Comunicato Stampa Conferenza Sacile

SACILE, 22 gennaio 2015 ore 18 – Palazzo Ragazzoni
“Comunicare in una ragnatela sociale sempre più fitta”

Il prof. Giuseppe Ragnetti, direttore dell’Istituto “F. Fattorello” di Roma
tiene una Conferenza sulla “Tecnica sociale dell’informazione”
di Francesco Fattorello, primo docente di Storia di giornalismo in Italia
La teoria verrà presto pubblicata nella sua prima traduzione inglese dalla Palgrave Macmillan
Comunicato Stampa Pordenone, 16 gennaio 2015
Con preghiera di diffusione

Giovedì 22 gennaio alle ore 18 presso Palazzo Ragazzoni di Sacile (Viale Pietro Zancanaro) si terrà una conferenza dal titolo “Comunicare in una ragnatela sociale sempre più fitta”, in cui si parlerà della tecnica sociale dell’informazione, teorizzata da Francesco Fattorello, uno dei più grandi studiosi di comunicazione e primo docente di Storia del giornalismo in Italia, il quale nacque nel 1902 a Pordenone da una famiglia originaria di Sacile.

Ne parlerà il professor Giuseppe Ragnetti, direttore dell’Istituto “Francesco Fattorello” di Roma, che durante la serata tratterà anche delle applicazioni quotidiane della sua teoria dell’informazione suggerendo accorgimenti – soprattutto nell’ambiente famigliare, giovanile e lavorativo – che possono rivelarsi essenziali per veicolare al meglio l’oggetto dell’informazione in questi delicati contesti comunicativi. La conferenza è promossa dal Comune di Sacile.

«Desideriamo proporre questa conferenza – afferma l’Assessore alla Cultura di Sacile Carlo Spagnol – in quanto il tema dell’informazione e della comunicazione rappresenta un ambito importante e pregnante della vita quotidiana, sia familiare che sociale, per ognuno di noi e ci fa inoltre piacere poter ospitare il professor Ragnetti, il quale da allievo e stretto collaboratore di Francesco Fattorello dal 1985 dirige l’Istituto “Francesco Fattorello” di Roma.

Sacile è la città natale del padre di Francesco Fattorello, infatti nel 2013 questa Amministrazione ha pubblicato con la Composit editore il volume “Quando Sacile profumava di vaniglia: Memorie inedite di fine ottocento” di Carlo Fattorello, a cura di Maria Balliana e Nino Roman».

Ragnetti, che ha raccolto l’eredità culturale e morale di Francesco Fattorello, è impegnato nella diffusione della teoria dello studioso friulano nella sua terra d’origine.

Una teoria che a trent’anni dalla scomparsa dello studioso Francesco Fattorello e dopo settant’anni di insegnamento, è più che mai attuale. Essa mette sullo stesso piano soggetto promotore e soggetto recettore dell’informazione, negando l’oggettività al testo giornalistico.

In occasione della conferenza, uscirà la ristampa della “Tecnica sociale dell’informazione. La rivoluzione nella comunicazione: da target a persona” (Safarà Editore, gennaio 2015) di Francesco Fattorello, a cura di G. Ragnetti.

Il saggio nei prossimi mesi sarà pubblicato per la prima volta in traduzione inglese dalla casa editrice londinese Palgrave Macmillan.

Il libro sarà acquistabile durante la serata, presso la libreria Al Segno di Sacile e presso la libreria Al Segno di Pordenone.

Francesco Fattorello (Pordenone 1902 – Udine 1985) storico e saggista dell’informazione, primo docente incaricato della cattedra di Storia di giornalismo in Italia, dal 1928 presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Trieste e dal 1934 presso la medesima Facoltà dell’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma. In questa città fondò e diresse, dal 1947 in poi, l’Istituto Italiano di Pubblicismo.

Nella sua lunga carriera di studioso Fattorello fu anche docente e membro del Consiglio di amministrazione del Centre International pour l’enseignement supérieur du journalisme dell’Università di Strasburgo.

A lui è dedicato l’Istituto “Francesco Fattorello” di Roma, diretto da Giuseppe Ragnetti, curatore di questo volume.

Giuseppe Ragnetti, professore di Psicologia sociale, è specializzato nelle discipline dell’informazione e della comunicazione. Insegna anche presso la Laurea Specialistica in Editoria Media e Giornalismo dell’Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino.

Ha raccolto l’eredità culturale e continua l’opera del suo Maestro Francesco Fattorello, dando seguito alla sua tradizione scientifica e didattica anche a livello internazionale. Dal 1986 dirige l’Istituto “Francesco Fattorello” di Roma, che attiva la Scuola superiore di Metodologia dell’Informazione e Tecniche della Comunicazione, erede della prima Scuola italiana nell’ambito della comunicazione e dell’informazione, fondata da Fattorello nel 1947.

L’Istituto Fattorello è l’unico membro istituzionale italiano ammesso in iamcr/aieri, massima organizzazione mondiale del settore. L’Istituto prosegue in forme e strutture adeguate ai tempi la diffusione dell’impostazione teorica fattorelliana promuovendone la conoscenza a tutti i livelli, con un’attività didattica ininterrotta da settant’anni.
Per ulteriori informazioni:
www.safaraeditore.com/tecnica-sociale-dellinformazione-1217
www.istitutofattorello.org

Safarà Editore – Ufficio stampa
Elisa Marini
Via Piave, 26 – 33170
Pordenone (PN)
P.I. 01515950937
Tel. 0434 1970280, 0434 1970282
press@safaraeditore.com
www.safaraeditore.com

Lettera Aperta al Prof. Ragnetti

Rendiamo nota, a tutti gli amici del Fattorello, una stimolante lettera aperta di un attento partecipante al Seminario di Studi svoltosi a Pordenone su Francesco fattorello e la sua Teoria della Tecnica Sociale dell’Informazione e la risposta del prof. Ragnetti.

