RIFLESSIONI ATTUALI sull’impostazione teorica fattorelliana

Fattorello che aveva dapprima conosciuto e praticato il giornalismo, ha vissuto poi, come prestigioso studioso, un periodo storico in cui lo Stato e i suoi valori hanno dominato e soffocato ogni libertà individuale. Anche il Sistema Informazione diventa organico allo Stato, è una funzione pubblica, e deve essere lo strumento più importante e più efficace per educare ed anestetizzare le masse fino a portarle alla condivisone acritica di tutta la politica nazi-fascista.

In Fattorello, tuttavia, in maniera inaspettata e sorprendente, tutto ciò ha via via provocato validi anticorpi ed una sorprendente reattività che lo hanno portato nell’immediato dopoguerra, a rimettere in discussione il “clima culturale” in cui si era trovato a vivere durante le due dittature. E arriva così alla sorprendente intuizione e alla coraggiosa elaborazione della sua Teoria della Tecnica Sociale dell’Informazione. Ecco, allora, che dallo strapotere dell’Informazione, impostazione teorica ancora oggi dura a morire, emerge una visione rivoluzionaria che stravolge le logiche di un sistema rigidamente configurato in funzione di una relazione comunicativa fortemente asimmetrica.

Per il nuovo pensiero fattorelliano gli attori del processo comunicativo sono “soggetti” entrambi dotati di facoltà opinanti e quindi di pari dignità.

Non c’è più un tiratore scelto che colpisce l’uomo-bersaglio-target, ma vi sono due soggetti attivi che reagiscono ai numerosi stimoli ricevuti, sulla base delle proprie facoltà opinanti e delle personali attitudini sociali prodotte dalle diverse e determinanti acculturazioni.

L’approccio teorico fattorelliano rappresenta una visione di una incredibile modernità e, ci sembra, poter fornire una risposta adeguata alle crescenti esigenze di informazione e comunicazione che connotano le società democratiche di oggi.

In altri termini possiamo tranquillamente affermare che oggi il corretto ed efficace approccio alla comunicazione, nei diversi Paesi del mondo, scaturisce dall’impostazione teorica di Francesco Fattorello.

E  infine,  sappiamo che molti autori  hanno già spiegato il successo delle comunicazione on-line , concentrandosi sul ruolo attivo di tutti i partecipanti e siamo certi che il modello della Tecnica Sociale può sostenere e rafforzare tali opinioni, fornendone i presupposti teorici.

Prof. Giuseppe Ragnetti

Elettore: vaso da riempire o fiaccola accesa? Il libero arbitrio dell’individuo resiste al presunto strapotere dei media

SIAMO IN PIENA CAMPAGNA ELETTORALE, SONO IN ARRIVO LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE IN IMPORTANTI REGIONI ITALIANE.
E ALLORA CI SEMBRA OPPORTUNO PROPORVI SUL NOSTRO SITO LA TESINA SCRITTA DA DUE BRAVE STUDENTESSE CIRCA 10 ANNI FA’, SULL’ARGOMENTO DI GRANDE ATTUALITA’.
CAMBIANO CONTESTI E ATTORI PROTAGONISTI, MA RESTANO SEMPRE VALIDI GLI SPUNTI DI RIFLESSIONE CHE IL LAVORO CI PROPONE.

Vincitori, vinti, scontenti, delusi, soddisfatti e non rimborsabili, le recenti elezioni europee ed amministrative hanno visto sfilare tutti, ma proprio tutti! “Signori” e “signorine” del mondo politico continuano a dominare la scena e a renderci omaggio della loro presenza nei salotti buoni della tv, nei talk e nei tg . Ma il protagonista indiscusso di questo post elezioni è solo ed unicamente lui “Il Signor Astensionismo”.

Già in altre occasioni ha fatto la sua comparsa, talvolta richiamato a gran voce da chi necessitava della sua presenza per raggiungere i risultati sperati, altre volte non invitato come un’ospite indesiderato di cui si può fare volentieri a meno.

Se nel 2004 la percentuale di consensi da lui ottenuta fu del 35% , il 2009 è stato un anno ancora più favorevole (40% circa gli astenuti), il che  significa che un italiano su 3 non ha votato (3 milioni di voti persi per il Pdl e 4 milioni per il Pd).

Ma come noi figli del tubo catodico e nipoti del plasma non più “plasmati” dalla nostra cara tv balia? Cosa è successo? Abbiamo or dunque riacquistato il senno? Ci siamo forse riappropriati del nostro libero arbitrio?

A dispetto di una campagna elettorale martellante e pervasiva (come le altre peraltro!), l’elettore chiamato costantemente a recarsi alle urne, ha deciso di astenersi dal voto, manifestando così la sua disaffezione nei confronti del sistema politico.

Pd e Pdl , i due grandi partiti del Paese si sono mobilitati per scongiurare l’astensione di parte dei rispettivi elettorati. “Non si capisce cosa c’è in gioco, non è il momento del voto di protesta. Capisco la delusione ma non e’ il momento di astenersi” ha ribadito più volte il leader del Pd Dario Franceschini. Gli fa eco Fabrizio Cicchitto del Pdl  che ha chiesto all’elettorato di “battere l’assenteismo nella consapevolezza che questa manovra di destabilizzazione possa essere respinta soprattutto con il concorso attivo della grande maggioranza del popolo italiano che è con Berlusconi”. L’ipotesi di un elevato astensionismo è stata ventilata anche dal governatore della Regione Lazio, Piero Marazzo che prima delle elezioni ha dichiarato: ”L’astensionismo alle prossime elezioni europee e’ un rischio. Dobbiamo però evitare che questo accada. Molti dei destini dei territori sono nelle mani del Parlamento europeo. Invitiamo i cittadini a votare, insegniamo che il destino e’ sempre nelle loro mani. Mai abbandonarlo agli altri”.

Le affermazioni sopra riportate dimostrano il tentativo da parte di ambo le parti di dissuadere gli elettori dalla scelta astensionista, controproducente per entrambi gli schieramenti.

La stracopertura mediatica dei leader di maggioranza e opposizione sembra però non aver portato ai risultati che ci si era prefissati, l’alta percentuale di astenuti ne è la riprova.

Quanto è stato appena detto va a centrare uno dei punti fondamentali della Teoria Della Tecnica Sociale dell’Informazione, ovvero che il Soggetto Recettore non è passivo e facilmente condizionabile, non un burattino insomma, ma al contrario un Soggetto che dimostra di avere pari dignità rispetto al Soggetto Promotore e dotato delle sue stesse facoltà opinanti.

A questo punto, si potrebbe obiettare che esiste una forma di “astensionismo passivo”, che si traduce semplicemente nella totale indifferenza e nel completo disinteresse nei confronti della politica. Al centro della nostra trattazione sta invece una forma di  astensionismo  cosiddetto “ attivo” per cui il Soggetto Recettore, consapevole dei suoi mezzi, diventa a sua volta Soggetto Promotore di un messaggio politico, che non potrà lasciare indifferenti i Soggetti Recettori (mondo politico) cui si rivolge.

Un simile messaggio politico, benché espresso da una parte dell’elettorato, questo è bene precisarlo, è risultato significativo e decisivo nel determinare l’esito finale di questa consultazione elettorale. In virtù della  sua importanza non può essere trascurato, ma va considerato per poi diventare oggetto di una profonda riflessione e revisione politica.

Facciamo ora un passo indietro e ritorniamo al discorso relativo alla pervasività e all’influenza dei mezzi di comunicazione.

Quanto detto finora sembrerebbe dunque smentire tutte quelle teorie che tra gli anni ‘50 e gli anni’60  hanno fatto degli effetti illimitati dei media e del loro potere persuasorio il loro credo.

Tra queste citiamo la cosiddetta “teoria della cospirazione” elaborata da Adorno, Horkheimer e Marcuse , esponenti della Scuola di Francoforte. I tre autori sono noti per le loro aspre critiche al sistema dei mass media, una vera “industria culturale” – come la definivano – che manipolerebbe l’individuo per integrarlo in un sistema di produzione oppressivo.

L’idea che muove Adorno è che i mezzi di comunicazione di massa fanno introiettare all’individuo il sistema esistente e i valori o i disvalori della società. Al fondo di questa critica c’è un presupposto ben preciso e cioè che i mass-media non sono qualcosa di neutro, non sono meri contenitori che possono essere riempiti con i contenuti più vari. Per Adorno i mezzi di comunicazione di massa sono essi stessi ideologia  perché il loro compito precipuo è quello di diffondere un’immagine del mondo che sia accettabile da tutti, è quello di sviluppare linguaggi uniformi e standardizzati che vadano bene per tutti e che quindi,  inevitabilmente contribuiscono a un conformismo generale.

Adorno fa l’esempio della pubblicità, cui ha dedicato  numerosi   saggi importanti di analisi sociologica, perché nella pubblicità ha visto il tipico strumento di manipolazione delle coscienze: la pubblicità sembra qualcosa di innocente, ma in realtà è uno strumento di seduzione, manipolazione e di addomesticamento degli individui. La pubblicità, nonostante la sua forma seducente, è uno strumento diabolico per manipolare la coscienza individuale, per trasformare gli uomini in robot, in manichini, in qualcosa che possa servire agli scopi del sistema sociale . Quindi l’individuo risulterebbe in questo senso, un essere inerme in  balia del potere mediatico; in realtà la pubblicità, soprattutto oggi, deve confrontarsi con un utente-consumatore tutt’altro che  sprovveduto, ma anzi sempre più critico e partecipe nella fruizione e ricezione del messaggio che gli viene proposto.

Secondo Marcuse invece, i mass media non permetterebbero l’indipendenza del pensiero, l’autonomia e il diritto all’opposizione politica e priverebbero l’uomo della funzione critica .

Abbiamo già notato come  media quali giornali, tv e internet risultino dei soggetti cooperanti e non la causa principale e decisiva nel processo di formazione dell’opinione dell’elettore.

A tal proposito possiamo citare la teoria del “flusso a due fasi della comunicazione” di Lazarsfeld, Berelson e Gaudet, che prende le distanze, in maniera netta, dalla teoria ipodermica[1]. Secondo la teoria dei tre autori, la risposta ai messaggi veicolati dai media non è diretta e immediata, ma mediata e influenzata dalle relazioni sociali. Cosa ancor più importante gli individui non sono tutti uguali di fronte alle campagne mediali, ma hanno differenti ruoli nei processi comunicativi.

Diversi sono gli elementi che condizionano e orientano gli elettori nelle loro scelte di voto. La scelta finale dell’elettore, anche quella di non votare, rappresenta il prodotto di un processo decisionale in cui si inseriscono numerosi fattori che influenzano la preferenza o l’astinenza finale. Tra questi troviamo:
– caratteri sociali ed economici durevoli
– identificazioni partitiche di lungo periodo
– predisposizione in materia di politiche
– preferenze relative a temi di politiche correnti
– percezioni delle condizioni attuali del paese o personali
– valutazione retrospettiva dell’amministrazione in carica e dei suoi risultati
– valutazione delle qualità personali dei candidati
– valutazioni prospettive della potenziale efficacia futura dei candidati e dei partiti.

Analizziamo, ad esempio, il fattore relativo alle percezioni delle condizioni attuali del paese o personali. Sappiamo che la campagna elettorale appena trascorsa, è stata segnata da numerose interviste rilasciate dal premier Silvio Berlusconi, che spesso assumevano più la forma di messaggi autogestiti. In una maxi-intervista rilasciata a “Porta a porta”, il presidente del consiglio ha sostenuto: “Oggi non c’è nessuno che perdendo il lavoro non venga aiutato dallo Stato. C’è la cassa integrazione per i precari, così come per i lavoratori a progetto”.

Questo passaggio dell’intervista potrebbe rispondere a verità per tutti coloro che non si trovino a vivere la condizione di precari, coloro invece che fanno i conti con questa realtà hanno una percezione ben diversa di una simile affermazione e tale percezione influirà nella loro scelta di voto più dell’onnipresenza di un qualsiasi leader politico in una qualche trasmissione televisiva.

In definitiva, vediamo come variabili quali il contesto, l’ambiente, la condizione socio-economica e le relazioni sociali concorrano in misura determinante a delineare e definire le scelte di voto dell’individuo. A dimostrazione del fatto che il libero arbitrio resiste al presunto strapotere dei media.

Corso di Laurea in Editoria, Media e Giornalismo                                                                 Anno Accademico 2008/2009           Corso di Tecniche di Relazione, Prof.Ragnetti.                Emilia Secci e Valentina Altavilla

[1] Teoria Ipodermica si caratterizza per una relazione diretta e univoca che lega lo stimolo alla risposta. I postulati sui quali si fonda sono principalmente quattro: il pubblico è una massa indifferenziata, i messaggi veicolati dai media sono potenti fattori di persuasione, gli individui sono indifesi rispetto al potere dei media, i messaggi sono ricevuti da tutti i membri alla stesso modo.

Immagine e Comunicazione Politica



Anche per un Partito o Movimento politico l’immagine è importante: essa può determinare i comportamenti delle persone nei suoi confronti.

Il modo come il partito viene percepito influenza gli atteggiamenti e la disponibilità a credere a ciò che il partito dice e a collaborare costruttivamente per il successo dello stesso.
Traguardo massimo raggiungibile attraverso un’ottima percezione: il successo del partito è il mio successo!

L’immagine non è, tuttavia, un prodotto che si possa costruire a proprio piacimento. L’immagine è, soprattutto determinata dalla prestazione: ciò che il partito fa, ciò in cui crede determina nella testa delle persone, tutte potenziali elettori, la sua immagine.

Il compito di coloro che si occupano della comunicazione sia all’interno che all’esterno del partito, consiste nell’assicurare la corretta trasmissione del “credo” e degli obbiettivi e ,soprattutto, la coerenza di tutti i segnali e messaggi trasmessi.

E allora occorre un “guardiano dell’immagine che va tenuta costantemente sotto controllo, onde evitare che si raccolga meno di quanto si è seminato, così come è recentemente avvenuto per movimenti politici velleitari ma privi di immagine (vedi Ingroia, Oscar Giannino, Sinistra critica, Leu e altri).

Se poi vogliamo considerare il partito politico come un prodotto da accreditare presso un’opinione pubblica sempre più instabile e imprevedibile, non possiamo ignorare i dettami di un corretto Marketing politico.

Un MK politico efficace deve essere capace non semplicemente di “vendere”, ma di costruire una relazione a lungo termine: prima di proporre soluzioni e priorità costruite a tavolino, bisogna ascoltare attentamente il cittadino elettore e soddisfare, per quanto possibile, bisogni e aspettative, soprattutto quando le soluzioni necessarie sono tuttora inesistenti. (Da ricordare che un cittadino “soddisfatto” può valere decine e decine di voti….passaparola tra famiglia e parenti, sui luoghi di lavoro, sui rapporti sociali di ogni tipo fino alla bocciofila e al bar dello sport… Esattamente, cioè, in tutti i contesti dove si discutono e si diffondono le opinioni fino a diventare opinioni condivise!!!)

E allora diventa importante il linguaggio dei politici in grado di innescare i processi di opinione presso i cittadini/elettori.

Certamente il linguaggio verbale e quello non verbale: linguaggio come stimolo all’apparato sensoriale di chi ci guarda e ascolta, per arrivare alla percezione e alle successive e inevitabili reti associative.

Sapendo bene che esistono reti associative negative e molto radicate (es. fascista come termine offensivo, al contrario di comunista presso il grande pubblico), il mio linguaggio- stimolo non dovrà mai evocare, riportare alla luce reti associative che magari si stavano affievolendo perchè sostituite da nuove reti figlie di stimoli positivi.

Ma il linguaggio è anche e soprattutto comportamento: un deputato che fa tentativi di aggressione in aula o in piazza, non può che evocare le peggiori reti associative presso coloro che si vorrebbe conquistare alla causa.

