Intervista a Giuseppe Ragnetti, direttore dell’Istituto “Francesco Fattorello”

Prof. Ragnetti negli ultimi decenni la letteratura e il dibattito sul fenomeno della comunicazione e del giornalismo si sono progressivamente ampliati. Ma non sempre si ricorda che la teoria della comunicazione scaturisce dalla visione lungimirante del professor Francesco Fattorello che cominciò ad occuparsi di queste tematiche con un approccio scientifico e strutturato già nella prima metà del Novecento. Chi era Francesco Fattorello?

Ha perfettamente ragione. È un dato di fatto che oggi si parli molto di comunicazione, in ambito accademico, mediatico, persino aziendale, ma troppo spesso ci si dimentica delle radici profonde di questo campo, almeno nel contesto italiano ed europeo.

Francesco Fattorello è stato un maestro straordinario, una figura davvero centrale nel campo dell’informazione e della comunicazione. Considerando gli anni in cui ha svolto i suoi studi, può essere considerato davvero un lungimirante e un grande innovatore.

È nato a Pordenone il 22 febbraio del 1902, e oltre ad essere un grande studioso, era anche un letterato, uno storico, un sociologo.

Dopo aver studiato giurisprudenza, si è dedicato alla cultura del Friuli, cercando di far emergere quegli aspetti che potessero unire culturalmente la regione al resto d’Italia, andando oltre le tradizioni locali.
Ha fatto tantissime ricerche, ha scritto libri e fondato riviste per raccontare la storia e la letteratura friulana.

Ma non si è occupato solo di questo: come dicevo è stato anche uno dei primi a studiare il giornalismo come materia seria, insegnandolo all’università e creando istituti di ricerca dedicati allo studio dell’informazione.

Attraverso i suoi studi ha elaborato e strutturato  una dettagliata teoria sulla comunicazione “La Tecnica Sociale dell’Informazione” che ancora oggi è considerata molto innovativa. Insomma, è stato un intellettuale a tutto tondo, che ha lasciato un segno importante sia nella cultura che nel giornalismo in Italia.

Ho avuto l’onore di essere suo allievo e, da anni ormai, porto avanti la sua eredità culturale, cercando di far conoscere il suo lavoro e il suo pensiero attraverso iniziative promosse in numerosi contesti formativi.

Francesco Fattorello, Pordenone 1902 – Udine 1985


Ci racconti quando e come ha conosciuto il Prof. Francesco Fattorello e cosa è nato in lei da quell’incontro?

Ho conosciuto il Professor Fattorello molti anni fa, in un contesto accademico in cui si discuteva di informazione e comunicazione non solo come strumenti tecnici, ma come vere e proprie pratiche sociali. Quel primo incontro non è stato solo personale ma profondamente intellettuale. Sono rimasto colpito dalla sua visione innovativa: non parlava dell’informazione come semplice trasmissione di notizie, ma come relazione tra soggetti, fondata su un confronto di punti di vista e sulla valorizzazione dell’interlocutore.

Da quell’incontro è nata in me una profonda adesione alla sua Tecnica Sociale dell’Informazione, che ho poi studiato, applicato e diffuso nel corso degli anni. È stato un vero rapporto maestro-allievo, fondato su stima, rigore e dialogo. Fattorello non insegnava solo una teoria, ma un metodo di pensiero critico e responsabile. Da allora, ho sentito il dovere, nonché il privilegio, di portare avanti il suo lavoro, dirigendo l’Istituto a lui intitolato, curando la pubblicazione delle sue opere, insegnando i suoi principi nelle università e aggiornandone l’applicazione ai tempi di oggi.

Posso certamente affermare che da quell’incontro è nata una vera missione culturale: rendere la comunicazione uno strumento autentico di partecipazione sociale.

Francesco Fattorello - Teoria della Tecnica Sociale dell' Informazione - a cura di Giuseppe Ragnett

Francesco Fattorello – Teoria della Tecnica Sociale dell’ Informazione – a cura di Giuseppe Ragnetti


È possibile sintetizzare i punti principali della Teoria della Tecnica Sociale dell’Informazione?

Sì, è possibile ed è anche utile farlo perché la teoria di Fattorello, pur essendo stata formulata nel secolo scorso, è ancora oggi sorprendentemente attuale.

Il primo punto fondamentale è che non esiste un’informazione oggettiva. Secondo Fattorello, ogni volta che comunichiamo un fatto, in realtà stiamo offrendo una rappresentazione soggettiva di quel fatto, costruita da chi comunica in base al proprio punto di vista, al contesto e agli obiettivi che intende raggiungere.

Il secondo elemento chiave riguarda proprio il ruolo del comunicatore che non è un semplice tramite neutrale tra realtà e pubblico. Al contrario, è un soggetto attivo, che sceglie, seleziona e interpreta i contenuti. È lui a decidere cosa raccontare e come farlo.

Un terzo aspetto centrale è che la comunicazione, per Fattorello, non è mai un atto meccanico o puramente tecnico. È sempre un’azione sociale, che si svolge in una circostanza specifica e che coinvolge relazioni, valori, interpretazioni. Comunicare significa agire nel mondo sociale.

C’è un altro punto oggi considerato essenziale che Fattorello ha intuito con grande anticipo: la centralità del destinatario. Il messaggio dev’essere costruito in funzione di chi lo riceve. Il comunicatore deve conoscere il suo pubblico, comprenderne il linguaggio, le aspettative, i codici culturali. In questo senso, l’audience non è un’entità passiva, ma un soggetto attivo della comunicazione.

Ed è proprio da qui che nasce un’ultima riflessione molto attuale: il superamento del concetto di “target”, inteso come “bersaglio” passivo da colpire, a favore di quello di “audience”, cioè un insieme di persone consapevoli, capaci di interagire e partecipare. Oggi questa visione è condivisa anche nel mondo anglosassone e nelle moderne teorie del marketing e dei media.

In sintesi, Fattorello ha spostato l’attenzione dal messaggio al processo comunicativo, e soprattutto al rapporto tra chi comunica e chi riceve. Una prospettiva che oggi può apparire consolidata ma che in realtà ha anticipato di decenni le dinamiche della comunicazione contemporanea.

Fattorello prolusione Corso 1948

Francesco Fattorello alla prolusione del Corso del 1948


Quali sono le principali differenze della Teoria Fattorelliana rispetto ai più noti studi anglosassoni, a partire da McLuhan?

