Il Cibo e la Comunicazione

Istituto“Francesco Fattorello” – dal 1947 “La via italiana alla comunicazione” – Direttore: prof. Giuseppe Ragnetti

CORSO ISTITUZIONALE DI COMUNICAZIONE – ANNO 2013 – “SCIENZE E METODOLOGIA DELL’INFORMAZIONE E TECNICHE DELLA COMUNICAZIONE

Tesina a cura di Carmen Andreea Silter 

“Il Cibo e la Comunicazione”

“Una corretta comunicazione ,  comprendere e farci comprendere, ci dà forza, coraggio, voglia di fare, ci rende attori-protagonisti della nostra vita, ci permette di aiutare gli altri e noi stessi”

INDICE

  1. La teoria fattoreliana
  2. L’alimentazione è…comunicazione
  3. Il cibo come linguaggio
  4. Bibliografia

LA TEORIA FATTORELIANA

Se dagli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale cominciarono a fiorire negli Stati Uniti gli studi sulle “mass comunication” e in Europa ci si interrogava sul ruolo di giornalisti e scrittori, in Italia, Francesco Fattorello promuoveva la costituzione dell’Istituto Italiano di Pubblicismo  e, nell’anno accademico 1947-48, iniziava Il Corso propedeutico alle professioni pubblicistiche, presso la Facoltà di Scienze statistiche dell’Università La Sapienza di Roma.

Fattorello riassunse i suoi insegnamenti nella “Tecnica sociale dell’informazione” , che fu base scientifica e metodologica di detta Scuola e assunse nel tempo il valore di “Teoria fattorelliana”, in quanto assoluto metodo di analisi di qualsivoglia forma di informazione e di comunicazione, che a tutt’oggi sia utilizzata.

Partendo dalla considerazione che gli uomini sono inclini ad associarsi per migliorare la loro esistenza, Fattorello considerò l’informazione come uno dei fenomeni sociali più rilevanti, in quanto espressione di un processo, al quale concorrono due o più soggetti appartenenti ad un gruppo sociale. 

I termini principali di tale fenomeno sociale sono l’informatore e il suo recettore: il maestro e il suo alunno; il giornalista e il suo lettore. Occorre inoltre la conoscenza del mezzo usato per concretare il rapporto stesso e, infine, è necessaria la conoscenza della forma che sia stata data all’oggetto dell’informazione.

Fattorello sintetizzò questi termini nella seguente formula ideografica.

X )                                

                               M

Sp                                                             Sr

                               O

Dove:

  • Sp è il soggetto promotore, che ha l’iniziativa della informazione;
  • Sr è il soggetto recettore;
  • M sono i mezzi o strumenti tramite i quali si può saldare il rapporto;
  • O indica la forma dell’oggetto dell’informazione.
  • La lettera X) è ciò di cui si parla, il motivo dell’informazione.

Molte sono le novità essenziali della “Teoria fattorelliana”. In primo luogo, Fattorello fu il primo studioso a comprendere che l’oggetto dell’informazione  X) è “fuori” dal rapporto stesso. Pur essendone il presupposto, (ma potrebbe anche non esistere o essere un falso), non coincide con il contenuto O del rapporto d’ informazione, poiché la forma, il contenuto è frutto della mediazione culturale del promotore, cioè scaturisce, anche in maniera inconsapevole, dalla sua esperienza.

Nuova è anche la messa in risalto del ruolo svolto dal soggetto recettore Sr, non più considerato mero soggettopassivo nei fenomeni  dell’informazione, ma soggetto che interagisce con tutti gli elementi del rapporto.

I moderni strumenti di comunicazione, radio, televisione, web, hanno sviluppato in larga misura l’interattività con il proprio pubblico, al fine di migliorare sempre più le possibilità di dialogo tra promotore e recettore.