Di positivo potrebbe esserci l’immagine di “uomo forte”, che non si fa prendere per il naso da nessuno e, quindi, l’evocazione di “reti associative positive” che, tuttavia, sono presenti soltanto presso coloro che già danno il loro consenso a quel partito.

Ma così non si cresce!!! Riaffermando i nostri valori forti, si fa apologia della storia, si impone la nostra visione della storia; ma i contemporanei la storia la vogliono vivere, la stanno vivendo qui ed ora e si aspettano che un partito politico li capisca ora, e li rafforzi ora in quei valori in cui essi credono ora.

La politica non è scienza del passato e non può essere conservazione in una democrazia basata sul consenso popolare: fare politica significa vivere il presente e governare il futuro. Significa conoscere le istanze sociali e non aver paura di idee e proposte concrete che la società stessa ci pone.

L’accettazione e, laddove possibile, la realizzazione delle stesse, contribuirà in maniera determinante alla creazione della miglior immagine non solo presso i nostri elettori, ma anche presso tutti gli altri cittadini che potrebbero vederci sotto un’altra veste e, magari, darci il loro consenso.

Prof. Giuseppe Ragnetti



La struttura cristallografica del sistema della comunicazione

Università degli studi di Urbino “Carlo Bo” – Facoltà di Sociologia – Corso di Laurea Specialistica in Editoria, Media e Giornalismo – Tecniche di Relazione – Prof. Giuseppe Ragnetti

La “visione” del prof. Giuseppe Ragnetti

a cura di Alessandro Puglia

“C’era una volta un bambino che amava farsi portare a letto dalla mamma. Stava con gli occhi semi-chiusi e in semiveglia la mano della madre era stretta su per le scale. Si addormentava spesso nel divano e quel “farsi portare a letto” lo rendeva il bambino più fortunato e felice del mondo. Quand’era ancora nel grembo materno amava già ascoltare la musica, per lui la vita nel feto non era, evidentemente, una pura romanticheria. Un giorno questo bambino tanto dolce e affettuoso divenne adulto, con la barba lunga e bianca, simile a quella dei filosofi antichi.  Quando approdò su grandi aule accademiche e vasti scenari pubblici, confessò provocatoriamente a numerosi “esperti” in comunicazione che nonostante l’età  amava ancora “portarsi a letto” in uno stato di semiveglia. Chiese una spiegazione a quel gesto che continuava a ripetere, sera dopo sera,  inconsciamente.  Nessuno rispose. I sociologi e gli psicologi di ultima generazione che cercano di motivare sempre tutto restarono inermi a un così semplice aneddoto”.

Giuseppe RagnettiQuel bambino, ora dalla lunga barba bianca, è il prof. Giuseppe Ragnetti, docente di Tecniche di Relazione presso la facoltà di Sociologia dell’Università di Urbino e presidente dell’Istituto “Francesco Fattorello” in Roma. Attraverso i suoi insegnamenti, egli propone un nuovo metodo, una tecnica sociale dell’informazione finalizzata a sciogliere numerosi problemi legati ai processi comunicativi che si realizzano quotidianamente in ogni contesto sociale. La comunicazione, termine oggi abusato, è sempre preceduta da un processo informativo (Informazione) che richiama una materia  necessariamente manipolabile  e  manipolata, data l’ineludibile esigenza di dare alla materia stessa una forma tale da ottenere l’adesione del soggetto recettore. 

Gran parte dei teorici della “comunicazione” insistono sul fatto che il pubblico, definito target, assorbe in maniera passiva i dettami dello strapotere mediatico. La Teoria della tecnica sociale dell’informazione (l’unica teoria italiana del settore a livello internazionale) di Francesco Fattorello, ereditata e divulgata dal prof. Giuseppe Ragnetti, stravolge le logiche di un sistema strettamente prefigurato.

L’informazione  non è affidata né a un emittente né a un destinatario classicamente inteso: i protagonisti del processo comunicativo sono “soggetti”, “io in quanto realtà pensante”. Il processo informativo sarà bilaterale e i soggetti saranno distinti in promotore (SP) e recettore (SR). Soggetti pensanti, protagonisti entrambi del processo di trasmissione delle informazioni. Non vi è un lanciatore che colpisce un bersaglio – target – ma vi sono due soggetti attivi che reagiscono ai numerosi stimoli che li circondano (le teorie anglosassoni che occupano una primaria visibilità nei corsi di comunicazione dovranno desistere all’emergere di un soggetto attivo presente in ogni processo di informazione).

Da questa breve premessa si articola la “visione” che Ragnetti definisce teoria della struttura cristallografica del sistema della comunicazione, che cercheremo qui di descrivere.

Le persone sono situate in un qualsiasi punto della struttura poliedrica. La struttura indica simbolicamente il complesso sistema comunicativo entro cui vive l’uomo e che comprende un numero infinito di stimoli percettivi. Il soggetto in qualsiasi punto del sistema sia collocato non fa altro che essere bombardato da messaggi, i quali successivamente, possono o non possono situarsi nella sfera individuale, sempre diversa in ognuno di noi. Il soggetto si farà raggiungere o meno da determinati stimoli, in base a componenti motivazionali, alla propria intelligenza emotiva e alla propria acculturazione.  Considerando addizionalmente un “momento zero” gli stimoli esterni avranno maggior influenza nell’incidere nei nostri schemi mentali. La necessità di intervenire sarà proiettata sull’edificazione di un io in grado di gestire milioni di stimoli percettivi. Occorre, adesso, indagare sulla natura degli stimoli. Essi vivono nel complesso e multidimensionale sistema sociale in cui viviamo, sia all’interno dei processi mediatici, che al di fuori nelle più dirette situazioni comunicative (informazioni  che ci vengono date dalle persone con cui condividiamo il nostro spazio sociale, amici, genitori, nonni, ecc.  Sono stimoli tutte le nozioni che apprendiamo dai libri e che possibilmente riscriviamo secondo noi stessi).   Il processo di convergenza  per cui più mezzi concorrono a fornirci un immagine stereotipata della realtà è un processo meccanico fatto di messaggi più o meno espliciti che si prestano facilmente al consumo. Notizie come quelle dell’attualità che sono contingenti, tempestive e che vivono nell’hic et nunc del contesto situazionale. All’interno della struttura cristallografica tutti gli stimoli convivono tra loro. Da quanto affermato si comprende che se il soggetto comunicativo fosse di natura passiva, tenderebbe ad asservirsi di informazioni come un prodotto già finito. I vari processi comunicativi si priverebbero del dualismo dialettico da sempre esistito. Il soggetto attivo può invece aderire o non aderire alle migliaia di informazioni che ogni giorno gli vengono proposte con “vuote pedanterie”. Essendo l’individuo un soggetto pensante può scegliere quali stimoli elaborare, accrescere, perfezionare o, semplicemente, rifiutare.

La percezione diventa tema nodale all’interno del sistema.  Essa è estremamente soggettiva, lavora a modo proprio, distintamente in ognuno di noi. È il processo attraverso cui elaboriamo gli stimoli provenienti dall’ambiente esterno, in modo utile e significativo.  La percezione crea una singolare mappa del mondo in base alla quale affrontiamo e reagiamo ad esso, una mappa tendenzialmente autoconfermante: è un filtro individuale.

La struttura cristallografica della comunicazione diventa metaforicamente simile ad un’enorme ragnatela che continua a tessersi. Un marchingegno a più teste in cui siamo noi a decidere dove stare e quale informazione fare pervenire. In un momento in cui la cultura tradizionale ci imbeve di ovvio, in cui l’uomo è sempre più massificato e spersonalizzato, preme la necessità di non sentirsi più target, ma di avvalersi della facoltà di selezionare, di reagire attivamente ai numerosi e continui stimoli esterni.  I messaggi filtrano quando si è ben delineata la natura dell’informazione, quando tra promotore e recettore si avrà convergenza di interpretazione su un tema proposto. Se i modelli forniti dalla televisione difficilmente assumono rilevanza nel complesso emisfero di noi stessi, i valori che pervengono dall’educazione sono invece destinati a perdurare, non sono contingenti.

È proprio all’interno di ciò che è contingente e di ciò che non lo è che bisogna operare: l’informazione dell’attualità è un informazione contingente che punta esclusivamente alla forza deperibile della novità, il recettore è generico e non trova possibilità di sviluppare un processo comunicativo che non sia unilaterale. L’informazione contingente è utilitaristica, fine a se stessa. La natura del non contingente trova invece all’interno della struttura cristallografica della comunicazione modo di innescare meccanismi che difficilmente riescono a dissaldarsi.  L’informazione non contingente non si sottopone alle logiche del consumo mediatico. L’opinione profonda, non stereotipata può apparire talvolta nelle parole di un maestro, figura necessaria in un tempo frammentato come il nostro. Torna l’esigenza di rientrare in una forma che lasci al contenuto modalità e tempo di agire. L’informazione sarà allora cristallizzata e apparterrà a noi stessi, ai nostri schemi mentali che hanno bisogno sempre e continuamente di esporsi e di mutare. All’interno della struttura cristallografica diventa fondamentale reagire. Trovare metodi selettivi accanto a quelli percettivi e sensoriali. All’interno della struttura cristallografica della comunicazione vi può essere o meno l’adesione ai processi di informazione e ai processi di opinione (con la propria molteplice natura).

L’adesione avviene in fasi distinte : quando vi è contatto, ovvero quando le notizie fornite permettono l’osservazione diretta del recettore con il problema opinabile; l’interesse e l’attenzione (molti recettori sommersi da un alluvione mediatica non prestano la minima attenzione a tutte le notizie); la valutazione,  che avviene sempre sulla griglia della propria acculturazione ; l’adesione o il rifiuto che in genere avviene immediatamente e l’adozione, che consiste nell’adesione  all’opinione proposta.

Quando si è riusciti a suscitare interesse,  attenzione  e, infine, adesione allora il soggetto recettore che ha ricevuto una forma d’opinione, diventa a sua volta soggetto promotore. Lo stimolo percettivo si è ben radicato in noi stessi.

La natura dell’opinione che è di per sé opinabile (si nutre al fast-food) è stata profondamente analizzata e approfondita (Opinioni sull’Opinione, G.Ragnetti, Quattroventi, Urbino 2006) . Per adesso ci conteniamo di dubitare dello strapotere dei mezzi di informazione in grado di condizionare ogni indistinta fetta di pubblico. La struttura cristallografica della comunicazione rende luce a un soggetto che può agire e reagire in relazione agli stimoli che lo circondano: “I mezzi di informazione certamente agiscono sulle opinioni (siamo tutti contro la guerra!) ma non sono in grado di condizionare i comportamenti degli uomini. Sono altri i motivi, alcuni noti e altri meno, che stanno alla base delle nostre azioni ”.

E a noi piace ancora ascoltare storie…

La Relatività generale delle Opinioni

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” – URBINO – Corso di Laurea Specialistica in Editoria Media Giornalismo – Tecniche di Relazione – Prof. GIUSEPPE RAGNETTI

“La Relatività generale delle Opinioni”

Elaborato a cura di Luca Pittau

L’affascinante questione della formazione delle opinioni è forse uno dei temi più longevi appartenenti alla stessa natura dell’uomo in quanto essere sociale: da quando questi ha iniziato logisticamente a ragionare per categorie, l’opinione è diventata parte inscindibile della sua costituzione intellettuale.

Ciò significa che qualsiasi fatto o evento, qualsiasi entità o raffigurazione dell’esperienza ha bisogno, per “significare”, di particolari formule di opinione da parte degli uomini o, meglio, sono gli uomini stessi a sentire la necessità di opinare in maniera continua su tutto, e in qualsiasi momento della quotidianità.

Questo perché l’uomo è inserito in molteplici reti di relazioni sociali, determinate dall’appartenenza a gruppi più o meno unitari che lo rendono sensibile a tali relazioni e costantemente propenso a mantenerle mediante, appunto, processi di opinione; di qui il loro carattere sociale.

L’aspetto importante è che questi processi di opinione sono assolutamente soggettivi, ovvero variano completamente da persona a persona a seconda delle loro attitudini (sociali e profonde), delle loro credenze e aspettative, dei loro valori (in una parola, acculturazione), ma anche in base alla loro predisposizione momentanea in relazione a qualsivoglia entità o fatto preso in esame.

Ciò, a prima vista, potrebbe far intendere la questione generale come estremamente complessa: se qualsiasi fatto di opinione è, in quanto soggettivo, aleatorio, fugace, ingannevole, come si può costruire una “scienza” delle opinioni? Si può arrivare a dei principi generali sulla validità delle opinioni, per poterle comprendere e, magari, influenzarle?

E’ questo l’interrogativo fatto proprio da alcuni filoni di studio, originati a partire dall’esplosione della cosiddetta “società di massa”, che credono di poter indirizzare i flussi di opinione delle “folle”, o comunque di controllarle. Pensano dunque di poter entrare nella testa di ciascun individuo e inculcarvi le opinioni da loro proposte, dimenticandosi dell’incredibile numero di neuroni di ogni cervello umano e di concetti quali ‘filtro percettivo’ e ‘dissonanza cognitiva’.

Non è, naturalmente, una cosa pensabile. La questione, infatti, è molto meno complicata, si permea anzi di un’unica grande semplicità, quasi disarmante: essendo le opinioni, ripetiamo, qualcosa di fuggevole e transitorio (proprio perché scaturiscono da un punto di vista soggettivo), si deve semplicemente accettare il fatto che in ogni momento, per chiunque, e relativamente a qualsiasi cosa vi possono essere migliaia e migliaia di opinioni, tutte autonome, mutevoli e indipendenti le une dalle altre; o meglio, dipendenti solamente da quelle variabili di cui ogni soggetto si serve, anche inconsapevolmente, per formularle.

Ogni processo d’informazione è allora un tentativo di trasmettere un’opinione ad un recettore, di cui si vuole ottenere l’adesione tenendo conto anche (e soprattutto) dei suoi stessi fattori di acculturazione. Questa piccola-grande verità era già nota ai grandi filosofi del passato.

Platone ad esempio distingue tra la conoscenza perfetta data dalla comprensione dell’oggetto in sé, in quanto essenza, e quella imperfetta data invece dalle opinioni, con cui si può scorgere un oggetto bello o giusto, ma non la bellezza o la giustizia in sé; era già consapevole del fatto che l’atto di opinare interviene solo in uno stato di non conoscenza.

La Tecnica Sociale dell’Informazione di Francesco Fattorello fa sua questa importantissima distinzione, inficiata dagli studi precedentemente citati e in particolare dalla cultura americana del ventesimo secolo che concepisce il pubblico e la ‘massa’ (concetti di cui peraltro non riesce a dare una definizione o, peggio ancora, crede non sia importante) come un target senza scampo di fronte a tutto ciò che riceve. Fattorello asserisce infatti che il processo d’informazione non è altro che una tecnica sociale con cui un soggetto promotore informa (cioè, “da forma”) a suo modo l’oggetto della realtà su cui vuole opinare, e lo trasmette ad un soggetto recettore sul quale vuole ottenere l’adesione e che a sua volta mette in moto il suo meccanismo interpretativo.

Entrambi i soggetti hanno dunque pari dignità, nessuno dei due può assumere una qualche posizione “privilegiata” e, fatto ancora più importante, il processo si esaurisce qui, gli effetti stanno fuori e non sono nemmeno prevedibili.

Secondo una visione molto più ampia, che intravede un’analogia (certo un po’ forzata, ma significativa) con una disciplina totalmente differente, un soggettivismo estremo così postulato dei fenomeni di opinione può essere inteso alla maniera della teoria della relatività spazio-temporale di Einstein, secondo cui qualsiasi tentativo di determinare la posizione o il moto di un punto nello spazio-tempo è relativo alle generali condizioni contestuali della situazione, dunque non si può stabilire a priori. Allo stesso modo, qualsiasi processo opinante ha validità solo nel suo preciso contesto d’uso, in relazione alle persone che lo mettono in moto, e non può costituire certo una legge, se non nel senso di una predisposizione naturale che in molti casi può divenire anche collettiva e fatta propria da gruppi più o meno numerosi di individui.