È una domanda molto interessante, perché ci permette di mettere a confronto due modi di intendere la comunicazione che sono davvero molto diversi. Da una parte abbiamo la Teoria Fattorelliana, sviluppata in Italia da Fattorello già negli anni ’30. Dall’altra, le teorie più conosciute a livello internazionale, come quelle di McLuhan, Lazarsfeld e Habermas, che arrivano invece da contesti anglosassoni o centro-europei.

La differenza più importante riguarda proprio il modo in cui si intende la comunicazione. Fattorello non crede che la comunicazione serva a trasmettere la realtà così com’è. Al contrario, sostiene che ogni comunicazione trasmette sempre una rappresentazione della realtà, costruita da chi comunica. E questa rappresentazione non è mai neutra o oggettiva: è il risultato di una scelta consapevole, fatta da un soggetto operante, che ha un obiettivo preciso e comunica in funzione di esso.

Questo punto di vista è molto diverso, per esempio, da quello di Paul Felix Lazarsfeld, che si occupa soprattutto degli effetti della comunicazione di massa e del ruolo di figure come gli opinion leader. In questo caso si parte dall’idea che i media diffondano contenuti già definiti e che il punto centrale sia vedere come reagisce il pubblico, quanto viene influenzato.

Marshall McLuhan, invece, ci dice qualcosa di ancora diverso: per lui, “il medium è il messaggio”. In altre parole, non è tanto importante il contenuto che trasmettiamo, ma il mezzo che usiamo per farlo. Ogni nuova tecnologia cambia profondamente il modo in cui percepiamo la realtà. È una riflessione molto affascinante, ma rimane su un piano molto generale e culturale, mentre Fattorello propone un approccio più concreto e applicabile, soprattutto in ambiti come il giornalismo, la comunicazione pubblica o le relazioni istituzionali.

Infine, c’è Jürgen Habermas, che ha una visione della comunicazione legata all’idea di dialogo razionale. Per lui, comunicare dovrebbe servire a costruire un consenso basato sulla trasparenza, sull’argomentazione e sulla ricerca condivisa della verità. Ma anche in questo caso, si parte dall’idea che ci sia una verità da raggiungere, mentre per Fattorello non esiste una verità oggettiva da comunicare, solo rappresentazioni della realtà che vengono costruite da chi comunica, in base a uno scopo.

In sintesi, mentre le altre teorie si concentrano su aspetti come gli effetti, i media o il pubblico, è Fattorello a porre l’attenzione sui processi sociali, mettendo al centro chi comunica: cosa rappresenta, come lo fa e, soprattutto, perché. È una teoria molto pratica e strategica, pensata per fornire strumenti a chi lavora nella comunicazione, non solo per analizzarla ed è molto innovativa per il suo tempo, perché ha anticipato idee che oggi diamo quasi per scontate, come il fatto che la realtà, nel discorso pubblico, viene sempre costruita.

Il Prof. Giuseppe Ragnetti a Porto Alegre in Brasile, 2004


Professor Ragnetti, potrebbe fare un esempio pratico che aiuti a capire come queste differenze si manifestano nella realtà, ad esempio nel giornalismo o nella comunicazione quotidiana?

Certo! Un esempio semplice può chiarire bene la differenza. Immaginiamo una giornata di pioggia intensa in città. Diversi giornali devono raccontare la stessa notizia, ma ognuno sceglie di farlo in modo diverso.

Un quotidiano locale potrebbe dare il titolo: “Città paralizzata dal maltempo: ore di caos per automobilisti e pendolari.”

Mentre una testata ambientalista potrebbe scrivere: “Piogge record: i cambiamenti climatici mettono in ginocchio la città.”

Si tratta dello stesso evento, ma la prospettiva cambia.

Per Fattorello, questa differenza è il cuore stesso della comunicazione: nessuno dei due articoli “riporta la realtà” in modo oggettivo, perché ogni atto comunicativo costruisce una rappresentazione del reale, elaborata dal soggetto che comunica in funzione dei propri obiettivi.
Il giornalista non è un semplice intermediario tra fatti e pubblico, ma un soggetto operante che interpreta e struttura la realtà per proporne una versione coerente con la propria linea editoriale.

Secondo Lazarsfeld, l’interesse si sposta sugli effetti della comunicazione. In questo caso, la domanda centrale diventa: come reagisce il pubblico? La notizia genera paura, fiducia, indifferenza? Quali figure — opinion leader, commentatori, influencer — contribuiscono a orientare la percezione del fatto?
La comunicazione è analizzata in termini di influenza e ricezione.

Per McLuhan, ciò che conta non è tanto il contenuto della notizia, quanto il mezzo attraverso cui viene trasmessa.
Una foto su un social network, un servizio televisivo o un articolo stampato non producono mai lo stesso effetto percettivo: il medium, infatti, modella il messaggio.
Nel caso della pioggia, la diretta sui social può trasmettere immediatezza e coinvolgimento, mentre un articolo scritto può apparire più riflessivo e analitico.

Infine, per Habermas, la comunicazione giornalistica dovrebbe contribuire a costruire uno spazio di confronto critico e partecipativo.
Ciò significa offrire informazioni chiare, verificate e accessibili, che rendano possibile ai cittadini valutazioni consapevoli e autonome. Non si tratta di proporre una versione utile solo a chi comunica, ma di creare le condizioni per un dialogo chiaro e condiviso.

Giuseppe Ragnetti

Giuseppe Ragnetti


Lei ha avuto un ruolo fondamentale nella diffusione della Teoria Fattorelliana soprattutto attraverso l’attività dell’Istituto Fattorello. In quali ambiti formativi e professionali è stato possibile seminare i contenuti Fattorelliani?

Credo fermamente che Francesco Fattorello meriti di essere ricordato e valorizzato, non solo come teorico, ma come vero e proprio pioniere della comunicazione in Italia. Il lavoro che abbiamo portato avanti attraverso l’Istituto Francesco Fattorello ha avuto proprio questo obiettivo: non lasciare che il suo pensiero restasse confinato nei libri, ma farlo vivere nei percorsi formativi, professionali e culturali più diversi.

Nel corso degli anni, abbiamo avuto la possibilità di diffondere la Teoria della Tecnica Sociale dell’Informazione in numerosi contesti: dal mondo universitario alla formazione professionale, dalla pubblica amministrazione alle imprese private. E questo perché la teoria di Fattorello non è un impianto teorico astratto o chiuso in sé, è una visione operativa della comunicazione, pensata per aiutare chi comunica a farlo con consapevolezza e strategia.

