Se il chicco di grano…

Francesco Ricci

SE IL CHICCO DI GRANO CADUTO IN TERRA NON MUORE, RIMANE SOLO; SE INVECE MUORE PRODUCE MOLTO FRUTTO. (Gv 12,24)

Indice

Premessa
1. La natura ci insegna.
2. L’apostolo Giovanni precursore della Teoria Fattorelliana.
3. L’ascolto: prima espressione dell’amore e base della comunicazione.
4. La formula fattorelliana nelle diverse realtà.
5. Conclusione.
Bibliografia.

Premessa

A conclusione del corso superiore di metodologia dell’informazione e tecniche della comunicazione presso l’Istituto Francesco Fattorello, ci è stato chiesto di redigere una tesi conclusiva su un argomento a nostra scelta che contenga e spieghi ciò che dal corso è emerso, vale a dire la Teoria Fattorelliana.

L’argomento che tratterò prende spunto da un passo del Vangelo di Giovanni, precisamente:“ Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Gv (12,24)

Un giorno leggendo una lettera che un parroco inviava alla sua comunità in occasione della Santa Pasqua, ispirata a questo passo del Vangelo, mi è venuta spontanea una riflessione che mi ha richiamato l’esperienza vissuta nel corso al Fattorello.

Ho provato successivamente a trovare argomenti per trattare la tesi finale, ma mi ritornava sempre in mente quella lettera, la riflessione e il collegamento all’esperienza Fattorelliana.

Ho deciso allora di abbandonare qualsiasi altra idea e seguire quella traccia, iniziando il mio lavoro e tentando di portare nell’avventura della vita di ciascuno l’esperienza del chicco di grano, che guidato dai cicli naturali, esprime quello che succede nella vita di tutti i giorni ad ognuno di noi, il nostro nascere, crescere, vivere e morire, con le diverse relazioni che ogni giorno siamo tenuti a vivere, tra cui la comunicazione.

Dalla nascita che rappresenta l’avvio di una bella esperienza alla morte quale raggiungimento di un traguardo, che potrà essere diverso secondo il vissuto di ognuno. All’interno di questi due poli si sviluppa la vita quotidiana di ognuno di noi che ci porta ogni giorno a conoscere e vivere esperienze diverse, ad incontrare persone diverse con le quali non sempre è facile comunicare.

CAPITOLO 1

La natura ci insegna

Tutti formiamo un felice anello nella catena della vita. Tutto ha un valore nella vita.

Se la primavera ha così tanto valore è perché glielo ha affidato l’inverno.

Se l’infanzia ha tanto e così meraviglioso valore umano, è perché i genitori ed i nonni hanno trasmesso il meglio di se stessi.

Se una parola entra con il suo valore in un’altra persona e lascia un segno è perché qualcuno ha saputo parlare e ha dato il meglio di sé.

Se la vita ha un valore così grande, è perché qualcuno ha donato tutto il suo essere per potenziarla.

Ciò che accade nella natura, accade nelle persone. La primavera è forse la più desiderata delle quattro stagioni del ciclo annuale.

La primavera è un’esplosione di vita, la primavera è sorpresa, è il risveglio felice a tutto ciò che è nuovo, la primavera è saper ripartire, è saper inventarsi di nuovo dopo uno sbaglio, è sapersi amare e donare, la primavera siamo noi, noi esseri umani.

È quando ad ogni tramonto siamo capaci di pensare al mattino, è quando nelle nostre parole non pensiamo a noi stessi ma all’altro, è quando, calzando le scarpe, desideriamo avanzare nella vita verso un obiettivo, è quando oltre alle rughe conserviamo la lucidità mentale, è quando nella stanchezza prendiamo il riposo con pazienza, è quando nel silenzio prepariamo una nuova azione e un nuovo sorriso.

È quando la natura decide se il chicco di grano muore e germoglia per iniziare un viaggio, o se sparirà senza alcuna traccia.

La comunicazione è la primavera, è l’avvio felice alla scoperta e alla conquista di qualcuno, è lo strumento che ci permetterà di incontrarlo in modi diversi e con risultati diversi solo se sapremo esprimere il meglio di noi, non per noi stessi ma per l’altro e tanto più saremo stati capaci di rendere protagonista il nostro interlocutore, tanto più avranno avuto successo le nostre parole.

Allora siamo primavera, per noi stessi, per essere stati capaci di intraprendere una comunicazione e per l’altro, per essere riusciti a creargli una novità.

In ogni cosa esiste un percorso che permette di raggiungere un obiettivo e tanti fattori interferiscono nella riuscita.

Nella storia del chicco di grano c’è un percorso da seguire, il tipo di terreno che dovrà accogliere il seme, la mano del seminatore; l’inverno che in silenzio e lentamente pianta le radici; la primavera che fa esplodere, crescere e manifestare; poi l’estate che con il suo sole che matura dà il raccolto, che potrà essere di tanti se abbondante, o di pochi se sarà stato scarso; poi ritorna l’autunno tempo di riflessione e di programmazione. L’azzeramento per poi ripartire lo spogliarsi della vecchia veste
per rigenerarsi in un nuovo progetto.

CAPITOLO 2

L’Apostolo Giovanni precursore della teoria Fattorelliana.

Comunicare non significa appagamento personale, ma spogliarsi delle proprie convinzioni e ascoltare l’altro per sapergli dire ciò che lui vuole sentirsi dire da noi.

La comunicazione non avviene in partenza ma all’arrivo nella testa di colui che ascolta del nostro soggetto recettore.

Dobbiamo capire cosa è importante per il nostro soggetto recettore, saper ascoltare cosa lui vuole da noi e solo così possiamo stabilire un dialogo autentico.

Gesù in più occasioni ha mostrato di parlare in modi diversi secondo i suoi interlocutori pur esponendoli gli stessi principi. Ha saputo rendere il suo discorso accessibile a tutti.

Più volte ci ha insegnato che le incomprensioni, la rigidità e la pochezza dei rapporti nascono quando non siamo capaci di abbandonare il nostro punto di vista, il nostro orgoglio il nostro io, quando ad ogni costo, dobbiamo far prevalere le nostre assolutamente giuste convinzioni, che appannano il nostro orizzonte impedendoci di vedere chiaro, di non scorgere chi abbiamo davanti e soprattutto impedendoci di arrivare.

Abbandonare se stessi per accogliere l’altro in ogni azione della nostra vita e carità.

La carità è ciò che l’Apostolo Giovanni in questo passo ci insegna raccontandoci di Gesù, ricordandoci che dove c’è carità c’è amore per se stessi e per gli altri.

Anche nel semplice gesto del dialogo si può omettere la carità, quando non si è capaci di ascoltare il nostro interlocutore, quando non ci accorgiamo che le nostre frasi sono solo per noi stessi, quando cadiamo nella vanità delle parole e dei sentimenti, modi molto frequenti in questa società del desiderio, delle esperienze felici che ignorano l’umana fragilità e l’umana esigenza.

A questo punto si colloca bene l’esempio del seminatore che getta un seme destinato a morire, quasi segno delle nostre fatiche, del nostro patire quotidiano, delle nostre superficialità e dei nostri luoghi comuni; poi l’immagine del mietitore, che raccoglie il frutto della spiga germogliata e maturata da quella morte, da quel chicco di grano che ha saputo rinunciare a se stesso per dare vita ad altri, “ Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.

Dalla rinuncia di ciascuno a se stesso, al proprio egoismo e alle proprie rigide idee si incontrano gli altri e soprattutto con la comunicazione si lascia un segno negli altri.

CAPITOLO 3

L’ascolto prima espressione d’amore e base della comunicazione.

Il primo servizio che si deve alla persona, è l’ascolto; l’inizio dell’amore e dell’interesse di una persona sta nell’imparare ad ascoltarla; l’ascolto può guarire una persona, mentre la mancanza di ascolto può causare ferite molto profonde e può far fallire una comunicazione.

Oggi prevale la cultura del non ascolto: non sappiamo più fare silenzio, stare con noi stessi e con gli altri; non abbiamo né tempo, né voglia di ascoltare.

Non si canta più, si urla, si grida; una vita senza silenzio, senza ascolto, senza dialogo, senza gioia, perché questa viene da molto lontano, dall’interiorità!

Anche la parola di Dio più volte ci ricorda che l’ascolto è la sorgente della vita, il senso di tutta la vita.

Noi siamo chiamati ad ascoltare e a prestare attenzione a chi si ascolta, a ciò che si ascolta, a come si ascolta.

Ascoltare vuol dire: accettare incondizionatamente l’altro, anche nelle differenze che arricchiscono e non dividono.
Condividere i sentimenti dell’altro. Essere positivi, e non lasciarsi andare al pessimismo e soprattutto non trasmetterlo.
Ogni comunicazione ha una sua grammatica, l’emittente, il messaggio, il codice, il mezzo, il contesto e l’intenzionalità, il ricevente ed il feedback.