Vengono a decadere in questo modo molti concetti fuorvianti figli della società del nostro tempo, quali ad esempio l’opinione pubblica, l’obiettività e la coerenza.

La prima è certamente difficile da considerare nel senso che ci tramandano i padri delle scienze politiche (opinione dominante nazionale), al massimo si può intendere come un gruppo, anche piccolissimo, polarizzato da determinati fattori di conformità in relazione a un dato evento e a un dato momento.

L’obiettività, cavallo di battaglia del giornalismo anglosassone, allo stesso modo viene a cadere: è impossibile separare i fatti dalle opinioni, perché qualsiasi fatto deve per forza essere “vestito” dall’interpretazione soggettiva di ogni individuo che lo tratta, dunque la realtà vera e propria non può in nessun modo entrare nel rapporto d’informazione.

Quanto alla coerenza, mi riferisco non già alla coerenza semantico-tematica degli enunciati, ma alla pretesa di condurre una vita intera ancorati a certe credenze o valori impermeabili agli in-put della realtà, pretesa a mio avviso assolutamente non valida.

Ogni essere umano è un’entità pensante, dovrebbe provare gusto nel vedere continuamente contraddette le proprie opinioni, e compiacersi nel cambiare prospettiva ogni qualvolta l’esperienza lo richieda. Pensare di aver già esaurito ogni capacità, o volontà, di apprendimento è un errore a dir poco grossolano. La complessità dell’esistenza è qualcosa di talmente inaudito, che l’uomo dovrebbe andare fiero della sua finitezza, poiché è tramite questa finitezza che può provare a scandagliare il campo del conoscibile, senza pregiudizio alcuno; una finitezza, insomma, che deve tendere all’illimitatezza.

Certo, tutte queste considerazioni potrebbero anche avere, se vogliamo, dei risvolti diciamo ‘filosofici’ in qualche maniera pessimistici. Prendere atto dell’irreversibile soggettività delle opinioni, dell’impossibilità di osservare gli individui dal loro interno, dell’ingannevolezza di concetti come obiettività e coerenza, potrebbe ottenere come risultato estremo una concezione nichilista secondo cui ogni individuo è irrimediabilmente solo.

Pur vivendo con gli altri suoi simili, non può accedere ai pensieri altrui e deve convivere solo con i suoi; ragion per cui si sente impotente, quasi inutile, può solo vagare con la sua individualità e cercare una convivenza con gli altri la meno problematica possibile.
Una prospettiva, questa, molto simile a quella espressa da Pirandello in “Uno, nessuno e centomila”, in cui il protagonista si sente ingabbiato in un terribile dramma interiore di fronte alle migliaia di opinioni che lo riguardano e che egli non sente come sue.

Abbandonando questa visione un po’ cupa ma certamente interessante, è ora importante dire che un simile senso di smarrimento deve trasformarsi in uno stimolo vitale, quello di cercare continuamente il dialogo con le persone attorno a noi, al fine di comprenderne le aspettative, capirne il più possibile i modi di intendere, le credenze, i valori, e basare su di essi i rapporti reciproci. L’uomo non è certo solo, vive con gli altri e in funzione degli altri, e con gli altri deve continuamente condividere qualcosa; l’essere in società è prerogativa fondamentale della sua stessa sopravvivenza.

Solo con un simile ‘scambio di acculturazioni’, che deve avvenire nella maniera più naturale possibile, si può giungere ad uno stato di comprensione e solidarietà gli uni con gli altri.

Questi due elementi, unitamente a molti altri, sono poi da utilizzare nei vari processi d’informazione, senza pretese di superiorità o persuasioni occulte di un certo tipo.

La società dell’informazione

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” URBINO – Laurea Specialistica in Editoria Media Giornalismo – Elaborato per l’esame di Tecniche di Relazione – Prof. Giuseppe Ragnetti

La società dell’informazione

a cura di: Rosa Martielli

L’informazione è una manifestazione dell’associazione umana, una delle dinamiche del vivere in società. Essa è dunque, a tutti gli effetti, un fenomeno sociale che si concreta mediante una tecnica sociale in grado di agire sull’opinione altrui.

Il processo dell’informazione si concreta nel rapporto tra i due termini principali, entrambi opinanti e attivamente partecipi: il Soggetto Promotore ed il Soggetto Recettore.

Il Promotore è colui che da inizio al processo informativo prendendo l’iniziativa di interpretare e trasmettere un contenuto, mentre il Recettore è colui che riceve questo contenuto e lo reinterpreta a sua volta.

Occorre fare delle precisazioni sull’oggetto dello scambio informativo, ossia il contenuto. Il contenuto dell’informazione non è, come si potrebbe pensare, la cosa, il fatto o l’ideologia che si vuole comunicare a qualcun altro; l’evento in sé per sé indubbiamente esiste – ad esempio possiamo voler informare un amico della morte del Papa o del discorso di un leader politico – , ma non è questo che entra nel rapporto informativo tra Promotore e Recettore.

Infatti il Promotore non comunica mai l’evento in sé, bensì la rappresentazione che si è fatto di esso, la sua personale e soggettiva interpretazione.

Per dirla in altri termini, quella che viene trasmessa è la sua opinione sull’evento in questione.

L’opinione si concretizza nella forma che il Promotore le da e che raggiunge il Recettore, il quale a sua volta da inizio un’ altra fase del processo. Egli infatti, una volta ricevuto il contenuto, non si limita ad accettarlo passivamente. Al contrario lo interpreta nuovamente in base alle sue idee, ai gusti ed ai principi in cui crede; dopo di che è pronto a trasmettere la sua forma/opinione ad altri recettori.

Quando Il Recettore riceve un’opinione ha dunque quella che viene definita una “reazione d’opinione”, che è parte integrante e finalità del processo informativo.

Se quest’ultimo ha successo, si avrà un’ “adesione d’opinione” , che è ciò che si proponeva d’ottenere il Promotore nel dare il via al processo informativo.

Infatti non esiste nessun tipo di informazione pura, disinteressata, messa in atto senza alcuno scopo: il promotore di informazione ha sempre la finalità – anche inconsapevole – di ottenere un’adesione all’opinione, alla propria personale interpretazione della realtà di cui si parla.

È raro che questa adesione da parte del recettore sia totale, ma anche se parziale è pur sempre un risultato raggiunto, il segno che il processo informativo è andato a buon fine.

Un altro mito da sfatare riguarda l’esistenza di una informazione obiettiva: nel rapporto informativo non si può mai parlare di obiettività o di oggettività. Questo perché, come si è visto, tanto il Promotore quanto il Recettore sono fortemente influenzati, nel dar forma ad un contenuto, dalle proprie personalità, da interessi, gusti, idee e motivazioni strettamente personali.

Ne consegue che la distinzione che viene spesso fatta da alcune scuole di giornalismo tra i “fatti” e le “opinioni” non ha ragion d’essere: un giornalista, o chi per lui, non potrebbe mai essere neutrale ed obiettivo, nemmeno se fosse animato da tale intenzione.

Egli trasmetterà sempre la forma che ha dato a ciò che ha interpretato e con essa cercherà di rappresentare agli altri quella cosa, quell’ evento o quella ideologia.

È altresì importante che questa forma sia dotata di una carica sociale tale da riuscire a determinare un’adesione d’opinione da parte del recettore. La carica sociale dipende anche dal fattore di conformità che viene dato all’informazione, che deve essere tale da riuscire a raggiungere i recettori nel loro punto più sensibile, nei loro interessi, in altre parole deve saper colpire la loro curiosità.

Ovviamente occorrerà un’approfondita conoscenza dei recettori, dei loro gusti e delle loro aspirazioni.

Dell’analisi del recettore si occupano da tempo discipline come la Sociologia o la Statistica; il loro compito tuttavia è reso molto difficile dall’alto grado di eterogeneità dei recettori, specie quando si tratta di un gruppo molto vasto, come ad esempio il pubblico destinatario di una campagna pubblicitaria. Ricapitolando, possiamo affermare che il fenomeno sociale dell’informazione consta di due fasi: la prima inerisce al rapporto tra il Promotore e la forma che da a ciò che è oggetto di informazione; la seconda al rapporto tra il Recettore e la forma che gli è stata trasmessa (cioè alla reazione di opinione).

Dalla convergenza di queste due fasi abbiamo l’informazione, che è la risultante di un duplice processo di interpretazione: prima da parte del Promotore e poi da parte del Recettore.

Occorre inoltre specificare che questo processo è parte integrante delle dinamiche sociali e non esiste in astratto, avulso da esse.

Al contrario il singolo processo informativo è solo un insignificante anello di una catena infinita di molteplici rapporti informativi che si intersecano, si sovrappongo e si susseguono tra loro.

Esistono due forme di informazione: l’informazione contingente (detta anche pubblicistica) e l’informazione non contingente; esse si distinguono sia per le modalità con cui si attuano che per le finalità che si propongono.

L’informazione contingente ha come contenuto opinioni contingenti, momentanee e stereotipate, e si propone di ottenere un’adesione d’opinione immediata da parte dei recettori.

Per fare ciò occorre che il processo informativo sia quanto più possibile tempestivo, ossia si sfrutti al meglio il momento più adatto e conveniente affinché la notizia renda al massimo, provochi cioè la massima adesione.

Il consenso ottenuto così velocemente è però estremamente labile; ciò è dovuto in parte al fatto che è irrazionale, in parte al fatto che una miriade di informazioni contingenti bombardano l’individuo continuamente, dunque esse durano poco, vengono facilmente rettificate o sostituite.

L’informazione non contingente ha come contenuto opinioni cristallizzate e valori insiti nella società di riferimento, e si propone di ottenere una adesione lenta e graduale, ma proprio per questo razionale e duratura.

Il processo in questo caso si caratterizza per la lentezza, indispensabile affinché vi sia una totale e profonda assimilazione da parte dei recettori, che in questo caso sono perlopiù gruppi omogenei e duraturi.

L’esempio più lampante di informazione non contingente è senza dubbio il rapporto tra gli studenti e il loro maestro: un rapporto che dura negli anni e che mira alla formazione profonda e graduale di soggetti che siano poi in grado di vivere e interagire nel sistema culturale e valoriale della società d’appartenenza. Infatti, mentre ciò che si apprende mediante l’informazione pubblicistica serve solo al momento, quello che si apprende con l’informazione non contingente serve per sempre.

L’informazione non pubblicistica è l’unica in grado di realizzare una piena bilateralità nel processo di informazione: essa infatti garantisce sempre una piena, immediata e forte reazione d’opinione da parte dei recettori.

Al contrario l’informazione pubblicistica viene spesso accusata di unilateralità; questo perché gli strumenti di cui si serve prevalentemente – giornali, radio, tv, cinema, nuove tecnologie ecc. – non consentono sempre una reazione d’opinione al recettore, o se la consentono, essa è successiva al momento in cui avviene la trasmissione dell’informazione, quindi sostanzialmente inutile.

Informazione non contingente e informazione contingente contribuiscono entrambe, in misura e secondo modalità diverse, alla socializzazione ed acculturazione dell’individuo.

La prima rappresenta le fondamenta della cultura (intesa in senso sociologico): fornisce all’individuo gli schemi, i modelli di comportamento, di sentimento, di pensiero propri della società in cui vive. Trasmette cioè valori cristallizzati che durano nel tempo e tendono a voler accrescere la loro immutabilità.

La seconda offre opinioni contingenti che servono momentaneamente e vengono soppiantate da altre sempre nuove (l’elemento della novità è fondamentale per questo tipo di informazione), ma che tendono a modificare e in un certo senso aggiornare il sistema di valori ed opinioni sociali in vigore. Dunque il soggetto sociale è il prodotto di questi due tipi di informazione, mentre la cultura si tramanda e rinnova tramite di esse: si tramanda attraverso i canali non contingenti dell’educazione e dell’istruzione, si rinnova attraverso le opinioni contingenti che tendono a rinnovare il sistema culturale/valoriale e a innescare il mutamento sociale.

Detto ciò è evidente che l’influenza dell’informazione non contingente sulle coscienze è molto più durevole e profonda di quella pubblicistica.

Tuttavia, a mio parere, non bisogna dimenticare che viviamo in una società che giornalmente ci bombarda di informazioni contingenti, molte effimere, altre ripetute all’infinito; ed è proprio la continua ripetizione che porta talvolta queste opinioni a cristallizzarsi e a diventare nuovi valori sociali universalmente accettati.

Se dunque da una parte le nostre coscienze si formano in massima parte negli anni dell’adolescenza, sui libri e sui banchi di scuola, dall’altra siamo costantemente in balia di una enorme quantità di opinioni contingenti che spesso tendono a scardinare le convinzioni e i valori acquisiti negli anni.

A mio avviso può nascere un serio problema quando l’informazione non contingente tende a trasmettere valori che poi vengono quotidianamente smentiti e contraddetti dalla maggior parte delle opinioni contingenti messe in circolazione: il soggetto sociale potrebbe così vivere in una condizione schizofrenica, perennemente in bilico tra ciò che gli è stato insegnato negli anni e si è ormai radicato in lui, è ciò che gli viene giornalmente proposto dai media.

La Comunicazione di Obama

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” URBINO – Editoria, Media e Giornalismo – Elaborato per l’esame di Tecniche di Relazione – Prof. Giuseppe Ragnetti

“La Comunicazione di Obama”

di Lucia Elena Vuoso

Indice

  • Introduzione: L’importanza della comunicazione politica 
  • Obama, grande maestro della comunicazione Gli elementi del successo
  • La rete di Obama

Introduzione: L’importanza della Comunicazione Politica

“Comunicare non significa solo inviare informazioni all’indirizzo di un’altra persona. Significa creare negli altri un’esperienza, coinvolgerli fin nelle viscere e questa è una abilità emotiva”. Daniel Goleman

Nella società odierna, le potenzialità dei mass-media si sono sviluppate a tal punto da poter comunicare praticamente con chiunque abbattendo ogni barriera spazio/temporale.

Saper comunicare è fondamentale per gestire le nostre relazioni, che siano di ambito sociale, culturale o politico. Il modo con cui lo facciamo determina il rapporto che si crea con “l’altro”. Quindi, al giorno d’oggi, la comunicazione è uno degli strumenti più importanti per relazionarsi col mondo esterno. La politica, che governa la società, non può non saper comunicare. Esser un buon amministratore ma non essere in grado di dirlo alla gente risulta, oggi, inutile. Si è capito quanto sia fondamentale il ruolo del comunicatore, cioè di colui che si occupi di suggerire, promuovere ed elaborare l’immagine, sviluppando relazioni tra tutti i possibili centri di informazione, assicurando il flusso di rapporti con la stampa e il pubblico finale.

Un ottimo esperto, che sia in ambito politico o meno, deve saper leggere, scrivere, osservare, parlare e far parlare, mediare e intrattenere rapporti. Deve essere in contatto coi vertici della propria “azienda” ma anche con l’esterno. Negli Stati Uniti le relazioni pubbliche rappresentano la terza industria per numero di addetti e volume di capitali mosso [fonte CNN]. Quasi il 50% degli impiegati lavora in ambito politico. In un paese in costante campagna elettorale, dove la politica smuove milioni di dollari, il saper comunicare meglio con il pubblico, interagire con esso ed ottenere la maggioranza, significa poter gestire flussi di denaro ingenti, relazionarsi con le più grandi industrie e prendere decisioni a carattere mondiale. Si evince da ciò il ruolo fondamentale ricoperto, in tutti i paesi ma in particolare negli U.S.A., dalla comunicazione politica.