Attraverso l’Istituto, abbiamo organizzato corsi e seminari rivolti sia a studenti sia a professionisti: giornalisti, comunicatori pubblici, operatori della cultura, ma anche funzionari di enti locali, membri di associazioni, insegnanti, e persino figure attive nel sociale e nel volontariato. L’approccio Fattorelliano ha trovato terreno fertile soprattutto in quei contesti dove la comunicazione non è solo un fatto tecnico, ma anche un atto etico e relazionale, dove la costruzione del messaggio incide direttamente sul modo in cui le persone percepiscono la realtà.

Penso che Fattorello abbia avuto un’intuizione incredibile, soprattutto se consideriamo il periodo in cui elaborò la sua teoria: gli anni Trenta e Quaranta, in cui parlare di comunicazione come disciplina autonoma era qualcosa di totalmente controcorrente.

E questo è ciò che cerchiamo di trasmettere anche oggi, a chi si avvicina ai nostri percorsi: che la comunicazione non è mai neutrale, che ogni messaggio è il risultato di una scelta, di un punto di vista e che quindi va costruito con responsabilità e competenza. È un insegnamento che non ha perso valore con il tempo, anzi oggi, in un’epoca dominata da social media, manipolazione dell’informazione, fake news e disinformazione organizzata, la visione di Fattorello si rivela più attuale che mai.

Purtroppo, in Italia facciamo spesso fatica a valorizzare i nostri pionieri, soprattutto quando si muovono fuori dalle logiche accademiche più rigide. Fattorello non si è mai piegato a mode intellettuali o compromessi istituzionali: ha portato avanti la sua linea teorica con rigore e coerenza, forse anche a costo di restare ai margini. Ma è proprio per questo che oggi abbiamo il dovere di tornare a studiarlo, a far conoscere il suo pensiero, soprattutto ai giovani che si formano nel campo della comunicazione.

Perché quello che ci ha lasciato non è solo un metodo, ma un invito alla consapevolezza critica: chiederci sempre chi comunica, con quali scopi, e quale rappresentazione della realtà ci sta proponendo.

Francesco Fattorello – Università di Lipsia, 1978


In quali Università dell’Italia e del Mondo si studia la Teoria Fattorelliana?

È una domanda interessante, e anche un po’ complessa, perché la Teoria Fattorelliana, pur essendo una delle più originali e coerenti del panorama europeo, non ha avuto la diffusione sistematica e accademica che meriterebbe sebbene ci siano contesti, anche a livello internazionale, in cui è stata insegnata, apprezzata e riconosciuta come un modello di riferimento metodologico e pratico per tutti coloro che operano nei campi dell’informazione e della comunicazione. Si può affermare che l’impostazione teorica proposta da Fattorello abbia influenzato profondamente l’approccio alla comunicazione adottato su scala globale.

In Italia, la sede principale dello studio della teoria è sempre stato l’Istituto “Francesco Fattorello”, che prosegue l’attività formativa ispirata direttamente al pensiero del fondatore. Ma non va dimenticato che già negli anni ’50, Fattorello insegnava all’Università “La Sapienza” di Roma, all’interno della Facoltà di Scienze Statistiche, dove aveva istituito un Corso propedeutico alle professioni pubblicistiche: un’iniziativa davvero audace per l’epoca, che faceva della “Tecnica Sociale dell’Informazione” il cuore del piano didattico. Questo corso, e la scuola di applicazione ad esso collegata, rappresentarono il primo riconoscimento accademico italiano della comunicazione come disciplina autonoma e scientifica.

Ma è sul piano internazionale che abbiamo un episodio particolarmente significativo: nel 1958, Fattorello fu chiamato a tenere un corso presso l’Università di Strasburgo, nell’ambito del Centre International pour l’Enseignement Supérieur du Journalisme. Questo Centro era stato istituito sotto l’egida dell’UNESCO, proprio con lo scopo di formare e aggiornare i docenti universitari di giornalismo e comunicazione provenienti da tutto il mondo.

La presenza di Fattorello in quel contesto fu molto più che simbolica: la sua lezione inaugurale sulla Tecnica Sociale dell’Informazione aprì ufficialmente l’anno accademico, e le esperienze didattiche maturate in Italia furono considerate tanto innovative da essere inserite come caso di studio nel programma internazionale. Pensiamo che in quell’aula sedevano studiosi e docenti provenienti da Europa, America, Asia, Africa, URSS e India. Si trattò di un riconoscimento importante non solo per il professor Fattorello, ma per tutto il pensiero italiano sulla comunicazione.

Detto questo, oggi la sua teoria non è insegnata in modo strutturato nei curricula universitari esteri, almeno non sotto la dicitura ufficiale di “Teoria Fattorelliana”. Molti dei suoi concetti chiave, come il ruolo del soggetto operante, la rappresentazione della realtà, la funzione strategica della comunicazione, si ritrovano in numerose scuole di comunicazione, sia in Europa che oltreoceano, anche se spesso non ne viene riconosciuta la corretta paternità.

È anche per questo che ritengo importante continuare il lavoro dell’Istituto, affinché il suo pensiero non solo venga preservato, ma anche rilanciato e studiato con il rispetto che merita. Perché in un’epoca in cui tutti parliamo di fake news, storytelling, disinformazione e costruzione del consenso, le intuizioni di Francesco Fattorello sono più attuali che mai.

Porto Alegre in Brasile nel 2004: Federica Consolini, Giuseppe Ragnetti e Alessandra Romano


Ci racconti i tre aneddoti che più conserva della sua esperienza divulgativa Fattorelliana.

C’è un piccolo aneddoto che spesso racconto, e che per me rappresenta in modo quasi poetico il cuore della teoria di Fattorello.

È la storia di un bambino che trovava una felicità profonda nell’essere portato a letto dalla madre mentre si addormentava, un gesto semplice ma pieno di amore e sicurezza. Questa esperienza lo accompagnò per tutta la vita. Anche da adulto, diventato una figura rispettata e matura, continuava inconsciamente a “portarsi a letto” in uno stato di semiveglia, come se cercasse ancora quel conforto originario. Quando provò a parlarne pubblicamente, cercando risposte tra esperti e studiosi, nessuno seppe spiegare razionalmente quel bisogno così umano e profondo.

