, al contrario in Europa, con particolare riferimento al Regno Unito, non si parlò mai di emittenti fuori dal controllo statale; questo almeno fino agli anni ’60.

In Europa fra le prime emittenti ad iniziare un servizio di trasmissioni dilettantesche ma stabili, fu la stazione radio dell’Aia (Olanda), che già dal 1919, diffondeva concerti di musica sinfonica ricevuti anche dagli appassionati inglesi e tedeschi, i quali si cimentavano con gli incerti funzionamenti delle loro radio a galena.

Ma il paese che in Europa diede concrete basi allo sviluppo della radiofonia strutturalmente organizzata, fu l’Inghilterra, dove nell’ottobre del 1922 nacque la BBC (British Broadcasting Corporation).

Come detto, in Inghilterra a differenza di quanto avvenne in America, dove assieme alla progressiva affermazione delle grandi Broadcasting Corporations  come la NBC (National Broadcasting Company), la CBS (Columbia Broadcasting Company) e la ABC (American Broadcasting Company), coesisteva una grande quantità di piccole emittenti locali, la BBC fu fondata sotto l’egida dello Stato, che tramite il Post Office (l’ente pubblico delle poste e telecomunicazioni) favorì la nascita di un consorzio monopolistico di tutte le aziende inglesi del settore.

La BBC poté fin dall’inizio disporre, per la sua attività, di un canone di abbonamento e di una percentuale garantita sulla vendita degli apparecchi radio; non ebbe quindi a dipendere per la sua esistenza dalle risorse economiche provenienti da attività commerciali e pubblicitarie (come era invece per le compagnie americane), e per questo motivo si costruì rapidamente la fama di un servizio di alta qualità ed imparzialità.

La BBC infatti, sin dalla nascita, aveva stabilito quale sarebbe stato il codice deontologico che avrebbe caratterizzato il suo operato.

L’ispirazione di fondo è riconducibile alle tre famose linee di indirizzo editoriale: informare, educare ed intrattenere.

Il codice di condotta della BBC, che sarà poi applicata all’idea statale di servizio pubblico radiotelevisivo praticamente in tutto il mondo, fu sviluppato grazie a Sir John Reith, il primo direttore generale della BBC in carica fino al 1938.

John Reith voleva con forza una radio di proprietà della nazione tutta, al di sopra di qualsiasi coinvolgimento speculativo e commerciale, al di fuori sia della legislazione commerciale e del controllo diretto del Parlamento e del Governo.

Egli concepiva il broadcasting come un servizio pubblico obbligato a mantenere livelli elevati di qualità della programmazione e necessariamente gestito secondo principi di alta moralità.

Voglio anche rammentare che in quegli anni la British Broadcasting Corporation si era dotata di una rete potentissima di trasmettitori ed era in grado di raggiungere agevolmente le indie britanniche e gli altri lontani paesi del Commonwealth affidando al mezzo radiofonico un ruolo ritenuto strategico per la propaganda politica coloniale del Regno Unito, come splendidamente testimoniato da alcune scene del film “Il discorso del Re”.

– Il caso italiano

Il 6 ottobre 1924 nasce la Radio italiana. Prima di quella data molte erano state le difficoltà che avevano segnato l’avvio del regolare servizio di Broadcasting nel nostro paese nonostante l’inventore della radio fosse un italiano.

Il regime fascista, da poco insediatosi, espresse subito la volontà di avviare un servizio radiofonico regolare in Italia e Mussolini stesso ebbe intorno al 1923 svariati contatti diretti con Guglielmo Marconi.

Nel febbraio del 1923 con l’emissione di un Regio Decreto, lo stato si riservava l’esercizio degli impianti di radiodiffusione e la facoltà di concedere autorizzazione ad eventuali soggetti privati.

Di conseguenza sorsero diverse società che miravano ad ottenere dal competente ministero la concessione di esercizio, nella prospettiva di esigere un canone di abbonamento o, analogamente alle Broadcasting degli Stati Uniti, nell’intento di ricavare guadagni dalla vendita di spazi pubblicitari.

Le imprese più autorevoli tra quelle che avevano avanzato domanda di concessione, come la SIRAC (società italiana audizioni circolari, con alle spalle la società americana Western Electric interessata alla produzione di apparecchi riceventi) e la Società Anonima Radiofono (fondata nel settembre 1923 dalla Marconi Company allo scopo di fornire allo stato un immagine di società particolarmente affidabile in senso tecnico), raggiunsero, su invito del Ministro delle Comunicazioni Costanzo Ciano, un sofferto accordo commerciale che le portò a fondare congiuntamente, nell’agosto del 1924, la Società Anonima Unione Radiofonica Italiana U.R.I. con un capitale iniziale di 1.400.000 lire elevato poi su imposizione governativa a 6.200.000 lire, somma indubbiamente ingente per l’epoca.

Le trasmissioni iniziarono il 6 ottobre 1924 alle ore 21.00 dallo studio romano di Palazzo Corradi.

Contrariamente a quanto storicamente creduto per decenni, sembra ormai acclarato che non fu la prima annunciatrice radiofonica, Maria Luisa Boncompagni, ad aprire il regolare servizio radiofonico con lo storico annuncio:

“Uri, Unione Radiofonica Italiana. 1-RO: stazione di Roma. Lunghezza d’onda metri 425. A tutti coloro che sono in ascolto il nostro saluto e il nostro buonasera. Sono le ore 21 del 6 ottobre 1924. Trasmettiamo il concerto di inaugurazione della prima stazione radiofonica italiana, per il servizio delle radio audizioni circolari. Il quartetto eseguirà Haydn dall’opera 7 primo e secondo tempo”.

bensì, la violinista Ines Viviani Donarelli, facente parte del quartetto di musicisti che eseguì il concerto di inaugurazione.

In ogni caso, stante l’inesistenza di produzione e diffusione di apparati riceventi, quel primo annuncio fu ricevuto da un numero veramente esiguo di utenti, prevalentemente radioamatori.

Il primo palinsesto della neonata URI aveva una durata di due ore (20.30 – 22.30) e comprendeva programmi musicali, informazioni meteo ed economiche, notiziari.

Per ascoltare la radio si doveva sottoscrivere un abbonamento, o meglio si doveva pagare una tassa. Il pagamento del canone e la pubblicità commerciale dette vita ad un sistema di doppio finanziamento che, malgrado le critiche rivolte da più parti, è rimasto invariato fino ai giorni nostri. Alla fine del 1924 gli abbonati alla radiofonia erano circa 15.000, cinque anni dopo se ne contavano 26.000.

L’URI, che nel 1928 prese il nome di EIAR (Ente italiano Audizioni Radiofoniche), mise in atto un piano di potenziamento su tutto il territorio nazionale. Nel 1930 entrò in funzione la Stazione Roma di Santa Palomba da 50 Kw, tra le più potenti d’Europa; nel 1931 venne attuato il nuovo piano di ampliamento della rete estendendola, grazie all’entrata in funzione della stazione di Roma Prato Smeraldo a onde corte, anche alle colonie; nel 1932 fu inaugurato il palazzo EIAR di via Montello a Roma, con sette auditori e uffici amministrativi.

Nello stesso anno entrò in funzione la seconda stazione di Milano da 50 Kw; nel 1936 venne inaugurata una nuova antenna, a Roma Santa Palomba, dell’altezza di 265 metri, seconda in Europa per capacità di servizio. Anche i programmi, parallelamente allo sforzo tecnologico, fecero il salto di qualità: nel 1933 l’EIAR creò l’etichetta discografica CETRA S.p.A. per la diffusione di musica registrata; nello stesso anno venne istituito il Centro Radiofonico Sperimentale, una scuola di formazione per professionisti del settore; sempre nel 1933 andò in onda la prima radiocronaca calcistica: Nicolò Carosio dal Littoriale di Bologna raccontò dal vivo agli italiani l’incontro Italia-Germania.

In ogni scuola fu installato un apparecchio ricevente per ascoltare la trasmissione Il Natale di Roma e la Festa del Lavoro; nel 1934 sempre per le scuole fu trasmesso  Il Duce e i Bimbi, a maggio venne seguito in diretta il XXII Giro d’Italia, e dal 27 maggio al 10 giugno il campionato del Mondo di calcio; il 18 gennaio del 1939 si esibirono i vincitori del concorso “Voci Nuove”, e ad ottobre fu indetto un referendum per la rilevazione delle preferenze di ascolto.

Alla fine degli anni trenta l’EIAR raggiungeva l’intero territorio nazionale con oltre un milione di abbonati, una cifra davvero notevole se si considera che l’abbonamento faceva capo in genere ad una intera famiglia; grazie alle onde corte si spingeva oltre, nelle colonie, nel bacino del Mediterraneo, in Etiopia, a Mosca.

Mi preme sottolineare che nonostante il grande impulso espansivo che visse la Radio Italiana durante gli anni del ventennio fascista, Mussolini non vedeva assolutamente di buon grado il mezzo radiofonico.

La vulgata storica che va per la maggiore attribuirebbe questa netta contrarietà del Duce nei confronti della Radiofonia agli effetti di un problema tecnico accaduto durante una trasmissione in diretta di un suo discorso.

Negli anni ’80 in modo fortuito ho avuto personalmente modo di conoscere quello che probabilmente è stato il vero motivo dell’acredine di Mussolini per la Radio. Un collega RAI di allora mi raccontò alcuni aneddoti realmente accaduti a suo padre, il quale era stato impiegato tecnico dell’URI durante il ventennio fascista;

“Caro Marco, devi sapere che i comizi di piazza di Mussolini venivano supportati dagli impianti di amplificazione della voce realizzati esclusivamente da una ditta in appalto, la “Germini elettricità e Radio” con sede in via Cavour a Roma. Quel giorno il discorso veniva ripreso anche dai microfoni della Radiofonia URI. Purtroppo, per un errore del fonico della ditta in appalto, proprio nel bel mezzo del comizio, si generarono una serie di fischi dovuti al cosiddetto effetto Larsen che furono inevitabilmente trasmessi anche via radio”.

La Radiofonia italiana era quindi innocente in quel disservizio, ma Mussolini questo non poteva saperlo. Da quel momento ebbe sempre timore che le riprese radiofoniche in diretta dei suoi discorsi potessero metterlo in difficoltà o peggio gettarlo nel ridicolo.

In Italia, nell’immediato dopoguerra, i programmi radiofonici per il nord erano trasmessi da Torino, quelli per il centro sud da Roma.

Il 3 novembre del 1946 i due programmi presero il nome di Rete rossa e Rete azzurra in analogia alla NBC americana di anteguerra.

Nel 1950 nasce il Terzo Programma radio con uno spiccato indirizzo culturale, mentre il 30 dicembre del 1951 viene dato un assetto definitivo alla radiofonia italiana con il programma Nazionale, il Secondo programma ed il Terzo programma.

La Rai, subentrata all’Eiar nel 1944, ottiene nel 1952 la firma di una convenzione ventennale con lo Stato che prevede anche il passaggio della maggioranza assoluta delle azioni all’IRI, dando così una forma legale al totale controllo governativo sul servizio pubblico radiotelevisivo.

Nel 1962 e 1966 ci saranno altre modifiche organizzative che individueranno all’interno dei tre programmi una responsabilità per genere (prosa, musica) e per fasce orarie. La radio abbandona di fatto le ore serali ormai ad appannaggio quasi esclusivo della televisione.

Giungono poi gli anni del rock e delle radioline a transistor, e di colpo la radio di Stato con la sua rigida organizzazione appare come pietrificata e lontana anni luce rispetto alle esigenze dei giovani di ascoltare nuova musica e nuovi linguaggi sempre ed in ogni luogo.

