Il Fatto-rello: editoriale n°2

di GIUSEPPE RAGNETTI

Il 2 settembre 1992 su Repubblica intervista a Giorgio Gori Direttore di Canale5.

La TV volgare? E’ lo specchio degli Italiani.

“Nostro compito è dare al pubblico ciò che vuole perché vendiamo telespettatori agli inserzionisti pubblicitari. La tv è un eccezionale specchio sociologico: andiamo in giro per le case degli italiani e scopriremo che la televisione non è altro che un’immagine fedele del paese” E più avanti “….per avere questa grande platea di telespettatori, noi dobbiamo capire che cosa piace alla gente, perché il pubblico sceglie e in qualunque momento può usare il telecomando”.

Quanto appena affermato, è molto interessante perché consente agli studiosi ed appassionati del settore di innescare varie riflessioni; pensiamo ad esempio alla polemiche che sovente vengono fatte a determinati programmi radio-televisivi. La domanda, a questo proposito, che ci piace porre e che, solitamente, è argomento di dibattito in aula è la seguente: “Tv spazzatura o pubblico spazzatura?”.

Da ciò si evince che molte delle c.d. problematiche inerenti la “qualità” dei programmi radio-televisivi risultano relativamente importanti poiché, in virtù di quanto affermato ormai da diversi decenni nella nostra piccola Scuola, l’industria dei mezzi di

Prof. Giuseppe Ragnetti

Prof. Giuseppe Ragnetti

comunicazione non fa altro che “mettere in forma” un prodotto che è pari ai gusti del pubblico al quale è indirizzato.

Non può permettersi di creare programmi che non derivino da uno studio dei recettori perché tale industria ha ovvie finalità imprenditoriali e gli investimenti effettuati devono fornire un consistente ritorno economico. Proprio come il marketing, l’industria dei mezzi di comunicazione ha l’obbligo di studiare il suo mercato-recettore e fornire un prodotto adeguato, semplicemente perché le regole del mercato sono queste: “compro se il prodotto è di mio gradimento” (ovvero, guardo o ascolto un programma se mi piace) altrimenti “cambio canale”.

L’industria dei mezzi di comunicazione, proprio perché azienda, non crea prodotti che non abbiano riscontri sul pubblico ed allora: “Tv spazzatura o pubblico spazzatura?”. Ignoranza, superficialità o malafede impediscono a molti di dare una risposta univoca a quella che è soltanto una domanda retorica.

Sensazioni “Versate”

Sono felici alla vita i bambini, il cui sguardo si perde nell’imperfetto presente. Hanno un unico gesto, crudele, avverso al tramite. Sguardi improbabili al futuro, trafitta realtà, posta come mucche immobili su prati, sotto la pioggia. Mani di terra sporche, iridescenti primavere dissolte d’un fiato. Piccolo, tenero fiore, tu muoviti nell’imperfetto sottraendoti ad ogni credo. Ama la diversità umana. Il dubbio,la sua domanda, la vita, non solo come valore. Amala e basta. Gli uomini muoiono per non amare più.

Marina Petrillo

 

Il confine

C’è voglia di sperare nella tua gioventù valori in cui credere, per cui lottare, dimenticando paure concrete e reali continuando a crescere accumulando ricordi ed esperienze mischiando il “sono” col “vorrei essere” e ritrovarsi un giorno seduti sull’orgoglio. E’ il giorno del confine quel punto indefinito dove qualcosa nasce e qualcosa muore, il giorno in cui l’incoscienza svanisce e limpida, imponente, si erge la maturità. Non c’è limite, non c’è regola, non c’è tempo, non c’è motivo, il confine è labile, flessibile, è uno stato di fatto improvviso come un lampo, puoi arrivarci a vent’anni, da ragazzino, da vecchio, ma prima o poi lo trovi. Io ancora non l’ho trovato, certamente non me ne faccio cruccio, covo in me stesso l’utopico sogno di non trovarlo, e morire “bambino”.

Remo Diana

 

Punto di rottura

Brutto scoprirsi debole peggio di quando si pensava di non esserlo ci vuole poco, molto poco per demolire le barriere del tuo orgoglio. Il cuore non lo puoi costruire ti si può sgretolare con un semplice sguardo o per una parola che lo risvegli dal coma. Lo sto provando ed è strano dolce e terribile in una strana fusione attrazione, repulsione non c’è distinzione contraddico le certezze e le mischio con pensieri confusi. Forse vuol dire essere vivi forse finchè questo succede avrò una speranza la speranza di non perdere mai quel dolce sentimento chiamato amore.

Remo Diana

 

La buona comunicazione è importante per il professionista

di LUCIANO FRUGIONI

Non era un corso come tutti gli altri quello a cui avevo deciso di partecipare quel 14 dicembre del 2004. Effettivamente era proprio diverso rispetto a quelli che siamo normalmente abituati a frequentare noi commercialisti, anzi mi correggo, “dottori commercialisti” come raccomanda vivamente di definirci il nostro Ordine. Parlavo di un corso diverso, mi spiego meglio.

Normalmente i corsi che riguardano un dottore commercialista hanno sempre a che fare con Testi Unici delle Imposte dirette, DPR sulle imposte indirette, decreti legislativi, circolari, principi contabili, argomenti dalle sigle ai più insignificanti come IVA, IRAP, IRE, IRES, ecc.

Secondo l’impostazione di origine anglosassone, il cliente può essere influenzato con un’opportuna scelta delle variabili comunicazione, prezzo, prodotto e punto vendita

L’argomento che si sarebbe tenuto quel giorno, LA COMUNICAZIONE DEL PROFESSIONISTA, proprio per la sua diversità, aveva attirato la mia attenzione e così, decisi di parteciparvi. Sentendo la parola comunicazione il mio pensiero è tornato indietro, a cercare tra i ricordi universitari una traccia dell’esame di marketing, che avevo superato brillantemente vent’anni prima. Affioravano nella mia mente vaghi e sbiaditi ricordi sulla comunicazione.