Carissimo professor Ragnetti,

la ringrazio per questi giorni di dibattiti, discussioni e confronto su una tematica importante, bella (e anche molto complessa!) come la comunicazione e quanto da essa ne deriva. La ringrazio anche per la passione con la quale porta avanti la teoria della tecnica sociale di Fattorello, nonostante le mille difficoltà che inevitabilmente ci sono. Penso che sia una teoria molto costruttiva, soprattutto perché dà dignità all’uomo, liberandolo dalla condizione di inetto sociale e di burattino. 
Non so se in questi giorni sono riuscito ad esprimere bene il mio punto di vista. Posso comunque dirle che questi giorni mi sono stati molto utili per riflettere e anche capire bene e meglio molte cose. Soprattutto per quanto riguarda quello che lei ha definito il dodicesimo comandamento dei mezzi di comunicazione (“I mezzi di informazione sono certamente uno specchio della società che li esprime): è una frase che mi ha colpito molto e che ha suscitato in me questa riflessione, che proverò ad esprimere in maniera sintetica in questa “Lettera aperta” che le rivolgo.
È davvero consolatorio o in qualche modo accettabile che la spazzatura, l’ignoranza e il degrado che persistono in televisione quanto sui giornali, siano lo specchio della nostra società? Io trovo che sia aberrante, desolante e mortificante che la pochezza dei vari reality show e della molteplici trasmissioni ripiene di stupidi litigi e volgarità, possa prevalere sulla bellezza della cultura, soprattutto in Italia, Paese che spicca in Europa e nel mondo per le ricchezze artistiche ed architettoniche che possiede. Penso che qualunque professione, da quella giornalistica a quella medica, finanche al semplice spazzino che pulisce le strade delle nostre città, debba essere mossa dalla ricerca della verità, ma soprattutto dalla sua difesa, in rispetto di quella morale e di quell’etica che ogni uomo, pensante e opinante, possiede nella sua coscienza.
Ogni opinione, ogni pensiero, ogni idea che si volge alla ricerca della verità, deve aver diritto ad essere espressa in favore di un dialogo comune che sia mosso dal rispetto, da una critica costruttiva e dall’autocritica, intesa, quest’ultima, come capacità di mettersi in discussione, tralasciando da parte la presunzione di prevalere sull’altro, l’orgoglio, il narcisismo e anche ogni arrivismo personale. Ma qualora queste idee, queste opinioni e questi pensieri, fossero il frutto di una deliberata menzogna, beh, allora penso che non ci sia alcun dubbio sull’esistere di un pericolo di disinformazione e manipolazione da parte di alcuni media.
Penso che l’unico motore che debba muovere l’azione dell’uomo, così come i suoi comportamenti all’interno della società, sia la coscienza. Una coscienza che purtroppo in molti anestetizzano e mettono a tacere, aspettando che siano gli altri ad indicare una via facile da seguire. Una coscienza che dovrebbe essere invece viva e piena di buon senso. Ma soprattutto penso che in una società a volte svogliata come la nostra, la coscienza debba essere stimolata e in certi casi anche educata, senza la presunzione di sentirsi dei superuomini in grado di muovere le persone come se fossero dei burattini, ma attraverso il dialogo, il confronto, l’autocritica e l’umiltà di dubitare anche di sé stessi, se necessario.
Solo attraverso il confronto si può ascoltare l’altro e mettere da parte il proprio orgoglio, lavando così da ogni forma di egoismo le proprie idee e convinzioni. Solo attraverso il dialogo si può conoscere l’altro, eliminando pregiudizi e luoghi comuni, arricchendosi reciprocamente di punti di vista differenti, magari pure mantenendo intatte le proprie posizioni.
Penso che ogni uomo, qualunque sia la sua professione, abbia il dovere di arricchire il mondo in cui vive con un esempio sano, o quantomeno ci dovrebbe provare, nonostante i molteplici difetti che ognuno di noi inevitabilmente possiede. Ma i difetti non devono impedirci di cercare di migliorare i contesti in cui tutti viviamo, mettendo invece a frutto i nostri talenti al servizio della comunità. Qualunque rinuncia in tal senso è un’occasione sprecata. Per noi, per il mondo e per la verità. 
Ci vediamo a febbraio! 
Giuliano
P.s.: naturalmente non mi sono dimenticato di inviarle il mio papiro di laurea! 
…e la risposta del Prof. Ragnetti
 
Ciao Giuliano, anche io debbo ringraziarti per l’attenzione e l’interesse dimostrato nei nostri incontri, e, soprattutto, per la tua inaspettata e sorprendente lettera aperta. Quello che hai scritto è molto stimolante per il prosieguo della “lezioni”a Pordenone e mi fornisce  motivi di riflessione e, magari, di aggiustamento di contenuti e modalità didattiche. Voglio, comunque, rassicurarti che tutto alla fine, ti sarà utile : i vecchi medici di famiglia spiegavano che  dopo la crisi provocata dalla febbre, arrivava la lisi e se si trattava di un bambino, la mamma doveva essere contenta perchè il piccolo sarebbe cresciuto un po’. E’ quello che capita a noi quando ci apriamo a una diversa visione della realtà: la crisi iniziale è inevitabile ma salutare, perché dopo la lisi saremo certamente cresciuti almeno un po’.
A presto  Giuliano e grazie del simpatico papiro, Giuseppe Ragnetti

Corso istituzionale di “Comunicazione” – 2015

Istituto_Fattorello FBl’appuntamento più atteso della settimana:

I LUNEDI’ DELLA COMUNICAZIONE AL “SERAFICO”
il piacere di ascoltare, conoscere, capire per comunicare

L’Istituto Francesco Fattorello in Roma, la prima Scuola di comunicazione in Italia, propone ogni settimana una full immersion relazionale e comunicativa

Dal 2 febbraio 2015 a fine giugno, tutti i lunedì dalle 17.30 alle 21.00, ti aspetta il Corso di “SCIENZE E METODOLOGIA DELL’INFORMAZIONE E TECNICHE DELLA COMUNICAZIONE” con le seguenti aree tematiche:

  • Teoria della Tecnica sociale dell’Informazione
  • Scienze dell’Opinione
  • Tecniche della comunicazione scritta e orale
  • Rapporti interpersonali e comunicazione non verbale
  • Modalità relazionali: controllo delle barriere e sviluppo delle competenze comunicative
  • L’arte dell’ascolto e la sua funzione comunicativa
  • I linguaggi della comunicazione
  • Marketing e comunicazione politica
  • Promozione dell’Immagine e Tecniche operative
  • Funzioni aziendali e comunicazione organizzativa

La valutazione finale degli iscritti all’Istituto Fattorello individua anche la loro attitudine e disponibilità a:
– sviluppare rapporti interpersonali positivi
– comunicare in maniera chiara ed efficace in ogni possibile occasione
– gestire senza conflittualità i gruppi di lavoro
– contribuire in maniera creativa agli aspetti interattivi della didattica
– farsi carico di studi e ricerche di apprendimento, per argomenti di particolare interesse, su stimoli forniti dal docente
– presentare in aula relazioni su ricerche effettuate
– socializzare in senso lato
– affrontare situazioni e problemi in ottica propositiva, anche con l’individuazione di piccole innovazioni

Il nostro 69° Corso annuale dà continuità all’insegnamento della Tecnica Sociale dell’Informazione, già impartito dal prof. Francesco Fattorello presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, sin dal 1947.

La validità scientifica della nostra proposta formativa è garantita dalle originali metodologie dell’Istituto, unica Scuola regolarmente autorizzata e legittimata ad approfondire e diffondere l’impostazione teorica fattorelliana, anche attraverso l’attivazione di regolari Corsi didattici.

I nostri Corsi, nel pieno rispetto della volontà espressa dal prof. Fattorello prima e dai suoi eredi poi, non hanno subito discontinuità di nessun genere, consentendo in tal modo lunga vita alla prima Scuola italiana del settore.

L’Istituto è diretto dal prof. Giuseppe Ragnetti che ha contribuito alla diffusione della “Teoria della Tecnica sociale dell’informazione” in ambito universitario, attraverso il suo insegnamento presso il Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione e presso la Laurea Specialistica in Editoria Media e Giornalismo dell’Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino e presso altre Università italiane, nonché in prestigiosi contesti quali SSAI – Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, Questure, Prefetture, Scuola di Polizia Giudiziaria, Scuole di Formazione politica, Corsi di Comunicazione per le Forze dell’Ordine, Enti pubblici e Organizzazioni private.

Il prof. Ragnetti, garante della coerenza e correttezza delle diverse discipline nei confronti dell’impostazione teorica originale dell’Istituto, è coadiuvato da un équipe di Docenti, tutti ex allievi dell’Istituto stesso.

Con 69 anni di tradizione scientifica alle spalle e con tutta la responsabilità che ne deriva, adeguando tuttavia costantemente gli strumenti didattici e gli obiettivi della ricerca alle esigenze dei tempi e, talvolta, anticipandone l’evoluzione, l’Istituto si propone di fornire ancora oggi il bagaglio culturale indispensabile ai “maestri della comunicazione” ed a tutte le attività che si avvalgono delle migliori abilità relazionali e comunicative.

Una corretta comunicazione , comprendere e farci comprendere, ci dà forza, coraggio, voglia di fare, ci rende attori-protagonisti della nostra vita, ci permette di aiutare gli altri e noi stessi.