A causa della grande distanza le radio pirata del Mare del Nord non potevano essere ricevute agevolmente in Italia se non con apparati di una certa qualità e non certo portatili. Inoltre, la differenza di lingua non facilitava certo l’ascolto.

Il Principato di Monaco era titolare di una emittente radiofonica in lingua francese attivata nel 1948 e riconosciuta dalla Francia al pari di Radio Luxembourg come “emittente periferica”.

Il 6 marzo 1966 Radio Montecarlo iniziò un programma in lingua italiana, nella fase iniziale limitato a sole due ore giornaliere e a distanza di poche settimane elevate a tredici. Il conduttore della trasmissione era il noto cantante Herbert Pagani.

Radio Montecarlo riporterà in brevissimo tempo un successo enorme tra il pubblico giovanile italiano per mezzo di una programmazione fluente, ricca di musica leggera, un parlato piacevole e divertente senza nessuna ufficialità, insomma uno stile meno piratesco, duro e trasgressivo rispetto al modello inglese, ma ugualmente ampiamente coinvolgente.

Radio Montecarlo quindi si può ben considerare come il modello di conduzione radiofonica che a distanza di qualche anno sarà ripreso integralmente dalle radio private italiane ancora in fase di gestazione.

Indubbiamente la Rai dell’epoca ricevette una scossa notevole dalla spinta di questa concorrenza; sta di fatto che proprio in quel periodo vedranno la luce generi e programmi di nuovo stampo per il servizio pubblico radiofonico, che seppure non invertiranno la tendenza ormai dilagante dell’esodo degli ascolti del pubblico giovanile verso le emittenti in grado di proporre una forma più disinvolta e disinibita di fare radio, tenteranno comunque di adeguarsi alla nuova stagione del mezzo radiofonico.

I programmi innovativi messi in campo dalla Rai, che riporteranno in verità un grande successo tra i radioascoltatori appartenenti alle giovani generazioni italiane, furono dapprima “Bandiera gialla” (1965) ed in seguito “Alto Gradimento” (1972), entrambi ideati e condotti da Gianni Boncompagni e Renzo Arbore.

Lo sforzo di ammodernamento dello stile editoriale radiofonico, messo in campo dalla Rai dell’epoca, fu notevole; tuttavia, il bisogno di trasgredire il monopolio pubblico con la presa della parola, la possibilità di essere protagonisti in prima persona di una comunicazione non mediata, la spallata disubbidiente verso la riserva esclusiva dello stato sulle frequenze radio fu dilagante. Rispetto all’esperienza inglese, in Italia il fenomeno della radiofonia privata nasce e si sviluppa con presupposti radicalmente diversi; anche se rapidamente, si assisterà ad una decisa convergenza verso il modello commerciale che è stato in realtà il vero motore di affermazione delle radio pirata nel Mare del Nord.

In Italia infatti, nascono le sedicenti “Radio Libere” piuttosto che le “radio pirata”.

Questo distinguo, tutt’altro che marginale, va evidenziato perché le nostrane radio libere, oltre ad operare anch’esse senza alcun tipo di possibile autorizzazione come le radio pirata inglesi, perlomeno nei primi anni del fenomeno, ebbero anche come primo istinto quello di dichiararsi “libere” dai condizionamenti di natura commerciale; tant’è che  ricorsero sovente a sistemi di  autofinanziamento pur di raggiungere, a volte riuscendoci, il tanto mitizzato obiettivo della “libertà di parola e di espressione”.

Anche in questo caso, come abbiamo visto in precedenza, sono stati i Radioamatori, esperti nel realizzare sistemi di trasmissione a basso costo, a contribuire in modo decisivo al fiorire spontaneo di una miriade di piccole emittenti nella banda di frequenza FM 88-108 Mhz.

Uno sbocciare che venne paragonato, forse fuori luogo, alla “Campagna dei cento fiori” di ispirazione maoista.

Sistemate in locali arrabattati e utilizzando spesso mezzi tecnici di fortuna come vecchi trasmettitori di provenienza militare, le nascenti “radio libere” iniziarono le loro trasmissioni intese come strumento di denuncia sociale e politica, con una copertura territoriale che, di norma, non andava oltre il quartiere di un grande insediamento urbano o l’area dei piccoli comuni.

Una grande novità introdotta da queste emittenti fu il rapporto diretto con il pubblico attraverso le telefonate in diretta.

Opinioni, denunce, semplici richieste di brani musicali, tutto poteva essere motivo di un contatto con la radio, che rilanciava a sua volta in onda la voce dell’ascoltatore generando una sorta di loop comunicativo.

Questa opportunità non era mai stata colta dalla radiofonia statale, eppure Bertolt Brecht, già decenni prima nel suo “discorso sulla funzione della radio”, asseriva profeticamente che:

“La radio potrebbe essere per la vita pubblica il più grandioso mezzo di comunicazione che si possa immaginare, uno straordinario sistema di canali, cioè potrebbe esserlo se fosse in grado non solo di trasmettere ma anche di ricevere, non solo di far sentire qualcosa all’ascoltatore ma anche di farlo parlare, non di isolarlo ma di metterlo in relazione con altri. La radio dovrebbe di conseguenza abbandonare il suo ruolo di fornitrice e far sì che l’ascoltatore diventasse fornitore”.

Nello stesso scritto Brecht ipotizzava che la radio fosse stata inventata ancor prima che ci fosse un pubblico in attesa di essa e che piuttosto fosse la radio in attesa del suo pubblico e dei suoi bisogni da veicolare.

Ebbene, l’avvento delle radio libere confermò senza dubbio che quel pubblico esisteva ed era da tempo in attesa di appropriarsi del mezzo radiofonico a tal punto di diventarne protagonista.

– LA TELEVISIONE IN ITALIA

Voglio evitare i cenni storici sulla nascita della televisione in Italia poiché ampiamente conosciuti e facilmente reperibili ma più che altro perché a mio parere la storia delle televisione italiana, intesa come sviluppo della rete trasmissiva e delle varie infrastrutture di funzionamento non ha nulla di degno di nota se non il fatto che da un primo canale nazionale iniziale del 1954 sono poi diventati tre sotto la spinta lottizzatrice della politica e che dopo la nascita delle regioni con la legge di riforma sulla RAI nel 1979 si è avviata l’informazione regionale irradiata dalle 21 sedi regionali della Rai.

Dirò poco e niente anche per due principali ragioni: La televisione non mi è particolarmente simpatica, almeno quella attuale, per come è diventata e per come sembra voler diventare in futuro e poi anche perché in buona sostanza la Televisione per molti aspetti oggi si è ridotta ad essere in larga parte una specie di Radio con delle immagini a corredo. Trovo anzi demenziale che la Radio, quella autentica, voglia scimmiottare la Televisione appellandosi a “Radiovisione”.

Ho l’impressione che dipenda più da un complesso di inferiorità di cui soffrono i responsabili della Radio che avrebbero desiderato esserlo della Televisione, vai a capire poi perché, se non forse per i budget a disposizione certamente molto differenti rispetto al settore televisivo.

Quello che certamente avrò da dire in merito all’evoluzione dei contenuti editoriali della Televisione lo dirò senza peli sulla lingua nel nei prossimi capitoli.

Ma adesso attenzione perché con il prossimo capitolo ci spingeremo nei meandri dell’esoterismo e di come si possano manipolare e plagiare le umane menti con gli strumenti mediatici a disposizione di coloro i quali hanno accesso alla Radio e alla Televisione. Oppure scoprire che forse è tutta una sciocchezza!


IL POTERE DEI MASS MEDIA

– I super uomini

Devo dire subito che è mia profonda convinzione che il potere di manipolazione delle menti attraverso una appropriata comunicazione o il condizionamento dei comportamenti attraverso una influenza psichica sia una completa sciocchezza.

Io comunque non sono mai integralista nelle mie convinzioni e chissà, non escludo che forse in futuro potrebbe essere possibile questo con l’applicazione di qualche tecnologia oggi non ancora disponibile, magari con qualcosa in grado di leggere il pensiero e di condizionare le menti a distanza ma al momento non ci sono riscontri scientificamente attendibili; semmai il contrario!

Ma allora chi sono questi Super uomini?

Il mio caro Professor Ragnetti, già citato in precedenza, per “gigionare” sul tema della manipolazione mentale, nelle sue lezioni descriveva una setta di superuomini dotati di superpoteri, probabilmente rintanati in una torre d’avorio su chissà quale impervia montagna, intenti a controllare i processi mentali di ciascuno di noi al fine di piegarli a loro piacimento.

Oggi potremmo definirli con una etichetta che va per la maggiore: sono i “poteri forti”.

Detta così immagino che faccia sorridere ma ditemi in cuor vostro, sinceramente, se almeno una volta nella vita non avete pensato a quanto siano potenti e persuasori i messaggi pubblicitari o quanto siano manipolatori i continui e ripetitivi passaggi radiofonici e televisivi dei personaggi politici in campagna elettorale.

Un analogo convincimento deve aver colpito anche il legislatore se a partire dal 1997 e poi con vari aggiornamenti legislativi è stata varata una legge che impone la “Par Condicio” in campagna elettorale la quale stabilisce rigidamente (con il cronometro!) i tempi di trasmissione degli appelli politici in campagna elettorale, imponendo che per un dato periodo precedente alle elezioni non debbano partecipare politici ad alcuna trasmissione radiofonica o televisiva.

Nessuno sembra invece preoccuparsi se nel tempo assegnato al personaggio politico per l’intervento in trasmissione questo illustri programmi elettorali di spessore o complete banalità; l’importante è la parità di tempo!

Quindi probabilmente questi Superuomini dei poteri forti esistono e sono in grado di renderci schiavi, di convincerci su cosa dobbiamo comprare e chi dobbiamo votare; insomma sono in grado di annullare la nostra coscienza e il nostro raziocinio.

Infatti, manco a farlo apposta, sono tantissimi i seguaci di un mistico della comunicazione, l’osannato Noam Chomsky fondatore della teoria della linguistica trasformazionale il quale è un convinto assertore della manipolazione mediatica.

Probabilmente, proprio per questo motivo, il teorico Noam Chomsky fu assunto quale consulente alla comunicazione dal partito della Rifondazione Comunista che voleva affrontare adeguatamente la campagna elettorale per le elezioni politiche di qualche anno fa.

Qualcosa però nelle sue teorie non deve aver funzionato a dovere visto che in quelle elezioni politiche Rifondazione Comunista ottenne il peggior risultato di sempre senza riuscire nemmeno ad entrare in parlamento!

A pensarci bene poi, ogni Papa che si succede al soglio di Pietro professa la pace nel mondo con mezzi mediatici potentissimi; canali televisivi terresti e satellitari, emittenti radiofoniche a copertura globale, presenza massiccia sulla carta stampata, un costante presidio dei mezzi social e poi le migliaia di chiese sparse su tutta la terra ove i sacerdoti professano la sua parola e il suo messaggio: La pace nel mondo!

Ma allora, perché le guerre continuano ed anzi si moltiplicano?  Non si può certo dire che i Papi comunichino malamente in quanto formati dalla scuola di comunicazione sociale più esperta e antica al mondo, quella della Chiesa Cattolica.

Avete mai fatto mente locale al fatto che anche se siete martellati dalla pubblicità, non siete mai tornati a casa avendo acquistato un tubetto di colla per dentiere se a vostra dentatura è sana e nemmeno un trattore a cingoli se abitate in un appartamento cittadino?