Rammentavo che la comunicazione era una delle quattro variabili (insieme a prezzo, prodotto e punto vendita/distribuzione) della strategia di vendita o di marketing mix. Secondo questa impostazione di origine anglosassone, il consumatore (o più genericamente un cliente finale) può essere influenzato con un’opportuna scelta di queste variabili, ed in particolar modo attraverso un’importante campagna pubblicitaria/di comunicazione, a compiere azioni che altrimenti non avrebbe mai compiuto.

L’informazione di per se stessa è come una materia grezza, come la creta in mano al suo scultore, non avrebbe alcun valore se in qualche modo non venisse “manipolata”

In altre parole, una volta identificato, attraverso delle opportune ricerche di mercato, il bersaglio (o target), che è fisso e ben definito, l’importante è miscelare bene le variabili ed il gioco è fatto. Ma è davvero così semplicistico convincere un cliente? Il cliente è realmente un bersaglio fisso? Comunicazione e pubblicità sono allora la stessa cosa? Se è così ne deve allora conseguire che chi fa più pubblicità vende automaticamente di più il proprio prodotto o servizio?

L’informazione non può mai essere obiettiva ed è sempre espressione di soggettività

Come professionista mi sono fatto molte volte queste domande, ponendomi non pochi dubbi a riguardo, senza darmi mai delle spiegazioni esaurienti. Forse a partire da quel giorno avrei potuto dare delle risposte più convincenti ai miei tanti interrogativi. Comincia così la mia “avventura” con il Fattorello. Premessa l’importanza, in taluni casi, delle altre tre variabili indicate (prezzo, prodotto e punto vendita/distribuzione), nel caso di un professionista un ruolo fondamentale, per poter “vendere” meglio i propri servizi, è quello occupato dalla comunicazione.

Non si può parlare di comunicazione se non ci si sofferma inizialmente sulla “materia prima” informazione e su come trasformarla. L’informazione di per se stessa è come una materia grezza, come la creta in mano al suo scultore, di per sé non avrebbe alcun valore se in qualche modo non venisse “manipolata”. Il fatto che l’informazione sia sempre in qualche modo manipolata mi permette di sfatare subito un mito: l’obiettività dell’informazione.

Un professionista sarà tanto più convincente con il suo cliente quanto più riuscirà ad entrare nel suo cervello, quanto più sarà in grado di interpretare i suoi gusti, le sue tendenze, le sue preferenze

Quante volte in tv o alla radio o leggendo un giornale ci siamo sentiti dire che l’informazione che da loro viene data è obiettiva. Oppure, ancora peggio, che la loro informazione è assolutamente obiettiva mentre quella del concorrente no. Nulla di più falso!!! L’informazione non può mai essere obiettiva ed è sempre espressione di soggettività. Fatta questa fondamentale premessa si può parlare di comunicazione.

La disciplina della comunicazione è molto complessa in quanto, come vedremo successivamente, entrano in gioco mille componenti e proprio quando si pensa di aver capito tutto emergono altre variabili non considerate. Come deve essere allora attivato il processo di comunicazione? Esiste una formula “magica” per descrivere questo processo di comunicazione? Il prof. Fattorello, studiando la comunicazione come tecnica sociale, ha elaborato una formula dentro la quale l’intero concetto di comunicazione è racchiuso.

Comunicare significa mettere in comune. Non è solo di tipo logico-semantico ma anche e soprattutto di tipo affettivo-emotivo

Abbiamo un soggetto promotore (SP), un mezzo (M), una formula d’opinione (O), attraverso la quale descrivo un fatto, ed un soggetto recettore (SR) che impropriamente nella scuola anglosassone viene definito target o bersaglio fisso. Supponiamo che in questo istante nel mondo si verifichi un determinato fatto, colui o coloro che decidono di parlarne comunicheranno quel qualcosa a modo loro. La realtà non entrerà mai tale e quale nel rapporto di comunicazione. Il soggetto promotore vede la realtà con tutta la sua soggettività e mette addosso a quel fatto la sua interpretazione, il suo abitino.

Da questo si deduce che la tanto decantata obiettività è un clamoroso “bluff”. In qualunque ambito ci troviamo dobbiamo allora concentrarci sulla O ossia sull’interpretazione che il soggetto promotore dà alla realtà. Tale interpretazione sarà tanto più convincente quanto più riuscirà a raggiungere il maggior numero di soggetti recettori. Emerge allora una eclatante verità: il soggetto recettore è un elemento fondamentale nel processo di comunicazione e non un soggetto passivo come forse fino ad oggi qualcuno credeva o voleva farci credere.

L’impatto della comunicazione non verbale è nettamente superiore a quella di tipo verbale. Il 90% della comunicazione interpersonale è rappresentata da messaggi non verbali emessi in maniera inconsapevole

Analogamente un professionista sarà tanto più convincente con il suo cliente quanto più riuscirà ad entrare nel suo cervello, quanto più sarà in grado di interpretare i suoi gusti, le sue tendenze, le sue preferenze. Un aspetto che il soggetto promotore dovrà sempre tenere presente è che i soggetti recettori sono capricciosi quindi potrebbero cambiare idee, esigenze ecc.

Un buon commercialista, ad esempio, non sarà soltanto colui che fornisce un buon servizio o che sa a memoria tutto il testo delle imposte dirette, ma colui che cercherà di entrare il più possibile nel pensiero del suo soggetto recettore che, nel caso specifico, è il cliente.