La comunicazione può avere dei disturbi: da parte del soggetto promotore, la superficialità, la distrazione, la mancanza di consapevolezza e di chiarezza, l’affanno; da parte del ricevente: la precompressione, fretta, superficialità, sordità, affanno, incapacità di ascolto, pregiudizio.

La comunicazione funziona quando il soggetto recettore ha compreso in modo corretto quanto ha voluto comunicare il soggetto promotore.

La comunicazione avviene all’arrivo non alla partenza. Si può concludere che l’ascolto profondo richiede alcune attenzioni: un vuoto di sé, un vuoto di pregiudizi, e un pieno di pazienza.

In ogni incontro ha valore decisivo non quello che dici né i contenuti che esponi né le soluzioni che dai, ma, anzitutto, la relazione che sai creare attraverso un clima di autentico ascolto.

CAPITOLO 4

La formula Fattorelliana nelle diverse realtà.

La formula fattorelliana:
M
X)
Sp Sr
O
X = Il fatto
SP = Soggetto promotore
SR = Soggetto recettore
M = Mezzo
O = Formula d’opinione

Il soggetto promotore, attraverso lo studio della forma di opinione più adatta e al mezzo più consono, deve riuscire ad entrare nel soggetto recettore ed ottenere il suo consenso, allora la comunicazione potrà ritenersi avvenuta ed il fatto accolto.

La formula nella natura:
X = La semina
SP = Il seminatore
SR = La terra
M = Il chicco
O = Il raccolto

La formula può essere rapportata al raccolto: il seminatore con la sua esperienza, conoscenza e bravura, utilizza il chicco come mezzo, lo semina, osservando il terreno e cogliendo il momento migliore.

La terra accoglierà il chicco, permettendogli di germogliare e dare il frutto. Frutto che potrà essere abbondante se il seminatore avrà svolto bene il suo lavoro, o scarso, o inesistente se l’opera condotta dal soggetto promotore non avrà funzionato.

La formula nel Vangelo:
X = L’esperienza di fede
SP = Io
SR = L’ altro
M = Ascolto
O = Carità

Nella formula evangelica io stesso (SP) potrò mettere in pratica l’esperienza di fede (X) con la rinuncia di me attraverso la carità incondizionata (O) del mio prossimo (SR), utilizzando l’ascolto (M) quale mezzo semplice, autentico e naturale.

Se l’altro sarà riuscito a sentirsi protagonista il soggetto promotore (io stesso) potrà considerarsi soddisfatto di aver svolto un semplice ma significativo gesto d’amore.

CONCLUSIONE

Concludo questo lavoro, nella speranza di essere riuscito a cogliere ciò che la teoria Fattorelliana ci insegna.

Se il successo della teoria Fattorelliana è il consenso di opinione del soggetto recettore, nel ciclo della natura il risultato è il bilancio della terra, mentre nell’esperienza del Vangelo è l’amore, quale autentico gesto di accoglienza dell’altro reso protagonista.

In ogni situazione, possiamo concludere che nessuno è terminale ma è sempre promotore, da ogni traguardo raggiunto o successo ottenuto c’è sempre un domani, in cui saremo prossimi di quanti ci passano accanto, di quanti dialogheranno con noi nella vita di tutti i giorni, pronti a farci uno con loro, e soprattutto di quanti saremo stati capaci di rendere protagonisti, di quanti ci avranno dato il loro consenso nell’ accogliere le nostre parole.

Parole che lasciano un segno e ci permettono di comunicare nel mondo e con il mondo, come la spiga matura che giunta al raccolto sarà ancora nutrimento e vita.

Bibliografia
Gv 12,24 Vangelo, Sacra Bibbia.
Fattorello F., Teoria della tecnica sociale dell’informazione, 2005 ed. QuattroVenti, Urbino.
Ragnetti G., Opinioni sull’opinione, 2006 ed.QuattroVenti, Urbino.
Appunti del corso anno 2008.
Lettera parrocchiale, Santa Pasqua anno 2008.

Suez E Panama: due canali a confronto

GREGORIO SAMBATARO – Laurea specialistica in “ Relazioni Internazionali”

Continuano le buone notizie : un altro “onorevole” fattorelliano che vogliamo segnalare a tutti gli amici del nostro Blog

Il prof Giuseppe RAGNETTI, assieme a tutto l’istituto Fattorello, è lieto di comunicare l’importante traguardo brillantemente raggiunto dal “nostro” Gregorio SAMBATARO

Gregorio ha felicemente concluso i suoi studi universitari, conseguendo la Laurea Specialistica in RELAZIONI INTERNAZIONALI – Facoltà di Scienze Politiche – Università La Sapienza – Roma

“SUEZ e PANAMA: due canali a confronto” è stato l’arduo tema della Tesi di laurea, di cui pubblichiamo l’introduzione e le conclusioni per tutti gli interessati alla …navigazione!

 

SUEZ E PANAMA: DUE CANALI A CONFRONTO

L’orizzonte marittimo si ritrae senza posa innanzi alla prora della nave:

colui che vuole dominare deve andare sempre avanti.
(André Vigarié. La circulation marittime, cap. 11)

INDICE

Introduzione

CAPITOLO 1
Cenni storici
1.1 Il Canale di Suez
1.2 La costruzione del Canale di Panama: dai francesi agli americani

CAPITOLO 2
Rotte commerciali e risparmi di tempo
2.1 Il transito nei Canali e lo scambio di merci: dalle origini fino alla crisi energetica del ’73
2.2 Dagli anni Settanta ai nostri giorni

CAPITOLO 3
L’avvenire dei Canali
3.1 XXI secolo: cosa succede se si chiudono i Canali
3.2 Le rotte concorrenti
3.3 La pirateria marittima
3.4 Progetti di ampliamento

Conclusioni

INDICE BIBLIOGRAFICO

 

Introduzione
Sin dall’antichità, una delle esigenze umane più pressanti, è stata quella di muoversi nello spazio nel più breve tempo possibile. Grazie alla costruzione del Canale di Suez e successivamente del Canale di Panama, l’uomo ha trasformato una traversata di parecchi giorni rispettivamente in 15 e 8 ore. Nel primo caso ciò è stato possibile realizzando un canale navigabile posto a livello del mare, nel secondo, grazie a un sistema di navigazione costituito da chiuse che consente alle imbarcazioni di navigare sopra il livello del mare.

Il presente lavoro vuole essere un’analisi delle rotte di Suez e Panama, due itinerari ancora oggi di primaria importanza per il traffico mercantile oceanico. Fin dalle loro origini questi due passaggi marittimi hanno assunto grande rilevanza geopolitica e, al tempo stesso, si sono dimostrati fondamentali per i trasporti ad alto valore aggiunto.

Il Canale di Suez, inaugurato nel 1869, mise in relazione due spazi marittimi come il Mediterraneo e i mari costieri dell’Africa e dell’Asia. Questi ultimi, già intensamente trafficati, necessitavano di un collegamento diretto e breve in luogo della circumnavigazione della massa continentale africana.

L’apertura di Panama andava a completare lo scacchiere delle rotte mercantili oceaniche che in tal modo poteva offrire due passaggi: uno a Ovest, tra gli Oceani Indiano e Atlantico, attraversando Mar Rosso e Mediterraneo, l’altro a Est, tra gli Oceani Indiano e Pacifico, attraversando il Mare dei Caraibi.

Questo studio mira a dimostrare come il transito attraverso i due Canali risulti conveniente per gli operatori del trasporto, nonostante la presenza di altre opzioni rappresentate sia da rotte marittime, che da itinerari terrestri. Inoltre, la chiusura di queste vie d’acqua, causando gravi rallentamenti negli scambi tra i Paesi, comporterebbe il ripensamento della moderna architettura del commercio internazionale e dei sui flussi.

Il metodo di indagine utilizzato nelle presente ricerca ha fatto riferimento a studiosi che in passato hanno trattato l’argomento. Meritano una menzione particolare: André Siegfried, fondatore della geopolitica interna, che ha analizzato il transito nei Canali di Suez e Panama dalle origini fino al secondo dopoguerra; André Vigarié, geografo francese, che ha approfondito il ruolo delle due rotte fino alla fine degli anni Sessanta; Adalberto Vallega, per le funzioni che hanno esercitato i Canali anche fino ai nostri giorni, nonché per il contributo sull’evoluzione della cantieristica navale fino alla seconda metà degli anni Novanta.

Tali studi, hanno costituito le fondamenta su cui impostare e ampliare il progetto di ricerca. Senza un’accurata conoscenza delle caratteristiche delle principali navi che solcano gli oceani, l’analisi non poteva essere portata a compimento. Altrettanto importante era una conoscenza approfondita di come avviene la navigazione marittima e di quali rotte vengono maggiormente battute dai mercantili impegnati nel trasporto di differenti tipi di merci.