Non è difficile poi incappare in volantini e annunci che pubblicizzano convegni del fine settimana dove ai fiduciosi partecipanti si promette di acquisire in soli due giorni tutte le capacità necessarie a gestire con grande padronanza la “Comunicazione efficace” sulla base degli insegnamenti delle tecniche della PNL, la sedicente potentissima “Programmazione Neuro-Linguistica” con la quale essi potranno imporre le loro volontà e diventare così persone di successo nel lavoro e nelle questioni personali.

Fatto sta che, purtroppo, al termine di queste full-immersion nel fantastico mondo della manipolazione neurale, terminata l’empatia della sala buia e gli applausi entusiastici rivolti al Guru di turno, i soggetti partecipanti, spinti più dalla speranza di dare una risposta alle loro tante insicurezze che dalla volontà di imparare ad imporre la loro volontà al prossimo, una volta tornati al cospetto dei problemi reali e  quotidiani, nel prendere atto di non aver acquisito alcuna capacità particolare, ne escono peggio di prima e con l’autostima sotto la suola delle scarpe.

Ad andare benone invece sono in genere gli incassi che realizzano gli organizzatori della riunione.

Ma allora perché i Superuomini della Comunicazione fanno cilecca?

Per provare a capirlo sarà necessario ancora una volta fare un momento “macchina indietro” nella storia e riesaminare in chiave attuale alcune convinzioni espresse da personaggi autorevoli e che hanno certamente influenzato in modo assai incisivo quanto oggi è arrivato a noi in merito alla Comunicazione e al sistema mediatico.

Le teorie sulla comunicazione tra esseri umani formulate da molti studiosi e postulate da alcune storiche ricerche accademiche sono state spesso contaminate, se non addirittura perturbate, da influenze esoteriche più o meno esplicite.

L’idea di poter modellare le menti, di poterle plagiare ad uso e consumo di chi padroneggiasse le tecniche persuasive è stato sempre qualcosa avvolto da un certo fascino e da desiderato da molti.

Qualcuno ha detto che l’essere umano è molto più propenso a credere all’irrazionale che al razionale.

Ciò forse potrebbe spiegare come mai nel mondo milioni di persone si rivolgono a maghi e cartomanti che quasi sempre li spennano a dovere, o del perché esistano decine di migliaia di sette ispirate alle più fantasiose appartenenze e dedite ai più improbabili riti.

Oggi più che mai i risultati consolidati della ricerca scientifica, come la scoperta dei vaccini che hanno a più riprese salvato l’umanità da terribili malattie, vengono violentemente rinnegati opponendo motivazioni del tutto astratte e aleatorie.

E poi confessiamolo: chi di noi non ha desiderato almeno per una volta di possedere la capacità di poter imporre mentalmente la propria volontà ad un altro soggetto, vuoi a fini seduttivi, vuoi per ottenere un avanzamento di carriera?

Io, ad esempio, ci ho provato costantemente con i professori quando andavo all’università ma sempre con risultati del tutto nulli!

Eppure, se leggiamo gli scritti di molti autorevoli autori, a cominciare da Marshall MCLuhan fino al già citato Noam Chomsky non ci passerà inosservato il latente alone di esoterismo nell’affermare concetti in verità mai scientificamente provati, nemmeno in modo empirico.

Ma quando ebbe inizio la tendenza a considerare i mass media come vettori ideali per poter esercitare questi poteri persuasivi? Provo a fare un’ipotesi.

I pensatori esoterici

A mio avviso questo tipo di atteggiamento nei confronti del potere di persuasione dei mass media iniziò con convinzioni di un eminente fisico inglese: Sir Oliver Lodge.

Egli, oltre ad aver effettuato importanti ricerche sulla propagazione delle onde elettromagnetiche, fu a più riprese Presidente della Society for Psychical Research (Società per la ricerca sul Paranormale).

In pratica Lodge, oltre che scienziato di grande fama, fu anche quello che si può definire un Parapsicologo che credeva fermamente nella possibilità di comunicare con l’aldilà e che le onde radio fossero il fenomeno fisico adatto per concretizzare tecnicamente questa possibilità.

Lodge era convinto che le onde radio avessero grande affinità con la trasmissione del pensiero, il quale fluttuava nell’etere disponibile ad essere catturato dai cervelli in ascolto.

Egli scriveva: “La coscienza sensuale (dei sensi) di una persona, può essere intesa come una specie di eco sottile presente nello spazio, oppure nei cervelli di altre persone ma questi cervelli sono di solito troppo occupati e carichi con altri pensieri per poter percepire quest’eco” (Oliver Lodge, 1884).

Lodge non fu certamente il solo a pensare che le onde radio avessero poteri occulti in grado di insinuare messaggi subliminali nelle menti degli ascoltatori e modificare la coscienza individuale a proprio piacimento, infatti questa affascinante teoria ha influenzato negli anni molti autorevoli personaggi.

Richard Kolb, un eminente teorico del radiodramma (fu tra i principali sostenitori del ruolo propagandistico della radio durante il regime nazista) immaginava le voci radiofoniche come “impalpabili e prive di corpo” tali che il pubblico le percepiva come non appartenenti a persone reali bensì come entità eteree.

Egli ipotizzò che la trasmissione radiofonica fosse capace di avvicinarsi all’animo umano talmente tanto da consentire forme di comunicazione extrasensoriali e che il mezzo radiofonico, generando nella mente dell’ascoltatore suggestioni, sentimenti  e  pensieri indotti dalla potenzialità della parola, fosse uno strumento assai efficace per la manipolazione delle masse.

“Le onde elettromagnetiche sono il flusso (fiume) spirituale che scorre attraverso il mondo. Ciascuno può aprirsi per ricevere (recepire) i pensieri di questo flusso che muove il mondo. Questo fiume invisibile che sta muovendo il mondo è diretto dalla parola creatrice, aprioristica e contenente la volontà del creatore”.

Rudolf Arnheim asserisce che l’ascoltatore radiofonico, quando non attento a gestire coscientemente la propria percezione, rischia di annullare la sua cognitività critica.

La radio rende inutile e obsoleto il ragionamento autonomo ed indipendente: l’ascoltatore galleggia come un pezzo di sughero sulle onde. Ciò però non è colpa della radio ma della mancante disciplina dell’ascoltatore” (Arnheim, 1938).

Anche egli allude all’analogia tra comunicazione radiofonica e pratiche esoteriche

Il fatto che qualsiasi speaker radiofonico semplicemente attraverso il suono della sua voce riesca ad ipnotizzare l’ascoltatore fa pensare che si tratti di occultismo.

– Interviene la ricerca scientifica

Walter Benjamin e Bertolt Brecht al contrario dei precedenti studiosi, pensavano che la radio non fosse un mero mezzo di distribuzione di messaggi unilaterali, quanto piuttosto un mezzo di comunicazione dotato di una certa bilateralità e quindi particolarmente adatto ad un coinvolgimento democratico del pubblico riconoscendo a quest’ultimo un ruolo interattivo.

Si trattava cioè di “comunicare” all’ascoltatore la certezza che il suo personale interesse ha un valore sostanziale per la materia oggetto di esame e che le sue domande, anche se non trovano modo di esprimersi ad alta voce al microfono, richiedono nuovi accertamenti scientifici.

Negli Stati Uniti, a differenza dell’Europa si avrà un approccio ai contenuti radiofonici più incentrato sugli aspetti psico-sociologici del messaggio e sui suoi effetti sull’ascoltatore-ricevente.

Il grande progetto “Radio Research” della fine degli anni ’30 si avvalse della collaborazione di eminenti ricercatori quali T. W. Adorno, R. Arnheim e di P. Lazarsfeld in qualità di direttore.

La ricerca, che espose i suoi risultati in varie pubblicazioni degli anni ’40, prese in esame vari aspetti e connotazioni dell’ascoltatore radiofonico, le abitudini di vita, le potenzialità comprensive, la pubblicità radiofonica, adottando sia un metodo quantitativo che qualitativo.

Nel saggio “the Psychology of Radio”, pubblicato nel 1935 da Hadley Cantril e Floyd H. Allport, venivano presi in esame i meccanismi capaci di indurre gli ascoltatori ad affidarsi con fiducia alla voce di un leader trasmessa dalla radio.

L’importanza del tema trattato apparse chiaramente con l’affermarsi dei regimi totalitari in Europa, che facevano largo uso della radio per fini propagandistici e con la presa sul pubblico di alcuni predicatori fondamentalisti negli Stati Uniti.

Di fondamentale rilevanza furono gli effetti della trasmissione del notissimo radiodramma di O. Welles “The War of the Worlds” che evidenziò, generando scene di panico collettivo, la suggestione emotiva evocata dal mezzo radiofonico.

Questi elementi e i risultati dello studio sembravano suffragare inequivocabilmente la teoria epidermica, come se il messaggio fosse un proiettile e la passività del soggetto recettore immaginato come un bersaglio (Target) inerme e privo di una propria coscienza e volontà selettiva

In realtà, una attenta rilettura dei lavori da parte di Cantrill e Allport evidenziò che le reazioni del pubblico dipendevano anche dalle implicazioni di natura più generale come le preoccupazioni per momenti congiunturali storici ed economici. In sostanza, la radio assecondava ansie e attese già presenti in forma latente nel soggetto recettore.

Ad analoghe conclusioni giunse anche Paul Lazarfeld durante la sua direzione dell’Office for Radio Research presso l’Università di Princeton.

Le sue ricerche sulle abitudini e sui modi di fruizione dei diversi mezzi di comunicazione e la possibile influenza di questi sui comportamenti del pubblico, anche in relazione agli appuntamenti elettorali, lo portarono ad enunciare la teoria “two step flow of communication”, fondata sull’osservazione del ruolo della Radio nella società americana.

Si tratta quindi non di un influsso mediatico unidirezionale da soggetto proponente verso un soggetto recettore, bensì di un processo comunicativo articolato su due tappe: nella prima il messaggio fluisce dal Media al recettore leader, nella seconda dai vari leader ai rispettivi gruppi di riferimento attraverso interazioni individuali.

Il messaggio radiofonico esercita una sua eventuale influenza solo dopo la sua rielaborazione nel corso di interazioni tra i recettori.

Con la teoria del “two step flow of communication”, la convinzione che il messaggio radiofonico avesse il potere di condizionare psicologicamente l’ascoltatore, come sembrava dalle risultanze della trasmissione del radiodramma di O. Welles, si ridimensionarono drasticamente.

Diversi punti di contatto rispetto alla teoria precedente si possono evidenziare nella “Tecnica sociale dell’informazione” formulata dal Prof. Francesco Fattorello alla fine degli anni 40.

Infatti, la formula prevede che un soggetto promotore “Sp” preformi l’oggetto del rapporto di informazione “X” ed attraverso un mezzo “M” (nel nostro caso la radio, la televisione o un social media) ottenendo una adesione di opinione dal soggetto recettore “Sr” il quale, in un secondo momento, si fa carico a sua volta di porsi come soggetto promotore nei confronti di altri soggetti recettori.

Eppure, anche di fronte alle evidenze della ricerca scientifica, la forza attrattiva del trascendentale e del paranormale è rimasta fortissima, forse perché propone un bene rifugio, un appiglio di sicurezza e speranza rispetto alle reali difficoltà, sofferenze e complessità della vita alle quali tutti noi umili esseri umani dobbiamo far fronte.

A testimonianza della inefficacia coercitiva del mezzo televisivo, ad esempio, vorrei citarvi un caso che a mio avviso dovrebbe convincere tutti:

Ritengo che la data del 16 settembre 2009 dovrà essere ricordata per sempre da chi si interessa di comunicazione per via di un evento mediatico a dir poco clamoroso e addirittura destabilizzante per coloro i quali sono strenuamente convinti della capacità del mezzo televisivo di imbonire le masse degli inermi telespettatori di fronte alla forza irresistibile del messaggio trasmesso.