Possiamo allora definire due concetti fondamentali: 1) la realtà non può essere comunicata ma solo essere messa in forma”, cioè informata; 2) per ottenere l’adesione del soggetto recettore bisogna guardare la realtà il più vicino possibile a come la vedrebbe lui. Quanto più il soggetto promotore/professionista (SP) ed il soggetto recettore/cliente (SR) riusciranno a condividere il modo di vedere la realtà tanto più sarà efficace il processo di comunicazione.

Ne consegue che non esiste un modo di condizionare gli altri per portarli verso noi stessi, esiste però l’imperativo categorico di studiare a fondo e capire il nostro soggetto recettore/cliente. Quanto più capiremo il nostro soggetto recettore, tanto più sarà efficace il processo di comunicazione. Comunicare significa mettere in comune. La comunicazione non è solo di tipo logico-semantico (verbale) ma anche e soprattutto di tipo affettivo-emotivo (non verbale).

Laddove comunicazione verbale e non verbale (tono della voce, gestualità, movimenti ecc.) coincidono tanto più efficace è il messaggio che vogliamo comunicare

L’impatto della comunicazione non verbale è nettamente superiore a quella di tipo verbale. Il 90% della comunicazione interpersonale è rappresentata da messaggi non verbali emessi in maniera inconsapevole. Per un professionista imparare a comprendere e gestire tali messaggi è fondamentale per comunicare bene. Laddove comunicazione verbale e non verbale (tono della voce, gestualità, movimenti ecc.) coincidono tanto più efficace è il messaggio che vogliamo comunicare.

Il professionista (soggetto promotore) ed il cliente (soggetto recettore) all’interno del processo di comuni14 - comunicazione bncazione non occupano sempre la stessa posizione ma alternativamente diventano soggetto recettore e soggetto promotore, dando vita ad un continuo processo di comunicazione. Una volta avviato il processo di comunicazione segue un processo fondamentale che è il controllo. Con il processo di controllo si arriva a misurare (in situazioni importanti si ricorre a studi come la doxometria) la l’adesione, ossia il consenso che viene dato dal soggetto recettore.

E nel caso di scarso consenso il soggetto promotore dovrà cercare di apportare gli opportuni cambiamenti alla formula di opinione proposta, per avvicinarsi il più possibile al soggetto recettore. Un professionista che vuole comunicare bene con il suo cliente deve innanzitutto capire chi è il suo interlocutore e qual è il modo migliore per entrare in comunicazione con lui. Non deve, inoltre, mai perdere di vista quelli che possono essere i cambiamenti che intervengono nei suoi gusti, nelle su
e esigenze, nelle sue aspettative.

Da quanto finora esposto si deduce che comunicare sia un’arte, difficile e semplice nello stesso tempo. Saper comunicare bene è, quindi, una sfida importante che coinvolge indistintamente tutte le categorie ma, in particolar modo, quella dei professionisti che necessitano di ottenere una comunicazione quanto più efficace.

Purtroppo ancora oggi molti professionisti cercano di “colpire” i clienti con paroloni inutili, linguaggio tecnico ed una terminologia che, alla maggior parte delle persone, appare a dir poco incomprensibile. Parafrasando una famosa pubblicità di tanti anni fa verrebbe da dire “meditate professionisti, meditate……”

L’Attualità

Cosi’ scriveva Francesco Fattorello nell’Aprile del 1975

Il giornalista, l’informatore dei fatti del giorno, dei fatti contingenti, per eccellenza, ha come oggetto delle sue attività professionali l’attualità. Che cosa è l’attualità, che cosa sono i fatti del giorno? Scrive Guy Gauthier in un suo volume dal titolo “L’actualitè, le journal et l’èducation” (Paris; Tema editions 1975) “l’èvenèment est un rècit de presse”.

Il giornalista si trova nel mezzo degli avvenimenti ancora in via di svolgimento e per queto il suo racconto dell’avvenimento ha qualche cosa di vivo

E la definizione può andar bene se si sa che cosa vuol dire “relazione giornalistica”, se si sa quali sono i vincoli dai quali è 3-4 - title bncondizionata la stesura giornalistica. Questi “rècit de presse” suscitano in noi una certa emozione più o meno immediata. Possono esercitare anche un’emozione collettiva alla quale più o meno possono partecipare i recettori del giornale come un recettore di gruppo.

La storia non può incominciare se non dopo che le sue “onde” (impulsi animati) hanno cessato di farsi sentire, il giornalista proprio quelle “onde” deve percepire: in esse il senso dell’attualità

Naturalmente il “rècit de presse” non è una narrazione storica. La storia ha per oggetto i fatti trascorsi di cui conosciamo il principio, lo svolgimento e la fine. Qui ci troviamo, invece, nel bel mezzo dei fatti, ci troviamo nel mezzo degli avvenimenti ancora in via di svolgimento o appresso ai fatti di cui riteniamo di conoscere un certo svolgimento contingente.

E il rendiconto giornalistico dell’avvenimento, proprio per il suo rapporto ancor immediato col fatto, ha qualche cosa di vivo, come ha scritto Pierre Nora, qualcosa che, inserito nel contesto del giornale e per il rapporto diretto “ancora caldo” con l’avvenimento, suscita qualche effetto, emana delle “onde” che sono la sua forza sociale, quasi gli impulsi di qualche cosa ancora animata.

Mentre nella tradizione del giornalismo occidentale l’attualità è la realtà sociale immediata, nel giornalismo marxista-leninista è soprattutto una valutazione di essa dal punto di vista politico e ideologico

Ora, mentre la storia non può incominciare se non dopo che quelle “onde” hanno cessato di farsi sentire, il giornalista proprio quelle “onde” deve percepire: in esse il senso dell’attualità. Si aggiunga ancora che, mentre nella tradizione del giornalismo occidentale l’attualità è la realtà sociale immediata, ancora palpitante, realtà sociale contingente, non attinente a ciò che fu ma a ciò di cui l’informatore è testimone o partecipe e di cui riferisce, come altri ha detto, “al ritmo del presente”; nella tradizione del giornalismo marxista-leninista l’attualità attiene non soltanto alla realtà sociale contingente, ma è soprattutto una valutazione di essa dal punto di vista politico e ideologico dell’editore, del giornalista e del lettore.