La ricerca si è avvalsa dell’ausilio di quotidiani economici, delle principali riviste di geopolitica, come pure dell’ormai indispensabile strumento informatico. Per quanto riguarda la consultazione in rete, occorre ricordare i siti internet delle autorità che si occupano della gestione dei Canali cioè l’Autorità del Canale di Suez (SCA) e l’Autorità del Canale di Panama, rispettivamente per Suez e Panama.

Inoltre, le informazioni messe a disposizione dalle maggiori riviste marittime specializzate oltre che, dalle più grandi compagnie marittime.

Il presente lavoro inizia con un breve excursus storico che, partendo dalla costruzione dei due Canali, ne mette in luce le differenze dato che, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, le due vie di comunicazione hanno ben poco in comune, distinguendosi per dimensioni, accessibilità e metodo di attraversamento.

Il primo capitolo fornisce, inoltre, una disamina sul ruolo esercitato dagli Stati coinvolti nella realizzazione e successivamente nella gestione dei Canali, la Francia e l’Inghilterra nel caso di Suez, gli Stati Uniti in quello di Panama. Nel secondo capitolo viene descritto il trasferimento di merci che ha interessato i Canali e la nazionalità delle navi che maggiormente vi hanno transitato dall’apertura fino ai nostri giorni.

Si espone, inoltre, la distanza tra i porti più trafficati, nonché i risparmi di tempo consentiti dall’attraversamento dei Canali. Nel corso dell’esposizione si da conto anche dell’evoluzione che ha contraddistinto il trasporto marittimo. In particolare, vengono tracciati gli sviluppi della cantieristica navale, fornendo puntuali informazioni sulle caratteristiche delle navi adibite al trasporto sia di container, sia di rinfuse.

Il terzo capitolo evidenzia quale può essere l’avvenire di Panama e di Suez, analizzando le “sfide” che attendono le due vie di comunicazione all’alba del XXI secolo. Pertanto, si affronta il tema di un’eventuale chiusura dei Canali e di cosa essa potrebbe comportare. A tal proposito, vengono formulate delle ipotesi anche alla luce delle recente crisi politica egiziana e dei sui futuri sviluppi.

In tale contesto vengono altresì analizzate: le rotte alternative che si pongono in competizione con i Canali; il fenomeno della pirateria marittima che rischia di provocare tensioni e insicurezze nei trasporti marittimi.

In complesso, si tenta di dare una risposta al quesito che un numero sempre maggiore di esperti e analisti si pone e cioè se le rotte di Suez e Panama riusciranno a mantenere invariata la loro valenza geoeconomica anche in futuro.

Tale ricerca si conclude descrivendo i piani di ampliamento che hanno riguardato i due Canali dalla loro apertura fino ai nostri giorni. Anche sotto questo aspetto persistono differenze tra le due rotte. Il Canale di Suez è stato più volte oggetto di programmi di sviluppo con l’obiettivo di attrarre flussi di traffico serviti da navi di portata elevata.

La via marittima egiziana ha dunque dimostrato sempre una certa adattabilità alle mutevoli esigenze del commercio internazionale. Al contrario, il Canale di Panama non era mai stato ampliato fino al progetto attualmente in corso che sarà ultimato nel 2014 e che ne incrementerà l’accessibilità.

Pertanto nel caso di Panama è stata la cantieristica navale a doversi adattare alle dimensioni del Canale con la costruzione di unità naviganti di una certa stazza progettate per transitare lungo questa via.
Conclusioni
Al termine di questo studio può essere utile ricordarne brevemente i punti salienti. Nel corso dell’analisi, è stata evidenziata l’importanza che i Canali di Suez e Panama ricoprono nella navigazione marittima.

Inoltre, si sono poste in luce le notevoli differenze che contraddistinguono le due rotte e la circostanza che queste vie d’acqua hanno in comune soltanto una caratteristica: il fatto di mettere in relazione spazi marittimi come, l’Oceano Indiano e Atlantico nel caso di Suez e l’Oceano Atlantico e Pacifico nel caso di Panama, altrimenti separati dalla terraferma.

Il transito attraverso i due passaggi artificiali permettendo di bypassare le rotte attorno al Capo di Buona Speranza e Capo Horn, consente di risparmiare rispettivamente seimila e ottomila miglia nautiche. Alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX, ciò ha rappresentato una sorta di rivoluzione del trasporto marittimo.

La navigazione a vapore, ad esempio, ha subìto un notevole impulso dopo la costruzione del Canale di Suez rimpiazzando il ruolo ricoperto fino a quel momento dalle imbarcazioni a vela.

A distanza di tempo dalla realizzazione la valenza strategica ed economica dei Canali di Suez e di Panama non accenna a diminuire. Lo dimostrano le statistiche sui transiti che anno dopo anno segnalano un trend positivo.

Al fine di eseguire una ricerca esaustiva, si è dato conto delle dinamiche e dei fattori che rischiano di deviare altrove i traffici mercantili. In primo luogo, sono state analizzate le rotte concorrenti rappresentate sia da nuovi itinerari marittimi sia da percorsi e condotte terrestri. In particolare, si è fatto riferimento alle rotte commerciali che si renderanno praticabili a causa dello scioglimento dei ghiacci nell’Emisfero Nord, nonché ai landbridge ferroviari e alle pipelines.

Queste alternative, ampliando lo spettro delle opzioni cui possono ricorrere gli operatori del trasporto, possono entrare in competizione con il servizio offerto dai Canali. Tuttavia, anche per le vie di comunicazione concorrenti subentrano delle complicazioni che le rendono meno attrattive.

Le rotte Artiche non sono pienamente accessibili alla navigazione commerciale per due motivi: sono transitabili per dodici mesi all’anno soltanto con l’assistenza di navi rompighiaccio; permangono numerose situazioni di incertezza sullo status giuridico del Polo Nord. I landbridge o “ponti terrestri” possono fare concorrenza ai Canali soltanto nei traffici containerizzati. Inoltre, il costo di questi ultimi servizi è lievitato a causa degli aumenti tariffari imposti dagli operatori ferroviari.

Per quanto concerne le pipelines, piuttosto che entrare in competizione con le rotte di Suez e Panama, svolgono una funzione complementare nel trasporto di idrocarburi.

In secondo luogo, è stato analizzato il fenomeno della pirateria marittima mettendo in luce i problemi che può provocare ai transiti navali nelle acque antistanti i Canali. Nel corso dell’indagine è emerso che i costi per la protezione dei traffici marittimi, pur costituendo un onere non indifferente per la comunità internazionale, siano comunque minori rispetto alla scelta di tragitti alternativi che comportano un allungamento del percorso.

Ciò è dimostrato dal fatto che le più grandi compagnie armatrici continuano a preferire le rotte di Suez e Panama. Inoltre, anche la maggior parte degli analisti è concorde nel sostenere che i danni inflitti dalla pirateria ai flussi commerciali non abbiano ripercussioni considerevoli sull’economia mondiale.

In terzo luogo sono stati descritti i progetti di ampliamento che hanno riguardato le due rotte. Il Canale di Suez è stato potenziato diverse volte nel corso degli anni, adattandosi ai cambiamenti intervenuti nel trasporto marittimo sempre più indirizzato all’utilizzo di navi di elevata portata.

Il caso si Panama è molto diverso. La sua accessibilità si è limitata a vettori con portata fino a 40 mila tonnellate di stazza lorda, per navi convenzionali, e fino a quasi 80 mila tpl per navi Panamax, cioè progettate per passare lungo questa rotta. In questo caso, è stata la navigazione commerciale a doversi adeguare alle dimensioni della via d’acqua.

Tuttavia, le tendenze evolutive dei traffici marittimi hanno determinato la necessità di incrementare la capacità del Canale che ha anche raggiunto una fase di saturazione in termini di numero di imbarcazioni che possono attraversalo in una determinata unità di tempo. Pertanto, nel 2006, la Repubblica di Panama ha approvato il referendum indetto dall’Autorità del Canale di Panama per il progetto di ampliamento del Canale, da realizzarsi nel periodo 2007-2014.

Tutto ciò evidenzia come le rotte di Suez e Panama hanno saputo fronteggiare problemi e dinamiche che rischiavano di affievolirne l’importanza.

Lo studio è stato arricchito dall’inserimento di uno scenario futuro volto a immaginare cosa succederebbe se chiudessero i Canali. Si tratta di semplici ipotesi che non hanno alcuna presunzione di esattezza visto l’elevato numero delle variabili in gioco che possono imprimere alla condizione attuale corsi improvvisi e svolte inaspettate.