– Un caso concreto

Nella mattinata del 17 settembre 2009  i dati di rilevazione dell’Auditel (sistema che rileva il numero dei telespettatori sintonizzati su un dato programma televisivo nell’arco temporale) relativi alla serata televisiva del giorno precedente, stabilirono con estrema chiarezza che la fiction “L’onore e il rispetto” messa in onda in prima serata da Mediaset su canale 5 in sovrapposizione oraria alla edizione straordinaria del programma “Porta a porta” in onda sulla rete ammiraglia della RAI, aveva riportato un ascolto nettamente superiore (22,61 di share contro il 13,47) rispetto alla sua concorrente del Servizio Pubblico Radiotelevisivo nonostante la presenza nel programma dell’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per un evento molto importante come la consegna delle prime case ai terremotati aquilani in quel di Onna dopo il sisma del 6 aprile del 2009.

Il dato sugli ascolti fu devastante anche perché la RAI, attraverso una articolata variazione di palinsesto, suscitando anche una accesa polemica politica, aveva evitato di trasmettere in contemporanea altri programmi di grande ascolto come “Ballarò” su RAI 3 per lasciare alla trasmissione su RAI 1 il massimo della possibilità di attrarre audience.

È lecito anche pensare che data la naturale influenza di Silvio Berlusconi sull’azienda di sua proprietà, la puntata della fiction inserita all’ultimo istante in palinsesto su Canale 5 al posto di un programma leader di ascolti come “Matrix” in realtà fu tutta una manovra per tentare di concentrare il pubblico televisivo sulla cerimonia in onda sulla RAI.

Le valutazioni che si possono trarre da quanto accaduto sono del tutto evidenti:

La televisione riconferma prepotentemente quello che in realtà è stata da sempre la sua vera vocazione, ovvero un mezzo utilizzabile vantaggiosamente e prevalentemente per l’intrattenimento.

Un programma di approfondimento informativo come “Porta a Porta” ha un suo pubblico ben connotato che segue la trasmissione sia che vada in prima o in seconda serata (a quel tempo erano circa 4 milioni di spettatori e per la verità quella sera gli ascolti della trasmissione persero 5 punti di share), mentre il grosso dell’audience che assiste ai programmi di prima serata preferisce di gran lunga vedere qualcosa di evasivo; un film, oppure una fiction come quella mandata in onda da canale 5, oppure un evento sportivo come le partite che andavano in quel momento in onda sull’emittente satellitare SKY. Quindi è stato commesso un grossolano errore di programmazione, il che dimostra come lo spettatore segua unicamente i suoi gusti e non si faccia certo condizionare nelle sue scelte.

Come appare evidente, di fronte a questa analisi crollano miseramente tutte le teorie sulla persuasione occulta del mezzo televisivo e sul suo potere di condizionare la volontà dello spettatore.

La speranza è che nel prossimo futuro quanto appreso in questo caso, semmai fosse necessaria un’ulteriore conferma, possa servire a riflettere meglio se davvero la televisione sia lo strumento adatto per ottenere una efficace propaganda politica.

A tal proposito può essere molto interessante rileggere l’articolo del 17 settembre 2009 apparso sul quotidiano “Il Riformista” dal titolo “La pernacchia TV al conflitto di interessi” a firma dell’allora Direttore Antonio Polito, oppure, con la stessa data, anche l’articolo a cura della redazione de “Il Giornale.it” dal titolo “Pochi spettatori? Ma un paese normale guarda calcio e film”.

– Un altro caso concreto

La sera del 27 ottobre 2024 va in onda su RAI3 la trasmissione “Report” il settimanale di approfondimento giornalistico, come noto decisamente schierato a sinistra se non addirittura definibile “militante”.

Il conduttore, Sigfrido Ranucci, presenta un lungo e dettagliato servizio filmato corredato da una serie di interviste tese ad approfondire e a dimostrare, secondo la redazione, la rete di intrecci tra imprenditoria e politica amministrativa della Regione Liguria da parte del Presidente uscente di Centro-Destra Giovanni Toti. L’attacco alla Presidenza Toti e alla sua giunta è pesantissimo e traccia senza dubbio l’ipotesi di una vasta compromissione affaristica e illecita percezione di denaro, peraltro non suffragata dalle indagini giudiziarie che da tempo avevano attenzionato i soggetti inquisiti.

Di notevole, per quanto qui si vuole affermare in tema di comunicazione persuasiva, consiste nel fatto che la trasmissione “Report “va in onda di domenica in prima serata quando si è nel pieno del silenzio elettorale durante le elezioni amministrative della Regione Liguria, ad urne ancora aperte.

Il giorno seguente, secondo i dati Auditel, “Report” potrà vantare un ascolto record (oltre il 10% di Share).

Tuttavia, nonostante l’impegno profuso dalla trasmissione nel tentativo di screditare il più possibile la compagine amministrativa di Centro-Destra, le elezioni saranno vinte con ampio scarto proprio dal candidato della coalizione che si voleva screditare.


I PROCESSI DELLA COMUNICAZIONE

– Una ragione fisiologica

Prima di immergerci nuovamente nella lettura di un altro capitolo, vorrei fare una piccola digressione rispetto alla serietà dell’argomento che andremo ad affrontare.

Vi piace il Cinema? Avete visto Ghostbusters, Arancia meccanica, l’uomo che fissa le capre, ricomincio da tre di Massimo Troisi?

Ciascuno di questi film affronta in chiave ironica argomenti quali la telepatia, i messaggi subliminali, il lavaggio del cervello, la Telecinesi.

Vi ricordate qualche anno fa l’illusionista israeliano Uri Geller il quale asseriva di piegare cucchiaini da thè con la forza del pensiero? Peccato che non abbia mai accettato di farlo sotto stretta osservazione scientifica. Lui era davvero bravo e il suo era davvero un ottimo spettacolo di magia. Purtroppo, l’essere umano tende spesso a confondere lo spettacolo con la realtà dei fatti.

Ma allora, se prendiamo atto che non esiste una forza coercitiva tale da imporre la nostra volontà ad un altro individuo, nemmeno con il “Metodo Ludovico” somministrato nelle ultime scene di “Arancia Meccanica” al malcapitato protagonista del film, come si fa a comunicare bene e magari a far sì che le nostre opinioni trovino accoglimento nell’altro?

Non è una operazione né facile e né scontata tanto che il famoso sociologo Niklas Luhmann arriva a dire che “la comunicazione è un evento estremamente improbabile” mentre il filosofo Michael Polanyi asserisce che “noi conosciamo più di quel che sappiamo dire”.

Se poi volessimo complicare le cose potremmo aggiungere il pensiero di Paul Watzlawick il quale afferma che “non è possibile non comunicare”.

Se questo è vero, forse allora conviene imparare a comunicare bene.

Per meglio intenderci, ci viene fortunatamente in aiuto un grande della letteratura italiana, ovvero Pirandello, il quale ci avverte:

E come possiamo intenderci se nelle parole che io dico metto il senso e il valore delle cose che sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente, le assume col senso e il valore che hanno per sé del mondo che egli ha dentro?”.

Vari studi scientifici hanno appurato che un uomo vissuto nel periodo del medioevo, nel corso di tutta la sua vita, avrebbe dovuto memorizzare una massa di informazioni pari a quelle contenute oggi su una edizione quotidiana del New York Times.

Noi oggi viviamo immersi nel cosiddetto mondo della Comunicazione: Carta stampata, Radio, Tv, Social media, pubblicità e grazie a Dio intratteniamo anche rapporti interpersonali amicali e professionali; tutto ciò costituisce un complesso di stimoli, messaggi, informazioni, nozioni dai quali siamo costantemente bombardati.

Se davvero fossimo bersagli inanimati (Target) senza capacità di discernimento, senza una capacità selettiva rispetto ai messaggi studiati e confezionati dai “professionisti della comunicazione” come proiettili (Bullet Theory) da spararci addosso, noi non avremmo scampo e saremmo fritti; diventeremmo ebeti in pochi giorni.

Fortunatamente non è così. Siamo fisiologicamente protetti da un meccanismo mentale che ci salvaguardia nella nostra integrità psichica. Potremmo banalizzare l’argomento dicendo che sentiamo solo quello che vogliamo sentire e per il resto facciamo orecchie da mercante.

Il nostro cervello è dotato di una formidabile protezione, di una sorta di schermo che lo rende impermeabile agli stimoli non graditi, quelli che risultano alieni al nostro modo di essere, ai nostri interessi, alle nostre convinzioni, al nostro vissuto, all’educazione ricevuta; ovvero a tutte le esperienze e le vicissitudini che hanno plasmato il nostro intimo essere.

Siamo quello che siamo grazie al nostro personalissimo percorso formativo e assai difficilmente cambiamo il nostro modo di vedere il mondo.

Questo schermo mentale riflette indietro ogni stimolo comunicativo che non trova riscontro con i nostri schemi mentali, con le nostre mappe cognitive.

Le mappe cognitive noi umani ce le siamo costruite per comodità, perché siamo esseri intelligenti che se possono riuscire a non faticare lo fanno.

Con le mappe cognitive, infatti, noi evitiamo di analizzare ogni singola volta nel dettaglio tutte le situazioni che ci si propongono nell’arco della giornata per agire e reagire velocemente nel modo più opportuno ed efficiente od anche necessariamente in modo istintivo quando la situazione lo richiede; ci basta categorizzare l’evento e richiamare dalla memoria come ci si deve comportare in una situazione analoga secondo la corrispondente mappa cognitiva precostituita.

Questo evidentemente ci semplifica molto la vita ma il rischio però è quello di “saltare alle conclusioni” attraverso una valutazione preconcetta di quanto ci si propone e da lì al pregiudizio il passo è breve.

Albert Einstein soleva dire che “è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio” ed infatti cambiare punto il di vista e le nostre opinioni rispetto a qualcosa o a qualcuno è sempre frutto di un faticoso impegno di modifica delle nostre mappe cognitive, sempre che ci sia il convincimento nel farlo!

In altre parole, siamo testardi rispetto alle nostre opinioni e la cristallizzazione sulle nostre posizioni non dipende da fattori scontati come l’età o la scolarizzazione. Se qualcuno pensa ad esempio che sia più facile convincere una persona semplice, non istruita e in avanti con gli anni provi a convincere un vecchio contadino della bontà di un nuovo metodo di semina, di potatura o di coltivazione: è quasi sicuro che si dichiarerà favorevole all’innovazione ma poi farà come ha sempre fatto.

Ammettiamolo! chi più e chi meno, noi tutti siamo affetti da pregiudizi che ci portano a percepire in modo personalizzato quello che sentiamo e vediamo. I nostri sensi sono assai fallaci e ingannatori.

Per meglio comprendere quanto vi sto dicendo, vi invito a osservare attentamente le opere d’arte di Octavio Ocampo, (le trovate facilmente in rete) un artista surrealista il quale gioca sulla fallacità della umana percezione visiva con dei dipinti che si prestano a più interpretazioni contemporaneamente e che sono il frutto della percezione soggettiva dell’osservatore.

– Obiettivamente dobbiamo ammetterlo: siamo esseri soggettivi!

A questo punto sono pronto per scatenare la polemica con la categoria dei giornalisti.

Ho molti amici giornalisti e posso affermare che sono tutti grandi professionisti dell’informazione ma la loro categoria a mio avviso soffre ancora oggi di un peccato originale che fatica a scollarsi di dosso e forse nemmeno lo vuole fare se, ad esempio, in un congresso Usigrai, il sindacato dei giornalisti della RAI, ho udito il suo Segretario generale affermare che il mestiere del giornalista è quello di “Testimoniare come in realtà stanno le cose”.