Se vuoi intraprendere uno dei tanti “mestieri della comunicazione” o più semplicemente superare i ”blocchi della comunicazione” e la paura del parlare, se vuoi acquisire maggiore autorevolezza, assertività e capacità di ascolto,
se vuoi guadagnarti la stima e la considerazione dei tuoi interlocutori e ottenerne condivisione e consenso o, ancor di più, se vuoi aumentare la stima di te stesso e la fiducia nelle tue potenzialità allora è questo il Corso che stavi cercando.

La Sede didattica del Corso è presso la:
Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura
Istituto Seraphicum
Via del Serafico,1 – 00142 Roma-Eur
(raggiungibile con la METRO B capolinea Eur- Laurentina)

Per informazioni: segreteria telefonica allo 06-95.24.188 (lasciare nome e telefono e sarete richiamati) o per telefono al 335-833.42.51 (prof. Giuseppe Ragnetti) o al 329-63.22.430 (prof.ssa Alessandra Romano) o via posta elettronica a: info@istitutofattorello.org oppure a gragnetti@tiscali.it

Seminario intensivo Ariccia 2014

I Fatti del Fattorello

Seminario intensivo di Studi 2014

Anche quest’anno, nelle giornate del 7 e 8 giugno, si è tenuto il consueto week-end out-door, ad ARICCIA presso l’ospitale “Casa del Divin Maestro”, immersa nel verde di un parco secolare, con vista sul magnifico Lago di Albano.

E’ ormai una tradizione per gli iscritti all ‘ Istituto “Francesco Fattorello” approfondire gli argomenti affrontati durante l’anno, in insolite lezioni nel verde, sotto l’esperta guida del prof. Giuseppe Ragnetti.

Nella sessione intensiva di Ariccia si sono privilegiati gli aspetti pratici della comunicazione che hanno coinvolto tutti i partecipanti.

Particolarmente apprezzato e sentito il dopocena con “La storia infinita” e il “Vorrei ma non posso e potrei ma non voglio”

Ancora una volta il tempo è volato e il momento dei saluti ha lasciato l’amaro in bocca ma con un sincero desidero di “arrivederci a presto!”

Seminario intensivo di Studi ad Ariccia per il fine Corso 2014

Anche quest’anno, nelle giornate del 7 e 8 giugno, si è tenuto il consueto week-end out-door, ad ARICCIA presso l’ospitale “Casa del Divin Maestro”, immersa nel verde di un parco secolare, con vista sul magnifico Lago di Albano.

E’ ormai una tradizione per gli iscritti all’Istituto “Francesco Fattorello” approfondire gli argomenti affrontati durante l’anno, in insolite lezioni nel verde, sotto l’esperta guida del prof. Giuseppe Ragnetti.

Nella sessione intensiva di Ariccia si sono privilegiati gli aspetti pratici della comunicazione che hanno coinvolto tutti i partecipanti.

Particolarmente apprezzato e sentito il dopocena con “La storia infinita” e il “Vorrei ma non posso e potrei ma non voglio”.

Ancora una volta il tempo è volato e il momento dei saluti ha lasciato l’amaro in bocca ma con un sincero desidero di “arrivederci a presto!”.

Alcune foto del Seminario di Ariccia scattate dal grande fotografo, Fattorelliano DOC, Roberto Gaeta Carinucci

Nella foto single il prof. Ragnetti ovvero “Il vecchio e il lago” parafrasando un classico della letteratura mondiale: “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingwai

Missione Compiuta

MISSIONE COMPIUTA

di GIUSEPPE RAGNETTI
Direttore Istituto Francesco Fattorello – Roma
A trent’anni dalla scomparsa di Francesco Fattorello e dopo diversi decenni dall’ultima edizione, ho sentito il dovere di pubblicare di nuovo la Teoria della Tecnica Sociale dell’Informazione ideata e insegnata per la prima volta da Francesco Fattorello sin dall’anno accademico 1947/ ‘48 (Francesco Fattorello, Tecnica Sociale dell’informazione. La rivoluzione nella comunicazione: da target a persona. Safarà Editore Pordenone2015)

Come direttore dell’Istituto che porta il nome dell’insigne studioso ho avuto la responsabilità di diffondere i suoi insegnamenti attraverso i corsi di formazione nei contesti più diversi e in quelli istituzionali regolarmente attivati ormai da settanta anni, ed ora attraverso questa nuova edizione della Tecnica Sociale.

L’obiettivo che intendiamo raggiungere è quello di mettere a disposizione degli studenti e degli operatori interessati l’approccio teorico fattorelliano che rappresenta una visione di una incredibile modernità e ci sembra poter fornire una risposta adeguata alle crescenti esigenze di informazione e comunicazione che connotano le società democratiche di oggi.

La Tecnica Sociale dell’Informazione è l’unica teoria italiana del settore, formulata su rigorose basi scientifiche.

E’ una costruzione metodologica profondamente radicata nella tradizione culturale europea proprio perché si basa sul presupposto che non possa esistere una impostazione teorica sulla comunicazione sempre valida ed applicabile a qualunque recettore ma che una metodologia sui processi di interazione tra chi promuove e chi riceve la comunicazione, debba necessariamente essere tarata sul recettore.

Ecco allora il recettore non più oggetto passivo della comunicazione che diviene, a sua volta, un soggetto opinante di pari dignità che interagisce sempre e comunque con il promotore, all’interno di una complessa dinamica sociale. Da qui l’apporto fondamentale di una Tecnica Sociale che ricerca l’adesione e quindi il consenso dei destinatari sulla base delle loro attitudini sociali.

Attitudini sociali intese come disponibilità ad accettare le opinioni proposte, a seconda della propria acculturazione, intendendo per acculturazione tutto ciò che l’ambiente sociale ha, inevitabilmente, trasferito nell’arco di tutta una vita a qualsiasi essere umano. La Teoria della Tecnica Sociale si pone in netta antitesi con l’impostazione teorica anglosassone che per decenni ha inteso far leva sulla psiche dell’individuo attribuendo alla comunicazione in senso lato capacità di “persuasione occulta”.

Francesco Fattorello, la sua vita, il suo pensiero, la sua Teoria: la nostra eredità. Francesco Fattorello fu il primo studioso dell’informazione e della comunicazione ad andare controcorrente.

Anticipando di oltre mezzo secolo quella che sarebbe stata poi l’impostazione teorica adottata in tutto il mondo, ebbe il coraggio e la determinazione di attaccare scientificamente le più accreditate teorie di oltreoceano. E lo ha fatto in un periodo, il primo dopoguerra, in cui tutta l’élite culturale e tutta l’Accademia del nostro Paese accettava acriticamente impostazioni “esotiche”, suggestive quanto si vuole, ma prive di qualsiasi humus scientifico.

I risultati pragmatici permettevano agli Americani di insistere nelle loro assurde impostazioni teoriche e ai nostri “accademici” di inchinarsi ossequiosi di fronte a cotanto ingegno.

Francesco Fattorello non si unì al coro dei replicanti ma volle analizzare a fondo e capire il fenomeno arrivando a conclusioni diametralmente opposte. A distanza di oltre 70 anni dalla sua prima elaborazione, l’impostazione teorica fattorelliana è ormai adottata in tutti i paesi del mondo, anche e soprattutto nel mondo anglosassone ormai totalmente allineato con le nostre posizioni.

E infine, a riprova di quanto sopra, con orgoglio e passione possiamo scrivere “Missione compiuta”!!! Francesco Fattorello che ci guarda da lassù, sarà sicuramente contento…Nel trentesimo anniversario della sua morte, finalmente la sua Teoria è stata pubblicata in lingua inglese dalla PRESTIGIOSA CASA EDITRICE (PALGRAVE-MAC MILLAN-LONDON) con diffusione nei principali Paesi del mondo.