Questo argomento ha preso le mosse dalle proteste popolari nel Nord Africa e nel Medio Oriente tutt’ora in corso e che hanno coinvolto anche l’Egitto, la cui situazione politica sembra essere legata alle elezioni parlamentari e presidenziali che avranno luogo nei prossimi mesi.

L’indagine, tuttavia, per quanto dettagliata e ben documentata, richiederebbe uno studio direttamente sui luoghi oggetto di ricerca. Si propone, inoltre, come spunto per un’eventuale ricerca futura che si ponga in linea di sostanziale continuità con il presente lavoro, lo studio degli altri choke points maggiormente coinvolti nel traffico navale mondiale .

In conclusione, si può affermare che i Canali di Suez e Panama rappresentano ancora oggi due rotte mercantili fondamentali per gli scambi di beni che avvengono ogni giorno tra gli spazi marittimi più disparati. La situazione commerciale delle aree localizzate nei pressi dei Canali può essere osservata a partire dalle statistiche e dai dati che riguardano le due vie d’acqua, una sorta di “cartina tornasole” della situazione economica internazionale.

Avviso ai Fattorelliani DOC – 2011

Bentornati a tutti ad una serena vita post-feriale!

Anche se ci vorrà tempo per recuperare appieno ed eliminare lo ”stress delle vacanze”, dobbiamo tuttavia essere operativi ed onorare i nostri impegni.

Il prof Ragnetti ha accolto di buon grado la vs proposta di effettuare un modulo di “formazione intensiva”. E allora il prof sarà a Santa Marinella dal pomeriggio di venerdì 23 fino alla sera di domenica 25 settembre, per affrontare interessanti argomenti di studio e di riflessione e condividere il piacere di stare insieme.

Vi preghiamo di segnalarci con la massima urgenza la vostra disponibilità e, se necessario, di richiederci qualsiasi chiarimento.

La partecipazione all’incontro è a titolo completamente gratuito, mentre sono a carico dei partecipanti le modeste spese di soggiorno presso la Casa per ferie Mater Gratiae

In attesa delle vostre risposte, un caro saluto a tutti voi ed un arrivederci a presto!

Cambia i pensieri e cambierai il mondo, cambia il linguaggio e cambierai i pensieri: rigore linguistico o torre di Babele ?

Università degli Studi “Carlo Bo” Urbino
Laurea Specialistica in Editoria Media e Giornalismo
Esame di “TECNICHE DI RELAZIONE”
Prof. Giuseppe Ragnetti
Elaborato scritto di: Valentina Volpini
Anno Accademico 2009-2010

CAMBIA I PENSIERI E CAMBIERAI IL MONDO, CAMBIA IL LINGUAGGIO E CAMBIERAI I PENSIERI: RIGORE LINGUISTICO O TORRE DI BABELE?

Partiamo da un concetto, quello di cultura. Esistono diverse accezioni di questo termine, a seconda che ci si riferisca al suo rapporto con la natura, con l’educazione, con la civiltà, con la società. Forse scegliere quest’ultima accezione può essere più utile ai fini di un discorso generale. Da un punto di vista sociologico la cultura viene definita come l’insieme della produzione spirituale e materiale di una certa entità sociale.

Ogni società ha una propria cultura, intesa come l’insieme dei modi di vita che contraddistinguono quella società o un gruppo sociale determinato, e che questi riconoscono come proprio e tramandano di generazione in generazione: valori, norme, usanze, credenze, istituzioni, prodotti artistici ecc. La condivisione di tali elementi è il risultato di un processo che si svolge gradualmente nel tempo, e si articola in un’ assimilazione di opinioni, che si cristallizzano e si stabilizzano.

E’ questa caratteristica a rendere difficile la modificazione della cultura di una società. Così come la cultura, anche la visione del mondo di un soggetto, è frutto di una sedimentazione, avvenuta gradualmente, cominciata nell’ambito familiare, proseguita attraverso l’educazione ricevuta e consolidatasi nel tempo. Difficilmente un soggetto rinuncia alla propria opinione, al proprio pensiero sul mondo.

E’ pur vero, che un individuo, nella realtà attuale, si trova immerso in una rete di rapporti di informazione, ed è soggetto quindi a un notevolissimo numero di formule d’opinione diverse che riceve da altrettanti soggetti promotori, valutando poi se adottare tali opinioni o rifiutarle.

Se agendo da soggetto recettore, l’individuo decide di adottare la formula d’opinione che ha ricevuto e quindi di dare la sua adesione d’opinione, dal punto di vista del soggetto promotore che ha messo in moto il rapporto d’informazione, si può parlare di comunicazione; se non c’è adesione d’opinione, la comunicazione non avviene.

Affinché avvenga la comunicazione, affinché cioè il rapporto di informazione vada a buon fine, bisogna considerare il condizionamento reciproco degli elementi di tale rapporto.

x) M
Sp Sr
O

Il fatto, la notizia, l’evento, il motivo per cui viene iniziato un rapporto di informazione (x), condiziona innanzi tutto le scelte del soggetto promotore (Sp). Egli sceglie il mezzo (M) con cui comunicare e configura il messaggio in base al soggetto recettore (Sr). Il mezzo impone al Sp di rispettare le proprie caratteristiche tecniche e al Sr di possedere certe facoltà per gestire tale mezzo. Inoltre la formula d’opinione (O) è messa in forma in un certo modo dal Sp, e condiziona la scelta del mezzo con cui essere comunicata.

Infine il Sr obbliga il Sp a conoscere le sue facoltà e ad adeguare di conseguenza la formula d’opinione e il mezzo. Un Sp quindi, nel mettere in atto un rapporto d’informazione, deve tener ben presente che il suo obiettivo è ottenere un’adesione d’opinione e che per riuscirci, non può prescindere dai condizionamenti interni.

Dunque è fondamentale il modo in cui viene portato avanti il rapporto comunicativo. Da ciò deriva che l’idea che un contenuto possa essere comunicato così come è nella mente del soggetto promotore è un’illusione; la formula d’opinione va adattata al recettore, affinché egli, prima di poter valutare se aderire o meno, possa comprenderla.

Uscendo per un attimo dalla teoria, possiamo verificare tale concetto in due ambiti importanti della vita sociale, entrambi appartenenti alla sfera del contingente, cioè alla sfera della tempestività, dell’immediatezza, dell’istantanea adesione d’opinione: l’informazione giornalistica e la propaganda politica. Nel primo caso, il problema si verifica nella difficoltà che molti lettori hanno nel comprendere il contenuto di un articolo, perché espresso con un linguaggio troppo complesso, spesso di tipo elitario che sfugge quindi all’universale comprensione dei lettori.

Un sintomo di tale disagio è ad esempio il fatto che molti dichiarano di preferire la free press al quotidiano acquistato, non solo per la gratuità ma soprattutto per il dispendio di energie che richiederebbe leggere un articolo su tale giornale. Nel caso della propaganda, il problema si riscontra nella diversa efficacia che la comunicazione politica ha nel momento del risultato elettorale. Infatti è innegabile che nella contemporaneità, la chiave per un risultato politico soddisfacente per un candidato o un partito, sta nell’efficacia della comunicazione.

Non si tratta, come si potrebbe pensare, di una questione di diffusione della propaganda attraverso i mezzi di comunicazione sociale, specialmente la televisione, ma spesso di una questione di linguaggio. Spesso i politici cadono in un grossolano errore, che è quello di non farsi capire dal proprio elettorato, al quale stanno chiedendo un’adesione d’opinione, da esprimere con l’istituto del voto.

Il promotore, nei processi contingenti, ha un tempo limitato per realizzare il suo scopo, per questo la sua formula d’opinione deve essere dotata di una notevole carica sociale, deve possedere un fattore di conformità, cioè la forza di raggiungere il recettore nella sua sensibilità, adeguandosi alla sua curiosità e ai suoi desideri. Appare dunque chiaro come il soggetto recettore debba avere un ruolo preminente nel rapporto di informazione. Una formula d’opinione, soprattutto in un rapporto da uno a molti, deve avere una caratteristica fondamentale, l’universale comprensibilità.

In questo senso risulta importante l’attenzione posta al linguaggio utilizzato, perché come detto in precedenza, il mezzo deve essere adeguato al recettore. Trascurare l’importanza di tali elementi comporta una situazione fallimentare.

Possiamo descriverla attingendo alla tradizione biblica. Come racconta l’Antico Testamento, dopo il diluvio universale i discendenti di Noè, stabilitisi nella regione del Sennaar, in Babilonia, vollero innalzare una torre tanto alta da raggiungere il cielo. Il Signore, adirato per la loro presunzione, li punì facendo parlare a ognuno un idioma diverso; prima la lingua era una sola, dopo quell’episodio gli uomini non si capirono più.