Come abbiamo visto con la precedente citazione di Pirandello, appare chiaro che siamo esseri umani inevitabilmente dotati della nostra “Soggettività”. Non ne possiamo fare a meno poiché è insita nella nostra natura.

Purtroppo, nel mondo della Comunicazione in generale e in particolar modo nel settore della informazione giornalistica troviamo un uso smodato e strumentale del concetto di “obbiettività”.

Se solo per un momento ci fermassimo a pensare che colui il quale ci propone una visione obbiettiva di un fatto, di un accadimento, in realtà ci consegna inevitabilmente la sua visione soggettiva, avremmo capito che il concetto di “obbiettività” quando non usato in buona fede, si presta molto bene ad un uso strumentale, utile ad accreditare un processo comunicativo come del tutto asettico rispetto ad un punto di vista soggettivo che come abbiamo visto è però inevitabile o peggio per accreditarlo come unica verità dei fatti.

Per questo affermazioni del tipo “l’obbiettività dei fatti” o slogan del tipo “I fatti e le opinioni” a mio avviso suonano false come monete di latta.

Nel “Testo unico dei doveri del giornalista” in vigore dal 1° gennaio 2021 è fatto obbligo inderogabile al giornalista il rispetto della “verità sostanziale dei fatti”.

Pertanto, il giornalista sarà sostanzialmente nel giusto se riporterà la sua verità, che sappiamo essere soggettiva e questo anche se invece di scrivere per una testata giornalistica scrivesse per una delle tante agenzie di stampa, le quali si sono costruite la fama di essere “fonte neutrale di informazione”.

I giornalisti, tecnici del settore informazione, in quanto lavoratori dipendenti rendono la loro prestazione lavorativa ad un editore che gli paga lo stipendio e siccome gli editori hanno interesse a voler comunicare la loro “verità sostanziale dei fatti”, il bravo giornalista dipendente farà naturalmente in modo che anche la sua verità sostanziale dei fatti coincida con quella del suo datore di lavoro, almeno fino a quando lo riterrà compatibile con le sue opinioni.

Si tratta quindi di considerare positivamente l’etimologia della parola “informazione” che ci indica l’azione di messa in-forma di una idea da comunicare, la messa in-forma di un oggetto di comunicazione, sia esso un accadimento sia esso un concetto.

Questa è la differenza che intercorre tra informazione e informatica. Un semaforo non comunica e non informa, non c’è nulla da interpretare nell’informatica, come nella matematica del resto.

Attraverso la messa in-forma invece, viene dato valore aggiunto alla notizia che viene modellata, così come un blocco informe di creta di nessun valore può diventare un’opera d’arte nelle mani sapienti di chi la modella.

Montanelli, Biagi, Scalfaro, solo per citare alcuni grandi giornalisti, non si possono definire forse grandi artisti dell’informazione?


IL SISTEMA MEDIATICO IN ITALIA PRESENTE E FUTURO

Più Radio e più Televisioni?

L’avvento delle nuove tecnologie digitali nella diffusione dei segnali radiotelevisivi in Italia ha generato alcune profonde variazioni di assetto nel comparto editoriale di riferimento.

La Televisione digitale terrestre di nuova generazione, che prevede il progressivo passaggio al sistema DVBT2 e la diffusione in tecnica DAB per la Radio, stanno generando profonde modificazioni nel nostro sistema mediatico radiotelevisivo ancora tutte da esplorare.

Il riassetto dell’attribuzione dello spettro radiofrequenziale destinato alla diffusione televisiva Broadcasting dovuto alle ricadute tecniche del cosidetto “Beauty Contest”, ossia la gara economica bandita dallo Stato alla quale hanno partecipato i maggiori operatori di TLC per garantirsi l’assegnazione di frequenze destinate alla telefonia a valore aggiunto, ha ridotto drasticamente lo spazio trasmissivo storicamente destinato alla diffusione televisiva.

Per questa ragione e per consentire il passaggio definitivo dalla televisione analogica alla televisione digitale terrestre con il riassetto delle frequenze assegnate nel tempo agli editori televisivi, si è reso necessario procedere all’operazione denominata “Refarming”.

Questo processo di assegnazione frequenziale agli operatori di rete TV ha comportato la drastica riduzione dei piccoli impianti trasmittenti proprietari con la migrazione delle emittenti TV commerciali locali più strutturate verso l’utilizzo della capacità trasmissiva messa a disposizione dagli operatori di rete ma anche lo spegnimento definitivo di una miriade di piccole emittenti commerciali disseminate sul territorio che non hanno potuto accedere alla capacità trasmissiva residua sia per affollamento sia per i relativi costi.

Ma se questo è vero per la prima fase di “Refarming” completata ancora in presenza di tecnologia DVBT, il progressivo passaggio alla tecnologia DVBT2, che mette a disposizione degli operatori di rete molta più capacità trasmissiva, potrebbe generare un’inversione di tendenza e si potrebbe assistere pertanto ad una moltiplicazione di nuovi editori radiotelevisivi, specie in ambito regionale.

Si pone quindi il dilemma che da sempre attanaglia gli aspetti della comunicazione mediatica, ovvero nei tanti canali che avremo a disposizione, quali contenuti saranno veicolati, quali progetti editoriali verranno ideati, quanta e quale tipo di informazione verrà trasmessa.

In ogni caso converrete che nel nostro Paese certo non si pone un problema di accesso alla comunicazione mediatica né tantomeno mancanza di libertà del sistema mediatico.

Non va poi sottovalutata l’opportunità che attualmente offre la rete internet, in quanto con modestissime risorse economiche oggi è possibile mettere in rete una web Radio e diffondere il proprio progetto editoriale senza doversi sobbarcare dell’acquisto di costose apparecchiature di trasmissione e pesanti canoni di esercizio su frequenze radiofoniche o televisive, oltretutto con la possibilità di essere ascoltati in tutto il mondo senza più limitazioni territoriali.

Questa opportunità offerta dalla rete web in qualche modo sembrerebbe riproporre il fenomeno qui già descritto, della nascita delle radio libere come avvenuto nel nostro Paese negli anni ’70.

Il sistema mediatico in Italia risulta quindi, a mio avviso, tutt’altro che statico ed obsoleto.

Se è vero che le nuove generazioni prediligono un rapporto più diretto con quanto propone lo smartphone per ciò che riguarda l’informazione e l’ascolto del mezzo radiofonico è praticamente destinato soltanto ai momenti di spostamento in auto durante la giornata, rimane oggi da stabilire se sia ancora il caso che il Paese disponga di un Servizio Pubblico Radiotelevisivo oppure se se ne possa farne a meno delegando l’equilibrio democratico di accesso al mezzo televisivo o radiofonico soltanto agli editori privati.

Al momento tutti i maggiori Paesi europei dispongono di un sistema Radiotelevisivo di Stato ed anzi lo finanziano adeguatamente attraverso il canone ben più caro di quello destinato alla Rai.

Il tema a mio avviso non risiede sull’entità del canone, decisamente irrisorio al cospetto degli abbonamenti mensili pretesi dalle varie piattaforme a pagamento, bensì sull’effettivo ruolo e sulla missione che deve essere affidata al Servizio Pubblico Radiotelevisivo.

Questa missione di regola è ben descritta nel contratto di servizio Stato-Rai ma spesso l’indirizzo editoriale che si riscontra nei vari canali televisivi dell’emittente statale non si discosta molto da quello delle emittenti commerciali, che hanno come unico interesse quello di fornire il maggior numero di spettatori all’inserzionista pubblicitario.

Una informazione pluralista e rispettosa delle diverse opinioni dei cittadini è senza dubbio un valore da pretendere dalla Rai ma va anche detto che l’informazione presente sui canali dell’emittente di Stato nel suo complesso non supera il 20% dell’intero tempo di trasmissione. Per il rimanente 80% quindi, c’è la necessità di garantire una programmazione di qualità.

Il sistema televisivo nel nostro Paese sta cercando di fidelizzare per quanto possibile le giovani generazioni affiancando ai canali tradizionali i contenuti multimediali visionabili sia in modalità Streaming sia Pod-Cast, ovvero sia in diretta  attraverso devices diversi dalla normale televisione, oppure dando la possibilità di scaricare su un computer o su una smart TV un programma o un film quando si desidera.

Tuttavia non dobbiamo dimenticare che l’Italia, purtroppo, registra una popolazione in fase di progressivo invecchiamento a causa della bassa crescita demografica e pertanto l’età media dello spettatore televisivo e destinata ad aumentare progressivamente.

Il mezzo televisivo è basilare nell’intrattenimento quotidiano delle generazioni anziane alle quali andrebbe riservata una proposta editoriale fatta di programmi stimolanti e culturalmente adatti a questo particolare tipo di pubblico. Io ho ipotizzato che in ausilio alle famiglie ove è presente una persona anziana, la televisione pubblica possa essere di concreto aiuto quasi quanto una collaborazione domestica, come ipotizzo nel seguente paragrafo.

Radiotelevisione pubblica italiana: la badante elettronica

(Il Servizio Pubblico Radiotelevisivo quale ausilio socio sanitario al sistema sussidiario)

In Europa e più marcatamente in Italia, a causa della bassa natalità che persiste oramai da molti anni, stiamo assistendo ad un progressivo innalzamento dell’età media della cittadinanza, come testimonia Il recente rapporto ISTAT “Natalità e fecondità della popolazione residente”. Il riflesso più problematico consiste nello squilibrio demografico, ovvero nel rapporto tra nuovi nati/ottantenni (rapporto Eurostat 2016) ove l’Italia, insieme a Germania e Grecia, risulta essere fanalino di coda rispetto agli altri paesi europei. Il tema è analizzato in modo puntuale ed esaustivamente in un articolo datato 11 dicembre 2018 su NEODEMUS.INFO a firma dei ricercatori del CNR Corrado Bonifazi e Angela Paparusso.

E’ poi di questi giorni il rapporto ISTAT 2018 che parla esplicitamente di “recessione demografica”, che attesta intorno ai 5 milioni gli italiani, in larga parte giovani, che decidono di lasciare il Paese verso lidi che offrono maggiori garanzie di occupazione o imposizioni fiscali più basse. Preso atto del grave fenomeno, spetta alle forze politiche mettere in campo i necessari strumenti di welfare necessari a sostenere sia economicamente sia attraverso opportuni servizi, da una parte coloro i quali intendono procreare ma sono spaventati da un possibile arretramento della loro qualità di vita e dall’altra la popolazione anziana che, come si è detto, è in costante aumento.

Come noto, la spesa pubblica italiana (circa 830 miliardi di Euro annui) è in larga parte costituita dalle spese necessarie a sostenere il sistema sanitario nazionale, il quale risente evidentemente del progressivo invecchiamento della popolazione che vive, fortunatamente, più a lungo ma è pur sempre bisognosa di cure e di ausili medico-sanitari. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, la tecnologia ha fatto passi da gigante e offre farmaci e presidi medici di grande efficacia e funzionalità. Tuttavia, nonostante l’enorme impegno di risorse economiche pubbliche ed il progredire della ricerca medica, al servizio sanitario nazionale si affianca necessariamente ed inevitabilmente un “sistema sussidiario” tipicamente italiano, consistente in un gravoso impegno a carico delle famiglie, le quali debbono provvedere con vari mezzi ad assistere quotidianamente (direttamente o tramite collaboratori domestici) i familiari anziani nelle loro necessità.