Barack Obama durante la campagna elettorale

 

Obama, grande maestro della comunicazione

“C’è qualcosa che accade quando gli americani che non hanno mai partecipato alla vita politica, si sentono coinvolti, bussano alle porte degli amici, telefonano e condividono con gli altri la loro visione del paese. C’è qualcosa che accade quando le persone,  non solo votano per il partito a cui appartengono, ma anche per le speranze che hanno in comune. Il cambiamento è ciò che sta accadendo ora in Amarica” Barak Obama

Barack Obama il 44° Presidente degli Stati Uniti d’America ha vinto le elezioni grazie ad una comunicazione integrata a 360° che ha tenuto conto di tutti i media tradizionali e non convenzionali e di tutte le tecniche di visibilità e di contatto alternative e innovative. La storia è una tavolozza di colori (nero, bianco, rosso, blu) che impasta la diversità, tritura il luogo comune, miscela ieri, oggi e domani. Aggiunge, toglie, rimette, ritoglie. La pelle è quasi un dettaglio, perché il primo nero alla Casa Bianca è una leggenda che non si può banalizzare con una tinta. È la sfumatura che diventa dominante.

Barack si sente il futuro. Parla al plurale: «Yes we can». Chi è? Che vuole? Che fa? Dove va? Ora non c’è un centimetro quadrato del pianeta che non sappia chi sia. Barack il seduttore della folla, l’adescatore di voti: negli ultimi 22 mesi ha detto più una sua smorfia che l’intero discorso di qualcun altro. Ha le chiavi della storia in tasca. Lui trasmette futuro, per qualcuno speranza, per altri sogni. Per qualcun altro terrore, certo. E poi ansia, incertezza, inadeguatezza. Diversità, anche.

Obama è piaciuto all’America: perché sa parlare, perché cancella una generazione che forse ha fallito troppe volte, perché lo si ascolta e gli si crede. Non si sa se ce la farà, però se non lo si mette alla prova non si scoprirà mai. Allora ispira. Affascina, colpisce, prega, piange. E’ umano. Uno che fumava, che ha provato la cocaina, che sbaglia, uno che non vuole dare l’impressione di essere perfetto.

L’hanno chiamato il Kennedy nero, con quel paragone ingombrante che deve sopportare ogni candidato democratico che non sia un Clinton. Lui ringrazia, poi però all’ultimo giro tira fuori uno spot che sembra uscito dalla campagna di Reagan, qualcosa tipo: «Ehi America, siamo nei guai. Però possiamo farcela». È l’ottimismo. È la consapevolezza delle radici di un sogno. Si ispira a Lincoln, allora. Springfield è stata la città da dove ha annunciato la corsa verso la Casa Bianca. A Springfield finì la schiavitù negli Stati Uniti d’America: il primo afroamericano presidente non è uno che trascura i dettagli. All’inizio e alla fine. Perché l’ultimo discorso arriva a Manassas, in Virginia, dove 146 anni fa i Sudisti ottennero le loro più famose vittorie nella Guerra Civile. Due battaglie che per la storia oggi sono le peggiori sconfitte per i diritti dei neri d’America. Simboli. Obama sa. Obama è un messaggio perenne, come se voglia ripetere il suo mantra: «Se io nero, vengo qui, dove i neri furono massacrati, lo faccio perché questo Paese deve superare le diversità. E può farlo». Yes we can, sempre. Comunque.

Obama è un sognatore pragmatico, cioè un ossimoro nella vita, ma non nella politica. Toglie la giacca, arrotola le maniche della camicia, non urla, non insulta, non si agita: si siede su uno sgabello e comincia. Qui c’è il romanzo dell’America che comincia dal basso e può arrivare in alto. Comincia da un immigrato del Kenya che conosce una giovane bianca del Kansas, se ne innamora e la sposa. Comincia il 4 agosto del 1961, al Queen’s Medical Center di Honolulu, Hawaii, dove la madre si trasferisce per stare con i genitori. Comincia dal nome: Barack Hussein Obama Junior. Il sogno di Obama non è sola retorica: è la storia di un Paese che accoglie, accetta, alleva i suoi figli.

Barack è andato e tornato: ha vissuto in Indonesia, a Giakarta. È rientrato per stare alle Hawaii coi nonni materni. È partito di nuovo per l’università: s’è laureato a New York, alla Columbia University. Poi Harvard, la specializzazione in legge. Il sogno americano è ancora questo: è la possibilità perenne di un riscatto o di una chance. Gli Stati Uniti l’hanno scoperto a Boston, durante la Convention del 2004. Lo staff di John Kerry scelse Barack per il discorso più importante, perché aveva bisogno di un afroamericano. Obama non era nessuno. Si presentò sul palco: «Siamo qui per il nostro futuro. Perché dobbiamo smetterla di pensare che un ragazzo nero con dei libri in mano è solo uno che imita un bianco».

Obama sa ascoltare e sa parlare. E sa anche comunicare benissimo.

E’ un volto, un sorriso, una battuta, una voce. E trasmette messaggi concreti. Speranza, possibilità, vigore, ottimismo, evoluzione, innovazione. Obama ha sfruttato il momento, la popolarità, il politicamente corretto, una campagna perfetta fatta di slogan perfetti: «Yes we can», poi «Change». Domani, domani, domani. L’audacia della speranza. Ha avuto il grande appoggio dei media internazionali e nazionali: tv e grandi giornali si sono innamorati di lui e della sua storia da vincente che ci ha sempre e comunque provato. E’ la concretizzazione dell’American dream.

Già nel giugno del 2007 si è preparato ad un cambio strategico nella sua campagna che, fino ad allora, si era concentrata in misura preponderante sulle attività grassroot: ha lanciato, infatti, i primi spot televisivi nello stato dell’Iowa che è stato il primo a votare nelle primarie 2008. Negli Stati Uniti la televisione è, ormai, il campo di battaglia principale delle elezioni presidenziali e gli spot televisivi rappresentano l’arma centrale, oltre che più costosa, a disposizione dei manager della campagna. Essendo la televisione diventata la fonte predominante di informazione politica, ecco che anche gli spot televisivi rappresentano un’importante fonte di informazione sia sul candidato che sui temi fondamentali della sua campagna.

Il primo spot, della durata di 60 secondi, era intitolato “Choices” (scelte) ed era incentrato sulla scelta che Obama fece dopo la laurea in legge ad Harvard di non accettare le vantaggiose offerte economiche da parte di studi legali per andare a Chicago ed impegnarsi come “community organizer”. Il docente di Harvard descrive la scelta di Obama come “ispiratrice”: la decisione di un individuo brillante che, invece di puntare verso Wall Street, ha scelto di “mettere il suo talento e le sue conoscenze al servizio della comunità e della qualità della vita delle persone che ne fanno parte”.

Il secondo spot, della durata di 30 secondi, si intitolava “Carry” e descriveva il lavoro legislativo svolto da Obama, nello stato dell’Illinois, per estendere l’assistenza verso i bambini e la copertura sanitaria e per tagli alla tassazione dei “working poor”; lo scopo è anche quello di evidenziare la capacità di ottenere accordi bipartisan.

La scelta di Obama ha seguito, in ordine cronologico, quella di Bill Richardson (democratico) e Mitt Romney (repubblicano) che hanno visto crescere i consensi nei sondaggi elettorali dopo la trasmissione dei loro primi spot televisivi. Quella del 2008 era annunciata, come una campagna con un investimento senza precedenti negli spot televisivi ed anche Obama ha fatto la sua parte. I due spot televisivi del candidato democratico sono stati anticipati da una intensa campagna di mailing che ha incluso anche la distribuzione di un dvd contenente la biografia di Obama.

La fortuna e il forte utilizzo degli spot televisivi sono dovuti al fatto che sono in grado di far diventare rapidamente noto un nuovo candidato, di raggiungere elettori che difficilmente seguirebbero trasmissioni di informazione politica e di tematizzare la campagna. Così anche Obama ha deciso di puntare sugli elettori che difficilmente riuscirebbe a contattare attraverso le classiche attività di campagna elettorale sul territorio. E lo ha fatto seguendo il manuale, cioè attraverso due spot di tipo “identification” che hanno la funzione di far conoscere il candidato evidenziando caratteristiche biografiche, enfatizzando alcuni momenti della storia personale o ricorrendo a testimonial famosi.

Il candidato democratico ha scelto di ricorrere a due testimonial per enfatizzare caratteristiche biografiche e della storia personale che evidenziano lati del carattere, priorità e modo di operare come esponente politico: il senatore repubblicano Kirk Dillard che ha lavorato con Obama in Illinois (e che sostiene la candidatura di John McCain) e il docente di legge dell’Università di Harvard, Laurence Tribe.

Negli ultimi giorni di campagna elettorale Barack Obama ha speso tre volte di più del suo rivale John McCain. A segnalarlo è uno studio della Università del Wisconsin, secondo il quale il senatore dell’Illinois ha speso 21,5 milioni di dollari in spot televisivi fra il 21 e il 28 ottobre, mentre il candidato repubblicano ne ha investiti solo 7,5 milioni. Obama, il cui budget pubblicitario complessivo potrebbe superare i 100 milioni di dollari battendo ogni record negli Stati Uniti, ha speso oltre il 70% del totale negli Stati dove nel 2004 vinse il presidente George W. Bush.

Ed il gran finale: “Spot a reti unificate”.

Per una volta la pubblicità non fa cambiare canale, anzi. Il megaspot da mezz’ora andato in onda il 29 ottobre su tre grandi network americani, Cbs, Nbc e Fox, ha alzato la media degli ascolti stagionali per un mercoledì sera. Il messaggio promozionale di Obama è stato seguito da 26,3 milioni di persone. Lo rivelano i primi dati sugli ascolti diffusi da Nielsen, che non tiene conto degli ascolti sui canali via cavo, Msnbc, Univision, Bet e Tv One, che pure hanno mandato in onda lo spot. Su Nbc il messaggio di Obama ha raggiunto 9,8 milioni di spettatori, su Cbs 8,6 e sulla repubblicana Fox 7,9 milioni. In media si tratta di un incremento del 13 per cento rispetto agli ascolti della normale programmazione in quella fascia oraria a metà settimana. Abc, l’unico dei network a non mandare in onda lo spot, è comunque arrivata quarta, con la fiction “Pushing Daisies”, che ha fatto 6,8 milioni di spettatori, il 16% per cento in più rispetto alla settimana precedente ma non certo il risultato sperato dall’emittente di Disney.

Obama ha sgretolato il record di ascolti di Ross Perot, il miliardario che nel 1992 si candidò come indipendente alle presidenziali. Perot acquistò spazi pubblicitari in prima serata sui grandi network e tenne una serie di 11 lezioni di economia agli americani per promuovere la sua ricetta di taglio del debito. In media raggiunse 11 milioni di americani, con un picco di 16 milioni.
Barack ha fatto meglio! E’ entrato nelle case degli americani ed ora anche nella storia, anzi nella leggenda con una campagna perfetta, con una comunicazione vincente.

Gli elementi del successo

A prescindere dalla propria visione politica non si può mettere in dubbio che l’elezione di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti d’America sia un fatto storico non solo per le dimensioni della vittoria, ma specialmente per gli strumenti di comunicazione che hanno permesso ad un uomo quasi sconosciuto, di trionfare prima contro la donna più famosa d’America ed in seguito su uno degli uomini americani più apprezzati per le grandi imprese eroiche. Il messaggio di Obama è stato diffuso principalmente fra i vari social network e le tante community mondiali e soprattutto attraverso le e-mail con cui il neo presidente americano ha inviato comunicazioni puntuali, coinvolgenti ed empatiche dimostrando una netta e concreta volontà di cambiamento. L’e-mail marketing di Obama è stato la guida del suo successo e solo cinque sono statigli elementi che lo hanno caratterizzato. 

Contenuti: Barack Obama nelle e-mail ha utilizzato messaggi semplici veicolati non da infinite dissertazioni politiche o morali, ma da frasi brevi, puntuali, efficaci. Nei contenuti e nelle idee si è esposto personalmente ed è apparso come il compagno di viaggio di milioni di individui che affollano la rete, instaurando con loro un amichevole dialogo assai lontano dalle impostate e formali campagne elettorali.

Innovazione: non sono politica, ma anche tecnologica che ha fatto apparire il suo avversario come un cavernicolo troppo ancorato ai vecchi canali di comunicazione. Obama si è presentato come un concreto innovatore capace di interpretare le sfide tecnologiche e di valorizzare la modernità.      

Immediatezza: Per tutta la campagna elettorale Barack Obama ha inviato mensilmente a ciascun elettore una ventina di e-mail personalizzate informando gli americani su tutti gli aspetti della campagna elettorale e dimostrando trasparenza e volontà di condivisione. Esattamente tre minuti dopo l’ufficializzazione della sua vittoria, tutti gli iscritti alla newsletter hanno ricevuto un’e-mail di ringraziamento: ogni elettore si è sentito realmente protagonista dell’evento storico. L’e-mail marketing di Obama ha raggiunto immediatamente tutti, ha reso tutti protagonisti, ha valorizzato i singoli, ha reso determinanti le scelte di ciascuno. “Hai fatto la storia. Tutto questo è accaduto per merito tuo”, ha scritto Obama. 

Semplicità: mentre gli avversari hanno studiato infinite strategie e molteplici frasi ad effetto. Il neo presidente si è basato su due affermazioni semplici e significative, comprensibili da chiunque “Change” e “Yes, we can”. Affermazioni dirette e non artefatte, semplici e incisive, empatiche e coinvolgenti.

La rete di Obama

La comunicazione di Obama è già un culto, un mito, un modello da imitare e da studiare. Proprio per questo motivo in molte università italiane e sono nati nuovi corsi che hanno come perno principale le strategie di Barak Obama. A tal proposito lo scorso dicembre, a Roma, ISIMM e Università Roma Tre hanno promosso una giornata di lavoro per analizzare la comunicazione elettorale di Barack Obama nel suo rapporto con la rete e, più in generale, con i media digitali.  

Non vi è dubbio che uno dei fattori del successo di Obama è stato il suo rapporto privilegiato con la Rete, la sua cultura e le sue tecnologie sociali. Anche per questo tramite il giovane senatore afroamericano dell’Illinois, grazie alla sua immedesimazione nell’immaginario delle Reti e in virtù della sua capacità di stabilire con esse un rapporto diretto e attivo, è stato in grado di costituire e mobilitare network e comunità in modo orizzontale, partecipativo e spontaneo, e di animare intorno alla sua figura un’effervescenza e un virtuoso intreccio di comunicazioni e di relazioni che lo hanno trasformato da outsider in vincente. Attorno a questo tema hanno discusso con il presidente di ISIMM, Enrico Manca, dirigenti di imprese di comunicazione (Lorenzo Pupillo di Telecom Italia, David Bogi di Mediaset, Paolo Tacconi di Microsoft, insieme agli studenti e a un nutrito gruppo di studiosi e docenti: Alberto Abruzzese, Sebastiano Bagnara, Sara Bentivegna, Francesco Cardarelli, Gian Piero Jacobelli, Paolo Mancini, Vincenzo Susca. A fare gli onori di casa, per Roma Tre, Gianpiero Gamaleri, Edoardo Novelli, Vincenzo Zeno-Zencovich.

Non tutte le opinioni coincidevano ma l’impressione di tutti i presenti è stata quella, piuttosto piacevole, di avere tematizzato in maniera efficace le novità di Obama, andando oltre i primi commenti a caldo.  