Contestualizzando, possiamo dire che se un promotore ha la presunzione di comunicare la propria idea, il proprio pensiero, utilizzando un linguaggio adatto alla propria soggettività, senza tener conto di chi riceverà tale messa in forma, realizza una situazione di incomunicabilità, una Babele, in cui ognuno porta avanti la propria opinione, senza che gli altri membri della comunità possano comprenderla.

All’estremo opposto, tuttavia, non bisogna pensare che si possa verificare automaticamente una totale e completa adesione all’opinione del promotore.

Questo sarebbe un caso limite, difficile da ottenere. Potrebbe essere la pretesa di un’impostazione ideologica, ma neanche nel caso di una pianificazione rigorosa del rapporto d’informazione, anche dal punto di vista del linguaggio, si può avere la certezza dell’adesione d’opinione del recettore. Egli infatti resta sempre e in ogni caso un soggetto opinante e assolutamente indipendente e insensibile a qualsiasi speranza di condizionamento da parte del promotore.

Come in molte altre cose, dunque, possiamo dire che la verità è a metà strada. Possiamo cioè dire che nella normalità, un rapporto d’informazione, correttamente pianificato rispettando tutti gli elementi in gioco, diventa un rapporto comunicativo se il Sr recepisce, attraverso il filtro della propria soggettività, la formula d’opinione trasmessa, vi aderisce, se ne appropria, e la comunica a sua volta, in qualità di Sp, ad altri Sr.

Questa considerazione permette di porre l’accento sulla reale condizione in cui si trovano i soggetti nella loro esperienza quotidiana. Non sono riparati all’interno di una bolla d’aria che li protegge, tutt’altro, ciascuno di noi è costantemente immerso in una rete fittissima di rapporti di informazione, contingenti e non, che costantemente trasmettono formule d’opinione diverse a ognuno di noi.

Possiamo riformulare dicendo che riceviamo e trasmettiamo visioni del mondo soggettive e frutto della nostra personale esperienza e acculturazione.

Allo stesso tempo, in quanto soggetti appartenenti a un gruppo o a una data società, possediamo una serie di opinioni cristallizzate e di valori che abbiamo ricevuto e assimilato attraverso rapporti di informazione non contingenti.

Possediamo una data cultura, che ci appartiene e che in generale condividiamo con gli altri membri della società. Possiamo vedere i vari gruppi-società, come un grande soggetto collettivo con una propria formula d’opinione, la propria cultura.

Come il singolo, anche il soggetto collettivo, difficilmente rinuncia alla propria personale visione del mondo e alla propria cultura, perché entrambe appartengono alla sfera del non contingente, sono il risultato di un processo graduale e lento, cristallizzato e consolidato. In questo senso possiamo facilmente comprendere l’estrema difficoltà, se non l’impossibilità, di cambiare tali visioni, tali pensieri sul mondo.

Tuttavia si potrebbe forse contrapporre a tale concetto un fatto che probabilmente molti di noi hanno spesso considerato inevitabile e cioè che ci siano dei comportamenti, diciamo pure delle idee, delle opinioni, delle mode, che attecchiscono fortemente nella società e si diffondono a largo spettro. Si tratta di formule d’opinione ben trasmesse? Oppure la responsabilità è la grande diffusione attraverso i mezzi di comunicazione?

A tal proposito bisogna mettere in gioco un altro elemento, che ha una fortissima rilevanza in tale fenomeno e cioè il conformismo sociale di ciascuno di noi, quel bisogno di essere simile a un gruppo per non correre il rischio di una esclusione dal gruppo stesso.

Tale fattore ha a che fare con le personali attitudini, con le proprie esigenze e sicuramente va considerato nella pianificazione di un rapporto di messa in forma, ma non ha a che fare con lo strumento, che resta sempre un tramite tra i due soggetti del rapporto ma non determina il risultato del rapporto.

A cosa serve tale considerazione? A sottolineare la diversa collocazione del discorso sulla cultura. In questo caso il fattore rilevante è l’aspetto non contingente, la dimensione temporale, riflessiva potremmo dire, che di sicuro non appartiene ai fenomeni definiti di informazione pubblicistica, il giornale, la propaganda, la pubblicità, nei quali invece è il conformismo ad avere possibilità d’azione.

Nel caso dei Pensieri sul mondo, della cultura come patrimonio, dei valori, andiamo a toccare non più la superficie del lago, ma la dimensione profonda, quasi nucleare, evidentemente difficile da raggiungere e solleticare.

Di conseguenza il sogno, se così vogliamo chiamarlo, o meglio il tortuoso cammino verso una modificazione dei pensieri e di conseguenza delle visioni del mondo, e quindi, per estensione del mondo stesso, non può prescindere da una lentissima e costante trasmissione di nuovi valori e credenze.

“La Chimera dell’obiettività giornalistica”

 

Laurea specialistica in Editoria Media e Giornalismo – Università “Carlo Bo” Urbino

Esame di Tecniche di relazione – Prof. Giuseppe RAGNETTI

SOFIA ALBERTO presenta :

 

LA CHIMERA DELL’ OBIETTIVITA’ GIORNALISTICA

Si è soliti rivendicare nell’ambito degli studi sui mass media la pretesa di perseguire la ricerca dell’ “obiettività”, in particolare nel campo dell’informazione giornalistica. Si tratta di una tendenza radicata principalmente nelle scuole americane di giornalismo dove si porta avanti una netta distinzione tra news (fatti) e views (commenti), in nome dell’imparzialità e della trasparenza nel riferire le notizie.

In Italia invece il perseguimento dell’obiettività è indirizzo rivolto dal Parlamento all’azienda radiotelevisiva di stato (RAI), tanto che è stata istituita anche nel 1975 la Commissione di indirizzo e vigilanza dei servizi radiotelevisivi, organo bicamerale, teso appunto a controllare che i principi di imparzialità e obiettività, definiti “inderogabili”, siano appunto rispettati.

L’obiettività sta inoltre alla base della deontologia professionale del giornalista stesso.
Appare però necessario domandarsi se, effettivamente, sia possibile essere obiettivi.

Il fraintendimento nasce da un presupposto fondamentale : la notizia non è l’evento, ma la relazione di tale evento.
Informare significa infatti “dare forma” ad un fatto, “vestirlo”: il giornalista dà forma a ciò che intende trasmettere al proprio recettore ai fini del consenso.

Già l’americano Ivy Lee affermava negli anni ’20 come la trasformazione di un fatto in notizia sia il risultato di una selezione degli eventi della realtà. Nessuno era in grado secondo lo studioso di presentare la totalità dei fatti relativi ad un dato (s)oggetto.

Ciò che era possibile era solo offrire una visione personale, un’interpretazione dei fatti, influenzata da un insieme di fattori, background culturale e appartenenza sociale in primis.

Anche Fracassi affermava come il soggetto osservatore non sia in grado di riferire senza interferire: la notizia è una rappresentazione della realtà e come tale è sempre frutto d’incontro tra ciò che accade e colui che decide di raccontarlo.

La comunicazione quindi è relativa a proprietà non intrinseche all’oggetto di cui si parla, ma che dipendono dall’osservazione. Secondo tale teoria possiamo affermare come in realtà si parli di de-formazione e non di informazione, data dal punto di vista dell’osservatore nel momento in cui questi decide di descrivere la realtà.

Allo stesso modo l’informazione giornalistica non rispecchia, dunque, la realtà quanto, piuttosto, valorizza frammenti di realtà, che appaiono interessanti in base alle contestualizzazioni di natura culturale, politica, economica e sociale.
La regola aurea del giornalismo anglosassone era quella per cui la notizia appariva come “sacra”, mentre il commento facoltativo, oltre alla già citata separazione tra fatti ed opinioni.

Il mito di stampo positivista relativo alla possibilità di descrivere la “realtà in sé” appare però fin dagli studi di Karl Popper solo una chimera. A cadere è di conseguenza anche il costrutto giornalistico della priorità nella scala gerarchica dei fatti rispetto alle opinioni.

L’osservazione può essere infatti definita come un processo di esplorazione della realtà, che presuppone la selezione e l’interpretazione del soggetto osservante. Il costruttivismo poi illustra come sia impossibile affermare l’esistenza di una realtà oggettiva: ogni descrizione è inevitabilmente interpretazione, nel senso che il suo significato viene – almeno parzialmente – determinato dal background storico-culturale che i soggetti, i giornalisti nella fattispecie, possiedono.

A tali studi si aggiungeranno le riflessione dell’ Interazionismo Simbolico che giudica la realtà come una costruzione sociale.
preferiva parlare di paradigma. Nel momento in cui ci confrontiamo con persone dotate di schemi concettuali molto diversi dai nostri e che “leggono” la realtà in modo profondamente diverso da come la vediamo noi “occidentali del XXI secolo”, appare chiaro come non esista un’unica realtà, bensì un insieme di realtà, ognuna influenzata dalle diverse pratiche di osservazione.