Tra gli strumenti a disposizione delle famiglie per avere un ausilio utile ad ottenere almeno un parziale sollievo al pressante impegno quotidiano che grava sulle famiglie italiane, interviene anche il Servizio Pubblico Radiotelevisivo che, attraverso il primo canale TV nazionale, con le sue trasmissioni mattutine e pomeridiane, intrattiene empaticamente lo spettatore anziano (pensiamo a chi è costretto a letto o è comunque affetto da ridotta mobilità) durante tutto l’arco della giornata, tanto che un’eventuale e fortuita interruzione nella fruizione delle trasmissioni televisive viene vissuta (e non solo dallo spettatore anziano ma anche da suoi familiari) come un serio problema.

Il Servizio pubblico radiotelevisivo, pertanto, fatto salvo il suo basilare ruolo informativo e di approfondimento dei temi politici e culturali, nel rispetto della sua articolazione e nelle sue varie e preziose specificità, non può non tener conto di un ulteriore fondamentale ruolo e cioè quello di costituire per una sempre più vasta platea di spettatori anziani (o che stanno diventando anziani) uno strumento indispensabile, che va ben oltre il mero proponimento di intrattenimento ma che si configura come un vero e proprio strumento di ausilio socio-sanitario.

La missione del Servizio Pubblico Radiotelevisivo in Europa, Educare, Informare, Divertire, tracciata nel 1927 da Sir Reith va dunque contestualizzata e riformulata rispetto alle origini. Si deve considerare infatti che oggi il sistema della comunicazione mediatica è ricco di piattaforme distributive diversificate, che colgono più e meglio del passato i gusti e le preferenze dei “pubblici”. Su queste debbono concentrarsi gli sforzi editoriali alla ricerca di nuovi linguaggi e nuove forme comunicative, perché queste piattaforme sono rivolte evidentemente ad una utenza specializzata in grado di apprezzare e di ricercare la qualità di una riproduzione audiovisiva in alta o altissima definizione disponibile sulla rete IP o proveniente dalla diffusione satellitare. Interattività, realtà aumentata, realtà virtuale, sono aspetti specialistici dell’elaborazione dei contenuti mediatici che debbono essere sviluppati costantemente, così come è necessaria la creazione di contenuti multimediali adeguati a valorizzare queste nuove tecnologie digitali applicate alla comunicazione radiotelevisiva.

Il Servizio Pubblico Radiotelevisivo in quanto tale è chiamato a dare concreta applicazione agli obblighi derivanti dal contratto di servizio tra il Ministero dello Sviluppo Economico e la Rai radiotelevisione italiana S.p.A. ponendo in essere quanto descritto negli articoli 2-3-4, ove si evince bene la missione di tutela e sostegno al pubblico anziano attraverso specifica programmazione.

In questa logica emerge, ad avviso di chi scrive, la piena titolarità ad esigere da parte statale un canone annuo di abbonamento al servizio pubblico radiotelevisivo, non fosse altro per l’esercizio del ruolo sopra descritto, quasi fosse una sorta di ticket sociosanitario minimale (meno di 0,25 Euro al giorno a famiglia!) Ovvio che in realtà, come giusto che sia, la RAI con la sua programmazione giornaliera presente sulle varie piattaforme distributive, offre un ventaglio di prodotti editoriali in grado di raggiungere pubblici molteplici.

Da questo punto di vista gli obblighi derivanti dal contratto di servizio impegnano la RAI ad uno sforzo produttivo enorme ma necessario ad assicurare puntualmente la sua offerta comunicativa; tuttavia la missione di ausilio sociosanitario a favore del pubblico anziano, se non primaria è comunque certamente una caratteristica che connota autorevolmente il servizio pubblico radiotelevisivo rispetto all’emittenza privata.

Chi sembra aver colto bene le necessità del pubblico anziano e’ il settore della pubblicità; è infatti del tutto evidente il netto incremento di inserzioni pubblicitarie, principalmente televisive, riguardanti prodotti e servizi destinati al pubblico anziano. Da ciò ne risulta un mercato pubblicitario in via di sviluppo, tale da costituire un capitolo importante della raccolta pubblicitaria della RAI, in relazione allo share medio ottenuto da RAI 1, in un periodo di netta flessione della raccolta pubblicitaria dovuta alla scarsa domanda di prodotti e servizi destinati ad un pubblico più giovane, peraltro con redditi inferiori alla media dei pensionati e che comunque registra la perdita di potere di acquisto a causa di una crisi congiunturale che sembra non attenuarsi.

Se la RAI dovesse attuare un piano industriale che individua una organizzazione centrata sulla produzione di contenuti editoriali suddivisi per genere, sarà essenziale creare, almeno per la prima rete televisiva, una struttura in grado di individuare quei prodotti editoriali più adatti al pubblico anziano di riferimento ed anzi stimolarne la produzione di contenuti che dovrà essere rispondente a parametri comunicativi appositamente studiati per la particolare platea di riferimento, tentando nel contempo di attrarre anche il pubblico di mezza età in vista di una progressiva fidelizzazione al canale.

In conclusione, può essere utile riferirci a Niklas Luhman quando afferma che il sistema della comunicazione nel suo complesso costituisce di per sé un sistema sociale autopoietico che evolve e si sviluppa di pari passi con tutti gli altri sistemi sociali per dire che anche la missione del servizio pubblico radiotelevisivo deve essere in sintonia con l’evolversi ed il trasformarsi della società civile.

Per lunghi anni, la programmazione della prima rete TV della RAI prevedeva un ambito di particolare programmazione denominata “La TV dei ragazzi”. Oggi, va preso atto che i giovani prediligono una diversa fruizione dei contenuti mediali presenti su piattaforme diverse rispetto alla televisione di flusso tradizionale, realtà questa che come già detto deve essere categoricamente presidiata e sviluppata dall’azienda di Stato sia in termini tecnologici sia in termini comunicativi. Pertanto, non deve essere interpretato come riduttivo o peggio svilente immaginare una “TV degli anziani” che trova nella prima rete televisiva della RAI la sua naturale e più opportuna allocazione.

Non si comprende quindi la ragione editoriale ed economica che vorrebbe la stessa rete proiettata alla conquista di un pubblico giovane che in ogni caso fa scelte diverse. Se il timore della tv pubblica è quello di un possibile calo di audience sulla rete ammiraglia, stante invece il costante ampliarsi della platea “matura” rispetto a quella più giovane, forse risulterebbe più opportuno un impegno sul piano editoriale nel conservare l’attuale fidelizzazione dei soggetti anziani che scelgono aprioristicamente il primo tasto del telecomando, per non indurli a fare scelte diverse qualora il loro canale di riferimento dovesse cambiare pelle a causa della ricerca di pubblici che difficilmente scelgono la televisione generalista per il loro intrattenimento.


CONSIDERAZIONI FINALI

Sul tema della comunicazione Radiotelevisiva, come ho già avuto modo di dire in precedenza, si è scritto moltissimo e molto altro si scriverà ancora. Nessuno può predire quanto succederà in un un prossimo futuro in quanto, come diceva bene Niklas Luhmann, il sistema sociale della comunicazione si evolve con infinite interazioni insieme alla società stessa, analogamente a come avviene in un organismo autopoietico formato da cellule biologiche. Lo stesso Luhman definisce la comunicazione un evento tutt’altro che probabile.

Condivido questa ultima affermazione del noto studioso e rimango pertanto mediamente contrario agli imbonitori mediatici, ai fantasiosi messaggi subliminali, alle programmazioni neuro linguistiche, ai possessori del verbo e della verità assoluta, a chi contrabbanda la separazione tra fatti ed opinioni.

Forse oggi sarebbe il caso di rivedere Cartesio passando dal suo “Cogito ergo sum” ad un più attuale “Comunico ergo sum”.

E se è vero che nel suo assioma sulla comunicazione Paul Watzlawick afferma che “è impossibile non comunicare” allora forse dovremmo imparare a farlo davvero bene.

Elettore: vaso da riempire o fiaccola accesa? Il libero arbitrio dell’individuo resiste al presunto strapotere dei media

SIAMO IN PIENA CAMPAGNA ELETTORALE, SONO IN ARRIVO LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE IN IMPORTANTI REGIONI ITALIANE.
E ALLORA CI SEMBRA OPPORTUNO PROPORVI SUL NOSTRO SITO LA TESINA SCRITTA DA DUE BRAVE STUDENTESSE CIRCA 10 ANNI FA’, SULL’ARGOMENTO DI GRANDE ATTUALITA’.
CAMBIANO CONTESTI E ATTORI PROTAGONISTI, MA RESTANO SEMPRE VALIDI GLI SPUNTI DI RIFLESSIONE CHE IL LAVORO CI PROPONE.

Vincitori, vinti, scontenti, delusi, soddisfatti e non rimborsabili, le recenti elezioni europee ed amministrative hanno visto sfilare tutti, ma proprio tutti! “Signori” e “signorine” del mondo politico continuano a dominare la scena e a renderci omaggio della loro presenza nei salotti buoni della tv, nei talk e nei tg . Ma il protagonista indiscusso di questo post elezioni è solo ed unicamente lui “Il Signor Astensionismo”.

Già in altre occasioni ha fatto la sua comparsa, talvolta richiamato a gran voce da chi necessitava della sua presenza per raggiungere i risultati sperati, altre volte non invitato come un’ospite indesiderato di cui si può fare volentieri a meno.

Se nel 2004 la percentuale di consensi da lui ottenuta fu del 35% , il 2009 è stato un anno ancora più favorevole (40% circa gli astenuti), il che  significa che un italiano su 3 non ha votato (3 milioni di voti persi per il Pdl e 4 milioni per il Pd).

Ma come noi figli del tubo catodico e nipoti del plasma non più “plasmati” dalla nostra cara tv balia? Cosa è successo? Abbiamo or dunque riacquistato il senno? Ci siamo forse riappropriati del nostro libero arbitrio?

A dispetto di una campagna elettorale martellante e pervasiva (come le altre peraltro!), l’elettore chiamato costantemente a recarsi alle urne, ha deciso di astenersi dal voto, manifestando così la sua disaffezione nei confronti del sistema politico.

Pd e Pdl , i due grandi partiti del Paese si sono mobilitati per scongiurare l’astensione di parte dei rispettivi elettorati. “Non si capisce cosa c’è in gioco, non è il momento del voto di protesta. Capisco la delusione ma non e’ il momento di astenersi” ha ribadito più volte il leader del Pd Dario Franceschini. Gli fa eco Fabrizio Cicchitto del Pdl  che ha chiesto all’elettorato di “battere l’assenteismo nella consapevolezza che questa manovra di destabilizzazione possa essere respinta soprattutto con il concorso attivo della grande maggioranza del popolo italiano che è con Berlusconi”. L’ipotesi di un elevato astensionismo è stata ventilata anche dal governatore della Regione Lazio, Piero Marazzo che prima delle elezioni ha dichiarato: ”L’astensionismo alle prossime elezioni europee e’ un rischio. Dobbiamo però evitare che questo accada. Molti dei destini dei territori sono nelle mani del Parlamento europeo. Invitiamo i cittadini a votare, insegniamo che il destino e’ sempre nelle loro mani. Mai abbandonarlo agli altri”.

Le affermazioni sopra riportate dimostrano il tentativo da parte di ambo le parti di dissuadere gli elettori dalla scelta astensionista, controproducente per entrambi gli schieramenti.

La stracopertura mediatica dei leader di maggioranza e opposizione sembra però non aver portato ai risultati che ci si era prefissati, l’alta percentuale di astenuti ne è la riprova.