Non c’è dubbio intanto che l’uso intelligente e consapevole delle Reti, degli “sms di massa” e delle varie forme di espressione del Web 2.0. e costituisce una forte innovazione

nell’organizzazione della politica e del consenso, ma che tuttavia non sarebbe stato sufficiente senza una proposta politica innovativa che ha trovato nella crisi economica americana e nei timori molto diffusi nella popolazione un momento di coagulo. La vecchia massima, per cui la pubblicità non funziona se il prodotto non risponde a standard di qualità largamente accettati, mantiene qui tutta la sua validità.  

Il prodotto che è stato “venduto” con successo è un candidato alle elezioni, non un mandato presidenziale. Nonostante molti precedenti parziali, Obama è sicuramente il primo candidato vincente che è espressione delle culture digitali, un candidate.com; ma è presto per dire se sarà anche un president.com. Le reti che egli ha attivato, in un intreccio peculiare tra contatti faccia a faccia tra i suoi attivisti ed elettori e le forme di mobilitazione a distanza, hanno diffuso le issues e le policies della sua campagna. Altra cosa, che non è mai stata tentata, è svolgere il mandato presidenziale mantenendo un costante flusso interattivo con un ampio strato di sostenitori attivi, prevalentemente amministrato attraverso reti digitali. Vedremo se Obama vorrà farlo, e se sarà possibile curvare su questi nuovi obiettivi la novità di queste reti intanto stabilite.  

Di reti si è parlato sempre al plurale. Non c’è solo Internet, c’è un uso straordinario degli SMS, c’è Facebook, c’è l’idea che all’attivista va fornito un kit c’è l’idea che all’attivista va fornito un kit di strumenti di intervento con cui potranno organizzarsi riunioni fra vicini, negli immensi suburbi delle città americane, rivitalizzando strumenti della comunicazione politica novecentesca e anche le catene di di Sant’Antonio, e riuscendo a raccogliere una quantità immensa di denaro non con i soliti pranzi elettorali a pagamento per Vip ma attraverso versamenti minuscoli di milioni di persone, in gran parte effettuati in rete. E poi c’è quello che Obama è riuscito a evitare: la comunicazione farraginosa di Hillary Clinton, o i tristi comizi virtuali in Second Life durante le presidenziali francesi di appena un anno fa. Ha dunque qualche senso affermare (quante volte l’abbiamo letto sui giornali) che Franklin Delano Roosevelt è stato il presidente della radio, John Kennedy della televisione e Obama di Internet, ma molti distinguo sono necessari. Kennedy si rivolgeva per televisione alla grande platea dei cittadini, invitandoli a votare per lui anche grazie al fascino personale. Obama usa le reti in modo interattivo, a due vie, e per giunta si fonda sulle loro grandi capacità di replicazione, per produrre attivismo elettorale. E’ stato notato che in qualche misura Obama ha ripercorso in linguaggio digitale vecchie forme di militanza politica (proselitismo, sottoscrizione ecc.) che la televisione, e la politica-spettacolo, sembravano aver mandato in soffitta. Forse in un futuro i cinquant’anni della tv (il duello Nixon-Kennedy era del 1960) ci appariranno un periodo in cui una politica “spettatoriale” aveva preso il posto di quella agita attraverso la partecipazione diretta. Un periodo definitivamente chiuso da nuove forme di mobilitazione mediate dalle reti.

Di seguito alcuni degli interventi più importanti e significativi per comprendere appieno la rete di Obama.

Enrico Manca

Il coinvolgimento messo in atto da Barack Obama è stato totale ed è riuscito ad abbracciare i due estremi della società americana: dalla classe creativa a quella degli emarginati. Inoltre ha saputo integrare l’utilizzo dei vecchi e dei nuovi media.I nuovi media sono sempre stati cruciali per l’elezione del presidente USA. Jefferson = Quotidiani; Roosvelt = Radio; Kennedy = Tv; Obama = Internet. Già nel 2000 Howard Dean aveva puntato su internet ma il suo caso fallimentare è l’esemplificazione del fatto che l’uso, seppure sapiente, di internet da solo non basta per arrivare alla Casa Bianca. Obama è web-compatibile perché web-generato. I social network hanno dato forma alle sue idee, hanno realizzato una rete organizzata di sostenitori e una rete forte per la raccolta fondi. Obama fa sperare in un ritorno della politica alta, della politica del consenso – attraverso una cultura di massa non massificata.

Di Chio

Nell’era della new economy la parola chiave è innovare, e la gioventù è un valore. Obama è un outsider non è un leader storico, non fa parte dell’”aristocrazia” del partito, né è stato scelto per “selezione dinastica”. Ha fondato il suo successo politico non sull’anzianità della militanza. Obama non rappresenta il partito democratico, Obama è la sua storia personale.

Se Internet nella sua prima fase aveva una funzione destruens, rispetto ai linguaggi e ai formati della vecchia comunicazione, l’internet del web 2.0 è passato alla fase construens (con l’affermazione delle social communities). Nuova modalità di comunicare la politica, nuova proposta politica, un nuovo coinvolgimento. Il messaggio della vittoria di Obama è di portata epocale e deve far riflettere la classe politica e chi si occupa di comunicazione. Stanno cambiando le logiche in politica e nel mercato. Il Web 2.0 e lo user generated content è un fenomeno che potrebbe sovvertire i vecchi assetti.

Paolo Annunziato

Due riflessioni principali:

  1. l’uso che Obama ha fatto e farà delle nuove tecnologie;
  2. la concezione che Obama ha della rete (e le implicazioni di policy).

Per dirla con McLuhan, se internet è stato il mezzo, “cambiamento” è stato il messaggio.

Obama ha saputo trasformare i suoi sostenitori da volontari passivi a empowered organizer, spingendo sul right-brain, la parte emotiva dell’elettore. Ha potuto fare questo grazie ad una field operation,  il suo sito infatti è in realtà un sito di social networking. Obama ha capitalizzato questa “fortuna” di risorse umane e ora può contare su una rete di milioni di contatti per testare le sue proposte. L’uso innovativo delle nuove tecnologie è stato a 360°, prevedendo anche lo sviluppo di apposite applicazioni dell’iPhone e dell’X-box e di tecniche di localizzazione mobile.

Paolo Tacconi

La rete e la politica hanno due cose in comune:

  1. l’impossibilità di separare il cuore e la ragione
  2. la dimensione di flusso

Internet è un insieme di dati è quindi un enorme strumento per la politica: è fondamentale per la targettizzazione del pubblico. Internet interagisce con i cambiamenti all’interno dell’opinione pubblica.

Alberto Abruzzese 

La vittoria di Obama ci fa riflettere sul futuro dell’Occidente.

Obama è la grande chimera del nuovo mondo, è il mondo occidentale che si esprime in modi diversi. Se Bush era l’espressione della hardware; Obama, dobbiamo riconoscere, è l’espressione della software. Internet ha permesso a Obama di costruire la sua innovazione, di costruire il simulacro.

E’ la terza fase dei presidenti americani. Se Kennedy rappresenta il simulacro del presidente che porta la felicità nel mondo, Reagan incarnava il modello del politico/attore, il simulacro del presidente che recita la grande scena della sovranità americana. Obama ora porta con se una nuova narrazione: il dolore incarnato dal presidente, il nero che ha sofferto. Il prossimo potrebbe essere una donna, che è l’altro esempio di corpo sofferente. Si è passati, quindi, dalle grandi astrazioni (massa), alla sofferenza di un singolo uomo (la carne). Il sorriso di Obama ricorda il sorriso del Joker, un uomo che siccome ha sofferto in passato, ora gioca il ruolo del potere.

Sebastiano Bagnara

Per il finanziamento delle campagne ha usato lo stesso metodo, teorizzato da Chris Anderson nella teoria della Coda Lunga, raccogliere anche il più piccolo obolo se il costo della raccolta è minore del guadagno che ne ricavi. Il rapporto tra Obama e la rete non è tecnico, ma antropologico.

Obama parla ai così detti nativi digitali, che hanno, tra l’altro, una diversa concezione dell’amicizia – la cosiddetta enlarged friendship – puoi sentirti parte di un processo anche se sei distante nello spazio e nel tempo, perché ti senti comunque vicino emozionalmente.

I nativi digitali ai quali lui parla sono il simbolo della peer2peer education: le conoscenze non vengono trasmesse come a scuola, ma vengono condivise con gli altri, il che porta ad una diversa costruzione dell’identità.

Nella frase “Yes we can” la dimensione del “noi” è fondamentale per la tenuta di quello slogan. Essere legato agli altri vuol dire che tutto quello che produci lo condividi, è il concetto del creative commons (forse anche per questo lo stesso slogan italianizzato nel “si può fare” non ha funzionato, usa la forma impersonale che non porta vicinanza emotiva).

Sara Bentivegna

Obama ha saputo fare un uso sapiente di sms e mail.

E’ stato tempestivo e personalizzato, come ad esempio quando ha comunicato il ticket con Joe Biden. L’apice è stato raggiunto il 5 novembre all’1.00 quando ha mandato a tutti i suoi sostenitori il messaggio via mail prima di andare a Grant Park per tenere il comizio conclusivo. Ciò denota una grandissima attenzione da parte della sua squadra nell’utilizzo di Internet fin nei minimi dettagli. C’è un’identificazione totale di Obama in Internet, a tal punto che si è parlato di una Facebook Administration. Obama ha utilizzato la rete per creare un individualismo reticolare organizzato: aveva a disposizione un database degli elettori incredibile che ha sputo utilizzare in maniera molto intelligente. Ha prima predisposto una mappatura dei militanti per il porta a porta, dopodiché ha stilato un manuale online per il porta a porta sui modelli di conversazione possibili, fino ad arrivare all’Houdini project: i militanti fuori dai seggi mandavano via sms i nomi degli elettori in fila per espungerli dalla lista e mandavano a chiamare quelli che non si erano ancora presentati (Get-out-the-vote operation).

Gianpiero Gamaleri

Obama ha utilizzato molto la forza del passaparola e dei rapporti interpersonali.

Obama dava per scontata la conoscenza del suo messaggio nelle mail che manda ai suoi sostenitori, costruisce così un rapporto confidenziale con i suoi. Da questo momento avremo non solo dei leader che usano Internet, ma che vengono selezionati da Internet, ciò darà vita a un nuovo tipo di leadership.

Gianpiero Jacobelli

La vera novità non è l’uso di internet, ma l’uso innovativo di internet, un uso a cavallo tra le diverse realtà reale/virtuale. I social network sono stati utilizzati non solo come struttura comunicativa, ma come struttura di mobilitazione. Talbot ha fatto un’inchiesta sul settore “reti” della comunicazione di Obama e sono venute fuori 3 cose:

  1. Non si parla di rete ma di reti (informatiche, telefoniche, postali…) il che da l’idea della complessità della sua azione (la campagna di Dean fu fallimentare perché puntò tutto sul fundraising senza farcirlo di passione ed emotività)
  2. Nessuna delle iniziative in rete si è lì esaurita, ma aveva sempre un prosieguo nella vita reale. Il doppio corpo della rete veniva fuori nella capacità di responsabilizzarsi nella vita reale rispetto a ciò a cui si aveva aderito online.
  3. Siamo in attesa di una verifica potenziale dei fatti, che è poi il punto critico. La rete è in grado di divulgare delle speranze, ma non è in grado di dare una risposta. Per ora non c’è stata novità nel  comportamento politico.
    Adesso aspettiamo Obama al varco, per capire se sarà in gardo di dare consistenza al fascino delle sue promesse.

Edoardo Novelli

Le funzioni che ha assunto la rete in questa campagna elettorale sono esattamente le stesse utilizzate dalla vecchia politica. I social network hanno preso il posto della vecchia militanza e hanno organizzato il porta a porta esattamente come si faceva ai tempi del Pci. E anche l’Houdini project ricordato prima dalla Bentivegna non è nient’altro che la versione moderna delle vecchie staffette organizzate dal Pci.Obama ha saputo, come nelle vecchie organizzazioni politiche, creare un’appartenenza e una struttura organizzativa gerarchica. Tutto ciò negli anni passati (dai ’60 a oggi) è stato assorbito dalla Tv, ora si è finalmente a tornati alla vecchia politica, solo con l’utilizzo di nuovi mezzi. Internet agisce sui comportamenti: ti fa uscire a fare il porta a porta, ti fa donare fisicamente del denaro.

Vincenzo Susca

William Gibson nel 1982 inventò il termine cyberspazio e la sua definizione: “un’allucinazione vissuta consensualmente”: Obama ha incarnato il principio del cyberspazio.Per dirla con De Kerkove non si parla più di tecnologia ma di tecnomagia.

Obama emette un impulso tecnomagico che porta ad una partecipazione mistica; I sensi e l’aspetto cognitivo sono attivati. E’ lo scarto comunicativo che tira fuori il massimo della partecipazione cognitiva ed emotivo-emozionale. Con le nuove tecnologie possiamo assistere ad un ritorno del totem. Nel sistema totemistico (mix tra religione, credenze e magia) c’è un forte carico estatico, nel quale però si sceglie in maniera consapevole di essere coinvolti. La comunicazione in rete è molto diversa dalla propaganda. Le Reti, infatti, non si accontentano di elaborare un programma o un messaggio. Ogni epoca storica è contraddistinta da un cuore comunicativo, il cuore dell’industria culturale oggi è nella Rete. La Rete può costruire un modello di politica che ancora non abbiamo conosciuto.

Due diversi Universi

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” URBINO – Corso di Laurea specialistica in Editoria Media Giornalismo – Tecniche di relazione – Prof. Giuseppe Ragnetti

“Due diversi Universi”

a cura di Silvia Martinelli

L’amore è un sentimento. Che cos’è un sentimento? È un processo molto difficile da spiegare che include noi stessi, l’uomo che scegliamo come nostro partner  e tutto un insieme di esperienze vissute che hanno inevitabilmente segnato il nostro essere,  il modo in cui ci rapportiamo agli altri e in questo specifico caso all’uomo che ci sta di fronte. Parlo di uomo perché sono una donna appunto, ma non mancherò di spiegare anche il punto di vista dell’uomo.  Anche l’amore è comunicazione, anzi lo è principalmente  e come ben sappiamo noi studenti di EMG, parlando di comunicazione non possiamo prescindere dall’interlocutore e dal suo punto di vista.

Questa è un’analisi del rapporto uomo/donna partendo da un nuovo presupposto. Nuovo presupposto che sto cercando di fare mio. Dopo aver seguito le lezioni del professor Ragnetti ho preso in considerazione un libro che il suddetto professore ci ha consigliato di leggere a lezione. Questo libro ha un titolo strano che mi è parso subito illuminante. Si, infatti è proprio di illuminazione che vorrei parlare. Il libro è di uno psicoterapeuta americano specializzato nei rapporti di coppia, il suo nome è John Gray. Ha scritto del 1991 il libro ”Gli uomini vengono da marte, le donne da venere”.

Penso che il fulcro delle nostre lezioni sia stato quello di rivedere il nostro modo di comunicare, pensando principalmente ad esprimerci prendendo in considerazione chi ci troviamo di fronte, ovvero il nostro interlocutore. Questo perché la socializzazione e l’acculturazione della persona a cui noi parliamo o che stiamo ascoltando è importante, senonchè fondamentale per arrivare dove vogliamo e per far capire con esattezza il nostro messaggio. Se infatti ci esprimiamo nello stesso identico modo sia quando parliamo con delle persone istruite, che quando siamo a contatto con gente che pur non avendo assolutamente niente in meno rispetto agli eruditi,  semplicemente non conosce delle nozioni, rischiamo di risultare incomprensibili, noiosi e poco efficaci.