Negli annuali convegni internazionali di IAMCR/AIERI, la Tecnica sociale farà bella mostra di sé e potrà essere acquistata da tutti gli studiosi interessati, che finalmente potranno conoscere Francesco Fattorello e la sua impostazione teorica.

Corso istituzionale di “Comunicazione” – 2014

Istituto_Fattorello FBl’appuntamento più atteso della settimana:

I LUNEDI’ DELLA COMUNICAZIONE AL “SERAFICO”
il piacere di ascoltare, conoscere, capire per comunicare

L’Istituto Francesco Fattorello in Roma, la prima Scuola di comunicazione in Italia, propone ogni settimana una full immersion relazionale e comunicativa

Dal 3 febbraio 2014 a fine giugno, tutti i lunedì dalle 17.30 alle 21.00, ti aspetta il Corso di “SCIENZE E METODOLOGIA DELL’INFORMAZIONE E TECNICHE DELLA COMUNICAZIONE” con le seguenti aree tematiche:

  • Teoria della Tecnica sociale dell’Informazione
  • Scienze dell’Opinione
  • Tecniche della comunicazione scritta e orale
  • Rapporti interpersonali e comunicazione non verbale
  • Modalità relazionali: controllo delle barriere e sviluppo delle competenze comunicative
  • L’arte dell’ascolto e la sua funzione comunicativa
  • I linguaggi della comunicazione
  • Marketing e comunicazione politica
  • Promozione dell’Immagine e Tecniche operative
  • Funzioni aziendali e comunicazione organizzativa

La valutazione finale degli iscritti all’Istituto Fattorello individua anche la loro attitudine e disponibilità a:
– sviluppare rapporti interpersonali positivi
– comunicare in maniera chiara ed efficace in ogni possibile occasione
– gestire senza conflittualità i gruppi di lavoro
– contribuire in maniera creativa agli aspetti interattivi della didattica
– farsi carico di studi e ricerche di apprendimento, per argomenti di particolare interesse, su stimoli forniti dal docente
– presentare in aula relazioni su ricerche effettuate
– socializzare in senso lato
– affrontare situazioni e problemi in ottica propositiva, anche con l’individuazione di piccole innovazioni

Il nostro 68° Corso annuale dà continuità all’insegnamento della Tecnica Sociale dell’Informazione, già impartito dal prof. Francesco Fattorello presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, sin dal 1947.

La validità scientifica della nostra proposta formativa è garantita dalle originali metodologie dell’Istituto, unica Scuola regolarmente autorizzata e legittimata ad approfondire e diffondere l’impostazione teorica fattorelliana, anche attraverso l’attivazione di regolari Corsi didattici.

I nostri Corsi, nel pieno rispetto della volontà espressa dal prof. Fattorello prima e dai suoi eredi poi, non hanno subito discontinuità di nessun genere, consentendo in tal modo lunga vita alla prima Scuola italiana del settore.

L’Istituto è diretto dal prof. Giuseppe Ragnetti che ha contribuito alla diffusione della “Teoria della Tecnica sociale dell’informazione” in ambito universitario, attraverso il suo insegnamento presso il Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione e presso la Laurea Specialistica in Editoria Media e Giornalismo dell’Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino e presso altre Università italiane, nonché in prestigiosi contesti quali SSAI – Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, Questure, Prefetture, Scuola di Polizia Giudiziaria, Scuole di Formazione politica, Corsi di Comunicazione per le Forze dell’Ordine, Enti pubblici e Organizzazioni private.

Il prof. Ragnetti, garante della coerenza e correttezza delle diverse discipline nei confronti dell’impostazione teorica originale dell’Istituto, è coadiuvato da un équipe di Docenti, tutti ex allievi dell’Istituto stesso.

Con 68 anni di tradizione scientifica alle spalle e con tutta la responsabilità che ne deriva, adeguando tuttavia costantemente gli strumenti didattici e gli obiettivi della ricerca alle esigenze dei tempi e, talvolta, anticipandone l’evoluzione, l’Istituto si propone di fornire ancora oggi il bagaglio culturale indispensabile ai “maestri della comunicazione” ed a tutte le attività che si avvalgono delle migliori abilità relazionali e comunicative.

Una corretta comunicazione , comprendere e farci comprendere, ci dà forza, coraggio, voglia di fare, ci rende attori-protagonisti della nostra vita, ci permette di aiutare gli altri e noi stessi.

Se vuoi intraprendere uno dei tanti “mestieri della comunicazione” o più semplicemente superare i ”blocchi della comunicazione” e la paura del parlare, se vuoi acquisire maggiore autorevolezza, assertività e capacità di ascolto,
se vuoi guadagnarti la stima e la considerazione dei tuoi interlocutori e ottenerne condivisione e consenso o, ancor di più, se vuoi aumentare la stima di te stesso e la fiducia nelle tue potenzialità allora è questo il Corso che stavi cercando.

La Sede didattica del Corso è presso la:
Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura
Istituto Seraphicum
Via del Serafico,1 – 00142 Roma-Eur
(raggiungibile con la METRO B capolinea Eur- Laurentina)

Per informazioni: segreteria telefonica allo 06-95.24.188 (lasciare nome e telefono e sarete richiamati) o per telefono al 335-833.42.51 (prof. Giuseppe Ragnetti) o al 329-63.22.430 (prof.ssa Alessandra Romano) o via posta elettronica a: info@istitutofattorello.org oppure a gragnetti@tiscali.it

La Comunicazione Non Verbale

Istituto “Francesco Fattorello” Roma – Direttore: G. Ragnetti

Tesina di fine corso 2014 di Alessandro Raimondi

LA COMUNICAZIONE NON VERBALE

Cenni alla comunicazione non verbale e all’importanza del contesto culturale per evitare fraintendimenti e missunderstanding tra gli interlocutori.

Indice

  • INTRODUZIONE
  • COS’È LA COMUNICAZIONE NON VERBALE
  • GLI ESEMPI
  • GLI ALTRI PAESI
  • CONCLUSIONI

INTRODUZIONE

Prima di iniziare la trattazione del tema che ho scelto per questo lavoro, vorrei fare alcune considerazioni in merito a questo corso e spiegare quale siano le motivazioni che mi hanno spinto a scegliere questo argomento.

Volendo essere onesto dico subito che ho sempre sottovalutato l’aspetto della comunicazione, o meglio, avendo già avute esperienze e seguito altri corsi sulla comunicazione, non ritenevo utile iniziarne un altro. Anche perché la mia filosofia era “visto uno visti tutti”.

Nonostante il mio scetticismo ho deciso di partecipare alla prima lezione conoscendo il Prof. Ragnetti.  

Premetto che non sono una persona facile da impressionare, ma appena il professore ha iniziato a parlare sono rimasto esterrefatto. Il suo modo di muoversi, la sua mimica, il suo tono di voce, insomma la sua tecnica di comunicazione mi aveva ammaliato. Ho quindi deciso di lasciare da parte i miei pregiudizi ed iscrivermi al corso.

Il motivo che, invece, mi ha portato a scegliere il tema della comunicazione non verbale è riconducibile alla mia esperienza Erasmus in Finlandia, dove l’incontro con culture completamente diverse dalla mia mi ha mostrato come gesti e comportamenti utilizzati durante la comunicazione, portino in realtà ad interpretazioni diverse a seconda del nostro background culturale.

Per concludere le mie considerazioni ci tengo a sottolineare come il corso sia stato utile nel farmi rivedere la mia posizione in merito all’importanza della comunicazione e nell’affermare che non ci sono tecniche standard per affrontare le varie situazioni ma ognuna debba essere gestita in maniera esclusiva.