Ecco, quel bambino ero io. Ma non è questo il punto. Il punto è che quel gesto, quel “portarsi a letto” in semiveglia, continua a essere per me una realtà soggettiva potente. Non è razionale, non è giustificabile, ma per me è reale.

E sa cosa diceva Fattorello? Diceva che la realtà, nella comunicazione, non è ciò che esiste oggettivamente, ma ciò che il soggetto percepisce come tale nel suo contesto. Il “farsi portare a letto” non è una favola, è una rappresentazione di realtà.

Così come, nel metodo fattorelliano, la comunicazione non trasmette ‘informazioni oggettive’, ma costruisce rappresentazioni che il destinatario riconosce e fa proprie.

Quella sensazione di protezione, di abbandono fiducioso, è una realtà vera per quel bambino, per me, anche se oggi è un uomo adulto con la barba bianca.

Questo dimostra che nessuna comunicazione è neutra: ogni nostro gesto, ogni nostro racconto, si inserisce in un contesto o in una rappresentazione personale.

Ecco perché la teoria di Fattorello non è una teoria astratta, è uno strumento vivo. Non ci dice ‘cosa è vero’, ma ci chiede: ‘per chi, e in che contesto, è vero?’

Per quanto riguarda la mia esperienza divulgativa Fattorelliana, uno degli episodi che ricordo con maggiore intensità risale al 2004, quando fui invitato al “Forum Mondiale della Comunicazione” a Porto Alegre, in Brasile. Portavo con me una relazione dal titolo: “La Tecnica Sociale dell’Informazione come alta espressione della libertà di opinione”.

In quell’ambiente, multiculturale e pieno di tensioni comunicative, ho avuto la possibilità di esporre i principi della Tecnica Sociale di Francesco Fattorello. Ricordo lo stupore negli occhi di alcuni colleghi sudamericani, abituati alla rigidità di modelli comunicativi verticali. In quel momento capii che la nostra teoria aveva una valenza universale, perché parlava all’umano prima ancora che al tecnico.

Un altro ricordo vivo, e forse uno dei più rappresentativi del mio modo di intendere la didattica Fattorelliana, riguarda il mio approccio con gli studenti universitari.

Devo dire, amo insegnare, anche se il termine “insegnare” non mi piace. Io non voglio “insegnare” qualcosa come se avessi la verità in tasca. Quello che cerco di fare è accompagnare chi mi ascolta a guardarsi dentro, a scoprire l’unicità di ciascuno, anche nel modo in cui comunica, interpreta e rappresenta il mondo.

Non ricordo nemmeno più quante cattedre ho avuto. Ho insegnato dove mi chiamavano e dove sentivo che c’era bisogno, purché potessi trasmettere ciò che per me era fondamentale: la teoria di Francesco Fattorello.

E gli studenti rispondono. Sono sensibili, ricettivi, partecipi. Il problema spesso siamo noi: li sottovalutiamo. Non vediamo le loro potenzialità e la loro capacità intuitiva.

Ricordo con particolare emozione i corsi di “Tecniche di relazione” che tenevo all’Università “Carlo Bo” di Urbino negli anni 1990 e 2000. Era strutturato come un ciclo di lezioni frontali, ma estremamente interattive, in cui il confronto diretto con gli studenti era continuo e autentico. La particolarità di quel corso, rispetto a molti altri, era che veniva seguito da un numero sorprendentemente alto di studenti; esauriti i posti a sedere, si sedevano anche per terra! Non venivano solo per ottenere un credito, ma perché lì trovavano spazio per mettersi in gioco, riflettere su di sé e sperimentare un approccio diverso alla comunicazione.

The Theory of the Social Practice of Information

The Theory of the Social Practice of Information


Negli ultimi decenni la Comunicazione, in particolare con l’avvento delle tecnologie digitali, si è esponenzialmente evoluta e diffusa in ogni contesto. La Teoria Fattorelliana è ancora valida? E in caso affermativo perché?

Sì, la Teoria Fattorelliana è ancora valida e, anzi, oggi assume un significato ancora più rilevante alla luce dei cambiamenti introdotti dalle tecnologie digitali e dai nuovi media.

Negli ultimi decenni, la comunicazione è diventata pervasiva: è presente in ogni aspetto della vita quotidiana, e l’avvento del digitale ha moltiplicato i canali, gli attori e le dinamiche di diffusione delle informazioni. In questo contesto, molte delle teorie dominanti continuano ad essere insegnate nelle università, nonostante si fondino su un modello verticale e riduzionista: l’idea di una comunicazione unidirezionale, dove il mittente manipola un ricevente passivo, facilmente influenzabile. Questo approccio non fa che enfatizzare il potere dei media di plasmare opinioni e comportamenti.

Al contrario, la Teoria di Fattorello offre un modello più umano, interattivo e orizzontale, che tiene conto della capacità critica del ricevente.

Questa visione si dimostra particolarmente rilevante in un’epoca come la nostra, dove gli utenti non sono più solo consumatori di contenuti, ma anche produttori attivi (si pensi ai social media, ai blog, ai podcast). Il modello comunicativo non può più essere pensato in modo verticale o autoritario; deve invece riconoscere la pluralità delle fonti e la competenza diffusa tra i partecipanti al processo informativo.

Secondo il mio parere, la Teoria Fattorelliana non solo è ancora valida, ma è forse una delle chiavi interpretative più efficaci per comprendere e gestire la complessità comunicativa del nostro tempo, basata su relazioni, interazione e consapevolezza.

Quattro dei membri fondatori della IAMCR si sono riuniti a Strasburgo per la prima sessione del Centro internazionale per l’istruzione superiore in giornalismo nell’ottobre del 1957, alla vigilia della Conferenza Costituente IAMCR a Parigi. Da sinistra a destra: Francesco Fattorello, Fernand Terrou, Khoudiakoff, che non hanno partecipato all’incontro di Parigi, Jacques Léauté e Mieczyslaw Kafel. È interessante notare che i partecipanti a questa prima sessione del Centro di Strasburgo hanno partecipato in gran numero alla Conferenza costituente.


Cosa vorrebbe consigliare ai giovani che oggi vogliono intraprendere gli studi e i mestieri nel campo della Comunicazione?