E’ una concezione tipica del post-moderno, che tende ad eliminare e rifiutare ogni verità ed ordine precostituito e che valorizza invece il relativismo culturale, principio basilare per la democrazia, considerando che le visione totalizzanti sono tipiche dei regimi e delle dittature o, in generale, delle ideologie acritiche.

Partendo dal presupposto per cui non esiste una visione unica di realtà, allo stesso modo appare impensabile perseguire nel giornalismo la ricerca dell’obiettività.

Il giornalista non è obiettivo, e non perché non vuole, ma semplicemente perché non può; però ha un obiettivo: ottenere il consenso del recettore, perché senza consenso non c’è comunicazione.
L’uomo, sia esso uno scienziato, uno storico, un giornalista, non può uscire dalla propria soggettività: pertanto, coloro che credono di essere obiettivi, esprimono solo la loro verità.

Certo occorre non cadere nel nichilismo: relativismo significa ammettere la validità del pluralismo dei punti di vista e quindi dei differenti “modi di leggere il reale”. Occorre dunque distinguere tra giudizi di valore non ammessi (arbitrari) e giudizi di valore ammessi, cioè quelli che hanno un riscontro di coerenza nell’esperienza e che rendono conto dei valori presenti all’interno di quella data esperienza.

Il fenomeno dell’informazione, secondo la teoria della tecnica sociale dell’informazione di Francesco Fattorello, è il risultato di un processo del quale possiamo distinguere due fasi:

  • il rapporto tra il soggetto promotore e la forma che egli dà a ciò che è oggetto di informazione;
  • il rapporto tra il soggetto recettore e questa stessa forma che riceve per mezzo di uno strumento, ovvero l’adesione di opinione del recettore (consenso) alla “forma” che il promotore gli ha trasmesso.

Secondo questo modello, pertanto, non c’è posto per l’obiettività all’interno del rapporto di informazione. Ponendo al centro del processo di informazione i due soggetti con le stesse capacità opinanti, e considerando questo fenomeno come il risultato di due interpretazioni soggettive, possiamo affermare che l’obiettività, come pura e semplice aderenza ai fatti, come mera corrispondenza tra le notizie date dai mezzi d’informazione ed una supposta realtà esterna, non esiste. Anzi, si potrebbe sostenere che se l’obiettività esistesse si negherebbe l’informazione, dato che questa appare come l’incontro di due soggettività, di due formule di opinione.

Il giornalista che pretende di rincorrere l’obiettività mette invece in moto lo stesso meccanismo di fidelizzazione rispetto alle idee, credenze e convinzioni politiche, sociali, religiose. Non basta quindi nemmeno apprendere le diverse interpretazioni su un determinato fatto, in quanto ciò significa darne una visione, non obiettiva, ma pluralistica.

Il modello di Fattorello ci spiega il perché la descrizione di un fatto ci appaia obiettiva rispetto ad un’altra: la presunta “obiettività” sta nel fatto che il resoconto considerato “obiettivo”, ma che in realtà è di carattere soggettivo, in quanto coincide con la nostra opinione personale sul fatto.

Per questo è possibile concludere affermando come tutto il giornalismo sia in realtà parziale, non solo i quotidiani politici. E questo non significa affermare che il giornalismo non abbia alcuna funzione o sia specchio di una visione distorta o erronea della realtà.

Occorre infatti assumere come principio inderogabile il carattere relativo e costruzionistico della realtà. Solo così sarà possibile “informarsi” senza l’illusione di “possedere” la verità : ovviamente dipenderà dai singoli interessi/background/convinzioni socio-politiche e culturali, assumere come “propria” una determinata visione, ma partendo però dal presupposto che si legge solo una delle tante possibili ricostruzioni di un determinato evento e che sia comunque opportuno leggere diverse interpretazioni dello stesso fatto, non per ricercare una verità che appare probabilmente irraggiungibile, ma al fine di possedere delle alternative, valide o meno, di giudizio.

Ogni ricostruzione – o quasi – potrà così possedere i requisiti di veridicità, in quanto grazie all’ onestà intellettuale di chi scrive, il lettore saprà a priori che il fatto è stato costruito secondo la visione più obiettiva possibile, ovvero la propria!

SOFIA ALBERTO – Editoria, Media e Giornalismo, Anno 2009 – 2010

Testo di riferimento:
Francesco Fattorello, Teoria della Tecnica Sociale dell’Informazione, a cura di Giuseppe Ragnetti
Edizione QuattroVenti, Urbino 2005

Il Fattorello informa

AVVISO AI NAVIGANTI……

Attenzione! Lunedì 17 gennaio ore 18.00-21.00

Ultimo incontro al Fattorello per gli iscritti dell’anno 2010

Definiremo ed illustreremo modalità e contenuti dei lavori da presentare e discutere in sede d’esame per il conseguimento dell’attestato finale.

Si raccomanda presenza e puntualità .

Dal prof. Ragnetti cari saluti a tutti ed un forte incitamento a continuare con grinta e determinazione il percorso intrapreso.

Tecniche della Comunicazione

 

 

testata_istfattorello

Istituto “Francesco Fattorello”

 

Avviso ai Fattorelliani (annata 2011) in trepida attesa:

 

A tutti un caloroso ben tornati all’autunnale normalità.

Per la ripresa dei nostri incontri l’appuntamento è per il nuovo anno ogni lunedi alle ore 18.00

Raccomandiamo come sempre la vostra presenza e la doverosa puntualità

 

A presto e un caro saluto dal Prof . Ragnetti

 

64° Corso di Comunicazione

Direttore

Prof. Giuseppe Ragnetti

 

Ogni Lunedì – ore 18:00

info@istitutofattorello.org – cell. 335-833.42.51

Sede “Istituto Seraphicum”

Via del Serafico, 1

ROMA

 

Qui si è sempre venuti e si viene per incontrare “la verità che tanto ci sublima”.

(La Divina Commedia, “Paradiso”, XXII, 37-45) 63°Corso

Una Fattorelliana DOC… L’oratore “parlante”

La dott. ssa Eufrasia D’Amato non ha dimenticato la sua formazione all’ Istituto Fattorello e continua a seguire e ad appassionarsi ai problemi dell’Informazione e della Comunicazione.

Dopo il suo apprezzato contributo sulla Comunicazione politica, è ora la volta del “Parlare in pubblico”, attività questa che rappresenta tuttora uno scoglio difficile da superare per tutti gli oratori.

Ringraziamo la nostra Fattorelliana doc per il suo intervento che pubblichiamo con piacere, dopo aver invitato , ancora una volta, i lettori del nostro blog a tuffarsi senza paura nel fiume delle opinioni:

in altri termini fatevi vivi e… sotto con i commenti !!!

Prof. Giuseppe Ragnetti

 

Come parlare in pubblico e riuscire a … parlare !!!

A cura di Eufrasia D’Amato

Sembra un paradosso ma in realtà è capitato a molti oratori di bloccarsi mentre si accingevano a parlare in pubblico!

Parlare dinnanzi ad una platea sembra facile! In realtà la paura di essere giudicati e la difficoltà concreta, a volte, di tradurre il pensiero in parole, soprattutto dinnanzi a mille occhi che scrutano ogni più recondito particolare, giocano brutti scherzi. Pensiamo di saper parlare perchè sin da piccoli lo abbiamo imparato, ma coinvolgere e trasmettere aduna moltitudine di gente il proprio pensiero non è cosa altrettanto semplice.

segue —–>
Affrontare la platea è un po’ come essere sull’orlo di un precipizio…meglio non guardare giù; e, invece, non c’è niente di più sbagliato. E’ necessario guardare in giù o meglio guardare gli ascoltatori per poter stabilire con loro un contatto diretto.

Lo scambio di sguardi contribuisce a diminuire il distacco che concretamente c’è tra l’oratore e la platea. E poi, come i bravi oratori sanno: la cosa più importante da fare è adattare il discorso al pubblico. Solo riuscendo a capire l’atmosfera e la tipologia di personaggi che abbiamo davanti possiamo trasferire loro quello che in realtà vogliono sentire. Il passato insegna. La tradizione storico culturale dei grandi oratori romani ci ha tramandato una letterature ricca e appassionata di “ciceroni” che animavano il foro e non solo. Una tradizione che si coniuga perfettamente con l’impostazione fattorelliana; una linea retta tra il prestigioso passato e la tecnica sociale che ormai da settanta anni coniuga lo studio attento del soggetto recettore alla perfetta riuscita del processo comunicativo.