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Francesco Fattoreello

Non si tratta di una realtà astratta, rilevata secondo una teoria obiettivistica: perché se tale fosse non sarebbe più una realtà giornalistica. Secondo Vladimir Hudec (di cui è apparso un saggio in “Journaliste dèmocratique“, n.2 del 1975) non si tratta di una realtà astratta.

Poiché non si possono presentare tutte le informazioni, esse sono presentate secondo una scelta delle più interessanti o delle più importanti, valutate secondo interessi e ideologie

E’ il contenuto sociale con i suoi tratti politico-ideologici, il suo valore differenziato secondo interessi di classe e di partito che fa di una attualità una attualità giornalistica . L’attualità (sono sempre concetti di Hudec) non esiste da sola. Non si tratta di una presa di conoscenza, ma di una valutazione di quella attualità utilizzata nella lotta di classe per imporre le tendenze ritenute più giuste per lo sviluppo sociale.

Questa è la concezione dell’attualità in funzione giornalistica che discende dalla interpretazione politica del giornalismo marxista-leninista. Dice ancora Hudec che, nel mondo occidentale, giornale, cinema, radio e televisione ritengono di avere come fine quello di fornire delle informazioni obiettive.

Lenin diceva che un giornale deve avere un orientamento permanente. Un giornale senza orientamenti è una cosa assurda

Ma poiché non si possono presentare tutte le informazioni, esse sono presentate sempre secondo una scelta delle più interessanti o delle più importanti, e questa scelta è già una valutazione secondo determinati interessi e determinate ideologie.

Lo aveva già affermato uno dei maggiori maestri della propaganda politica: Lenin, quando diceva che un giornale deve avere un orientamento permanente. Un giornale senza orientamenti è una cosa assurda.

Nicola Montorsi: il più giovane dirigente BP degli Stati Uniti

Una testimonianza diretta di come l’Istituto Fattorello di Roma permette di raggiungere importanti traguardi.

di ELEONORA PICCI

Nicola Montorsi ha 32 anni ed è Director dei Public Affairs del Golfo del Messico Offshore e Louisiana per la BP America Inc. Nonostante la sua importante posizione, non è stato difficile “raggiungerlo” dall’altro capo del mondo. E’ bastata una semplice email perchè Nicola accogliesse con gioia l’invito a raccontarsi su “Il Fatto-rello”.

Mi ha raccontato di sé ma soprattutto mi ha trasmesso una grande stima per la nostra piccola Scuola, che lo ha reso “tanto grande”. Laureato in Economia a Roma, Nicola ha frequentato il Corso all’Istituto Francesco Fattorello nel 1999.

E’ entrato nella multinazionale dei petroli BP nel 2001, percorrendo una brillante carriera, prima come Trade Marketing Manager Lubrificanti, poi Brand Manager e Corporate Communications Manager. Da Milano è arrivato al Parlamento Europeo di Bruxelles come Adviser European Government Affairs per poi trasferirsi direttamente in Texas, dove vive ancora oggi ricoprendo la carica di Direttore dei Public Affairs.

Nicola è appassionato di sport ma, soprattutto, della piccola Giulia, la prima figlia, nata tre mesi fa. Lavorare con Giulia – mi dice – è addirittura più faticoso che stare sulle piattaforme petrolifere per giorni interi. Si stava laureando in Economia quando, grazie all’associazione studentesca AIESEC, Nicola è venuto a conoscenza del Corso al Fatto-rello. Nonostante i numerossimi impegni che aveva, decise di provare questa nuova esperienza.

A distanza di anni ricorda la sua formazione al Fattorello come un periodo intenso ma estremamente produttivo e gratificante.

A differenza della scuola o dell’università, l’Istituto Fattorello gli ha offerto l’opportunità di iniziare a riflettere con la propria testa (non con le idee di altri) e di esprimersi e confrontarsi disinteressatamente con persone di eta’ e preparazione diverse. Questa è il primo ricordo del Fattorello: una vera scuola “formativa”, che gli ha dato una regola mentale ed una grande disponibilità al “nuovo”.

Dopo il Fattorello ha iniziato a lavorare per la BP, multinazionale petrolifera inglese, seconda major petrolifera mondiale e quinta azienda al mondo per capitalizzazione di mercato.

Tante le diversità culturali che Nicola ha percepito, sin dal primo colloquio di lavoro. Mi racconta che il capo del personale (inglese) gli disse che mentre i britannici accentrano tutto nella sintesi, gli italiani nella parafrasi. E poi gli italiani sono estetici, dividono il mondo tra bello e brutto mentre gli inglesi sono etici, dividono tra buono e cattivo e, soprattutto, non si perdono in chiacchiere. Adattarsi a “quel mondo” per un italiano verace ed espansivo come lui non e’ stato affatto facile.

Nelle multinazionali c’e’ spazio per fare carriera se si e’ ovviamente capaci, produttivi, ma soprattutto flessibili. Non basta saper fare bene il proprio mestiere e raggiungere i risultati preposti. Chi sa cambiare ruolo, ufficio, anche nazione se necessario, ed adattare il proprio modo di lavorare a seconda del mercato o del contesto dove si trova, allora trova molte porte aperte.

C’e’ una selezione naturale darwininana nelle aziende, perchè chi ha flessibilita’ e capacita’ di adattamento sopravvive e progredisce. Chi impone le proprie idee, il proprio stile, si scontrera’ prima o poi contro muri invalicabili o finira’ con il fare sempre le stesse cose.