Ulteriore grande innovazione contenuta nella Teoria fattorelliana è la duplice classificazione in informazione contingente (o dell’attualità) e informazione non contingente. La prima è quella legata alla novità, alla tempestività, alla periodicità e si avvale di stereotipi e fattori di conformità, per cogliere l’attenzione del maggior pubblico possibile, in un breve lasso di tempo, come avviene per i contenuti della stampa quotidiana e periodica, del cinema, della radio,della televisione e dell’informazione online. La seconda ha contenuti di approfondimento, che si rifanno a principi consolidati, normalmente espressi  nel testo e nelle immagini dei libri, che costituiscono la base di programmi didattici, che si articolano in lezioni e seminari  e si avvalgono di tempi più lunghi. 

Tornando però a noi, nel caso del cibo e dell’umanità abbiamo il seguente schemino:

  • Sp è il soggetto promotore, ossia io che assumo il cibo
  • Sr l’altro o gli altri che mi spingono a mangiare in un determinato modo
  • M il cibo
  • O direi anche il cibo come forma di informazione

Siamo noi quelli che assumiamo il cibo, ma veniamo spinti da emozioni, dal bisogno, dalla voglia.

Attraverso il cibo in modo indiretto riusciamo a trasmettere i nostri pensieri, le nostre gioie, le nostre preoccupazioni.

È questo uno dei motivi per cui mangiamo; esternalizzare i sentimenti più profondi, farci capire dagli altri non con le parole ma attraverso l’arte, attraverso la passione messa nel cucinare un piatto o mangiando in un determinato modo.

Andiamo a vedere più in concreto un esempio che sostiene la teoria su presentata, ed in particolare come influisce il cibo sulla vita di una persona ; come comunichiamo attraverso il cibo.

L’ALIMENTAZIONE è…COMUNICAZIONE

I cibi ed i comportamenti alimentari che si registrano nel tempo, traggono origine dal “significato” che nelle varie fasi della vita viene dato all’azione del mangiare. Il cibo, è ormai riconosciuto, non ha solo un valore nutritivo, ma anche un valore psicologico e sociale.

Quel che si mangia vuol dire non soltanto in modo concreto condizioni materiali ma anche elementi di affettività, di relazione umana. Il modo con cui affrontiamo il problema dell’alimentazione, ed in particolare le paure, sono insite e hanno origine nell’infanzia: il cibo fin dalla nascita assume un notevole significato che va oltre l’azione del mangiare; il neonato e poi il bambino “sente” che le persone che si prendono cura di lui non sono indifferenti al cibo che assume e molto presto scopre che il suo modo di alimentarsi può diventare strumento di potere  nei confronti degli adulti.

La preoccupazione occulta o manifesta degli adulti (mamma, nonna, zia…) perché il bambino mangia poco o troppo, la gioia perché ha mangiato seguendo le regole che loro hanno fissato, sono le premesse per caricare l’alimentazione di un altro “significato”, quello affettivo- relazionale che si aggiunge al valore dietetico- nutrizionale. Il bambino che percepisce che il suo alimentarsi ha effetto sugli adulti utilizza il suo potere quando decide di dichiarare “guerra” a chi gli sta accanto o vuole ottenere qualcosa.

Questa può essere la genesi delle problematiche che investono l’alimentazione in cui essa non ha più il solo significato di nutrire il corpo ma anche quella di stabilire un rapporto, una comunicazione. Questo fenomeno che ha inizio in una età molto precoce continua nell’età evolutiva e se i problemi relazionali, le comunicazioni conflittuali non si risolvono, rimangono sotterranei, occulti, non dichiarati; è possibile che si giunga a comportamenti alimentari scorretti.

Nelle mode alimentari la presenza degli altri e le relative risposte sono molto importanti, basti pensare al significato simbolico del “mangiare insieme” o del “mangiare con qualcuno” nei clubs, nelle associazioni, al contrario dell’espressione linguistica descrive una situazione totalmente opposta ”non ho mai mangiato con te” in cui il messaggio occulto anche se dominante è “non abbiamo nulla da condividere”. Nel rapporto con il cibo oltre  la risposta degli altri vi è qualcosa di più profondo: il rapporto con il proprio sé.

Se una persona ha difficoltà nell’accettarsi, se ha un cattivo rapporto con se stessa è molto difficile che possa sentirsi accettata dagli altri.