Questo modo di comportarmi per me è abbastanza normale, diciamo innato. Non dico questo per presunzione di essere una brava comunicatrice perché in alcuni ambiti so perfettamente di peccare e non poco. Lo dico solo per esperienza personale. Vivo in una zona in cui la maggior parte dei ragazzi non continuano gli studi dopo le scuole superiori, spesso anche dopo la scuole medie. Questo perché nella zona di Pesaro-Urbino il lavoro da operaio abbonda e si sa, il ragazzino ha voglia di essere indipendente economicamente, se poi non ha una famiglia alle spalle che da importanza allo studio, è facile che prenda questa strada. Ho tantissimi amici “ignoranti”, uso questa parola non in senso dispregiativo, ma seguendone l’etimologia. I miei amici, se mi sentono parlare di quello che faccio all’università a malapena capiscono cosa studio, sarebbe quindi irrispettoso e sgarbato nei loro confronti parlarne solo per far vedere che ho più conoscenze di loro. Sono ignoranti, non stupidi dunque lo sanno già  e non c’è bisogno di mettersi in mostra.

Dunque importantissimo sapere con chi si sta parlando, cosa fa nelle vita, dove vive, quali sono le sue aspirazione e le sue conoscenze. Insomma partendo dal background di acculturazione di una persona si cerca di comunicare con lui in modo corretto,  andando a cercare quello che vuole sentirsi dire, ma più che altro come vuole sentirselo dire.

Fin qui niente di difficile, mi sono quasi sempre giostrata bene, il problema arriva quando devi comunicare con la persona che ami. Si comincia a entrare in contatto con tantissimi problemi che durante una relazione, (questo prima di leggere il libro di gray),  diventano insormontabili fino a farti quasi rinunciare a sperare che un giorno potreste andare d’accordo.

Il punto è che uomini e donne sono veramente diversi. Non è ne una leggenda, ne una frase fatta, ma pura realtà.

Prima della relazione che sto vivendo ora, non me ne ero ancora resa conto, questo perché ho sempre incontrato degli uomini con spiccate caratteristiche femminili, ed è per questo che ci andavo d’accordo senza problemi.

Il punto è proprio questo, ci andavo troppo d’accordo, come si sta con un’amica o un fratello, quindi senza alti e bassi, senza incomprensioni che diventano inspiegabili e senza nessuno di questi enormi problemi in cui mi trovo a spalleggiare quotidianamente.

L’uomo di cui parlo è un vero uomo. Non nel senso che è virile o aggettivi simili, dico questo perché presenta tutte le caratteristiche e i modi di fare elencati e spiegati nel libro di Gray. Dunque è un uomo che va considerato come tale e come tale va capito, interpretato e “trattato”.

Un altro mondo che si combacia solo se ne capiamo le differenze e applichiamo le nuove conoscenze apprese. Io sono una donna e come tale anche io ho delle mie caratteristiche peculiari che si discostano dalle sue. Il problema è che da profana non potevo neanche immaginare che il mio modo di vedere e fare le cose era tutto quello che in realtà non andava fatto. Mi sono comportata fino ad adesso seguendo la mia natura e facendo quello che per me era naturale. Ho dato quello che volevo ricevere e in cambio non ho ricevuto nulla. E’una situazione questa abbastanza frustrante, ci ritroviamo a comportarci nel modo giusto per noi, ma vediamo che nonostante le attenzione che diamo, queste non sono recepite come tali. Il mio modo di essere premurosa e il mio esprimere i sentimenti rendeva le cose solo più difficili.

Abbiamo una diversa essenza, dunque prima ce ne rendiamo conto e prima riusciremo ad avere una relazione sentimentale sana e soddisfacente.

Il punto da cui parte lo scrittore è proprio questo. Gray lo spiega in modo molto chiaro presentando i due generi: quello maschile e quello femminile come provenienti da due mondi diversi, in cui si pensa, ci si comporta e ci si aiuta in modo differente.   I marziani e le venusiane prima di incontrarsi vivevano divisi gli uni su marte le altre su venere.

Le venusiane sono dedite alla comunicazione, sono proprio le relazioni interpersonali a renderle piene e a farle considerare importanti. Le donne parlano per parlare, per conoscersi meglio, per entrare interiormente in contatto tra di loro e con loro stesse. I loro rapporti sono basati sull’aiuto reciproco, sull’amore e sul consigliarsi a vicenda. Il consiglio è fondamentale come sono fondamentali gli scambi comunicativi per riprendersi quando si è turbate da un qualsiasi problema.

Qui il punto fondamentale per comprendere una donna: la donna ha bisogno di essere ascoltata con affetto, comprensione e dedizione. Non ha bisogno di soluzioni pratiche, non parla perché vuole arrivare al punto della questione, ne perché  vuole risolvere il problema. Parla perché vuole essere capita e se viene capita si potrà sentire amata e protetta. La donna ha quindi bisogno di essere ascoltata, questo bisogno se soddisfatto fa crescere l’intimità nella coppia, ma non ha niente a che vedere con la risoluzione del problema ipotetico di cui sta parlando. 

L’orgoglio personale di una donna è proprio questo: dimostrare attenzione ai sentimenti, desideri e necessità altrui.

L’uomo su marte vive invece secondo dei principi totalmente diversi.

I marziani hanno come obiettivi: il potere, la competenza, l’efficienza e danno molto rilievo ai risultati ottenuti. Questi risultati però devono sempre essere raggiunti esclusivamente tramite le proprie forze. Gli uomini hanno tutto un altro modo di relazionarsi tra di loro. Essi non parlano per scoprirsi interiormente o per accrescere l’intimità, loro parlano solo per scambiarsi informazioni o per trovare la risoluzione razionale ad un problema.

Essi vedono il parlare come qualcosa di materialmente utile, non superfluo. Non danno consigli ma soluzioni. Non capiscono assolutamente l’arte del consigliare e non gli è congeniale per niente.

Il primo grande problema parte da questa differenza fondamentale. Ad una donna piace parlare con il proprio uomo. Le piace raccontargli tutto, le cose importanti e quelle superflue, ma non lo fa con un fine preciso, lo fa così. L’uomo dal suo punto di vista vede questo comportamento come una richiesta di soluzione che lei si aspetta da lui. Quando lui, interpretando male lei, offre la soluzione la donna ci rimane male perché non è quello di cui lei ha bisogno.

Il problema contrario, relativo alla cattiva interpretazione delle venusiane, è che per l’uomo un consiglio non richiesto è un insulto supremo. Infatti su marte l’uso dei consigli è sconosciuto. L’uomo fa sempre tutto da solo. Questo è un imperativo categorico.

 La donna cerca di aiutarlo secondo la propria natura, ma così facendo ferisce l’uomo, che si sente non accettato per quello che è e non stimato. Quando una donna ama un uomo, le viene spontaneo cercare di aiutarlo quando percepisce delle difficoltà o dei turbamenti in lui, ma sbaglia enormemente.

Non comprendendo a vicenda questo primo ostacolo si cominciano a fraintendere vari comportamenti.

 Gli uomini e le donne reagiscono allo stress in maniera diversissima. Per stress intendo un qualsiasi problema, o un insieme di situazione che ci turbano.

Anche in questo caso ignorando le differenze strutturali dell’uno e dell’altro genere rischiamo di finire in un buco nero.

Quando un marziano ha un problema, non gli piace parlarne, si rinchiude in se stesso per rielaborare interiormente e per cercare di trovare una soluzione. In questi momenti la donna non deve esserci, non deve stargli vicino e non deve intromettersi perché così facendo rovinerebbe il processo di assimilazione tipico dell’uomo. L’uomo stressato preferisce svagarsi, fare qualcosa che non lo fa pensare e che lo diverte, vuole evadere. La donna quando è nella stessa identica situazione fa esattamente il contrario. Ha un bisogno viscerale di aprirsi, di comunicare i suoi turbamenti, di ricevere consigli e rassicurazione. Se questo non accade si sentirà sempre più turbata fino a scoppiare.

Il punto è, che poche donne lo sanno, io e tutte le mie amiche per esempio, non eravamo a conoscenza di questo ”piccolo dettaglio”, quindi pur pensando di fare del bene facevamo male. Dare consigli o arrabbiarsi con lui perché si nasconde, diventa assente, distante, irrecepibile è sbagliato. Lui ha bisogno di risolvere il problema da solo. Poi in un secondo momento tornerà senza spiegazione e come se nulla fosse accaduto.

D’altro canto non aiutare una donna in difficoltà, non ascoltandola o ascoltandola in modo assente e non partecipativo è l’errore che fa l’uomo. Ci sentiamo trascurate, non capite, non importanti e soprattutto inutili. Quando abbiamo un problema che per noi “povere donnine” è enorme, ci sentiamo rispondere che non è niente, che non sono questi i problemi o semplicemente ci viene proposta una bella soluzione pronta, di cui non ci facciamo assolutamente nulla perché è come se non avessimo fatto capire quello che stavamo dicendo. Noi parliamo per sentirci meglio, è verissimo, ci dilunghiamo nei dettagli (che per lui sono insignificanti e irritanti). Questo costituisce per noi il gusto del parlare, la nostra natura.

Per andare d’accordo bisognerebbe andare dritte al punto e poi semmai allargarsi, bisognerebbe inoltre specificare prima che non ci aspettiamo una soluzione. Infatti l’uomo ha paura dei nostri turbamenti perché si sente il diretto responsabile. Pensa che se qualcosa va storto è colpa sua, di conseguenza non si sente accettato e apprezzato.

Noi donne invece ci rimaniamo molto male quando il marziano si chiude in se stesso perché vorremmo aiutarlo con tutti i nostri mezzi, come siamo abituate a fare quando una nostra amica o nostra sorella ha bisogno di noi. Con lui ci ritroviamo private di questo piacere, di aiutare tramite questa capacità di empatia che ci rende peculiari. Niente da fare, bisogna arrendersi all’evidenza se non si vuole precipitare in un vortice di incomprensioni che poi aumentano fino a non ricordarsi neanche più perché si sta insieme.

La cosa più strana è che noi donne tutto ci potremmo immaginare tranne che le cose stiano così. Vediamo l’uomo indistruttibile, fiero e mai io avrei pensato che invece è così sensibile. Sensibile a tal punto da far dipendere la sua apertura dalla nostra approvazione.

Infatti l’uomo ha paura di dare perché ha paura di sentirsi inadeguato, ha una gran paura di fallire e di non sentirsi all’altezza. Per l’uomo non sentirsi accettato equivale ad una morte lenta. La donna facendo delle rimostranze, esigendo attenzioni e presenza che lui non dà da solo, ma che noi puntualmente ci aspettiamo, facciamo in modo che lui non si senta accettato. Quindi provochiamo un bel disastro pur non essendone coscienti. Infatti finchè non ci mostreremo soddisfatte di lui e non daremo più la sensazione di volerlo cambiare a tutti i costi, lui non ci darà mai niente. Avrà sempre più paura di sentirsi inetto ed inadeguato.

Parliamo lingue diverse e dobbiamo quindi relazionarci capendo il loro punto di vista e abbandonando il nostro. Quindi basta con i consigli non richiesti, basta con il voler a tutti i costi aiutare il patner quando vuole stare da solo. La cosa migliore da fare in questi momenti anche se risulta estremamente difficile per la donna è svagarsi, divertirsi, fare e pensare ad altro. Quindi è indispensabile avere altri punti di riferimento per non addossare tutto su di lui. Se infatti nel frattempo che il marziano riflette, noi ci andiamo a  divertire, gli alleggeriremo il peso. Almeno non dovrà preoccuparsi anche del nostro malessere.

Quando poi tornerà non bisognerà fare delle domande inutili ma solo ringraziarlo e incoraggiarlo. In fondo se ci siamo legate il motivo nella nostra mente c’è ed è chiaro. Quindi perché non dirglielo spesso, visto che è questo quello di cui ha bisogno. Lui vuole sapere perché abbiamo scelto lui, quali miglioramenti ha reso alla nostra vita la sua presenza. Altrimenti se ci sentirà solo lamentarci finirà per convincersi che ci fa solo soffrire e non si aprirà facilmente.

E’ tutto molto complicato, dal momento che anche noi abbiamo i nostri periodi e i nostri cali di umore. Noi vorremmo che lui capisse da solo ma “parliamo lingue differenti”.

“Io vorrei che lui desse importanza ai miei interessi e invece di pressarlo per fare qualcosa insieme, esigendo da lui l’iniziativa, dovrei solo aspettare o chiedere con modi che non lo turbino, cioè che non lo facciano sentire non accettato”.

I consigli poi hanno un effetto terribile, visto che trasmettono la sensazione che lui da solo non sa fare niente, quindi non potrà avere fiducia in se stesso.

Ha paura, come d’altronde abbiamo paura noi, solo che noi questa paura la esterniamo, loro assolutamente no, se la tengono dentro e ci mandano in confusione. Ora devo dire che sembra tutto molto più facile. Certamente non sarà semplice applicare queste direttive, specialmente all’inizio, ci potrà sembrare di essere false, ma sapendo che in questo modo la comunicazione migliorerà penso di sentirmi abbastanza incoraggiata a provarci.

Le differenze non sono finite qui, l’uomo e la donna hanno dei cicli in cui il loro umore e grado di intimità cambia.

Gray chiama gli uomini “elastici” e le donne “onde”. La metafora dell’elastico è esemplare per far capire alle donne una cosa che prima non ci saremmo mai spiegate: da un momento all’altro, specialmente quando comincia ad andare tutto per il verso giusto, l’uomo sparisce e non vuole più parlarci e vederci. Quello che a noi arriva è: non ti voglio più bene! Invece no, lui va via e quando torna è tutto meglio di prima. Ma tu nel frattempo cos’hai fatto? Come sei stata?…ovvio malissimo. Per l’universo maschile questa fuga è indispensabile. Quando infatti l’uomo raggiunge un grado di intimità tale, ha poi bisogno di recuperare la sua autonomia e indipendenza, per poi ritornare, più motivato a dare e ricevere affetto ed attenzioni. Interpretando erroneamente l’accaduto noi abbiamo accumulato tanto risentimento durante la sua assenza. Lui torna con tutte le più buone intenzioni, ma noi lo rifiutiamo verbalmente e non. E’ proprio dal nostro sguardo freddo, poco convinto e da come diciamo le cose che lui viene deluso. Lui è fuggito per tornare a dare, ma noi pensiamo solo che si sta prendendo gioco di noi. Abbiamo difficoltà a dargli fiducia, che è proprio il suo primo bisogno emotivo, mentre il nostro è la sollecitudine. E’ qui che la barca si incaglia, si entra in un circolo vizioso, si ci si vuole bene, ma non basta.

Noi donne dice invece Gray siamo come onde. Quando siamo nel pieno dell’innamoramento riluciamo di amore e di gratificazione. L’uomo all’inizio della relazione pensa che questa situazione durerà per sempre e si sbaglia. Le fasi esistono anche per noi. Da un momento all’altro scendiamo nel “pozzo”. E’ proprio questo il momento in cui abbiamo bisogno di sfogo, a volte il turbamento non è chiaro agli uomini, che pensano in modo più logico e razionale. Diventa impossibile capire il nostro tormento, che si manifesta sotto forma di angoscia inspiegabile. Ma la loro incapacità di capire ed ascoltare peggiora le cose. Anziché di minimizzare il problema dando soluzioni, farebbero meglio ad ammettere che fanno fatica ad ascoltare. Siccome essi pensano, che sia la nostra felicità che l’infelicità dipenda da loro, nel secondo caso lo sconcerto è grande. A loro basterebbe controbattere questo nostro stato con un amore incondizionato. Ma non è facile comprenderci, questo è da ammettere. Bisogna poi aggiungere, che i problemi che abbiamo, dipendono per il 90 per cento da problemi irrisolti del nostro passato e solo per il 10 per cento dipendono dal momento presente. Questo stato di fatto è relativo sia alla donna che all’uomo. Sono sempre gonfiati i nostri turbamenti amorosi e questo perché quando amiamo ritornano a galla tutte le nostre paure relative alla crescita.