COS’È LA COMUNICAZIONE NON VERBALE

La comunicazione non verbale è quella parte della comunicazione che comprende tutti gli aspetti di uno scambio comunicativo che non riguardano il livello puramente semantico del messaggio, ossia il significato letterale delle parole che compongono il messaggio stesso, ma che riguardano il linguaggio del corpo, ovvero la comunicazione non parlata tra persone.

Oltre alla nostra bocca anche la postura del corpo , lo sguardo degli occhi e il contatto fisico ci aiutano a comunicare e sottolineare quello che vogliamo dire. 

La visione comune tende a considerare questo tipo di comunicazione come universalmente comprensibile, al punto da poter trascendere le barriere linguistiche.

Secondo il professore e sociolinguista inglese Michael Argyle in una comunicazione faccia a faccia utilizziamo una molteplicità di strumenti quali: 

  1. espressione facciale
  2. contatto visivo o sguardo fisso
  3. gesticolazione
  4. postura
  5. tatto e comportamento spaziale o prossemica
  6. Il linguaggio del corpo è in parte innato, e in parte dipende dai processi di socializzazione

Il linguaggio del corpo è in parte innato, e in parte dipende dai processi di socializzazione.

In effetti i meccanismi dai quali scaturisce la comunicazione non verbale sono assai simili in tutte le culture, ma ogni cultura tende a rielaborare in maniera differente i messaggi non verbali. Ciò vuol dire che forme di comunicazione non verbale perfettamente comprensibili per le persone appartenenti ad una determinata cultura possono invece essere, per chi ha un altro retaggio culturale, assolutamente incomprensibili o addirittura avere un significato opposto a quello che si intendeva trasmettere.

Vi è mai capitato di conoscere una persona del nord Europa, in Italia da qualche giorno, e sentirvi dire che gli Italiani sono persone  aperte e molto disposte ai rapporti interpersonali?

Oppure vi è capitato, al contrario, di sentire un vostro conoscente che è stato nel nord Europa per un certo periodo di tempo, affermare che le persone del luogo in cui si trovava sono fredde e poco aperte alle conoscenze?

Le due domande sono, sostanzialmente, il luogo comune in cui incappano tutti coloro che pongono poca attenzione alle differenze culturali. Un esempio concreto forse ci può meglio aiutare a comprendere la questione.

“se ci troviamo in un paese scandinavo e stiamo aspettando l’autobus seduti su di una panchina, è pressoché certo che nessun altro si siederà sulla stessa panchina, al massimo qualche “ impavido” potrà sedersi al lato opposto mettendo più distanza possibile tra noi e lui. Questo atteggiamento è interpretato da persone di altre culture come quella ispanica o mediterranea, come un comportamento molto chiuso e freddo, ma in realtà per un nordico si tratta di una cosa normalissima.”

Difatti porre distanza tra due persone significa non voler ledere la privacy e l’intimità della persona con cui ci stiamo rapportando, ed è per questo che un atteggiamento comune può essere frainteso se viene analizzato senza essere contestualizzato.

Continuando nell’analisi della comunicazione, è importante annotare come la maggior parte degli studiosi del linguaggio ritiene che il  90% della nostra comunicazione giornaliera è non-verbale e che ,dal momento che la comunicazione è strettamente ambivalente, possiamo facilmente comprendere quanto sia più grande il rischio di non capire quando si è al telefono piuttosto che quando si parla faccia a faccia.

Uno studio condotto nel 1972 da Albert Mehrabian (Non-verbal communication) ha mostrato che ciò che viene percepito in un messaggio vocale può essere così suddiviso:

  • Movimenti del corpo (soprattutto espressioni facciali) 55%
  • Aspetto vocale (volume, tono, ritmo) 38%
  • Aspetto verbale (parole) 7%

L’efficacia di un messaggio dipende quindi solamente in minima parte dal significato letterale di ciò che viene detto, e il modo in cui questo messaggio viene percepito è influenzato pesantemente dai fattori di comunicazione non verbale.

GLI ESEMPI

Prima di analizzare qualche classico esempio, di come dovrebbero essere interpretati alcuni comportamenti è opportuno ricordarci che : un determinato comportamento non verbale non ha sempre lo stesso significato in tutti i contesti. Detto diversamente, il significato è generalmente dipendente dal contesto. Questa dipendenza può essere di vari tipi: culturale, sociale, personale, situazionale, etc.

Ecco un esempio pratico di quanto appena detto. Normalmente si dice che toccarsi/pettinarsi sovente con la mano i capelli è un comportamento che denota insicurezza. La cosa è vera nella maggior parte dei casi. Nel senso che nella maggior parte dei contesti in cui un comportamento tale si verifica, si può ragionevolmente inferire che il soggetto che lo attua esprime un certo grado di insicurezza o timidezza.

Ma lo stesso comportamento può ugualmente denotare narcisismo o desiderio di farsi notare, in particolare se i capelli sono di una certa lunghezza. Come quindi sapere quale è il giusto significato da attribuire a questo comportamento? Chiaramente riferendosi al contesto e ad altre informazioni che si hanno disponibili.

Una persona che ad esempio si passa la mano tra i capelli e lo fa piegando leggermente la testa di lato, con scioltezza di movimenti e senza abbassare lo sguardo, probabilmente denota narcisismo o desiderio di piacere. Al contrario, una persona che si passa la mano tra i capelli, reclinando leggermente la testa in avanti e abbassando lo sguardo, ha buona probabilità di denotare insicurezza e timidezza.

Altre informazioni per attribuire il giusto significato nell’esempio in questione, sono desumibili dal tono di voce, dalla postura del corpo e da altri comportamenti non verbali messi in atto da chi abbiamo di fronte. Tutto questo per dire che l’attribuzione di un determinato significato ad un certo comportamento è una operazione di “interpretazione” che come qualsiasi altra interpretazione che da un significato ad un certo segno (il comportamento), deve fare riferimento all’insieme dei segni disponibili nella situazione in cui ci troviamo.

L’interpretazione di un comportamento è quindi un’operazione “globale” che coinvolge tutte le informazioni in nostro possesso.

La tabella che segue deve quindi essere letta avendo presente questo spirito interpretativo “globale”. I significati riportati nella tabella, non sono quindi assoluti e validi necessariamente in ogni contesto. Sono invece quelli più probabili nella maggior parte delle situazioni che possono presentarsi.

COMPORTAMENTO SIGNIFICATO
Camminata eretta e decisa Confidenza, sicurezza
Stare in piedi con le mani sui fianchi Prontezza nel reagire, agressività
Stare seduti a gambe accavallate con i piedi che scalciano leggermente Noia, disinteresse
Stare seduti con le gambe non accavallate e rilassate Apertura, disponibilità
Tenere le braccia incrociate sul petto Difesa, chiusura
Poggiare la mano al mento/guancia Riflessione, pensiero
Toccarsi/sfregarsi leggermente il naso Dubbio, bugia
Sfregarsi l’occhio Dubbio, incredulità
Mani giunte dietro la schiena Frustrazione, sottomissione, rabbia
Testa appoggiata alle mani, sguardo basso Noia, compunzione
Sfregarsi le mani Aspettativa, pregustazione
Mani incrociate dietro la testa, busto eretto o gambe incrociate Autostima, superiorità
Mani aperte, palmi in mostra Sincerità, innocenza
Sfregarsi/pizzicarsi la parte superiore del naso Dubbio, valutazione negativa
Tamburellare con le dita Impazienza
Unire i polpastrelli delle mani Autorità, sicurezza, valutazione
Toccarsi continuamente i capelli Insicurezza oppure narcisismo
Piegare/sporgere la testa in avanti Interesse
Accarezzarsi il mento Riflessione, processo decisionale
Sguardo verso il basso e testa leggermente voltata Incredulità
Mangiarsi le unghie Insicurezza, nervoso
Tirarsi leggermente o toccarsi le orecchie Indecisione

GLI ALTRI PAESI

Come ripetuto innumerevoli volte nei paragrafi precedenti, quello che è importante, nei processi di comunicazione, è capire come i nostri atteggiamenti e i nostri comportamenti vengono interpretati dai soggetti che ci stanno ascoltando o con cui interagiamo.