La persona che non si accetta mette in atto un dinamismo affettivo singolare: chiede conferme agli altri in modo continuo, ripetitivo e persino eccessivo. Basti pensare all’adolescente, che non si accetta e che mette in discussione il proprio corpo per le trasformazioni rapide ed evidenti, sente il bisogno di essere nutrita affettivamente, di essere accarezzata e per ottenere ciò farà in modo che il proprio fisico abbia quelle dimensioni che sono di moda nella società in cui vive e farà qualsiasi sforzo per omologarsi a quei “modelli”. Il valore estetico è più importante della salute del corpo, poiché il primo che colma l’inadeguatezza, l’insicurezza, la non accettazione di sé e degli altri.

Le mode placano ma non risolvono le inquietudini. Spesso nel non accettare il proprio corpo c’è anche la non accettazione della propria persona, questa difficoltà nei confronti del proprio Io e del mondo può portare a forme patologiche a livello di autopunizione e autodistruzione.

L’arcaica minaccia che il bambino lanciava ai genitori riguardo il cibo per dimostrare il diritto di esistere, di essere riconosciuto, di avere un potere può essere rivolto a se  stesso. L’adolescente si sdoppia in modo doloroso sfidando se stesso. E’ un gioco sottile, pericoloso, è il “tiro alla fune” in cui il protagonista dichiara di “volere” e di non “potere”. Le diete vengono cominciate ma mai finite, ad un prolungato digiuno segue un’assunzione smodata di cibo. L’ansia, la rabbia, l’inquietudine vengono sedate mangiando voracemente.

L’alimentazione segue i conflitti interni della persona che, non riconciliata con se stessa, sente minacciosa le presenze esterne.

L’alimentazione è sempre presente come tutte le altre volte o nelle altre circostanze in cui i problemi personali non sono stati risolti.

Sul piano educativo si possono fare delle considerazioni per trarre alcune conclusioni.

La prima constatazione, la più ovvia, è che l’alimentazione non è solo nutrizione ma riguarda anche la salute relazionale, affettiva, poiché oltre al corpo si alimenta un rapporto che tende a riprodursi nel tempo.

La seconda constatazione riguarda la separazione delle emozioni, dei sentimenti dagli alimenti fisici. In altre parole, il bambino che ha bisogno di essere seguito, accarezzato, riconosciuto non è necessario che faccia ricorso al cibo rifiutandolo ostinatamente.

Dall’altra parte l’adulto per gratificare il bambino non è necessario che ricorra solo al cibo o al momento in cui mangia. Se ciò avviene significa che egli è stato svalutato nella sua identità di persona.

La moda alimentare può, dunque, rappresentare il vertice estremo di una piramide di comportamenti che può rimanere innocua curiosità nella persona che ha una sua forte identità ma può trasformarsi in ossessione, attrazione per chi affida l’accettazione di sé agli altri, all’imitazione di modelli che riscuotono successo. Per concludere, si può affermare che “l’alimentazione sana garantisce salute alla persona” è questa una convinzione comune.

Si può aggiungere un valore educativo a questa frase e affermare che “la salute effettiva, relazionale con l’accettazione di sé e degli altri garantisce una sana alimentazione che restituirà alla persona un ulteriore benessere”.

IL CIBO COME LINGUAGGIO

“Convivio” rimanda etimologicamente a “cum vivere”, vivere insieme. Mangiare insieme (un altro carattere tipico, se non esclusivo, della specie umana) è un altro modo ancora per trasformare il gesto nutrizionale dell’alimentazione in un fatto eminentemente culturale. Ciò che si fa assieme agli altri, infatti, assume per ciò stesso un significato sociale, un valore di comunicazione, che, nel caso del cibo, appare particolarmente forte e complesso, data l’essenzialità dell’oggetto rispetto alla sopravvivenza dell’individuo e della specie.

I messaggi possono essere di varia natura ma, in ogni caso, trasmettono valori di identità.

Identità economica: offrire cibi preziosi significa denotare la propria ricchezza.