Di queste paure bisognerebbe parlarne, ma ci risulta tutto molto difficile. Allora dovremmo scriverne, consiglia Gray, scrivere delle lettere d’amore, quando siamo da soli, per riuscire a fare emergere il vero problema e renderlo così più chiaro.

Accennato  questo, vorrei parlare del capitolo che mi ha sconvolto più di tutti e cioè la diversità dei nostri bisogni emotivi primari. Uomo e donna hanno dei bisogni emotivi diversi, abbiamo diverse priorità, ignorandole però non sappiamo come aiutarci a vicenda.

Le donne hanno bisogno di amore in questo ordine:

  • sollecitudine
  • comprensione
  • rispetto
  • devozione
  • rassicurazione

Gli uomini hanno bisogno d’amore in questo ordine:

  • fiducia
  • accettazione
  • apprezzamento
  • ammirazione
  • incoraggiamento

Abbiamo entrambi bisogno di tutti e dieci i tipi di amore, ma se non saranno soddisfatti i primi cinque, che sono quelli primari, non potremo godere degli altri. Se prima non mangio e non bevo, sarà superfluo il comprare un vestito alla moda visto che la mia vita sarà più che breve.

L’illuminazione che segue da questo elenco è la seguente: se noi donne soddisfiamo il bisogno primario dell’uomo di fiducia, lui ci risponderà naturalmente con sollecitudine. Così sarà conseguentemente per tutti  gli altri bisogni.

Ora sapendo che è così facile non basta che provarci. Spero di farcela, e spero di poter dare ragione al signor Gray, per adesso posso solo dire che  do ragione al prof. Fattorello che con le sue intuizioni ha dato inizio alla vera comprensione del mondo.

Cioè comprendere l’altro. Infondo anche questo libro non è che l’affermazione di quanto tratta “La  teoria della tecnica sociale dell’informazione”. Se non capiamo l’importanza della diversità dell’altro e ci comportiamo come se fossimo al centro del mondo, come se il nostro punto di vista fosse il migliore, finiamo solo per cozzare contro la complessità sempre  crescente in cui viviamo. Niente è più facile, se pensiamo alla comunicazione poi ci rendiamo conto che riusciamo anche a farci fraintendere da chi ci vuole bene e ci conosce, (parlo anche di persone del nostro stesso sesso).

Si pensi poi a chi non ci conosce e non sa nulla di noi…

Non serve spiegare noi stessi, serve capire, capire e capire l’altro. Poi le cosa si spera  verranno più facili.

Tecniche di Seduzione

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” URBINO – Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione – Prof. Giuseppe Ragnetti – Materia d’insegnamento: Tecniche relazionali e comunicative

“Tecniche di Seduzione”

Elaborato di Elisa Ravaglia

Premessa

La Seduzione

Ho sottoposto alcuni miei colleghi al significato di questo termine.

Che cos’è la seduzione?

“Fascino irrazionale che ti cattura e tu non te ne accorgi”,

“Un gioco di sguardi misterioso bellissimo”,

“Un’attrazione inconsapevole tra un uomo e una donna, ma anche tra persone dello stesso sesso  e che non deve perciò essere necessariamente finalizzata all’atto sessuale”,

“Qualcosa di non propriamente lecito, un gioco sporco, dove qualcuno cattura, strega, inganna qualcun altro”.

Che cosa ritieni seducente?

“Una bella ragazza, una bocca sensuale, un paio di gambe lunghe e un po’ storte, un sedere sporgente, un modo di parlare, di muovere le mani, di camminare, un timbro di voce”.

Chi è seducente?

“Sharon Stone in Basic Instinct nella scena in cui accavalla le gambe senza indossare la biancheria,

“Charlize Theron nella pubblicità della Martini quando, mano a mano che si allontana di schiena dalla telecamera,  le si scuce  il vestito,

la burbera impetuosità di Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi, le gambe storte di Alessia Marcuzzi, la camminata legnosa della giornalista Daria Bignardi, i primi piani sulle labbra di Scharlett Jhoansonn in Match Point di Woody Allen”,

e poi ancora:

l’accento della compagna di corso,

il profumo del vicino di banco,

l’esuberanza nell’abbigliamento mista al modo di fare, di atteggiarsi del coinquilino, la svampitaggine di una ragazza qualunque, ecc ecc”.

Questo lavoro parte dalle risposte date dai miei colleghi per poi estendersi ad analizzare alcuni aspetti della seduzione e le rispettive tecniche alla luce della teoria e del pensiero di Francesco Fatterello.

Introduzione

L’elaborato si compone di quattro parti; un primo capitolo in cui, partendo dall’etimologia del verbo “sedurre”, traccio una breve genesi del significato del termine; da come da azione inconsapevole, istintuale e di accezione negativa, il verbo “sedurre” acquisti, nei secoli, un valore sempre più positivo di atto consapevole e intrigante.

Nel secondo capitolo prenderò ad esame la seduzione nel suo significato più comune: seduzione come comunicazione amorosa, come approccio eterosessuale e, dopo aver passato in rassegna le principali tecniche che operano nella seduzione tra uomo e donna, spiegherò come, alla luce della teoria fattorelliana[1], tali tecniche, pur valide e comprovate, non riscuotano sempre, e per diverse ragioni, lo stesso esito in tutti i soggetti recettori a cui si rivolgono. Allo stesso modo analizzerò anche la seduzione mediatica, in particolare quella seduzione che è alla base della produzione pubblicitaria la quale, sempre secondo quanto teorizzato da Fattorello, è un’informazione di tipo contingente strumentalizzata a scopo commerciale.

Come la seduzione amorosa, anche la seduzione mediatica si avvale di tecniche di seduzione che sottintendono la realizzazione degli spot e che, per quanto valide ed efficaci, non garantiscono quella persuasione occulta tanto sbandierata e osannata dalla moderna sociologia dei media, la stessa che considera il recettore, in questo caso il pubblico, come una massa priva di individualità e soggettività, vittima passiva della seduzione operata dai (mass) media.

Capitolo 1. Che cos’è la seduzione?

Dal latino “SE-DUCERE” dove “se” è prefisso separativo che significa “allontanare”, mentre il verbo “ducere” deriva da “duco” e significa condurre.

Originariamente questo verbo ha accezione negativa significa infatti allontanare dalla retta via, con lusinghe e astuzia; sedurre come arte di attirare qualcuno in disparte, come capacità di essere seducenti.

Seducenti, inoltre, sono anche tutti quei  piaceri verso i quali si è irresistibilmente attratti (s. del cibo, del denaro, della fama, della gloria, s. del sesso, ecc ecc).

E se cerchiamo sul dizionario della lingua italiana (Devoto-Oli) la parola “seduzione” essa è così lemmatizzata: “sostantivo femminile, istigazione alla colpa, al male, con allettamenti e lusinghe: seduzione al furto. Più com. fascino, capacità di suscitare un’attrazione viva o addirittura irresistibile”.

I suoi sinonimi sono: allettamento, attrazione, adescamento, lusinga, attrattiva, fascino, prestigio, corruzione.

I suoi contrari sono: antipatia e ripugnanza.

L’etimologia del termine seduzione, quindi,  è antica e ha accezione negativa.

Le prime forme di seduzione sono inconsapevoli; l’approccio è finalizzato alla scelta del partner migliore,  quello più attraente, più “sano”, e sempre soggettivamente più adatto a preservare la propria stirpe.

Ma, con l’evolvere  della civilizzazione e della cultura[2], dopo l’oscurantismo medievale e il rinascimento, a cavallo tra il ‘600 e il ‘700 si approda alla nozione moderna, e più positiva di “seduzione”, quella di arte consapevole e divertente, intrigante e magnetica tra due o più persone che si carica di una valenza psicologica e di costume.

Sedurre diventa un’arte quotidiana che si regge su equilibri casuali, alchemici, fortuiti, e delicati, ma anche su schemi ricorsivi e standardizzati, sono le tecniche di seduzione.

Nel ‘900 la seduzione vive un vuoto artistico riempito dallo star system, dai media e dai messaggi persuasivi; le teorie sui media del dopoguerra parlano di persuasione occulta e inconsapevole (teoria ipodermica) che opera su un soggetto recettore passivo, persuasione che viene definita  seduzione tout court.

Capitolo 2. La Seduzione come una comunicazione amorosa

 Nell’accezione più comune del termine “seduzione” risiede il concetto di seduzione tra due persone di sesso opposto, tra un uomo e una donna, e sempre nell’immaginario collettivo legato al verbo sedurre c’è sempre la diatesi attiva e quella passiva,  c’è chi seduce e chi viene sedotto.

A corroborare questa concezione troviamo un lungo inventario di tecniche si seduzione che, secondo diversi manuali di sociologia e di psicologia contemporanea, garantiscono l’efficacia della seduzione e assicurano al soggetto che le mette in atto e che secondo la terminologia della teoria dell’informazione fattorelliana  è il soggetto promotore (SP), di sedurre la vittima, ovvero il soggetto recettore (SR).

Le tecniche di seduzione nella seduzione amorosa[3].

La tecnica principale è l’empatia con la quale il seduttore si mette nella stessa condizione del soggetto sedotto, condivide la stessa condizione sociale, politica, lavorativa, propaga la stessa fede religiosa, prende parte alla stessa lotta politica sostenendo gli ideali ecc ecc.

Un altro meccanismo di seduzione è quello dell’esibizione della propria prodigalità che consiste nel donare qualsiasi bene alla persona che si desidera sedurre.

Il meccanismo insito in questa tecnica è quello dell’attimo fuggente; implicitamente si dichiara alla persona che questo è, grazie alla sua presenza, il momento più bello della propria vita.

Esiste poi anche la tecnica della progettualità da sfida che si esercita quando si vuole sedurre qualcuno solo per salvarlo da una situazione disastrosa e/o pericolosa, quando cioè si vuol portare a sé, sedurre, conquistare una persona sofferente e problematica solo per misurarsi con le proprie potenzialità di sfida (es. la tecnica della crocerossina, tanto cara alle ragazze).

Se la seduzione è comunicazione allora la tecnica più immediata e, forse, più potente e antica al contempo, è la seduzione attraverso la bellezza, in primis quella esteriore, che si manifesta avvalendosi  canale visivo (aspetto estetico, cura del corpo, abbigliamento, postura, movenze, gestualità), quello uditivo (il tono, timbro, modulazione della voce, velocità d’eloquio, argomenti trattati, cultura. simpatia), quello olfattivo, (l’odore della pelle, il profumo, l’alito, …) e quello tattile (stretta di mano, prossemica, rispetto della distanza interpersonale) e che si realizza mediante una trasmissione di informazioni verbali e non verbali.

È vero che le tecniche di seduzione esistono, ma non sempre basta adottarne una, o anche tutte insieme, per far si che la seduzione messa in moto dal soggetto promotore risulti efficace sul soggetto recettore. Primo perché la seduzione è un gioco bilaterale dove nessuno è passivo ma entrambe le parti hanno pari dignità, pari peso, uguale partecipazione e forza, secondo perché, sempre secondo quanto sostiene la teoria fattorelliana, non esiste una tecnica di seduzione oggettivamente e universalmente valida ma la sua efficacia dipende dal soggetto recettore e dal suo proprio background socio-culturale.

Basti pensare che una stessa tecnica di seduzione, sempre la stessa, con una persona più funzionare e con un’altra no.

Capitolo 3. La seduzione nell’ informazione pubblicitaria

La vera differenza tra l’essere sexy o seducente: sexy è banale, inflazionato, solo di pelle; seducente vuol dire intelligenza, gioco, ironia, intuizione e un po’ di cattiveria… Tutte cose molto più intriganti.

Milka Pagliani[4]

Prima di cominciare ad elencare le tecniche di seduzione con cui lavorano i pubblicitari per la realizzazione degli spot televisivi, vorrei specificare che la seduzione lavora anche  dietro e all’interno dei programmi, di tutti programmi in cui quotidianamente ci imbattiamo.

Per quanto concerne il prodotto pubblicitario esso è, sempre secondo quanto teorizzato dalla Teoria della tecnica sociale dell’informazione di Francesco Fattorello, un’informazione di tipo contingente e in quanto tale dotato di tutti gli elementi propri di modalità.

La pubblicità si basa quindi sulla novità, che spesso sfocia nel sensazionalismo, sulla tempestività, sulla genericità, del soggetto promotore e recettore, sulla ripetizione e sull’unilateralità del processo contingente.

A differenza della seduzione amorosa, la seduzione pubblicitaria è strumentalizzata a scopi economici (vendita del prodotto) mentre, parimenti a quella amorosa, anche la seduzione mediatica opera grazie ad alcune tecniche volte ad attirare l’attenzione pubblico con un prodotto che gioca sul nuovo, sull’incredibile, sul sensazionale, con qualcosa che nel bene e nel male secondo chi lavora nella progettazione e dei palinsesti e della pubblicità, non può non restare impresso nella mente disindividualizzata e passiva dei soggetti recettori, visti come massa.

Ugo Volli[5] traccia una breve descrizione di che cos’è la pubblicità, del fatto che la comunicazione pubblicitaria è per lo più una comunicazione non verbale dove a prevalere è la componente visiva.

Da qui l’importanza di alcune tecniche di seduzione pubblicitaria legate alla scelta della grafica, della fotografia, di una frase che passa sullo sfondo o di un testimonial  più o meno noto, più o meno popolare, più o meno bravo, bello, autorevole che reclamizza il prodotto.

Tra le tecniche adoperate al fine di realizzare lo scopo prefissato dalla pubblicità che è quello di far sì che lo spot stupisca, nel bene e nel male, e faccia parlare di sé, molto importante risulta anche l’aspetto fonico-musicale come una bella musica che si sposa con la grafica, un suono evocativo, o una  voce seducente, magari conosciuta, che parla sulla sfondo.

Altre tecniche di seduzione adottate in pubblicità sono state esaminate da Anna Maria Testa[6] e sono così riassunte:

Iperbole: l’esagerazione  connaturata alla comunicazione commerciale. Si cerca cioè di esaltare la propria merce;

ironia: tecnica abbastanza difficile da applicare in una campagna pubblicitaria poiché, basandosi su un’affermazione ironica, generalmente sul prodotto in questione, che è l’esatto opposto da ciò che è il prodotto nella realtà e, da per scontata la capacità del soggetto recettore di conoscerla e, poi, di comprenderla;

straniamento: consiste in una procedura formale volta a creare immagini non banali, non automatiche diverse dalla percezione consueta. Si tratta di una tecnica capace di dare rilevo emozionale a una comunicazione pubblicitaria altrimenti fredda. Generalmente, attraverso lo s., l’immagine apre lo spot e la parola lo chiude (es. Alfa Romeo), ma sarebbe possibile anche il contrario.

Lo stereotipo è la tecnica più usata in pubblicità, perché proprio per la sue caratteristiche riconoscibili e consolidate, si racconta da solo e in pochissimo tempo.

Tra gli stereotipi ci sono: la figura della casalinga, del manager, dell’avvocato, la giovane e inesperta, la vecchia ed esperta, il nonno sorridente, il bimbo birichino, la famiglia a colazione… A un concetto si aggiunge un’emozione che agisce sul piano visivo, tra le due, poi, ci deve essere un continuo equilibrio tra tensione e coerenza.

Conclusione

Vi siete mai chiesti perché uno spot pubblicitario che a qualcuno fa impazzire a voi non piace affatto?

O per quale ragione una certa persona che secondo qualcuno è molto seducente per voi non lo è per niente?

Le tecniche di seduzione, sia per quel che concerne la seduzione come comunicazione amorosa, sia per quanto riguarda la seduzione nella progettazione pubblicitaria, esistono e sono, specie quelle medianiche, processi molto più che consapevoli.

Presuppongono una parte attiva della seduzione, colui che seduce, ovvero il soggetto promotore e una passiva, un uomo o una donna nella seduzione amorosa, un pubblico generico, intenso, non specializzato nella seduzione mediatica, meglio definiti  come “soggetto recettore”.