La simpatica immagine che abbiamo riportato, era utilizzata da una pizzeria finlandese come tovaglietta. Sebbene volesse suscitare ilarità e intrattenere i clienti mentre aspettavano di essere serviti, è anche uno spunto di riflessione per capire come alcuni gesti che ci accompagnano nella quotidianità, siano in realtà comprensibili solo da chi condivide la nostra cultura. L’immagine 2, per esempio, che significa “finito” può, oltre che non essere capita, anche essere fraintesa a seconda di chi ci troviamo davanti. Difatti se noi ci trovassimo a parlare con un americano e decidessimo di utilizzare quel gesto, con molte probabilità il nostro interlocutore non ci capirebbe perché nella sua cultura significherebbe “bell’idea” oppure “hai ragione”.

È importante quindi conoscere gli usi e i costumi delle altre culture per evitare di utilizzare gesti che non hanno nulla a che fare con il contesto in cui ci troviamo, e che invece possono creare problemi di missunderstanding.

CONCLUSIONI

Concludendo, abbiamo visto che ogni volta che comunichiamo con qualcuno, sia questo il fruttivendolo al mercato del paese o il dirigente della multinazionale con la quale stiamo per concludere un contratto, è sempre importante far coincidere ciò che vogliamo dire con le parole, con quello che dice il nostro corpo, attraverso la nostra postura e i nostri gesti. Inoltre è doveroso, nei nostri confronti, effettuare un’analisi del contesto in cui ci andiamo a relazionare, facendo distinzione in base alla situazione in cui ci troviamo e alla cultura delle persone che ci stanno ascoltando.

Tutto questo, ovviamente, è importante per evitare che ci siano fraintendimenti e missunderstanding tra noi e i nostri interlocutori.


SITOGRAFIA  

1. Wikipedia the free encyclopedia
2. Enciclopedia Treccani
3. www.comunicazionenonverbale.org
4. www.galileonet.it

[1]La prossemica è la scienza che studia i messaggi inviati con l’occupazione dello spazio.

“La Voce” di Montanelli: l’insuccesso della stampa ideologica

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” URBINO

Facoltà di SOCIOLOGIA – Corso di Laurea: Editoria Media Giornalismo

Esame di Tecniche di relazione

Prof. Giuseppe RAGNETTI

TEORIA DELLA TECNICA SOCIALE DELL’INFORMAZIONE

Luca Valente – Matricola 219901

Anno Accademico 2006/2007

“LA VOCE” DI MONTANELLI: L’INSUCCESSO DELLA STAMPA IDEOLOGICA

Noi volevamo fare, da uomini di destra, il quotidiano di una destra veramente liberale che si sente oltraggiata dall’abuso che ne fanno gli attuali contraffattori”: era l’aprile del 1995 e così scriveva Indro Montanelli nell’ultimo editoriale del quotidiano “La Voce”.

In queste poche righe emergono tutte le contraddizioni di uno dei fallimenti editoriali più eclatanti del secondo dopoguerra. L’insuccesso de La Voce, la creatura che Montanelli aveva così ardentemente desiderato, incorpora tutti gli elementi di quella che si è soliti chiamare “stampa ideologica”, ne racchiude in se la portata limitata, il carattere autoreferenziale e l’inevitabile caduta. Sulla base di queste prerogative ci si potrebbe spingere, in maniera forse un po’ troppo presuntuosa a rivalutare la figura di colui che è stato considerato il più grande giornalista del secondo dopoguerra.

Ovviamente appare inverosimile adeguarsi a tale considerazione. Se, come sembrerebbe, il giornalista mira ad ottenere una adesione d’opinione tempestiva e contingente da parte del suo lettore a quanto egli riferisce, affidandosi a “opinioni stereotipate” appare sorprendente come Montanelli non sia stato in grado di conservare una creazione del tutto personale e già prima di veder la luce brillava del prestigio dello “stregone”.

Indro Montanelli parla de La Voce già nel suo ultimo fondo scritto per il Giornale della famiglia Berlusconi, intitolato “Vent’anni dopo” ed apparso il 12 gennaio 1994. Lasciando il quotidiano da lui fondato non dice addio ai suoi lettori, il suo è un arrivederci a quanti vorranno seguirlo nella sua nuova avventura: : “A presto, cari lettori. Anche a costo di ridurlo per i primi numeri a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà La Voce…”, in omaggio al  maestro Prezzolini, e la sua caratteristica principale sarà “…un assetto azionario che ne garantisca l’assoluta indipendenza”.

Già in queste poche parole si evince la spregiudicatezza e il coraggio che caratterizzeranno il suo giornale. Tenendo fede alla sua innata libertà fonda una public company nell’idea che un giornale non potrà essere veramente libero se legato più o meno direttamente ad un padrone.

Gli slogan che caratterizzeranno la promozione del quotidiano ruoteranno attorno al tema “La Voce: unico padrone il lettore”. Ma proprio tale professione di fede sarà una delle cause della fine del giornale. La libertà di stampa e la necessità di creare nell’editoria italiana una vera public company lontana da condizionamenti esterni non garantisce un netto posizionamento politico nel quadro generale dell’editoria italiana né per gli investitori né per i lettori. In questa situazione ovviamente risulta difficile ottenere la fiducia necessaria per nuovi finanziamenti. L’incapacità del quotidiano di trovare una propria posizione politica, l’”opposizione organica” al limite della fronda è una delle cause principali del suo fallimento.

Dopo una prima settimana di vendite record il nuovo quotidiano uscito il 22 marzo 1994 inizierà un fase discendente fino alla chiusura il 12 aprile dell’anno dopo. L’incapacità maggiore è stata dunque la presunzione di rivolgersi ad un pubblico non delineato. “La Voce” appare un organo d’informazione svincolato da qualsiasi interpretazione, una sorta d’ibrido incapace di rivolgersi a destra o a sinistra. La destra ideale alla quale Indro aspira è una destra che in realtà non esiste. Nel processo d’informazione che intende creare non esiste soggetto recettore.

Il suo limite è tutto qui. Il quotidiano nonostante ogni sorta d’astrazione è un prodotto editoriale, e in quanto tale ha bisogno di un pubblico assiduo e fedele che lo acquisti. La convergenza delle interpretazioni, quella tra soggetto promotore e forma dell’oggetto e quella tra recettore e  forma trasmessa attraverso il giornale, non si realizza perché il quotidiano montanelliano appare slegato dalla quotidianità, completamente autoreferenziale. E’ questa gestione poco accorta, la difficoltà o forse la non volontà, di scavarsi una nicchia di lettori in un mercato sempre più competitivo che ne determineranno l’insuccesso.

Ripercorriamo le tappe fondamentali della vita del giornale.  La Voce esce nelle edicole il 22 marzo del 1994. E’ un giornale innovativo, alternativo. Attraverso una grafica accattivante vengono trattate poche notizie importanti da approfondire intensamente lasciando a quelle meno importanti uno spazio ridotto.