Senza conoscere bene la Tecnica Sociale dell’Informa-zione di Francesco Fattorello – afferma – non riuscirei a pensare concetti in un’altra lingua ed aderenti ad un’altra cultura, con la stessa efficacia di un professionista madrelingua.

Grazie a questa innata flessibilità e alla volontà di girare il mondo, Nicola ha ricoperto diversi ruoli in Italia, occupandosi di marketing e comunicazione, poi di lobby presso il Parlamento Europeo di Bruxelles, fino ad arrivare a Houston, dove concretamente è impegnato negli affari esterni dell’esplorazione, dallo sviluppo alla produzione dell’oro nero che la BP estrae nel Golfo del Messico, dove si accentra circa il 10% della produzione mondiale dell’azienda.

Ora Nicola è il più giovane direttore BP degli Stati Uniti (è stato anche il più giovane dirigente d’Europa) ed afferma con orgoglio che questa brillante carriera è anche merito del Fattorello, uno degli investimenti migliori della sua vita. Dell’Istituto Fattorello mi dice che, secondo lui, e’ una scuola impegnativa e non per tutti, perchè per essere un’operatore dell’informazione bisogna avere una notevole apertura mentale.

Nicola definisce la tecnica sociale come un meccanismo potentissimo per comunicare in maniera efficace sia pubblicamente che individualmente. E’ una formula universale ed applicabile in ogni contesto, addirittura – mi ha confessato – riesco ad utilizzarla con mia figlia che ha tre mesi, riuscendo a capirla molto bene. La corretta informazione si ottiene attraverso un mix tra scienza e creatività: la tecnica sociale è scienza, la mente umana creativa.

Mi sembra che Nicola ricordi con affetto e, forse, un po’ di nostalgia, i bei momenti trascorsi tra i banchi del Fattorello, dove gli accesi dibattiti hanno accresciuto una costante autoconsapevolezza assieme ad una propria capacità di critica. Inoltre, il Fattorello gli ha permesso di realizzare un sogno, quello di poter scrivere un dossier sulla seduzione. Persino un uomo di larghe vedute come il Prof. Ragnetti sembra che, per un attimo, vacillasse davanti alla proposta di Nicola.

L’ho fatto ricredere, come e’ successo ad oltre 5000 persone che si scaricarono la mia tesina da internet – conclude Nicola – Una bella soddisfazione. L’evento fu persino citato al fu Costanzo Show, su TMC, MTV e varie radio che mi chiamavano per delle dichiarazioni.

In America la Tecnica Sociale e’ l’alfabeto della comunicazione. Mi meraviglio come in Italia ancora si discuta su questo e si dia ancora credito ad impostazioni teoriche ormai ripudiate dalla stessa cultura che in passato le aveva generate.

Cercare alternative e’ come cercare di scrivere in italiano con caratteri cinesi o arabi. Oppure come andare in bici con la tenuta subacquea. Scomodo e inefficace.

Con la valigia sempre pronta e la Tecnica Sociale ben impressa nella mente, Nicola si dichiara pronto a qualsiasi avventura, perche’ il Fattorello ha notevolmente migliorato non solo le sue qualita’ professionali, ma anche quelle interpersonali. Insomma, un corso da gustare fino in fondo. Come si dice in America, enjoy!

 

L’oratore “parlante”…

Come parlare in pubblico e riuscire a … parlare!!!

di EUFRASIA D’AMATO

Sembra un paradosso, ma in realtà è capitato a molti oratori di bloccarsi mentre si accingevano a parlare in pubblico! Parlare dinnanzi ad una platea sembra facile! In realtà la paura di essere giudicati e la difficoltà concreta, a volte, di tradurre il pensiero in parole, soprattutto dinnanzi a mille occhi che scrutano ogni più recondito particolare, giocano brutti scherzi.accorsi bn

Sappiamo parlare perchè sin da piccoli lo abbiamo imparato, ma coinvolgere e trasmettere ad una moltitudine di persone il proprio pensiero non è cosa altrettanto semplice. Affrontare la platea è un po’ come essere sull’orlo di un precipizio…meglio non guardare giù; e, invece, non c’è niente di più sbagliato.

Affrontare la platea è un po’ come essere sull’orlo di un precipizio

E’ necessario guardare giù o meglio guardare gli ascoltatori per poter stabilire con loro un contatto diretto. Lo scambio di sguardi contribuisce a diminuire il distacco che concretamente c’è tra l’oratore e la platea. I bravi oratori lo sanno: la cosa più importante da fare è adattare il discorso al pubblico.

Solo riuscendo a capire l’atmosfera e la tipologia di personaggi che abbiamo davanti possiamo trasferire contenuti e modalità comunicative in sintonia con le loro aspettative. Il passato insegna. La tradizione storico culturale dei grandi oratori romani ci ha tramandato una letteratura ricca e appassionata di “ciceroni” che animavano il Foro e non solo.

Una tradizione che si coniuga perfettamente con l’impostazione fattorelliana; una linea retta tra il prestigioso passato e la Tecnica Sociale che da sessanta anni coniuga lo studio attento del soggetto recettore alla perfetta riuscita del processo comunicativo. Ebbene…è giunta l’ora! Le gambe tremano, il cuore palpita e la platea rumoreggia…aspettano tutti noi.

E’ necessario guardare giù o meglio guardare gli ascoltatori per poter stabilire con loro un contatto diretto

oratore bnDa dove cominciare? Innanzitutto il lavoro imprescindibile per un buon oratore è l’organizzazione del discorso che presuppone la conoscenza e la dimestichezza dell’argomento. Va bene essere emozionati ma se non sappiamo neanche di cosa parlare…

Organizzare l’argomento dell’esposizione equivale a parlare con chiarezza di non più di due o tre idee chiave, attorno a cui sviluppare l’arringa. Dinamismo e brevità sono le due inseparabili amiche dell’organizzazione del discorso.