Ebbene.. è ora di cominciare. Le gambe tremano, il cuore palpita e la platea rumoreggia…aspettano tutti noi. Da dove cominciare? Innanzitutto il lavoro di base per un buon oratore è l’organizzazione del discorso che presuppone la conoscenza e la dimestichezza dell’argomento. Va bene essere emozionati ma se non sappiamo neanche di cosa parlare….!!

Organizzare l’argomento della discussione equivale a parlare con chiarezza di non più di due o tre idee chiave, attorno a cui sviluppare l’arringa. Dinamismo e brevità sono le due inseparabili amiche dell’organizzazione.

La cosa più importante, infine: il bluff si scopre subito! Se cerchiamo di imitare o scimmiottare qualcuno veniamo smascherati immediatamente. Essere se stessi, con i propri piccoli difetti, , aiuta a rendere umani anche i più bizzarri tra gli oratori. Per i futuri successi un consiglio che viene da lontano da una autorevolissima fonte: Pericle, una delle più grandi personalità del passato, affermava:”colui che, capace di pensare, non sa esprimere il suo pensiero, è allo stesso livello di chi non riesce a pensare”.

E allora “la domanda sorge spontanea”: perché molti nostri politici non hanno ancora capito l’insegnamento di Pericle, dopo ben duemila e più anni??!! Lo spettacolo che ci propinano dalle varie emittenti radio-televisive è molto spesso improponibile e i risultati ottenuti o, meglio, non ottenuti ne sono la conferma. Ma allora perché continuano a sbagliare?? Perché lo stesso copione , ormai da decenni, viene affidato sempre alle stesse persone che, tra l’altro, non sanno neanche recitare/comunicare? E tali modesti attori perché non capiscono che la forma vale come o più della sostanza? Quando poi il punto M è la TV agli spettatori arriva soprattutto il “come”, anche perché il “che cosa” è sempre lo stesso, da qualunque schieramento provenga: tutti promettono di lavorare per il bene comune.

In altri termini essendo la sostanza sempre la stessa, è la forma che fa la differenza. Il prof . Giuseppe Ragnetti nel suo Corso all’Università di Urbino, lo ha dimostrato con chiarezza, in una memorabile lezione su“la creta e la statua”.

E, soprattutto, perché tali modesti attori non riescono a fare un bagno di umiltà e chiedere aiuto a chi potrebbe aiutarli: non sarebbe male che politici o aspiranti politici in difficoltà dal punto di vista relazionale e comunicativo, frequentassero la Scuola fattorelliana, dove il prof. Ragnetti sarebbe ben lieto di averli in aula. Siamo certi che anche stavolta riuscirebbe a far capire il significato della parola comunicazione !!!

 

 

 

Giovani, Media, Società: Come saremo domani

Convegno Nazionale ANS

Giovani, Media, Società: Come saremo domani

 

Roma, 15 giugno 2010

Via Salaria 113, facoltà di Scienze della comunicazione “Aula Wolf”

 

ANS Associazione Nazionale Sociologi

In collaborazione con

Facoltà di Scienze della Comunicazione – Università “La Sapienza” di Roma

Dipartimento Lazio ANS Associazione Nazionale Sociologi

Cooperativa sociale “Maggio ‘82”

Programma
Intervento convegno ANS 15 giugno 2010

Dott. Marco Cuppoletti

Voglio iniziare il mio intervento cercando di rispettare il tema proposto in questo convegno : ” Giovani, Media, Società: Come saremo domani”, sapendo bene però che in questo titolo è racchiuso un mondo in continua evoluzione, una costellazione di discorsi, dibattiti, riflessioni, ricerche sociali, che a tutt’oggi non sono giunti ad un paradigma precisamente definito e mai, probabilmente, ci giungeranno.

Per introdurre meglio il mio ragionamento, vi leggo un breve scritto, riguardo al mondo ed alla condizione giovanile, che ci perviene da un autore molto noto.

Leggo testualmente:

“Oggigiorno, i nostri giovani amano il lusso, hanno un pessimo atteggiamento e disprezzano l’autorità: dimostrano poco rispetto per i loro superiori e preferiscono la conversazione insulsa all’impegno: I ragazzi sono ormai i despoti e noi i servi della casa; non si alzano più quando qualcuno entra; non rispettano i genitori, conversano tra di loro quando sono in compagnia di adulti, divorano il cibo e tirannizzano i propri insegnanti”.

Ebbene, queste affermazioni, che potrebbero essere davvero attuali, risalgono a “SOCRATE” – IV secolo – A.C.

Ho voluto leggere questo breve passaggio, per convenire con voi che considerazioni analoghe a quelle fatte da Socrate, oggi si possono ascoltare comunemente dimostrando che esse non sono frutto esclusivo della nostra epoca ma che al contrario si sono ripetute nel corso dei secoli.

Tuttavia, non possiamo disconoscerlo, la storia dell’umanità ha potuto contare sempre sui giovani per progredire, sulle loro energie ideative e sulla loro costante azione innovatrice della società.

Gli illustri scienziati, artisti, letterati, statisti di tutte le epoche che l’umanità ha avuto la fortuna di conoscere, debbono pur essere stati anche loro parte di quella gioventù che le generazioni più “mature” non esistano a “bollare” come a suo tempo ha fatto il grande filosofo greco.

Se conveniamo allora che esiste un “conflitto generazionale” più o meno accentuato o perlomeno una percezione falsata del mondo giovanile che si ripropone ciclicamente con affermazioni generiche ed opinioni preconcette, allora possiamo anche affermare che esse sono, evidentemente, un luogo comune, un modo superficiale per liquidare l’argomento.

Per dibattere sul tema della condizione giovanile, di come i giovani si rapportano con i media e verso quale società stiamo andando, gli studiosi della materia sociale e noi sociologi in particolare, non possiamo esimerci dal fare riferimento a studi analitici e dati statistici di oggettiva interpretazione.

Dico questo perché, nonostante io sia uno strenuo sostenitore della soggettività e della libertà di opinare, secondo gli insegnamenti del Prof. Giuseppe Ragnetti, Direttore dell’Istituto Francesco Fattorello di Roma, con il quale ho l’onore di collaborare, quando siamo chiamati professionalmente a studiare e definire i comportamenti di una categoria sociale, come quella dei giovani e del loro rapporto con i Media, ad esempio, non possiamo non ricorrere agli strumenti che ci mette a disposizione la ricerca sociale anche se, come premesso, le variabili in campo e le modificazioni dei modelli di riferimento che intervengono continuamente non consentono univoche e durature determinazioni del fenomeno.

Lo sforzo in ogni caso deve essere quello che ci propone Emile Durkeim quando dice: “Studia i fatti sociali come cose!” riferendosi al fatto che se la sociologia deve considerarsi una disciplina scientifica allora deve studiare i fatti sociali con gli stessi metodi con cui si studiano i fenomeni scientifici.

Eppure assistiamo spesso, purtroppo, sui temi di natura sociale, a dibattiti televisivi e radiofonici con panel di partecipanti quasi mai qualificati che esprimono quelle che sono però posizioni e apprezzamenti personali.

Anche la stampa è su questa linea, infatti è facile leggere articoli dove chi scrive rappresenta una sua idea, una sua opinione, seppur rispettabile ma che raramente trae spunto da dati oggettivi.

Rispetto a questo, va detto, i Sociologi dovrebbero impegnare molta energia ed imporsi per recuperare autorevolezza e centralità nel dibattito sociale.

Tornando ai giovani e al loro rapporto attuale con i media, potremmo dire semplificando che esso si basa su almeno tre parametri innegabili: la velocità dell’informazione, l’autodeterminazione del palinsesto, l’interattività.

Ricerche condotte da enti di ricerca sociale e da varie università nazionali ed estere (terzo rapporto CENSIS sulla comunicazione in Italia, Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, Mario Morcellini in “capire il legame Giovani e media”-atti del Convegno Internazionale Infanzia e Società Roma novembre 2005), indicano con chiarezza che i giovani hanno oggi un approccio assai diverso dal passato rispetto ai media tradizionali quali la radio, la televisione, la stampa quotidiana, media che stanno progressivamente abbandonando a favore del personal computer.

I dati che emergono dalle ricerche, utili certamente a chi si muove professionalmente ed imprenditorialmente nel settore dei Mass-media e necessari quando si voglia affinare strategie editoriali o di marketing pubblicitario, non debbono trovare impreparato il sociologo che è chiamato per impegno professionale ad interpretare le nuove tendenze sociali per ipotizzare il futuro ed i riflessi che tali trasformazioni provocano sulla società del domani.

Il sistema della comunicazione, al pari di altri sistemi sociali, non è certo estraneo ai processi di innovazione culturale e sociale, anzi, ne è quasi sempre il detonatore.

Del resto Niklas Luhmann ci ricorda che i sistemi sociali esistono e si sviluppano soltanto attraverso la continua comunicazione.