Forse proprio la caratteristica principale del giornale sta nel suo modo di trasmettere la notizia, che sfruttando le capacità comunicative della grafica non ha nulla da invidiare alla televisione. Si distingueva per le poche pagine pressoché prive di pubblicità, numerose rubriche, molti articoli d’opinione e dei fotomontaggi pubblicati in prima pagina.  Il 29 marzo “La Voce” vende ancora 331.892 copie: da questo momento in poi comincia però l’emorragia mai arrestata. Nonostante i primi tre mesi positivi si assiste nell’arco dell’anno ad un calo inarrestabile delle vendite che arrivano ad un minimo di 50mila copie. Forse non ci si aspettava un Montanelli così moderno.

Stranamente il giornalista italiano che più di tutti ha semplificato il suo linguaggio per rendere agevole la comunicazione con i lettori, suoi interlocutori privilegiati, ha ora complicato al massimo la sua posizione, alternativamente scagliando fulmini contro la destra e richiamando brani delle sue battaglie contro la sinistra. Continua a provare, ma non riesce a spiegare perché, pur continuando a definirsi uomo di destra, vota a sinistra anziché scendere in campo per cambiare dall’interno questa destra che non gli piace. Anche per questo a fine maggio “La Voce” ha già perso moltissimi lettori; la tiratura è ormai stata dimezzata: nonostante il trasferimento in via Dante dei più prestigiosi collaboratori de Il Giornale, molti affezionati montanelliani sono ritornati al quotidiano di Feltri.

La redazione conta ormai nelle sue fila firme di tutto rispetto e di gran nome in ogni campo: da Enzo Bearzot, mentore dell’Italia ai Mondiali dell’Ottantadue, a Leopoldo Elia, ex presidente della Corte Costituzionale; da Giuliano Amato, ex presidente del Consiglio, all’economista Mario Baldassarri. E questi sono soltanto i nuovi acquisti.

La squadra nasce già ricca, con l’arrivo da Il Giornale di Ricossa, Pampaloni, Marongiu, Gina Lagorio e Armaroli, per citarne alcuni. Niente di tutto questo si rivela utile per bloccare l’emorragia di copie vendute dopo la vittoria di Forza Italia alle elezioni, e seppure i redattori e gli amministratori, sulle ali dell’entusiasmo, non diano troppo peso a questi primi campanelli d’allarme, la situazione si fa problematica.

A dimostrazione di quanto la forza del quotidiano montanelliano derivi dal suo direttore, accade un fatto che rappresenterà una ferita insanabile. Montanelli partecipa il 13 settembre ad un dibattito sull’informazione organizzato a Modena alla Festa de l’Unità, e per lui è un trionfo: una moltitudine di simpatizzanti del Pds lo applaude entusiasta.

Le Reti Fininvest e Il Giornale non perdono l’occasione di attaccare Montanelli, novello comunista, e La Voce; ma il peggio è che i lettori sembrano credere alle accuse, e nel giro di pochi giorni quasi in diecimila abbandonano il quotidiano. Montanelli, a suo dire, è stato vittima della sua ingenuità: invitato a partecipare ad un dibattito con Walter Veltroni, Paolo Mieli, direttore del Corriere, e Ezio Mauro, direttore della Stampa, si trova invece di fronte Massimo D’Alema e una folla di uomini di sinistra che lo acclama come se fosse uno dei loro. Il direttore nega, polemizza, attacca la sinistra italiana, esprime le idee di sempre insieme con le recenti critiche alla destra al potere nella quale non si riconosce, ma i suoi commenti restano inascoltati, sommersi dagli applausi e dall’entusiasmo.

L’opinione pubblica italiana vede la superficie, gli applausi, le acclamazioni: non si preoccupa di quello che Indro Montanelli ha dichiarato, lo crede ormai schierato con la sinistra. Ed è così che viene avvalorato l’equivoco che l’accompagnerà fino alla fine, grazie soprattutto alle strumentalizzazioni che di questo episodio sono state fatte. Montanelli ribadisce più volte di essere un uomo di destra che non si riconosce nella destra al potere, ma ragionando a suo modo finisce per sconcertare i suoi lettori, che lo trovano contraddittorio.

Montanelli racconta che “La Voce” si è spenta per diversi e innumerevoli errori la cui responsabilità è distribuita fra molti; ma non si sottrae alle sue.

Sostiene che l’errore più importante sia stato di fare un passo troppo lungo rispetto alle possibilità che la Piemmei, la casa editrice del quotidiano, offriva, sottolineando anche, però, che i sostenitori della stessa hanno mantenuto ben poche delle promesse sbandierate alla vigilia.

Il 12 aprile 1995 esce l’ultimo numero de La Voce, un numero ricco e speciale oltre ogni aspettativa: in prima pagina spicca il fondo del direttore dall’esplicativo titolo “Uno straniero in Italia”, affiancato da un fotomontaggio nel quale egli appare imbavagliato in un deserto popolato di avvoltoi e sciacalli e sottotitolato appunto “Il giorno degli sciacalli”.

Nell’editoriale Montanelli racconta di cause “congiunturali” per la chiusura de La Voce, come l’aumento del prezzo della carta, il calo della pubblicità per la concorrenza della televisione, la corsa ai gadget e supplementi dei quotidiani nazionali forti. “Ma tutto secondario rispetto al difetto d’origine. Noi volevamo fare, da uomini di destra, il quotidiano di una destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi…Questa destra fedele a se stessa in Italia c’è. Ma è un’élite troppo esigua per nutrire un quotidiano”.

Volendo la nostra analisi potrebbe terminare qui. Nelle parole dello stesso Montanelli appare evidente la sua ingenuità, forse dettata dall’ideologia, forse dalla volontà di cambiare gli italiani, forse dalla volontà di fare informazione non contingente. In interviste successive alla Stampa e al Corriere egli sfoga la sua tristezza nei confronti di una borghesia italiana che ha aiutato anziché contrastarla la fine di un quotidiano che ne sarebbe dovuto esser il miglior rappresentante.

La parte di questa borghesia non indirizzata sulla strada indicata dal padrone è a suo parere troppo esigua per la sopravvivenza di un quotidiano realmente indipendente. Ovviamente l’intento non è quello di sminuire la figura di uno degli uomini più importanti della cultura italiana, ma dimostrare come proprio uno dei giornalisti più affermati in Italia non abbia saputo tener presente alcune regole fondamentali dell’informazione.

E’ la sua cecità a destar sorpresa, una cecità non certo dettata dall’incapacità quanto dall’abbacinamento dell’ideologia, dell’intento educatore. Un giornale d’informazione che deve essere aperto ad un recettore generico non tratterà argomenti troppo speciali, né userà una terminologia troppo convenzionale. Le forme atte all’informazione pubblicistica devono essere fattori di conformità per tutti i componenti del gruppo cui si rivolgono.

Nello stabilire l’ampiezza delle notizie afferenti alla vita nazionale o internazionale il giudizio che ha il giornalista non discende dai valori universali ma da quelli pubblicistici che cioè egli ritiene più rispondenti ad una scala di valori dell’effetto. Sulla base di ciò volendo esemplificare la nostra analisi potremmo affermare che nell’ottica del quotidiano montanelliano emergono due errori fondamentali: la mancanza di un pubblico determinato al quale rivolgersi, la presunzione di poter educare facendo riaffiorare una destra ideale, ponendo le basi su valori fondamentali del liberalismo,”…lo spirito di servizio,il senso dello Stato,il rigoroso codice di comportamento…”.