Ai giovani direi innanzitutto una cosa semplice, ma fondamentale: non correte dietro alle mode, cercate la sostanza. Oggi si parla tanto di comunicazione digitale, di influencer, di intelligenza artificiale… e va benissimo, è il nostro tempo. Ma nessuno strumento, per quanto avanzato, potrà mai sostituire la competenza umana nel comprendere, costruire e gestire i rapporti sociali.

La comunicazione non è solo trasmettere messaggi: è comprendere le relazioni, rispettare chi ascolta, dare dignità a chi riceve l’informazione. Questo è ciò che ci ha insegnato Fattorello, ed è ciò che ancora oggi manca in tanta comunicazione contemporanea: si pensa solo a “colpire”, a “convertire”, a “convincere”, ma raramente a dialogare.

Studiate, certo. Ma soprattutto imparate ad osservare, a porvi domande, a pensare con la vostra testa. E soprattutto non dimenticate che chi comunica ha una responsabilità enorme: quella di contribuire a formare, non a deformare, l’opinione pubblica.

A chi vuole entrare in questo mondo, dico: non diventate specialisti della superficialità. Diventate costruttori di senso.

Prof. Giuseppe Ragnetti

Giuseppe Ragnetti


Perché è importante riprendere e divulgare il messaggio di Francesco Fattorello oggi?

È fondamentale perché la sua visione della comunicazione è una delle poche che mette al centro la persona, in un mondo in cui l’informazione è utilizzata spesso a fini commerciali o politici.

La sua impostazione propone una relazione informativa paritaria e critica: chi riceve l’informazione ha le stesse capacità cognitive e interpretative di chi la propone. È un pensiero che responsabilizza e che educa alla libertà di giudizio. E proprio per questo, oggi, rappresenta un’alternativa concreta a modelli comunicativi impersonali, che dominano nel marketing, nei media e nei social network.

Ma per mantenere vivo questo messaggio serve un luogo, una scuola, una comunità. E qui entra in gioco la Scuola Fattorello, che è un’istituzione essenziale, senza scopo di lucro, che non riceve finanziamenti esterni, che non si piega a logiche commerciali, ma che da più di settant’anni resiste e insiste con entusiasmo, grazie a contenuti autentici, a un pensiero solido e a persone che credono in un’idea.

Questa non è solo una scuola di comunicazione: è una scuola di pensiero. E divulgare oggi il messaggio di Fattorello significa difendere la comunicazione come strumento di libertà, di relazione umana, di cittadinanza consapevole. Significa non lasciare che si spenga un pensiero italiano e indipendente, che può ancora oggi offrire risposte vere a chi vuole comunicare non per vendere, ma per costruire senso e dialogo.

Francesco Fattorello – 1983


intervista a cura di Stefania Schipani, Sara Domenici e Carlo d’Aloisio Mayo

“IL VALORE UMANO” Programma di Educazione Sociale

Il Programma, ideato e promosso dalla Associazione METE – diretta da Giorgia Butera (fattorelliana DOC) – in sinergia con l’OIDUR, è inserito nell’ambito del Manifesto di Attenzione Sociale, dal titolo: ‘Interveniamo nella Cura della Società’.

Focalizza i vari aspetti della Società Contemporanea in un confronto costante con i diversi Target, partendo dall’analisi sociale per approdare in metodologie di intervento in relazione al soggetto recettore (secondo la Tecnica fattorelliana).

La nostra Organizzazione vanta una importante (e concreta) esperienza nell’ambito di Programmi Educativi, Campagne di Responsabilità Sociale, Ricerca ed Analisi.

Abbiamo ritenuto che si dovesse agire su un principio insindacabile: ‘Trasmettere la cultura delle regole, l’attenzione verso la vita, il valore delle persone e la pratica della cura. La cura verso il sentimento del mondo, il senso delle relazioni, la conoscenza dell’altro. Attribuire valore genera rispetto e protezione. Il Valore Umano accresce nel tempo, ma può anche disperdersi se smettiamo di nutrirlo correttamente’.

Il Programma si compone di 5 Fasi.

I destinatari sono: studenti, famiglie, cittadini, operatori del settore ed Istituzioni.

Uno sguardo attento lo rivolgiamo alle nuove generazioni, le quali devono essere abituate già dai primi dell’infanzia e dell’adolescenza a riflettere, indagare, parlare, comprendere ed esprimere i sentimenti sul valore umano, sociale e simbolico (oltre che affettivo) dei rapporti tra gli individui. Anche nella sfera digitale.

Modalità di Svolgimento: Organizziamo Incontri e Conferenze On/Offline offrendo differenti piani educativi/formativi in qualunque luogo ne richieda l’intervento, incluse le Comunità Parrocchiali. Incontri On/Offline pubblici con la Cittadinanza. Produzione Video e Produzione Grafica. Conferenze istituzionali, e di settore.

Luogo di svolgimento: Territorio internazionale e nazionale con eventi locali

Destinatari dell’iniziativa: Studenti, famiglie, cittadini, operatori del settore ed Istituzioni

Siti Web di Riferimento: www.meteassociazione.it, www.culturaldemocracy.eu, www.oidur.eu, www.giorgiabutera.it

PROGRAMMA

1° Fase: Campagna di Sensibilizzazione attraverso la realizzazione di un Manifesto e Spot; 2° Fase: Dossier informativi su infanzia, adolescenza, famiglia e cultura femminile;
3° Fase: Campagna Social ‘In ogni parte del Mondo’;
4° Fase: Panel, Seminari e Ricerca Sociale;
5° Fase: Conferenza Formativa: 1) Principi Generali; 2) Il Rispetto delle Regole e la Tutela del Valore Umano Individuale, sociale e collettivo; 3) Il Valore Umano nelle sue Prospettive, analisi e criticità;
4) Metodologie di Intervento nella Risoluzione dei casi; 5) Conclusioni.

a cura di Giorgia Butera

Le buone maniere e i corretti comportamenti per l’acquisizione e la fidelizzazione della clientela

Istituto IFPAN – Roma

Seminario Specialistico di Formazione

“La comunicazione efficace interna ed esterna di uno studio notarile e la costruzione della corretta immagine”

a cura del prof Giuseppe Ragnetti

“Le buone maniere e i corretti comportamenti per l’acquisizione e la fidelizzazione della clientela”

Per mantenere a lungo fedele il cliente del vostro studio notarle, piccoli ma importanti consigli che, molto spesso, vengono disattesi …

  1. Chiamate ogni cliente con il suo cognome o direttamente per nome ma sempre con il dovuto rispetto (es: Signora Maria lei …)
  2. Ascoltate sempre e con attenzione ciò che ogni cliente ha da dire
  3. Interessatevi di ogni cliente nella sua specificità
  4. Siate cortesi in maniera naturale e spontanea con tutti i clienti
  5. Siate sensibili alle necessità individuali di ciascun cliente
  6. Conoscete la storia e le motivazioni del vostri clienti
  7. Dedicate ad ogni cliente il tempo necessario
  8. Coinvolgete i clienti nel vostro lavoro. Ascoltate sempre pareri e suggerimenti
  9. Valorizzate la vostra esperienza di lavoro ma non fatela pesare come una chiusura verso soluzioni nuove
  10. Non dimenticate mai che il vostro cliente non è un arido dato statistico, ma una persona con sentimenti ed emozioni, esattamente come voi.