I Giovani, emerge dalle ricerche, stanno passando da una fruizione dei mezzi di comunicazione sociale di tipo “generalista e di flusso” ad un progressivo spostamento verso l’opzione di scelta personalizzata, meglio se supportata dalla possibilità interattiva, per giungere alla costruzione di un “palinsesto personalizzato” attraverso lo schermo del computer, quello che Giuseppe Gnagnarella nel suo ultimo libro” Storia Politica della RAI” definisce come un “nuovo egoismo individuale”.

Se fino a qualche anno fa “i giovani del muretto” facevano comitiva e si incontravano in piazzetta, oggi si frequentano e restano in contatto con i social network.

Certamente la rete è uno strumento comodo, specialmente in quelle realtà di provincia dove incontrarsi fisicamente nella giornata può essere difficile, resta il problema relativo ad un uso”patologicamente esagerato”.

Attraverso la rete si accetta il contatto amicale e sociale ma in modo “asettico e superficiale”, poco coinvolgente.

Come si fa del resto a considerare “amici” nel senso stretto della parola, con tutte le implicazioni che conosciamo bene quando ci riferiamo al sentimento amicale, le centinaia e centinaia di contatti Facebook che molti possono “vantare”?

La tecnologia procede autonomamente proponendo nuove abitudini d’uso e consumo e se fino a qualche anno fa i giovani giocavano con il “meccano”, con le “costruzioni Lego” ed al “piccolo chimico”, oggi giocano al “piccolo editore” , si cimentano con la produzione di filmati da inserire su YouTube o scrivendo sul loro Blog personale, magari uno dei sei miliardi di blogs attivi in rete, dove nessuno con tutta probabilità andrà mai a leggere e commentare nulla.

Ciò però avviene non senza contraddizioni: da una parte i giovani affermano di non essere interessati ai programmi televisivi con particolare riferimento ai cosiddetti programmi trash, mentre contemporaneamente anelano ad essere visibili in rete per “esistere” e non hanno remore pur di conquistare la loro “audience” nel proporre i video shock di corse dissennate di moto contromano o le immagini riprese con il telefonino delle percosse al compagno down.

Una ulteriore contraddizione è quella relativa alla richiesta di gratuità dei contenuti presenti in rete.

Se da una parte i giovani rivendicano la libertà democratica di scaricare musica e filmati senza oneri economici e di fare download free di software e documenti, dall’altra sono essi stessi a subire una progressiva desertificazione della produzione culturale che non trova al momento ancora adeguate garanzie di tutela del frutto dell’ingegno e della creatività e quindi nessun interesse di sostanza da parte, ad esempio, di autori e musicisti.

Il rischio è quindi, quello di disporre comodamente dei tanti contenuti esistenti in rete ma di non goderne di nuovi. I giovani navigano e rimestano tra le retrospettive, ripropongono il passato ma non aggiungono novità a quanto già disponibile.

Il rapporto tra i giovani e i media rischia quindi di essere in chiave culturalmente involutiva e non evolutiva come dovrebbe essere.

Il passato è tradizionalmente un bene rifugio, di per sé più rassicurante, rispetto allo scegliere di affrontare progetti per il futuro, così ambiguo ed imperscrutabile, specialmente in un periodo di crisi economico e sociale come quello che stiamo attraversando.

In realtà c’è bisogno di una nuova progettualità sociale per riportare i giovani ad avere un sogno, uno scopo, una passione, anche se non è certo facile convincerli che sia in generale più opportuno studiare ed impegnarsi in un onesto lavoro piuttosto che inseguire il successo del “tronista“ o della “Velina”.

Reso noto proprio in questi giorni, il rapporto Istat 2010 fotografa infatti una gioventù apatica, senza passioni, che non studia, non ha lavoro e nemmeno lo cerca. Ritorna prepotente l’appellativo “Bamboccione” per quelli che, intervistati affermano di non avere tra le loro priorità lo svincolo dalla famiglia di origine.

Questa realtà appare discordante da quanto invece si rileva riguardo la tendenza nell’uso dei media che indicherebbe al contrario nei giovani la voglia di indipendenza e autonomia di scelta.

Viene da pensare allora che non si tratti di una libera scelta, bensì di isolamento e di apatia nei confronti delle naturali sfide alle quali i giovani debbono tendere.

Loro malgrado i giovani gettano la spugna prima di iniziare il combattimento sapendo che le regole del gioco o non ci sono o sono truccate.

Credo che, in ogni caso, fatti salvi i dati statistici a cui fare doveroso riferimento, sia però necessario non generalizzare il rapporto tra i giovani e media e ancor più il riflesso che queste abitudini possano avere sulla società futura.

I giovani d’oggi sono né più e né meno i giovani di sempre, spetta alla società civile ed alla politica gettare le basi per investire su di loro.

Rispondo quindi alla domanda “come saremo domani” con “dipende da quel che vogliamo fare per il domani”.

Deve essere chiaro infatti che è responsabilità precisa di ogni singolo cittadino, ognuno per le proprie rispettive competenze supportare adeguatamente fattivamente o almeno moralmente le giovani generazioni a fare il salto, a spendersi nella competizione del futuro.

Anche noi sociologi del resto non siamo esclusi da questo processo, in quanto dobbiamo rilanciare autorevolmente la proposta di un progetto di società che, attraverso scelte decise, coraggiose, ed ormai irrinunciabili, diano il senso di un ritrovato patto etico e valoriale in un sistema di regole condivise cui fare riferimento.

Allora bisogna essere portatori di una proposta concreta: va chiesto con forza il rilancio del sistema scolastico ed universitario affinché punti alla valorizzazione reale delle competenze e che colga bene i bisogni del mondo del lavoro.

L’università in particolare deve stringere uno stretto rapporto di sinergia con il mercato del lavoro per definire percorsi di Laurea e specializzazione che siano in sintonia con le richieste imprenditoriali conservando evidentemente l’autonomia didattica. Non è possibile assistere ad una Università che va da una parte e le richieste di professionalità dall’altra se vogliamo dare una risposta concreta ai giovani in termini occupazionali.

Nel contempo il mondo del lavoro deve essere rispettoso delle potenzialità, delle competenze e delle qualità della persona affinché chi merita sia valorizzato a vantaggio della collettività.

Per concludere dico che è giunto il momento di abbandonare, o perlomeno attenuare di molto il dibattito intorno all’influenza dei media sui giovani, relegando definitivamente al passato il concetto di “televisione cattiva maestra” di Pasoliniana e Popperiana memoria per superare un periodo che ha attribuito, per nostra stessa colpa a questo “caleidoscopio di colori” fin troppa importanza.

Forse dovremmo sforzarci di ascoltare di più e meglio i segnali che ci giungono dai giovani, i quali hanno molto da dire e lo lasciano intendere in molti modi anche attraverso la loro musica, come il Rap, ad esempio che non ha melodia ma soltanto una esasperata enfasi del testo, una disperata voglia di farsi ascoltare.

In fondo per capire i giovani basterà pensare come i giovani.

Roma 15 giugno 2010

Marco Cuppoletti

Esercitazione su Comunicazione Politica

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Dal 1947 LA VIA ITALIANA ALLA COMUNICAZIONE

TEATRO DE’ SERVI – Roma 23 marzo ore 16:30

L’APPUNTAMENTO PIU’ ATTESO DELLA SETTIMANA:

il piacere di ascoltare, capire e comunicare

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Gli iscritti all’Istituto Fattorello, tutti appassionati studiosi della Comunicazione, non potevano perdere l’occasione di effettuare un’analisi dal vivo della comunicazione politica per le ELEZIONI REGIONALI 2010. Dopo l’incontro all’ ERGIFE con Renata Polverini e Nicola Palombi, candidati PDL, è ora la volta del candidato della lista PD Marco Di Stefano al TEATRO DE’ SERVI a Roma, 23 marzo ore 16,30.

Anche per questo candidato il prof. Giuseppe Ragnetti ha preparato una scheda di valutazione che , consegnata ai Fattorelliani presenti in sala in posizioni strategiche, consentirà loro di effettuare “ l’autopsia “ del candidato dal punto di vista relazionale e comunicativo. Insomma, daranno il voto a chi il voto lo chiede ai cittadini del Lazio.

La SCHEDA DI VALUTAZIONE consentirà di “ pesare “ i contenuti del discorso politico e tutte le componenti della comunicazione verbale, paraverbale, non verbale e simbolica, messe in atto dal candidato.

In sede di analisi e di valutazione dei dati individuati attraverso la scheda, sarà attentamente esaminata la coerenza o meno tra “il che cosa” e “il come”. Verranno messe in luce le diverse modalità di comunicazione, nella sua interezza, attivate dai due schieramenti e l’applicazione o meno della impostazione teorica della nostra Scuola.