In questo seconda finalità emerge il perché di un insuccesso che mai si sarebbe potuto prevedere. La missione educatrice, come la volontà di risvegliare valori fondamentali, non può essere della stampa la cui funzione precipua è quella dell’informazione contingente. La “funzione educatrice” è propria di un processo d’informazione non contingente così come “il cerchio di fatti transitori e di polemiche” è proprio della funzione giornalistica. E’ difficile associare l’uno con l’altro quanto più impensabile è affidare al secondo il compito del primo. La presunzione forse ingenua e accorata de La Voce è tutta qui, nella volontà di affidare al giornale, all’informazione pubblicistica una prerogativa che è tipica del libro o del maestro, confondere esigenze di tempestività ed opportunità contingente con un fenomeno basato sul processo razionale della logica.

Mentre l’informazione del contingente è fine a se stessa, mira alla formazione d’opinioni stereotipate in relazioni ad interessi contingenti, l’informazione non contingente costituisce la dinamica del processo di integrazione sociale,mira alla adozione di valori che sono in onore del gruppo sociale ed universalmente accettati.

Inoltre non bastando tali inadempienze d’ordine pratico, s’aggiunse la discrepanza tra obiettivi dichiarati, creare cioè una sorta di tribuna alla quale fossero ammesse tutte le opinioni sottoposte al controllo del lettore, e il marcato antiberlusconismo effettivo del quotidiano. Ovviamente il quotidiano nasce dal traumatico allontanamento di Montanelli da “il Giornale”, in seguito all’entrata in politica dell’editore Berlusconi.

Lo strappo che si viene a creare dunque non poteva non ripresentarsi nella struttura e nella posizione politica del nuovo giornale di Montanelli. La struttura organizzativa infatti puntava su un azionariato pubblico in grado di garantire al quotidiano una totale libertà. La public company, sebbene fosse un terreno inesplorato, era comunque un’idea attraente in quanto all’interno di un contesto dominato da editori “impuri” era l’unica possibilità per realizzare libera informazione, un’informazione senza bavaglio.

Nella nuova redazione Montanelli si sentirà libero, sia da condizionamenti esterni che da quelli interni. Questa innata indipendenza, supportata da una libertà tecnica lo porterà ad attaccare o elogiare alternativamente chiunque senza alcuna distinzione. Inutile negare che il suo bersaglio preferito resterà il suo ex-editore. L’astio nei confronti di Berlusconi si trasferì nel suo nuovo quotidiano, al punto che i suoi attacchi miravano a demolire l’intero schieramento di centro-destra finendo per allontanare dalla Voce tutti i lettori più tradizionalisti e reazionari.

Nonostante il direttore continuasse a prendere le distanze dalla nuova destra e a dichiarare l’impossibilità di una sua svolta a sinistra molti ormai lo consideravano un sostenitore di Occhetto. Secondo Marcello Staglieno, nel libro “Montanelli: 90 anni controcorrente” due sono i motivi del fallimento: il primo è l’assoluta mancanza di mezzi; quando Montanelli fondò Il Giornale, nel 1974, alle spalle aveva un colossale sponsor quale la Montedison di Eugenio Cefis. All’atto della fondazione de La Voce non ha alle spalle finanziatori dello stesso peso specifico.

Il secondo è scrivere da “oppositore organico” (ovvero senza appoggiare nessuno per partito preso, facendo la così detta “fronda”), ma guidare un giornale da opposizione frontale, totalmente antiberlusconiano; richiamandosi, peraltro, ad una destra ideale per sparare contro una destra reale e deludendo sia i vecchi lettori (“frondisti” incalliti) sia i nuovi (oppositori veri). Della stessa idea sono anche Mario Cervi, Gianni Locatelli, e Davide Blei.

L’antiberlusconismo acido e scontroso che ha dal principio caratterizzato La Voce è per loro a tratti anche comprensibile, data la fine travagliata del rapporto che legava il Cavaliere e il direttore, ma del tutto negativo in un’ottica di mercato. In questa ottica il giornale che nei fatti viene scritto per un pubblico che lo apprezzi,per esser venduto a sufficienza per coprire i costi non aveva un pubblico da soddisfare.

Per la sua impostazione, per l’aggressività congenita che lo caratterizzava si poneva in concorrenza con quotidiani di opposizione come la Repubblica mentre allo stesso tempo perdeva inevitabilmente i lettori più tradizionalisti e affezionati. Al tempo della Voce Montanelli non appariva più quello de il Giornale, in grado di incarnare i valori liberali.

Il conservatorismo illuminato che mai riconobbe nella nuova destra si leggeva nelle pagine de La Voce,un quotidiano che nella sua visione si rivolgeva proprio a quella borghesia che non ha mai amato,ben conscio che in Italia,salvo sporadici casi,non esiste borghesia,ma solo classe media, spesso mediocre.

Ora per quanto concerne la teoria della tecnica sociale appare evidente come nel corso della trattazione siano stati toccati, purtroppo in negativo, alcuni elementi peculiari della teoria di Francesco Fatterello.

La curiosità sta nel fatto che le mancanze di Montanelli ricadano su alcuni dei punti peculiari della teoria della tecnica sociale: l’impossibilità di confondere l’informazione contingente con quella non contingente, ed in particolar modo basare la prima su uno dei presupposti della seconda: i “valori condivisi” e non le “opinioni stereotipate”, la presunzione montanelliana di intendere il giornale come elemento d’educazione alla stregua de “Il popolo d’Italia” mazziniano.

Ciò che sorprende maggiormente è però la mancanza di sensibilità, come ho già detto, nel capire che il quotidiano è pur sempre un prodotto editoriale che ha bisogno di un pubblico al quale rivolgersi. Pavoneggiando magari la capacità di realizzare un giornale “aristocratico”, che ostentasse doti estetiche ed etiche alla stregua de Il Borghese di Longanesi, o le rivendicazioni culturali de “Il Mondo” di Pannunzio La Voce sembra evitare, addirittura bistrattare nel suo atteggiamento autoreferenziale, la figura del soggetto recettore della teoria fattorelliana.

Quel soggetto sociale che ha le stesse facoltà opinanti del giornalista-promotore, e che dovrebbe in questo avere lo stesso grado di socializzazione del secondo. Nello screditare tale mancata corrispondenza culturale (“volevamo fare il quotidiano di una destra veramente liberale”)  il rapporto d’informazione non avrebbe l’effetto voluto: il contenuto non potrebbe essere ricevuto o capito, oppure sarebbe capito male, con difficoltà e distonie rilevanti.

E’ quindi norma fondamentale per mettere in atto, con qualche risultato, un rapporto d’informazione, quella di essere edotti dei fattori di acculturazione del recettore. Solo  così il soggetto promotore potrà adeguarsi a lui. Adeguarsi, ma non rinunciare al suo scopo e a quella iniziativa sulla quale si era proposto di ottenere una conforme adesione di opinione.

Per Montanelli non sarà così. Appare sorprendente ma è la storia. «La Voce» chiude il 12 aprile 1995. Dopo i clamori dei primi mesi termina in sordina portando con se le amarezze del suo direttore.

S’intitola “Uno straniero in patria” l’ultimo editoriale del direttore.  Il titolone della prima pagina, quella dell’addio, suona così: “Il giorno degli sciacalli”. «Il mio viaggio finisce qui» dirà ai suoi redattori. Sempre controcorrente e fedele alle proprie convinzioni, fedele all’insegnamento per cui l’idea di uno vale più delle convinzioni della massa.

Di queste due esperienze, “Il Giornale” e “La Voce” dirà: «Sono state due battaglie e due sconfitte di cui vado fiero, ma che mi hanno lasciato addosso anche nel morale e nel fisico, troppe cicatrici».

Possiamo dire che, nell’annunciata sconfitta de “La Voce”, come uomo ebbe la sua vittoria, non come giornalista.