Corso per Guide Turistiche “For All” dei Mosaici di Ravenna – Premessa Metodologica: la Tecnica Sociale dell’Informazione

La «Bellezza» è di Tutti e per Tutti.

Il volto della Speranza risplende nei mosaici di Ravenna
Proposte di itinerari giubilari tra Arte e Fede per tutti

Corso di Formazione per Guide Turistiche finalizzato alla realizzazione di un elenco di «Guide Giubilari per percorsi di Arte e Fede a Ravenna per Tutti»

Ravenna, Ottobre 2024 – Febbraio 2025

Web Site Ravenna Mosaici

Web Site La Bellezza è di Tutti e per Tutti.

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Seminario: “La comunicazione per gli Studi Notarili”

Associazione Sindacale Notai del Lazio – Seminario specialistico di formazione a cura del prof. Giuseppe Ragnetti

CONSIDERAZIONI DI FINE CORSOL’interesse e la partecipazione attiva dei Signori Notai, sempre di livello elevato, oltre che gratificare  l’organizzazione e il docente, hanno determinato un contesto ricco di stimoli e riflessioni.

Nonostante gli argomenti trattati fossero inusuali rispetto alla classica formazione notarile, il vivace coinvolgimento di tutti i presenti ha dimostrato quanto fosse giusta ed opportuna la proposta del Sindacato di attivare un Corso “diverso”.

Filo conduttore di tutti gli incontri sono state le dinamiche relazionali e comunicative.

Accanto ad una imprescindibile base teorica su origine ed evoluzione dei processi comunicativi che hanno via via consentito agli uomini di conoscersi e di relazionarsi tra loro, il Corso si è man mano spostato verso una consapevole presa di coscienza dell’agire comunicativo della quotidianità.

Come obiettivo ambizioso ci siamo posti quello di stimolare un forte impegno  personale per raggiungere una maggior serenità (e minor stress) in vista di una ricaduta positiva su tutte le attività espletate.

Si è fortemente sottolineata l’importanza della “vendita del sé” come priorità da realizzare  nelle relazioni interpersonali: mai sentirsi appagati, migliorarsi sempre, acquisire autorevolezza e carisma per diventare assertivi e quindi credibili e quindi stimati e ricercati.

E’ stato utile e interessante trasferire in continuazione l’esperienza di aula sul vissuto lavorativo ed esistenziale della quotidianità, anche attraverso l’esposizione di casi vissuti in prima persona dai singoli partecipanti al Corso.

Il Corso mi ha consentito di attivare rapporti positivi anche dal punto di vista umano, con  tutti i partecipanti ed è stata grande la sorpresa di scoprire che anche i notai sono “persone”!!!

In contrasto, tuttavia, con la mia alta stima e considerazione della figura notarile, mi ha colpito l’immagine un po’ appannata se non addirittura negativa che, secondo alcuni dei presenti, avrebbe oggi la loro professione.

La figura del Notaio sarebbe ormai molto scaduta e non godrebbe più della  ottima percezione riscontrabile un tempo presso l’opinione pubblica.

Il Notaio di oggi verrebbe considerato quasi  un “trafficante” in posizione intermedia e sempre “interconnessa” con precisi ritorni speculativi, con tecnici, avvocati, commercialisti, geometri etc.

E allora tutti i Notai del Corso, auspicano e sollecitano che qualcuno faccia qualcosa per loro in termini di comunicazione, di immagine e di leggi a tutela della loro professione.

Non tutti, però, hanno presente che la “salvezza” dovrà essere innanzi tutto individuale e che l’immagine globale della categoria non potrà che migliorare  se ogni singolo Notaio riuscirà a migliorare se stesso e il suo rapporto con collaboratori, clienti e con la Società in generale.

Cosi come non tutti riescono ad accettare l’idea che una migliore organizzazione interna, una migliore gestione, una comunicazione organizzativa chiara ed efficace ma soprattutto una disponibilità intellettuale che ci consenta di capire ed adeguarci al nuovo, sono componenti strategiche di primaria importanza per la creazione di un “clima” positivo all’interno dello studio e per un ottimo ritorno di immagine, all’esterno.

Tutto ciò appare quasi ovvio  e molti sono convinti di applicare da sempre tali principii e credono, quindi, che non ci sia molto da cambiare nella loro persona e nel loro studio notarile.

E’ questo il limite che è trapelato qua e là durante il Corso: io sono ok e chiedo ad altri specialisti non di aiutarmi a cambiare e a fare meglio, ma di fare loro qualcosa per me. E’ il trionfo della delega che consentirebbe anche un’onorevole via di fuga qualora le cose non dovessero migliorare:  non è dipeso da me l’insuccesso, sono stati gli specialisti che hanno sbagliato!

Occorre, tuttavia, sottolineare anche diverse affermazioni convinte che i Notai, nonostante tutto, anche oggi hanno consapevolezza piena del ruolo e della loro dignità professionale.

Per concludere queste mie riflessioni sul Corso ritengo molto positiva la voglia di “esserci “ e di partecipare cosi numerosi ai 5 incontri, desiderosi innanzi tutto di uno scambio di esperienze, a prescindere dai contenuti più o meno interessanti che ho cercato di somministrare.

“Esserci” ha voluto significare la disponibilità, almeno nelle intenzioni, di aprirsi all’,ascolto,  la capacità di mettersi in discussione e l’esigenza sentita di un confronto costruttivo.

L’esame, pertanto, è stato superato brillantemente da tutti con un bel 30 e lode!