Quanto è stato appena detto va a centrare uno dei punti fondamentali della Teoria Della Tecnica Sociale dell’Informazione, ovvero che il Soggetto Recettore non è passivo e facilmente condizionabile, non un burattino insomma, ma al contrario un Soggetto che dimostra di avere pari dignità rispetto al Soggetto Promotore e dotato delle sue stesse facoltà opinanti.

A questo punto, si potrebbe obiettare che esiste una forma di “astensionismo passivo”, che si traduce semplicemente nella totale indifferenza e nel completo disinteresse nei confronti della politica. Al centro della nostra trattazione sta invece una forma di  astensionismo  cosiddetto “ attivo” per cui il Soggetto Recettore, consapevole dei suoi mezzi, diventa a sua volta Soggetto Promotore di un messaggio politico, che non potrà lasciare indifferenti i Soggetti Recettori (mondo politico) cui si rivolge.

Un simile messaggio politico, benché espresso da una parte dell’elettorato, questo è bene precisarlo, è risultato significativo e decisivo nel determinare l’esito finale di questa consultazione elettorale. In virtù della  sua importanza non può essere trascurato, ma va considerato per poi diventare oggetto di una profonda riflessione e revisione politica.

Facciamo ora un passo indietro e ritorniamo al discorso relativo alla pervasività e all’influenza dei mezzi di comunicazione.

Quanto detto finora sembrerebbe dunque smentire tutte quelle teorie che tra gli anni ‘50 e gli anni’60  hanno fatto degli effetti illimitati dei media e del loro potere persuasorio il loro credo.

Tra queste citiamo la cosiddetta “teoria della cospirazione” elaborata da Adorno, Horkheimer e Marcuse , esponenti della Scuola di Francoforte. I tre autori sono noti per le loro aspre critiche al sistema dei mass media, una vera “industria culturale” – come la definivano – che manipolerebbe l’individuo per integrarlo in un sistema di produzione oppressivo.

L’idea che muove Adorno è che i mezzi di comunicazione di massa fanno introiettare all’individuo il sistema esistente e i valori o i disvalori della società. Al fondo di questa critica c’è un presupposto ben preciso e cioè che i mass-media non sono qualcosa di neutro, non sono meri contenitori che possono essere riempiti con i contenuti più vari. Per Adorno i mezzi di comunicazione di massa sono essi stessi ideologia  perché il loro compito precipuo è quello di diffondere un’immagine del mondo che sia accettabile da tutti, è quello di sviluppare linguaggi uniformi e standardizzati che vadano bene per tutti e che quindi,  inevitabilmente contribuiscono a un conformismo generale.

Adorno fa l’esempio della pubblicità, cui ha dedicato  numerosi   saggi importanti di analisi sociologica, perché nella pubblicità ha visto il tipico strumento di manipolazione delle coscienze: la pubblicità sembra qualcosa di innocente, ma in realtà è uno strumento di seduzione, manipolazione e di addomesticamento degli individui. La pubblicità, nonostante la sua forma seducente, è uno strumento diabolico per manipolare la coscienza individuale, per trasformare gli uomini in robot, in manichini, in qualcosa che possa servire agli scopi del sistema sociale . Quindi l’individuo risulterebbe in questo senso, un essere inerme in  balia del potere mediatico; in realtà la pubblicità, soprattutto oggi, deve confrontarsi con un utente-consumatore tutt’altro che  sprovveduto, ma anzi sempre più critico e partecipe nella fruizione e ricezione del messaggio che gli viene proposto.

Secondo Marcuse invece, i mass media non permetterebbero l’indipendenza del pensiero, l’autonomia e il diritto all’opposizione politica e priverebbero l’uomo della funzione critica .

Abbiamo già notato come  media quali giornali, tv e internet risultino dei soggetti cooperanti e non la causa principale e decisiva nel processo di formazione dell’opinione dell’elettore.

A tal proposito possiamo citare la teoria del “flusso a due fasi della comunicazione” di Lazarsfeld, Berelson e Gaudet, che prende le distanze, in maniera netta, dalla teoria ipodermica[1]. Secondo la teoria dei tre autori, la risposta ai messaggi veicolati dai media non è diretta e immediata, ma mediata e influenzata dalle relazioni sociali. Cosa ancor più importante gli individui non sono tutti uguali di fronte alle campagne mediali, ma hanno differenti ruoli nei processi comunicativi.

Diversi sono gli elementi che condizionano e orientano gli elettori nelle loro scelte di voto. La scelta finale dell’elettore, anche quella di non votare, rappresenta il prodotto di un processo decisionale in cui si inseriscono numerosi fattori che influenzano la preferenza o l’astinenza finale. Tra questi troviamo:
– caratteri sociali ed economici durevoli
– identificazioni partitiche di lungo periodo
– predisposizione in materia di politiche
– preferenze relative a temi di politiche correnti
– percezioni delle condizioni attuali del paese o personali
– valutazione retrospettiva dell’amministrazione in carica e dei suoi risultati
– valutazione delle qualità personali dei candidati
– valutazioni prospettive della potenziale efficacia futura dei candidati e dei partiti.

Analizziamo, ad esempio, il fattore relativo alle percezioni delle condizioni attuali del paese o personali. Sappiamo che la campagna elettorale appena trascorsa, è stata segnata da numerose interviste rilasciate dal premier Silvio Berlusconi, che spesso assumevano più la forma di messaggi autogestiti. In una maxi-intervista rilasciata a “Porta a porta”, il presidente del consiglio ha sostenuto: “Oggi non c’è nessuno che perdendo il lavoro non venga aiutato dallo Stato. C’è la cassa integrazione per i precari, così come per i lavoratori a progetto”.

Questo passaggio dell’intervista potrebbe rispondere a verità per tutti coloro che non si trovino a vivere la condizione di precari, coloro invece che fanno i conti con questa realtà hanno una percezione ben diversa di una simile affermazione e tale percezione influirà nella loro scelta di voto più dell’onnipresenza di un qualsiasi leader politico in una qualche trasmissione televisiva.

In definitiva, vediamo come variabili quali il contesto, l’ambiente, la condizione socio-economica e le relazioni sociali concorrano in misura determinante a delineare e definire le scelte di voto dell’individuo. A dimostrazione del fatto che il libero arbitrio resiste al presunto strapotere dei media.

Corso di Laurea in Editoria, Media e Giornalismo                                                                 Anno Accademico 2008/2009           Corso di Tecniche di Relazione, Prof.Ragnetti.                Emilia Secci e Valentina Altavilla

[1] Teoria Ipodermica si caratterizza per una relazione diretta e univoca che lega lo stimolo alla risposta. I postulati sui quali si fonda sono principalmente quattro: il pubblico è una massa indifferenziata, i messaggi veicolati dai media sono potenti fattori di persuasione, gli individui sono indifesi rispetto al potere dei media, i messaggi sono ricevuti da tutti i membri alla stesso modo.

Spettacolarizzazione e personalizzazione della Comunicazione politica: riflessioni

Lidia Avella

SPETTACOLARIZZAZIONE E PERSONALIZZAZIONE DELLA COMUNICAZIONE POLITICA: RIFLESSIONI

Introduzione

La politica oggi ha ormai completamente cambiato la sua natura. Da luogo del dialogo, del confronto tra idee, dell’esposizione argomentata si è trasformata in spazio del consumo.

La comunicazione di massa ha imposto agli attori politici e al pubblico dei cittadini lo scenario dello spettacolo. Il ruolo della leadership è stato amplificato e la maggior parte delle élite politiche è selezionata con criteri che non hanno più nulla a che fare con le logiche politiche.

Tutto è iniziato nel XX secolo, quando si è avviato il processo di mediatizzazione della società e quindi parallelamente della politica.

Il ruolo primario di agenzia di socializzazione viene svolto dai media e non più dalle tradizionali agenzie come la famiglia, la scuola, la chiesa e il partito.

La politica dunque muta, diventando anche pettegolezzo, scandalo, spettacolo. Si arriva al punto in cui i media quotidianamente si comportano da intermediari fra il personaggio politico e il cittadino, interpretando ciò che l’opinione pubblica vuole sapere allo scopo di poter valutare l’idoneità di una persona a ricoprire cariche pubbliche.

La comunicazione politica allora non è più riferita solo al rapporto tra istituzioni, partiti, movimenti e cittadini, ma crea e veicola anche idee, conoscenze, gusti e stili di vita.

I media col passare del tempo, quindi, hanno prodotto una profonda modifica dei caratteri tradizionali della politica e dei partiti. I nuovi luoghi della deliberazione e della rappresentanza sono oggi esclusivamente gli stessi media. È ormai solo nel contesto mediale che le istituzioni, le forze politiche, i leader e i candidati comunicano tra di loro e con i cittadini-spettatori. I media rappresentano oggi la ribalta della scena politica.

In questo scenario i tre attori dello spazio pubblico, sistema dei media, sistema politico e cittadino elettore, sono così in una relazione asimmetrica e piramidale con al vertice proprio il sistema mediale.

Con la mia tesi mi propongo di analizzare in modo più profondo tutti questi cambiamenti che nella politica e nella sua comunicazione si sono avuti negli ultimi anni. In particolare ho osservato il peso dei media in questo percorso, cioè come il sistema mediale abbia accompagnato la trasformazione della politica fino allo stato attuale. Ho cercato di fare una sorta di punto della situazione, provando quindi a capire come la comunicazione politica sia cambiata e come si presenta oggi, ma soprattutto se questo cambiamento così decisivo abbia fatto bene o meno alla politica.

L’idea dell’argomento da affrontare è arrivata con la lettura del testo di Mazzoleni e Sfardini “La politica pop”. I due autori in questo libro approfondiscono la questione del mutamento della comunicazione politica in Italia e spiegano come questo sia un fenomeno nato in realtà ben oltre i nostri confini. Fanno chiarezza sulle nuove tipologie di programmi che appartengono ai neonati generi dell’infotainment e del politainment e le caratteristiche di ognuno.

Prendendo spunto da alcuni argomenti del libro, ho voluto approfondirne altri con la ricerca e lo studio di ulteriori testi e affidandomi al web. La mia guida scientifica e teorica è stato il testo di Mazzoleni “La comunicazione politica”, mentre confesso di aver riso e di essermi a volte stupita leggendo “Il teatrone della politica” di Ceccarelli.

La lettura dei primi libri mi ha permesso di capire cosa approfondire e quanto sarebbe stato utile inserire nella mia tesi esempi concreti.

Così il mio lavoro ha preso forma, ho analizzato le domande a cui volevo dare una risposta e ho fissato i miei obbiettivi.
Ho cominciato con l’affrontare i concetti di base nel primo capitolo, in cui spiego il fenomeno della mediatizzazione, ovvero i cambiamenti che l’avvento e l’affermazione dei media hanno portato nella comunicazione, e in quella politica in modo particolare. Ho citato autori come Altheide e Snow, che ben spiegano come sia stata per lo più la logica politica ad adeguarsi a quella dei media, e non viceversa.

Ho approfondito con maggiore attenzione il ruolo della televisione in questo processo di cambiamento della comunicazione politica, poiché tra i vari vecchi e nuovi media è il mezzo di comunicazione principale nel nostro Paese, il punto di riferimento informativo per i cittadini italiani. La televisione ha cambiato molto il mondo politico, tanto che ormai la politica dell’era televisiva è molto diversa rispetto a quella del passato.

Ho analizzato poi i principali effetti della mediatizzazione, distinti in effetti mediatici, che riguardano gli aspetti mediali della comunicazione politica (effetto di tematizzazione, effetto di spettacolarizzazione ed effetto di frammentazione del discorso politico) ed effetti politici, che riguardano più propriamente il sistema politico (effetto di personalizzazione, effetto di leaderizzazione, effetto di selezione delle élite politiche).