Identità sociale: soprattutto in passato, la quantità e la qualità del cibo erano in stretto rapporto con l’appartenenza a un certo gradino della scala gerarchica (il cibo, anzi, era il primo modo per ostentare le differenze di classe).

Identità religiosa: il pane e il vino dei cristiani vanno ben oltre la loro materialità, la dieta dei monaci ha sue regole, la quaresima si segnala con l’astinenza da certi cibi; in altri contesti religiosi, certe esclusioni o tabù alimentari (il maiale e il vino dell’Islam, la complessa casistica di cibi leciti e illeciti dell’ebraismo) hanno il ruolo prevalente di segnalare un’appartenenza.

Identità filosofica: le diete vegetariane legate al rispetto della natura vivente o, in passato, a sistemi più strutturati come la metempsicosi o trasmigrazione delle anime.

Identità etnica: il cibo come segno di solidarietà nazionale (la pasta per gli italiani, soprattutto all’estero, non è solo un alimento ma anche un modo per recuperare e riaffermare la propria identità culturale; lo stesso vale per il cuscus degli arabi e per tutti i cibi che, in ciascuna tradizione, costituiscono un segno particolarmente forte della propria storia e della propria cultura).

Anche le modalità di assunzione del pasto possono, di per sé, risultare significative: il banchetto di festa (battesimi, matrimoni, funerali) non è una “colazione di lavoro”, non solo dal punto di vista tecnico ma anche sul piano simbolico.

Tutte queste situazioni esprimono contenuti diversi, perfettamente comprensibili perché comunicati con un linguaggio codificato all’interno di ciascuna società. E appunto trattandosi di un linguaggio, interculturalità significa non solo disponibilità allo scambio tra culture diverse (come, ad esempio, sta avvenendo nei paesi europei in seguito alla forte immigrazione dai paesi islamici) ma, anche, conoscenza degli altri linguaggi, giacché è evidente che ciascun elemento può assumere, in contesti diversi, diverso significato.

Altrettanto evidente è che il tema centrale dell’interculturalità non consisterà nel proporre un rimescolamento e un’omologazione al minimo denominatore comune di comportamenti strutturalmente differenti, bensì, anche e soprattutto, aprirsi alla comprensione dell’altro e al rispetto delle diversità, nella consapevolezza che le stesse identità non sono date una volta per tutte, ma si modificano, si aggiustano, si rimodellano nel tempo (si pensi solo alla cosiddetta dieta “mediterranea”, costituita da apporti alimentari originariamente tipici non solo dell’area mediterranea, ma dell’Est asiatico, dell’Africa interna, dell’America: il pomodoro, certi cereali, tante verdure ecc.).

Motivi, questi, che trovano applicazione in ogni aspetto della vita quotidiana, ma che proprio nel campo dell’alimentazione trovano un cruciale terreno di prova. Lo stesso vale, del resto, nel modo di affrontare le differenze all’interno di una medesima cultura: accanto alle identità nazionali vi sono quelle regionali, urbane, familiari…

La “cucina della mamma” risulta sempre più gradita e, soprattutto, assicura conforto e preserva un’identità di cui non siamo sempre sicuri.

Rispetto delle diversità sarà, in questo caso, abituarsi a pensare in termini di relatività ed evitare ogni sorta di intolleranza al diverso. Il comportamento alimentare diviene in questo senso un importante “rivelatore”: l’uomo è ciò che mangia, certo, ma è anche vero che mangia ciò che è, ossia alimenti totalmente ripieni della sua cultura.

BIBLIOGRAFIA

  • Paola Cadonici (Cibo, costume e dintorni. Riflessioni su gusti alimentari e disgusti comportamentali dei nostri giorni) Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, pp. 64-68
  • B. Severgnini (L’uomo del sabato sera. La salute del congiuntivo. Io Donna) p. 30 cit.
  • S. Moravia (Educazione e Pensiero) vol. I p. 93 cit. 
  • S. Moravia (Educazione e Pensiero) vol. II p. 167 cit. 
  • Spagnol (Enciclopedia delle Citazioni) p. 123 cit. 
  • Omero (Odissea canto IX) vv. 565-567
  • Siti internet come google e diversi blog

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