E adesso i Signori Notai dovranno tutti impegnarsi per mantenere la media a questi livelli!

Il paradosso della “Persuasione”

Lectio presso l’Accademia San Marco – Pordenone, Città natale di Francesco Fattorello


Quando si parla di “persuasione”, il significato che le si attribuisce è molto spesso negativo. Persuadere, nell’immaginario comune, significa detenere il potere e far fare agli altri quello che si desidera. Abbiamo visto come fin dai tempi di Aristotele esiste una teoria centrale della persuasione, che si collega strettamente  alla retorica, la quale ha evidenziato come si ottenga il massimo delle presa sull’uditorio quando si adattano le proprie linee di ragionamento all’uditorio stesso.

Tale concetto è bene espresso dalla Tecnica Sociale dell’Informazione del prof. Francesco Fattorello che è stata l’impostazione che abbiamo seguito per la nostra analisi.

La Tecnica Sociale ha restituito dignità al soggetto recettore rendendolo protagonista del processo comunicativo che è di natura sociale.

Questo vuol dire che il processo dell’informazione e dell’adesione di opinione ha un carattere sociale, figlio del tempo e del contesto in cui si realizza e precede sempre senza, tuttavia, determinare il comportamento del recettore.

La formula ideografica è chiara: il Sp informa la X), cioè la interpreta secondo la sua visione e la trasmette al Sr attraverso un mezzo (M) congeniale a questo ultimo, proponendo una formula di opinione adeguata al soggetto recettore stesso che, dunque, va studiato anteriormente. Il Sr può aderire o non aderire, ma il processo si ferma lì. Stop!

Il conseguente comportamento che assumerà il nostro soggetto recettore non riguarda il processo e né, tanto meno, può essere determinato dallo stesso.

Il soggetto recettore può aderire al messaggio che gli abbiamo confezionato ad hoc, ma per tutta una serie di motivi che prescindono dalla natura sociale del processo, può non assumere il comportamento che noi auspichiamo (cioè gli può piacere la pubblicità che abbiamo proposto, ma questo non implica necessariamente che poi acquisti il prodotto presentato, per tutta una seri di motivi, specifici e particolari per ognuno di noi).

Partendo da ciò, l’unica cosa che si può fare è operare sulle opinioni dei recettori e realizzare il messaggio nel modo più adatto per ognuno di loro, ecco perché parliamo di adesione di opinione.

Adesione che verrà data se ci sarà una convergenza di interpretazione sull’opinione proposta.

Ed è proprio qui che risiede il paradosso della persuasione: il ‘persuasore’ deve solo incanalare la forza delle convinzioni e delle argomentazioni già presenti ed attive nell’interlocutore.

Eufrasia d’Amato e Giuseppe Ragnetti

“In principio erat verbum …”

Conferenza sulla “Comunicazione Non Verbale” tenutasi presso il Lions Club di Catania “Vallis Viridis”

Sigmund Freud diceva: “Nessun mortale può mantenere un segreto: se le labbra restano mute, parlano le dita”.

Da quanto appena citato possiamo affermare che è vero che sono importanti le parole che si pronunciano ma ha ancora più importanza il modo in cui le diciamo e i gesti che inconsapevolmente accompagnano le nostre parole. Il ruolo svolto dalla Comunicazione Non Verbale (d’ora in poi CNV) è di fondamentale importanza nel processo comunicativo. La maggior parte dei ricercatori sostiene che il canale verbale viene usato soprattutto per la trasmissione di informazioni, mentre quello non verbale è usato per gli scambi interpersonali in sostituzione, a volte, di quello verbale.

L’uso della CNV avviene in modo inconsapevole proprio perché i nostri gesti e tutte le altre componenti della CNV non cadono sotto la censura della nostra mente. Accade, infatti, che i movimenti e i gesti possono comunicare un messaggio diverso da quello comunicato con la voce.

Conoscere e riconoscere questi gesti ci aiuta a mettere in atto una comunicazione più consapevole e di conseguenza più efficace.

Le origini della CNV

Per gli animali la CNV è innata. E nell’uomo, in quanto appartenente alla specie animale, quanto è andato perduto di questo sistema innato?

L’espressione facciale è stato provato che è innata, ma l’apprendimento è senza dubbio uno dei fattori che ha contribuito alla perdita dell’istinto: i segnali delle mani sono stati appresi per imitazione o insegnamento e i segni che indicano età o classe sociale sono stati appresi dall’osservazione. Ma la differenza fondamentale che contraddistingue gli animali dall’uomo, nella comunicazione, è il linguaggio. Il linguaggio viene sostenuto dalla CNV, la quale si va ad aggiungere al significato delle espressioni verbali. La CNV è usata dall’uomo nei seguenti modi:

  • come sostegno del linguaggio
  • per sostituire il linguaggio
  • per esprimere emozioni
  • per trasmettere informazioni
  • nelle cerimonie e nei rituali
  • nella propaganda, nelle assemblee o nelle manifestazioni di politica o di arte

Molteplici sono stati gli studi che hanno cercato di capire se l’espressione delle emozioni ed altri segnali del corpo si assomigliano in tutte le culture, ma la risposta è stata diversa per generi diversi di comunicazione. Ogni cultura, infatti, sviluppa regole e convenzioni diverse, cioè modi di comportarsi in determinate situazioni che sono diversi. La struttura sociale ha quindi influssi sulla CNV.

Le emozioni e la CNV

Per emozioni si intendono stati come l’angoscia, la depressione o la felicità. Ognuna di esse deriva da un’esperienza soggettiva, da uno stato fisico e produce un insieme di segnali non verbali.

Quali segnali o parti del corpo si usano per comunicare gli stati emozionali? Il volto, gli occhi, la gestualità, la postura, il tono di voce : sono questi e tanti altri gli elementi della CNV.

Il viso è senz’altro l’elemento più importante di segnalazione delle emozioni. La sua pelle riflette gli stati psicologici (rossore o pallore); l’apertura della bocca riflette le intenzioni; gli occhi esprimono l’aggressività o la dolcezza. Anche il tono di voce (prosodia) è un mezzo di espressione emozionale, così come i gesti e la posizione del corpo.

Insomma tutto il corpo comunica lo stato di tensione/rilassamento che derivano dall’intensità dell’emozione espressa.