Il bluff si scopre subito! Se cerchiamo di imitare o scimmiottare qualcuno veniamo smascherati immediatamentepericle bn

La cosa più importante, infine: il bluff si scopre subito! Se cerchiamo di imitare o scimmiottare qualcuno veniamo smascherati immediatamente. Essere se stessi con i propri difetti, soprattutto, aiuta a rendere umani anche i più “impacciati” tra gli oratori.

Non sottovalutare né sopravalutare le persone presenti: anche loro, al posto dell’oratore, avrebbero le stesse difficoltà. In fin dei
conti, siamo “tutti sulla stessa barca”.

Colui che, capace di pensare, non sa esprimere il suo pensiero, è allo stesso livello di chi non riesce a pensare

Per i futuri successi, un consiglio dal passato: come affermava Pericle, una delle più grandi personalità della storia di Atene “colui che, capace di pensare, non sa esprimere il suo pensiero, è allo stesso livello di chi non riesce a pensare”.

E’ nato prima l’uovo o la gallina?

La tecnica sociale è la base teorica dei processi di produzione orientati al mercato

di ALESSANDRA ROMANO

Nello scorso numero abbiamo rappresentato la filosofia aziendale Marketing Oriented dimostrando che: Se è vero che il cliente compra solo se il prodotto è stato progettato “su misura” per lui, allora è il marketing che fa vendere il prodotto, non è la pubblicità. La pubblicità informa!uovo%20e%20gallina bn

Dietro ad una campagna pubblicitaria ben riuscita, c’è il lungo lavoro di intere strutture aziendali di marketing e di comunicazione

Il Marketing, grazie a tecniche di indagine sociale, che utilizzano a piene mani la statistica (demografia , doxometria,.. ), riesce a ben individuare tutti i parametri necessari per la definizione del “Business”:

1) Prodotto = è importante costruire un prodotto su misura per ogni gruppo omogeneo di consumatori, le ricerche di mercato sono in grado di definire i gusti e i fabbisogni dei consumatori potenziali;

2) Quantità di prodotto da immettere sul mercato = una volta scelta la tipologia di potenziali clienti interessati al prodotto costruito su misura per loro è facilmente identificabile la quantità massima da immettere sul mercato;

3) Il prezzo = le tecniche di marketing ci permettono di identificare il massimo prezzo ( prezzo di mark-up) a cui il potenziale cliente è ancora disponibile ad acquistare un prodotto pensato proprio per lui;

4) La distribuzione = il marketing definisce i canali distributivi più adeguati per raggiungere la clientela;

5) Le strategie di vendita = il marketing identifica la migliore strategia e le condizioni di vendita necessarie per penetrare il mercato.

Et voilà il gioco è fatto, basta solo informare la clientela circa le caratteristiche e il prezzo del prodotto e dove può essere acquistato. Solo a questo punto del processo produttivo entrano in campo le tecniche di comunicazione per diffondere l’informazione commerciale, tocca alla pubblicità, largo ai creativi. Ma è una creatività comunque vincolata dalle scelte operate dal marketing.

I creativi dovranno basarsi sulle strategie e i piani di marketing se vogliono rendere un servizio valido al cliente. Al contrario spesso capita di vedere bellissimi e divertentissimi spot pubblicitari che vincono anche premi importanti (v.si Premio Philip Morris) ma completamente svincolati dal prodotto e belli costosi, ma inutili.

Facciamo un test, vi sfido a ricordare il prodotto, l’azienda e l’obiettivo del pregiatissimo spot pubblicitario del vicino di casa, che bussando alla porta della ragazza carina, esordisce con il famoso tormentone: “buoonaseeeraa”.

Inviate la soluzione alla mail al.romano29@bero.it Sicuramente non avrete indovinato, ma non temete, non siete stati disattenti voi, la colpa è dei tecnici pubblicitari, hanno sbagliato lo spot: non hanno tenuto conto delle indicazioni del marketing.

Non è la pubblicità che fa vendere, è il marketing che fa vendere e la pubblicità informa

I tecnici della comunicazione prima di elaborare il piano di comunicazione del prodotto X devono studiare: 1) SP = ovvero analizzare l’azienda e i suoi piani di marketing già predisposti 2) SR = ovvero studiare il gruppo omogeneo di potenziali consumatori già identificato dai piani di marketing 3) M = scegliere i mezzi di comunicazione più adeguati per raggiungere efficacemente SR, ottimizzando il budget pubblicitario già stanziato dal marketing 4) O = individuare la formula di opinione, coniugando tutte le informazioni acquisite con l’obiettivo da raggiungere: informare il gruppo sociale di consumatori a cui è rivolto il prodotto.

Delle fasi analizzate solo l’ultima, individuazione della “O”, è unicamente di appannaggio del tecnico della comunicazione. Sicuramente è il momento più creativo e il più stimolante, che si tradurrà in spot e slogan pubblicitari. Ma è solo la punta di un iceberg. Dietro ad una campagna pubblicitaria ben riuscita, c’è il lungo lavoro di intere strutture aziendali di marketing e di comunicazione.

E allora è più importante il Marketing o la Comunicazione? E’ nato prima l’uovo o la gallina? Ma è evidente che è grazie alle tecniche di marketing che si definiscono le strategie aziendali di produzione e di vendita. La comunicazione è solo una delle fasi del processo aziendale. Non è la pubblicità che fa vendere, è il marketing che fa vendere e la pubblicità informa.

Anzi le strategie di comunicazione sono fortemente condizionate e vincolate dalle strategie di marketing definite a monte. La teoria fattorelliana risulta ancora una volta confermata dalla rilevazione empirica.