In questa descrizione ho rivolto la mia attenzione specialmente alla spettacolarizzazione e personalizzazione del discorso politico, che rappresentano il fulcro della mia tesi, essendo gli effetti che attirano oggi maggiormente l’attenzione degli addetti ai lavori e non solo.

La spettacolarizzazione della politica è fonte continua di critiche e sdegno da parte dei cittadini, così come la sua personalizzazione ha portato effetti rilevanti nel modo di comunicare la politica stessa.

Ho proposto infine una descrizione del principale esempio di questo cambiamento della politica italiana, da molti considerato l’artefice dei mutamenti avvenuti nel nostro scenario politico: Silvio Berlusconi.

Ho voluto sottolineare come il Cavaliere sia il culmine dei cambiamenti analizzati, come la sua comunicazione abbia saputo, per l’Italia, precorrere i tempi, come essendo un buon conoscitore del mondo dello spettacolo sia stato il primo ad adattare alle sue logiche anche il discorso politico, riuscendo evidentemente nell’intento e accaparrandosi il favore di molti elettori. Ho raccontato dunque alcune delle principali trovate da lui messe in atto e alcuni aspetti del suo marketing politico.

Nel secondo capitolo ho cercato di mettere ordine tra i concetti che si usano parlando di questa svolta popolare della politica, appunto spettacolarizzata e personalizzata. Ho introdotto così i termini infotainment, politainment e soft news, elencando le varianti di questi nuovi generi di informazione-intrattenimento e proponendo alcuni esempi di programmi del palinsesto italiano che appartengono all’uno o all’altro genere.

Ho poi descritto e analizzato il programma che è a mio parere il miglior esempio di come si affronti oggi la politica in TV, ovvero Porta a Porta di Bruno Vespa. Dopo aver descritto il programma, spiegato i suoi punti forti e le critiche rivolte alla trasmissione e al suo conduttore, ho raccontato alcuni rilevanti episodi andati in onda che mescolano bene politica e spettacolo.

Infine il terzo ed ultimo capitolo è dedicato ad un argomento che molto mi ha appassionata.

Quello che ho cercato di capire è se tutti questi cambiamenti avvenuti nella comunicazione politica abbiano modificato la partecipazione dei cittadini alle questioni di interesse pubblico.

Ho aperto il capitolo parlando di quanto sia solo un’utopia oggi l’ideale del cittadino ben informato, che conosce in modo profondo la politica e vi partecipa attivamente. Ho spiegato come il modo di informarsi sia cambiato e come l’informazione non possa più prescindere dai media.

Ho poi descritto le due opposte posizioni degli studiosi rispetto alla questione. Ovvero quella degli ottimisti, sostenitori della teoria del circolo virtuoso, che considerano i media, pur con alcuni limiti, capaci di informare i cittadini, e non solo. Infatti i media eserciterebbero anche un effetto di mobilitazione poiché stimolano l’interesse e la curiosità dei cittadini nei confronti della politica.

La tesi opposta è quella del video malaise, sostenuta invece dai pessimisti. Questa ritiene che i mass media non aiutino la conoscenza, anzi al contrario sono addirittura strumenti di cattiva informazione. In particolare le accuse sono rivolte alla televisione, che ha reso il cittadino spettatore passivo della politica.

Secondo questa tesi la politica “pop” non fa altro che aumentare la sfiducia e lo sdegno del cittadino verso il mondo politico, visto sempre più come un teatro fatto di personaggi, di litigi e risse, di apparenza e di poca sostanza.

Ho poi analizzato un punto di vista intermedio, ovvero quello della teoria del cittadino vigile.

Si parla cioè di un cittadino che seppur distratto dalle proprio cose, non appassionato alla politica e spesso non ben informato, è attento e vigile, appunto, sulle questioni che lo toccano da vicino ed è capace di attivarsi su quelle questioni che per lui contano. Insomma nonostante il cittadino si dedichi in gran parte alla visione di programmi politici leggeri e scanzonati, secondo questo orientamento, può ancora essere pienamente “cittadino”.

Ho proposto infine un ultimo spunto di riflessione sulle qualità civiche che secondo alcuni avrebbe la comunicazione politica così cambiata. Grazie all’infotainment, al politainment e alle soft news, la politica oggi è addirittura più vicina ai cittadini, poiché non appartiene più ad un mondo lontano e separato, ma entra sempre con più facilità nella loro vita quotidiana.

Così anche i programmi di puro intrattenimento come i reality show possono svolgere una funzione pubblica, rappresentando e insegnando aspetti della cittadinanza contemporanea a vasti ed eterogenei pubblici. E le soft news, dal canto loro, riescono a far arrivare le informazioni su problemi politici importanti anche a pubblici poco inclini a seguire i TG o i programmi di approfondimento.

Arrivo quindi alle mie conclusioni, in cui tiro le somme del mio lavoro e esprimo le mie considerazioni e riflessioni, guardando soprattutto alla Teoria della Tecnica sociale dell’informazione di Francesco Fattorello.

Conclusione

Appare evidente dal mio lavoro che la politica e la sua comunicazione abbiano subito rilevanti cambiamenti e questo, come detto, è un fenomeno che caratterizza in maniera piuttosto omogenea tutto il mondo occidentale.

Dopo i discorsi affrontati nei precedenti capitoli, voglio dare spazio ad un’ultima importante riflessione, partendo dal contesto italiano, ma che vale in generale per i temi trattati.

Da quando in Italia nel 1994 Berlusconi è entrato nel mondo politico il mutamento ha avuto inizio. È cambiato innanzitutto il concetto di elettore, che pian piano è stato uniformato a quello di consumatore, con importanti conseguenze.

Berlusconi per primo ha infatti impostato il suo movimento politico su una serie di valori e contenuti che ha presentato agli elettori come merce da acquistare. Agendo come un’azienda, il neonato movimento propone il proprio prodotto esaltandone i vantaggi, rispetto alla concorrenza, per gli elettori e per il sistema generale.

La strategia di Berlusconi è stata chiara fin dall’inizio. Ha organizzato il suo partito utilizzando principalmente le strutture aziendali dedicate alla vendita di spazi pubblicitari che già usava per le sue reti televisive e affidandosi a politiche di marketing mirate, che provenivano chiaramente dal mondo aziendale.

Questa strategia del Cavaliere ha iniziato il cambiamento della politica italiana di cui abbiamo discusso, visto che dal momento del suo arrivo sulla scena politica e dalla sua successiva vittoria elettorale, tutte le altre parti politiche hanno dovuto fare i conti con un tipo di strategia totalmente diversa rispetto al passato. E soprattutto vi si sono dovute adattare.

Quindi anche la controparte ha cominciato a confrontarsi in modo diverso con gli elettori e quindi a considerarli come potenziali clienti, come consumatori. Si è giunti così al punto estremo: la politica è diventata una merce da vendere e i partiti-aziende riempiono di vantaggi il proprio prodotto tentando di convincere i consumatori-elettori ad acquistarlo.

Partiamo da queste considerazioni e analizziamo il fenomeno tenendo presente la Teoria della tecnica sociale dell’informazione di Francesco Fattorello per capire soprattutto quali siano gli effetti sulla politica.

La teoria parte dal presupposto che ci siano due tipi informazione, quella contingente e quella non contingente. Ognuna delle quali ha propri mezzi per essere comunicata, diversi tra loro e adatti a differenti scopi.

L’informazione contingente è quella legata al presente e all’attualità. È l’informazione che soddisfa l’urgenza, la tempestività, è pensata per l’oggi, e si esaurisce nella quotidianità. Si avvale di stereotipi per ottenere una rapida e tempestiva adesione di opinione, ovvero condivisione del messaggio che si vuole trasmettere.

L’informazione contingente è tipicamente l’informazione giornalistica, quindi sia scritta che radio-televisiva. Ma anche più in generale si fa riferimento all’informazione pubblicistica, compresa quindi la pubblicità.

L’informazione non contingente al contrario non ha esigenze di tempestività e di urgenza.

Si preoccupa di rispettare i valori che sono volti a formare attitudini profonde. È un’informazione praticata per il domani e soprattutto da vita ad opinioni cristallizzate e largamente condivise, al contrario dell’informazione contingente che da vita ad opinioni anch’esse contingenti.

L’informazione non contingente è quella che richiede tempo, come il processo del maestro che insegna ai suoi allievi opinioni accettate attraverso un processo storico da un gruppo, da una società, di cui sono diventate patrimonio nazionale.

La politica così come nasce appartiene sicuramente all’informazione non contingente, poiché è un processo lungo, trasmette valori profondi e socializza la comunità.

Oggi però si tende a trattare la politica come qualcosa di contingente, e soprattutto si usano i mezzi dell’informazione contingente per la comunicazione politica, cadendo ovviamente in errore. Si cerca cioè di trasmettere valori, nello specifico valori politici, nei modi e con i mezzi con cui invece si trasmettono le opinioni contingenti. Così si tende a trasformare la politica semplicemente in un prodotto, da utilizzare e da cercare solo quando serve.

In sintesi, quindi, oggi la comunicazione politica è cambiata, parla esattamente la lingua della pubblicità ed usa i suoi stessi mezzi. Di conseguenza è cambiata anche la politica, che è stata trasformata in un prodotto, comparabile con altri. Tra i prodotti proposti il cittadino sceglie il proprio preferito, cioè quello che più soddisfa le proprie esigenze, non più secondo una condivisione di valori profondi, come in passato, ma in base ad opinioni contingenti, legate al momento.

Allora, si può parlare di politica con i mezzi dell’informazione contingente? Si, si può e oggi lo si fa. Ma chiaramente questo ha delle conseguenze. E la principale delle conseguenze è l’impoverimento della politica, divenuta una merce al pari di altre.

il Fatto-Rello n.2

Editoriale di GIUSEPPE RAGNETTI

Il secondo numero del Fatto-rello vede la luce a conclusione di un periodo particolarmente intenso di comunicazione elettorale in vista delle elezioni politiche dell’Aprile 2006. L’alluvione mediatica dalla quale, nostro malgrado, siamo stati travolti ha visto il trionfo dei più abusati ed intollerabili luoghi comuni.

Prof. Giuseppe Ragnetti

Prof. Giuseppe Ragnetti

Questi, ancora una volta, sono stati la conseguenza dell’insostenibile impostazione teorica d’oltre oceano per cui il mezzo sarebbe di per sé un valido ed efficace messaggio a prescindere dai contenuti da esso veicolati. La propaganda elettorale, prima, e le successive analisi dei risultati ottenuti hanno evidenziato, ancora una volta, la convinzione largamente diffusa dell’esistenza di uomini (in questo caso politici, figuriamoci!!!!) in grado di agire non tanto sulle opinioni di altri uomini, ma sui loro schemi mentali ed, in ultima analisi, sui loro comportamenti.

Dimenticano costoro che esiste una forte scissione tra opinioni ed atteggiamenti, da una parte, e comportamenti adottati nella vita reale. Più che mai, dobbiamo sentirci orgogliosi, noi fattorelliani, di appartenere alla nostra piccola istituzione culturale che ormai da decenni ha fatto chiarezza sull’impossibilità che attraverso i mezzi della comunicazione sociale si possano governare i comportamenti umani.

Nei prossimi mesi avremo modo di discutere nelle nostre aule del recuperato “miracolo” Berlusconi e dell’incompiuto “miracolo” Prodi. Lo faremo con il rigore scientifico che ci distingue da sempre e che ci consente di essere ancora dopo 60 anni la prima scuola legittimata a definirsi “la via italiana alla comunicazione”.