Ma tali tecniche, insegna Fattorello, non risultano valide in sè.

Sempre alla luce delle “Teoria della tecnica sociale dell’informazione” infatti, SP e SR hanno pari dignità, quindi concorrono entrambi a rendere più o meno efficace la comunicazione senza che uno soccomba passivamente all’altro, ma abbia la facoltà di decidere, secondo la sua propria soggettività, se apprezzarle o meno, se rispondere o meno. Una pubblicità per quanto ben costruita, nuova, sensazionale, può non sortire sul soggetto recettore alcun esito, così come invece, la stessa, può sedurre un altro SR e indurlo, in un secondo momento, ad acquistare il prodotto.

Nell’informazione, nella comunicazione e in  questo caso nella seduzione non  esiste, dunque, una tecnica valida in sé, così come non esistono una parte attiva e una passiva, non regge il “sedurre” e l’essere sedotti”,  ma entra in gioco la soggettività, il libero arbitrio, le facoltà opinanti, il sistema valoriale, il  background culturale del soggetto recettore che a sua volta può decidere di diventare soggetto promotore, quindi parte attiva della comunicazione, mente pensante in quanto essere dotato di sua propria soggettività.

Tutti possiamo essere seduttori, se lo vogliamo, non c’è nessuna vittima della seduzione e, di conseguenza, la seduzione non è persuasione, né tanto meno persuasione occulta, o gioco sporco, ma comunicazione tout court, che generalmente risulta tanto più efficace tanto più conosciamo il soggetto recettore con cui stiamo comunicando.

Infine, per chiarire che cosa si intende per comunicazione, mi aiuto riportando le parole di maestro Fattorello che attingono dall’insegnamento di Socrate[7]:

  • la comunicazione è relazione con gli altri, è un comune sentire dove entrambi i soggetti crescono nella relazione che stabiliscono,
  • i soggetti, in particolare il recettore, sono attivi ed entrambi dotati di facoltà opinanti (toglietevi dalla testa i condizionamenti, le persuasioni occulte ecc),
  • le parole acquistano significato nella nostra mente e non possiedono valore di per sé. Ciò è fondamentale perché presuppone la conoscenza del soggetto recettore che abbiamo di fronte. Non possiamo parlare e cercare di stabilire un dialogo se pensiamo solo con la nostra mente e in base alla nostra acculturazione, esperienza di vita ecc ecc. Dobbiamo calarci nei panni del nostro soggetto recettore, capire che cosa è importante per lui! Solo così la comunicazione riesce e il dialogo diventa autentico. Tutte le incomprensioni nascono dal fatto che ognuno di noi continua a relazionarsi secondo il proprio punto di vista e non riesce a cogliere nell’altro ciò che per lui è importante.

[1] – G.Ragnetti, Opinioni sull’Opinione, Quattroventi, Urbino, 2005

Ragnetti,-a cura di – Teoria della tecnica sociale dell’informazione, Urbino, Quattroventi 2005

[2] – Cfr. G. Ragnetti, Opinione sull’opinione, Quattroventi, Urbino, 2005

[3] – Seduzione, Istituto Corel a cura di Alessandra Tedesca, Centro studi e ricerche sulle tecniche di comunicazione e sulle capacità relazionali, Casini Editore, Roma, 2007

[4] – D. Brancati, La pubblicità è femmina ma il pubblicitario è maschio, per una comunicazione oltre i luoghi comuni, 2 ed, Milano, I Segni 2004

[5]  – U. Volli, Il libro della comunicazione, Il Saggiatore, Milano, 2004

[6] –  U. Volli, Il libro della comunicazione, pagg. 151, 152

[7] – Dispensa consegnata durante le lezioni in aula “Comunico ….ergo sum”

Achille o Acilήos? Al buon comunicatore la scelta

Elaborato di Tecniche di Relazione – Professore Giuseppe Ragnetti

“Achille o Acilήos? Al buon comunicatore la scelta”

a cura di Emma Re Cecconi

E’ suonata già da qualche minuto la campanella di inizio lezione quando la professoressa di italiano entra nella I C di una scuola media .

Gli alunni sono ancora un po’ assonnati nel momento in cui la prof. prende la parola:

“Oggi leggeremo il proemio dell’Iliade”dice “chi mi vuole riassumere che cosa ho spiegato riguardo ai poemi epici?”

Una mano si alza dal primo banco vicino alla finestra, “Posso dirglielo io…” sussurra la voce di una ragazzina.

La prima metà della lezione passa con l’elenco delle nozioni esposte nei giorni precedenti dall’ insegnante che aveva spiegato che cosa si intende per epica, quali sono le sue caratteristiche e il linguaggio usato, per poi passare ad esaminare, in maniera generale, la questione omerica e l’antefatto che causò lo scoppio della guerra di Troia, che è il filo conduttore dei 24 canti dell’ Iliade.

La prof. , poi, prende la parola e incomincia a leggere ad alta voce il proemio dell’Iliade:

Canta, o dea, l’ira di Achille Pelide,

rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei,

gettò in preda all’Ade molte vite gagliarde

d’eroi, ne fece il bottino dei cani,

di tutti gli uccelli – consiglio di Zeus si compiva-

da quando prima si divisero contendendo

l’Atride signore d’eroi e Achille glorioso.”

La lettura desta stupore e un briciolo di incomprensione tra gli ascoltatori della classe che non riescono a comprendere il significato di alcuni termini ed è per questo che la prof, per far capire il passo appena letto, decide di parafrasarlo in parole più semplici, utilizzando dei sinonimi.

Canta, o dea, l’ira di Achille figlio di Peleo,

che ha avuto catastrofiche conseguenze, che infiniti dolori inflisse agli Achei,

gettò nel regno dei morti molte giovani vite,

d’eroi, che divennero il pasto di cani e uccelli- la volontà di Zeus si realizzava-

da quando si divisero, litigando l’uno con l’altro,

Agamennone, figlio di Atrèo, capo di eserciti, e il nobile Achille.”

Si può notare che è stato compiuto un procedimento di semplificazione, in cui tutte le parole più complesse sono state sostituite con sinonimi o perifrasi:

Pelide: figlio di Peleo;

rovinosa: che ha avuto catastrofiche conseguenze;

Ade: regno dei morti;

gagliarde: giovani;

uccelli:..cadaveri dati in pasto a cani e uccelli, cioè insepolti;

consiglio: la volontà;

contendendo:litigando l’uno con l’altro

Atride: figlio di Atrèo.

Nonostante questo sforzo di semplificazione, si alza una mano dai banchi dell’ultima fila:

“Mi scusi” esclama una chiara voce “ io non so cosa significa la parola catastrofica…”

“ Un fatto è catastrofico quando porta delle terribili, disastrose…brutte conseguenze…Hai capito, ora?”

ùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùù

Ù

ùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùù

Il ragazzino annuisce, sembra che abbia afferrato il concetto.

L’insegnante capisce che l’unico modo per arrivare nella mente degli alunni è quello di avvicinarsi alla loro ottica e di spiegare i versi omerici con termini più vicini al loro patrimonio conoscitivo e usare anche, conoscendo le loro possibilità e facoltà recettive e la  passione per i fumetti, alcune simpatiche vignette.

 

E’ suonata già da qualche minuto la campanella di inizio lezione quando la più temuta professoressa dell’istituto entra nella I B di un Liceo Classico .

I ragazzi ancora non sono seduti, alcuni fanno un gruppetto intorno al banco in cui troneggia la “Gazzetta dello Sport”, altri sono raggomitolati vicino al termosifone e si raccontano il week-end appena trascorso.

“Ragazzi, mi sembra che la campanella sia suonata da qualche minuto. Perchè non siete seduti?” ruggisce la professoressa.

In un attimo la classe si compone, oggi ci sono proprio tutti, siede nel proprio banco, vicino alla porta, pure il “Tomma”, che come dicono i suoi amici, “ fa buca un giorno si e l’ altro…si”.

L’insegnante, chiamata confidenzialmente “Hitler” dai suoi amati alunni, ripercorre in maniera sintetica gli argomenti trattati nelle ultime settimane durante le interminabili ore di greco: la questione omerica, la struttura dei poemi omerici, il dialetto dell’epica, la tesi “eolica” e quella “ acheo-micenea”, la Kunstsprache, gli elementi di stratificazione linguistica, alcune nozioni di fonetica, di morfologia e di metrica.

Al termine della sua dissertazione sottolinea che tutti gli argomenti trattati, così come, il proemio dell’ Iliade che si appresterà a leggere, saranno oggetto di un compito in classe.

“Bene ora incomincio a leggere il proemio dell’ Iliade, che come tutto il poema, è scritto con l’esametro dattilico catalettico che è basato sull’alternanza di brevi e lunghe, nonchè sull’ isocronia, per la quale ad una lunga corrispondono due brevi.”

“La traduzione in italiano la guardate voi nelle note del libro, non ho niente da dirvi riguardo al contenuto che già ben sapete…Analizzeremo insieme la struttura e la metrica.”

Così la professoressa inizia a spiegare dinanzi alla sua numerosa classe che riesce bene ad afferrare le  nozioni perchè si inseriscono in un patrimonio conoscitivo già esperto a questo tipo di concetti.

La spiegazione subito si focalizza sulla posizione enfatica dell’accusativo μήνιν, posto all’inizio del primo verso e in dipendenza dell’imperativo presente άειδε forma non contratta di άειδw  per poi passare al vocativo θεά di origine eolica e alla forma del dativo -οισι, nel vocabolo οινοισί, più frequente in Omero rispetto al tradizionale e consuetudinario –οις.

L’insegnante continua a spiegare gesticolando le sue esili braccia e aggiustandosi di frequente il solito ciuffo di capelli che non trova mai una stabile posizione : conoscendo le possibilità e le facoltà ricettive dei suoi scolari sotto i più diversi aspetti, adegua il  suo modo di spiegare per essere percepita nella maniera più esatta possibile.

Questi due semplici esempi esprimono in maniera molto chiara che non può esistere una comunicazione sempre valida e applicabile a qualunque recettore, ma che esiste una relazione comunicativa tarata su di esso.

Fu Francesco Fattorello, il primo in Italia a formulare una teoria sull’informazione e la comunicazione fondata su rigorose basi scientifiche, che prende il nome di Tecnica Sociale dell’ Informazione.

Esiste, dunque, un modo di interpretare i fatti oggetto di un rendiconto in base a un determinato soggetto recettore, che assume una valenza attiva pari a quella del soggetto promotore, interagendo sempre e comunque con chi innesca la comunicazione.

Il fenomeno dell’informazione si concretizza attraverso un rapporto che mette in gioco più termini: l’oggetto del processo di informazione, un soggetto promotore e uno recettore, lo strumento che serve a saldare il loro rapporto e il contenuto, ossia la forma di ciò che è oggetto del rapporto di informazione.

Questi aspetti fondamentali possono essere schematizzati da una formula ideografica:

x)

                               M

Sp                                                        Sr

                               O

Sp è il soggetto promotore che dà avvio all’informazione; Sr è il soggetto recettore; M  è il mezzo tramite il quale si salda il rapporto; ed infine O è la fomula data a x), l’oggetto dell’ informazione.

Sp e Sr sono i principali componenti dell’informazione: il primo trasmette la forma che ha attribuito a ciò che ha interpretato e con la quale cerca di rappresentare agli altri un determinato fatto o ideologia; il secondo non si limita soltanto a ricevere quella forma, ma la interpreta a sua volta.

E’ norma fondamentale per il soggetto promotore, al fine di mettere in atto un proficuo rapporto di informazione, conoscere i fattori di acculturazione del recettore, infatti solo così potrà adeguarsi a lui. Adeguarsi, ma non rinunciare al suo scopo e a quella iniziativa sulla quale si era proposto di ottenere una conforme adesione di opinione.

Fondamentale è, poi, la scelta del mezzo perchè ogni strumento possiede un proprio linguaggio ed è legato ad esso il tipo di recettore a cui ci si rivolge.

In base a questo schema possiamo analizzare gli esempi esposti nelle pagine precedenti.

L’oggetto della comunicazione, in entrambi i casi, è il proemio dell’ Iliade di Omero.

Primo caso

x) : proemio dell’Iliade

Sp: professoressa di una scuola media

Sr: una classe di prima media

O: formula data da Sp a x)

M: lingua parlata; uso di vignette.

L’insegnante utilizza, per farsi comprendere, uno strumento molto vicino al linguaggio dei suoi alunni: quello dei fumetti. Le persone adulte non capiscono il linguaggio delle vignette che tanto piacciono ai più piccoli: questo mezzo è dotato di una specificità del linguaggio fatta propria dai “recettori bambini” e non dai “ recettori adulti”.

Il docente si cala nello stesso ambito culturale dei soggetti recettori e cerca di venire a conoscenza dei motivi culturali che possono ispirare il loro comportamento.

Secondo caso

x) : proemio dell’Iliade

Sp: professoressa del liceo classico

Sr: una classe del terzo anno del liceo classico

O: formula data da Sp a x)

M: lingua parlata; uso della lingua greca.

Si può notare che la materia che è oggetto del processo di informazione, è uguale in entrambi i casi ma il modo di esporre il rendiconto dei fatti è diverso in base alle persone a cui è indirizzato.

Per essere recettore, è fondamentale, la sua socializzazione allo stesso ambito culturale del soggetto promotore: dove mancasse una tale corrispondenza culturale, il rapporto di informazione non avrebbe l’effetto voluto, il contenuto non potrebbe essere ricevuto o capito, oppure sarebbe capito male e, comunque, con difficoltà rilevanti.

Questo caso si sarebbe verificato se l’insegnante di scuola media avesse spiegato il proemio dell’ iliade in lingua greca con al seguito  nozioni sulla sintassi, fonetica e metrica.

Il contenuto sarebbe stato ricevuto dagli alunni-recettori?

Ovviamente no, a differenza degli alunni- ricettori del liceo classico che, in base alle loro facoltà percettive, capiscono il contenuto.

Il soggetto recettore obbliga quindi il promotore, che vuole trasmettergli nella maniera più efficace un messaggio, alla conoscenza delle sue possibilità e facoltà recettive sotto i diversi aspetti, condiziona l’elaborazione dei messaggi che gli devono essere adeguati, altrimenti non saranno percepiti e condiziona la scelta dello strumento. La bravura del soggetto recettore sta nel trasmettere il messsaggio nel modo più vicino possibile al suo recettore.

Il processo di informazione può essere contingente e non contingente:il primo è caratterizzato dalla rapidità e dalla limitatezza del lasso di tempo, entro il quale si deve concretare il rapporto tra i soggetti interessati; il secondo è molto più lento e alla ricerca di una adesione non immediata e tempestiva.

Il rapporto insegnante e alunno è tipico per indicare un processo di informazione non contingente: il professore impiega molto tempo per informare il suo alunno e ciò che gli spiegherà gli servirà per domani e per sempre, non è tanto correlato al momento presente, quanto alle esigenze alla cui cultura, il soggetto recettore deve essere educato.

Il recettore, in questo caso, è un gruppo caratterizzato da una certa omogeneità di età e, talvolta, di integrazione culturale che partecipa in maniera attiva: l’alunno pone domande, obiezioni al maestro e sottopone alla sua considerazione nuove idee.

La Tecnica sociale dell’ Informazione si basa sul presupposto che la comunicazione non è un processo definito, ma è in continua evoluzione, perchè semplicemente le persone sono diverse le une dalle altre e per questo è necessario utilizzare molteplici linguaggi e strumenti.

É fondamentale, quindi, la conoscenza del soggetto recettore che si ha di fronte perchè non c’è la possibilità di stabilire un dialogo se pensiamo solo con la nostra mente e in base alla nostra acculturazione o esperienza di vita.