Ma allora nelle aziende contano di più gli uomini di marketing o gli uomini della comunicazione? E’ più importante la comunicazione o il marketing? Ma questa è tutta un’altra storia

09 bn

 

Se Cleopatra sapesse comunicare…

di SARA ANGELUCCI

Cleopatra è il nome della mia gattina, ed ogni volta che esco di casa la saluto dicendole “ciao topolino mio”!! Ma se Cleopatra sapesse che, il vezzeggiativo con il quale mi rivolgo a lei, è il nome che il nostro linguaggio assegna a quegli animaletti ai quali dà la caccia con tanta foga, cosa direbbe?

Probabilmente, la sua reazione non sarebbe affettuosa come, viceversa, si dimostra. Tra gli uomini la comunicazione, per essere tale, deve avvenire con modalità diverse e chi ha letto il numero precedente del nostro bollettino ha certamente compreso la rivoluzione operata dalla fattorelliana “Scuola di Roma”.

Considerare sullo stesso piano sia il soggetto promotore che il soggetto recettore, entrambi soggetti opinanti di pari dignità, significa che per comunicare bisogna avere chiaro chi è il destinatario del nostro messaggio. Quando parliamo non possiamo rovesciare sull’altro il nostro pensiero, bensì dobbiamo costruirlo tenendo conto anche della sua idea.

E’ evidente come nella maggior parte dei casi questo non avvenga: si parla ma non si comunica, e ciò è visibile nella conflittualità che si registra negli ambienti politici, professionali e familiari. Ciò che sembra scontato (chi ammette di parlare senza conoscere chi si ha davanti?!), manda in corto circuito il processo comunicativo e la lite (verbale, ma non sempre) invalida lo scambio.

I politici, d’altro canto, rappresentano un caso esemplificativo di come, sullo stesso concetto, si possono costruire significati contrapposti, pur tuttavia validi, perché indirizzati a pubblici differenti. Solo chi fuori dagli schieramenti di partito vuole trovare un’univoca soluzione, si renderà conto che in realtà questa non esiste e sono proposte visioni diverse, che non costituiscono una risoluzione concreta.

Ci può essere un sistema migliore? Ci sono parole ed espressioni che abbiamo timore di pronunciare a noi stessi e che avrebbero invece un gran effetto benefico sul nostro essere e sul modo di relazionarci all’altro. Allora, forse, è il caso di avere più comprensione per noi stessi, dobbiamo esercitarci a pronunciare ad alta voce quelle parole che germogliando dentro di noi, ci predispongono all’accoglienza verso chi abbiamo di fronte.

Il perchè di un lavoro sull’opinione

di GIUSEPPE RAGNETTI

Gli studi accademici, in Italia, non si sono occupati frequentemente dell’opinione: da una parte gli studiosi non le dedicano molta attenzione, dall’altra i cosiddetti “esperti” e quelli “neanche-esperti” ne parlano e straparlano in ogni occasione e in ogni contesto senza conoscerne minimamente la struttura e i meccanismi evolutivi.

E allora sentiamo, (ancora!), parlare di informazione obiettiva, condizionamento, persuasione occulta, messaggi subliminali, strapotere dei mezzi di comunicazione, di par condicio e di altre amenità che quotidianamente ci vengono somministrate senza un minimo humus scientifico che renda il tutto appena credibile.

E’, tuttavia, quello dell’opinione un argomento affascinante che ci coinvolge tutti i momenti, tutti i giorni, tutta la vita. L’uomo non può esimersi dall’esprimere opinioni su tutto ciò di cui viene a conoscenza, su tutto ciò che lo riguarda direttamente o che semplicemente lo sfiora, ma non conosce i mille limiti dell’opinione.

Opinare è quasi un’esigenza fisiologica al pari del respirare o del parlare: e, forse, è proprio questo innato, naturale meccanismo mentale, ad affievolire l’interesse per lo studio e l’approfondimento del fenomeno.

Giungiamo fino al paradosso che non esistono insegnamenti di “scienze dell’opinione” nelle scuole che preparano i tecnici dell’informazione, i giornalisti cioè, per i quali, invece, l’opinione rappresenta la materia prima, componente di base insostituibile di tutto il loro lavoro.

Questa non conoscenza, questa sciatta trascuratezza didattico-formativa consente ancora oggi a direttori di importanti quotidiani nazionali di affermare: “il nostro giornale, come sempre ha fatto, terrà separati i fatti dalle opinioni”. E, arrivando alla stazione di Roma Termini, non può non colpirci la pubblicità di un giornale della capitale che recita, ancora una volta, “I fatti e le opinioni”.

L’uomo non può esimersi dall’esprimere opinioni su tutto ciò di cui viene a conoscenza, su tutto ciò che lo riguarda direttamente o che semplicemente lo sfiora, ma non conosce i mille limiti dell’opinione

Ed ecco perché, con grande modestia e con piena consapevolezza dei limiti del nostro contributo, ci siamo lasciati convincere a mettere nero su bianco quello che andiamo raccontando, ahimé da molti anni, nei nostri Corsi nei contesti più diversi. Il libro è semplicemente una raccolta dei contenuti di tante mie lezioni: non c’è nulla di inedito e non ha pretese di originalità.

La bibliografia è modesta per il semplice fatto che tutto quello che ho detto nelle lezioni l’ho appreso da altri ma, spesso, non ricordo né mi interessa la fonte. Se ho dato la mia adesione alle opinioni da altri proposte, significa che le stesse mi hanno interessato, che le ho valutate e condivise e, quindi, fatte mie!

Per i giornalisti l’opinione rappresenta la materia prima, componente di base insostituibile di tutto il loro lavoro

Ho avuto sempre pudore a scrivere qualcosa per non voler essere identificato come uno dei tanti replicanti: tutto ciò che c’era da dire è stato già detto in maniera migliore, in altre epoche, dai grandi del passato. Ho capito che tutti i miei pensieri, le mie idee, non erano mie.

Ho capito che tutti i miei pensieri, le mie idee, non erano mie

E allora, ho accettato gli incoraggiamenti che mi venivano da più parti: ora, voglio scrivere per restituire tutto ciò che mi era stato dato in prestito. Nel transito della vita mi è stata concessa la “servitù di passaggio”, ma la proprietà rimane ad altri.

Le Elezioni Politiche 2006 e Il Linguaggio Del Corpo

una modalità comunicativa sommersa che emerge oltre la parola

di EUFRASIA D’AMATO

Tra chi rosica per la mancata vittoria e chi festeggia per il risicato trionfo, quante parole si sono sprecate. Parole, parole, parole….e i gesti? O meglio, tutti i movimenti che il nostro corpo compie volontariamente o inconsapevolmente, che vanno sotto il nome di Comunicazione Non Verbale (CNV), dove li mettiamo? Di sicuro i nostri politici, che hanno ‘movimentato’ quest’ultima campagna elettorale hanno messo i loro gesti al posto sbagliato!

Come allievi della Scuola e studiosi di comunicazione ci interroghiamo su quanti voti ha portato, per esempio, una mano conigliosaldamente ancorata al tavolo, sinonimo di sicurezza ed asserzione, e quanti voti, al contrario, non hanno portato le braccia conserte e serrate in petto o il capo inclinato, corrispettivi di chiusura e disagio! Al di là dell’incantesimo della parola, quello che percepiamo ed osserviamo nel nostro interlocutore è rappresentato dai movimenti, dalla fisionomia, dal cambiamento di espressione. Siamo, dunque, prima visti che sentiti.

Al di là dell’incantesimo della parola, quello che percepiamo ed osserviamo nel nostro interlocutore è rappresentato dai movimenti, dalla fisionomia, dal cambiamento di espressione

Il linguaggio dei gesti è un modo naturale di ‘parlare’, perché il linguaggio stesso nasce dal gesto, da ogni nostro comportamento, anche apparentemente non-comportamento, che è uno straordinario veicolo di comunicazione. Il nostro corpo, pertanto, è uno strumento di comunicazione: ci dice come siamo e come sono gli altri. Alcuni tra i più banali gesti come per esempio grattarsi il naso, tenere il capo inclinato leggermente, cambiare continuamente posizione del corpo, tenere le braccia incrociate verso il petto ecc., possono essere apparentemente determinati da sensazioni di fastidio, prurito ma, molto spesso, lo stimolo, che è alla base di queste reazioni del corpo, non è solo di carattere fisiologico.

Lo stimolo può trovarsi, infatti, in un’azione o in una parola del nostro interlocutore, nella sua stessa presenza o nel fatto di vedere o sentire una cosa inattesa, che possono provocare in noi sensazioni inconsce di disagio. Ma anche la scarsa fiducia in noi stessi, il fatto di non credere per primi a quello che diciamo, sottende ad atteggiamenti e posture che indicano chiusura, scarsa autostima, imbarazzo e disagio.

La scarsa fiducia in noi stessi sottende ad atteggiamenti e posture che indicano chiusura, scarsa autostima, imbarazzo e disagio

Conoscere e sapere interpretare il linguaggio del corpo è molto utile a tutti (soprattutto ai politici!) poiché consente di migliorare il nostro rapporto con gli altri e, nel contempo, di accrescere la conoscenza di noi stessi. Bocca, naso, occhi, piedi, gambe, braccia….è divertente sezionare il nostro corpo in nome della scienza, o meglio, della comunicazione.

Dimmi come ti muovi e ti dirò chi sei; giocherellare con le mani, nasconderle in tasca, dietro la schiena, passarsi la mano sul collo: sono un modo per mascherare una situazione di disagio, di insicurezza e di nervosismo. Braccia aperte, inclinazione del corpo in avanti e busto eretto manifestano, al contrario, apertura ed interesse nei confronti del recettore. Così come ridere in modo stridulo, sedersi ed ancorare i piedi alla sedia, giocherellare con capelli, barba, collane e cravatte, all’occhio attento del nostro interlocutore, non ci consentono di essere credibili e padroni di noi stessi.

Il linguaggio del corpo è molto utile a tutti poiché consente di migliorare il nostro rapporto con gli altri e, nel contempo, di accrescere la conoscenza di noi stessi

question_markTutti questi gesti li compiamo in modo inconsapevole proprio perché, il vero linguaggio che ci caratterizza e ci fa entrare in relazione con il mondo, è quello non verbale per il semplice fatto che i gesti non cadono sotto la censura della mente e rilevano il nostro vero stato d’animo. Osservare per credere! Non dobbiamo, allora, pensare che mente e corpo siano entità disgiunte. Noi osserviamo e veniamo osservati; questa è una maniera eccellente di capire, di percepire, di comunicare.

Il grande regista ed attore italiano, Vittorio De Sica, lo aveva capito; gli occhi sono lo specchio dell’anima e lo sguardo è una delle componenti fondamentali e prioritaria della comunicazione non verbale, ricordate: “…quella fissità dello sguardo tipica dell’ottuso”. Molti, troppi sguardi fissi abbiamo notato nella recente bagarre televisiva pre-elettorale.

Il vero linguaggio che ci caratterizza e ci fa entrare in relazione con il mondo, è quello non verbale per il semplice fatto che i gesti non cadono sotto la censura della mente e rilevano il nostro vero stato d’animo

Troppe palpebre ammainate, teste reclinate e braccia rigidamente conserte, per non parlare di registri vocali ed espressività di infimo livello. Tutti segnali di evidente insicurezza dovuta all’incoerenza tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe che gli altri pensassero di noi. E allora la paura che gli elettori potessero scoprire il bluff, ancora una volta…ha fatto 90!