Le componenti della CNV

L’espressione del volto: il volto è la parte più rilevante per la CNV in quanto estremamente espressivo ed in grado di inviare molte informazioni. Con le espressioni del volto l’essere umano esprime: le caratteristiche della personalità, per mezzo dei lineamenti e dell’espressione (ciò che si vede è in parte il risultato della presentazione di sé); le emozioni, modificando i modelli di espressione del volto; i segnali interattivi o segnali collegati al discorso (alzare le sopracciglia) per completare i significati delle espressioni verbali, per comunicare con gli ascoltatori e per dare prova di attenzione continua.

Lo sguardo: lo sguardo ha un ruolo centrale nell’attività sociale perché apre il canale per ricevere  dagli latri informazioni e segnali non verbali. Gli occhi sono i recettori di questi messaggi, ciò nonostante quando due persone si guardano, lo scambio di sguardi può assumere interpretazioni diverse soprattutto perché le persone sono poco consapevoli dei modelli di sguardo altrui. I tipi di sguardo giocano un ruolo importante nell’instaurare relazioni con le persone. La gente osserva maggiormente le persone per le quali ha simpatia ed esprime attraverso lo sguardo un segnale di gradimento (es. nel corteggiamento il gioco di sguardi è uno dei mezzi chiave per instaurare complicità con l’altra persona). In generale, le pupille si dilatano in presenza di oggetti che suscitano piacere. e anche la grandezza delle stesse agisce da segnale per l’attrazione interpersonale. Nello sguardo si riflettono anche differenze di potere e di status; gli individui che sono maggiormente guardati, vedono se stessi e sono visti dagli latri come i membri più potenti del gruppo. Ancora lo sguardo, in aggiunta a piacere e dominanza segnala una terza dimensione di atteggiamenti interpersonali, la minaccia. Uno sguardo diretto, fisso, spesso può agire come segnale di minaccia, mentre la sua interruzione può segnalare pacificazione. Anche numerose dimensioni della personalità sono correlate allo sguardo, come ad esempio l’estroversione, la schizofrenia o la depressione.

Gesti e movimenti del corpo

Le mani, la testa ed i piedi producono un’ampia serie di gesti che vengono usati per scopi differenti. Le mani oltre che afferrare, toccare o accarezzare, possono comunicare particolarmente per illustrare oggetti, movimenti o azioni difficili da esprimere a parole. I soggetti che cercano l’approvazione di un’altra persona si impegnano in un maggior numero di attività gestuali. I gesti sono molto difficili da comprendere poiché sono tipi di comunicazioni che possono essere messi in atto contemporaneamente. E’ buona norma vedere i gesti come parte di un tutto; in secondo luogo la gente può mettere in atto un gesto contrario al proprio stato emozionale per camuffarlo; in terzo luogo la gestualità di un individuo è parte del suo “background” culturale e professionale, dell’età, del sesso, ecc.

La postura: la postura indica la posizione del corpo. Le tre principali posture dell’uomo sono le seguenti:

a) eretta

b) a sedere, rannicchiata e in ginocchio

c) distesa

Ad ognuna di queste posizioni corrispondevano diverse posizioni delle braccia, delle gambe o angolazioni del corpo. La postura è un mezzo per trasmettere atteggiamenti interpersonali e ci sono due tipi di posture l’immediatezza e il rilassamento. La prima è uno stile di comportamento usato verso persone simpatiche ed ha l’effetto di diminuire la distanza tra due persone e migliorare la visibilità. La seconda è usata verso persone di ceto sociale più basso. La postura accompagna il discorso analogamente al gesto anche se con movimenti più lenti.

Conclusioni

La CNV è più esplicativa di quella verbale perché non cade sotto la censura della nostra mente per cui evidenzia la vera natura del discorso.

I segnali non verbali sono più genuini, insomma, perché le parole non dicono sempre la verità. Anche il corpo possiede il suo ‘linguaggio’ che amplia l’interazione.

Capire i meccanismi che regolano la comunicazione non verbale significa, dunque, entrare nel cuore del comunicare, aprire la strada a quel mondo sconosciuto di messaggi che sono al di là della nostra sfera di conoscenze consapevoli.

Giuseppe Ragnetti

Le Venti Regole d’Oro (per Scrivere bene)

QUANDO SI SCRIVE, L’IMPORTANTE NON E’ SOLTANTO EVITARE GLI ERRORI D’ORTOGRAFIA O GRAMMATICALI.

CI SI DEVE ANCHE SFORZARE DI ESSERE CHIARI ED INCISIVI. UN QUALUNQUE SCRITTO,CHE SIA UNA LETTERA, UNA RELAZIONE O UN TEMA, COMUNICA PENSIERI E FATTI.

SE E’ REDATTO IN MODO OSCURO O TORTUOSO LA COMPRENSIONE DIVENTA DIFFICILE SE NON IMPOSSIBILE.

PER FARSI CAPIRE E PER MIGLIORARE LA PROPRIA CAPACITA’ DI SCRITTURA, SARA’ BENE ATTENERSI AI SEGUENTI CONSIGLI:

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L’arte dell’Ascolto

La capacità di ascolto non è un’abilità magica. Lo diventa se si impara ad usarla bene, con l’esercizio e con l’umiltà nel riconoscere anche la propria responsabilità in una comunicazione che non ha funzionato.

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Lecture of professor Francesca Romana Seganti (American University in Rome)

On March 01, 2013 Professor Francesca Romana Seganti (American University in Rome) delivered two lectures at the Faculty of Journalism, Lomonosov Moscow State University. The lectures were devoted to the theory of Italian researcher Francesco Fattorello.

– What the theory of Francesco Fattorello is about?

– Fattorello’s Social Technique of Information is a communication model written in the ’50s that has always focused on audiences as active participants, as the pivot of the process of communication. Fattorello’s theory has always been in contrast with Anglo-Saxon theories. While these focused on the quality of the media product thinking that what a few considered to be a “good” product could be embraced by a variety of recipients, the Social Technique of Information’s main principle is that each media product has to be constructed by adapting the message to the expectations and the acculturaion of each specific audience.

– Why should it be studied nowadays?

– According to Fattorello, media can only act on people’s opinions but cannot act on the way we behave which is due to our subjectivity. Instead of accepting the idea that the media industry enterprises imposed values, behaviours and patterns that served to maintain domination, Fattorello in the ’50s focused on audiences as active participants. We think that today for those with economic power, it is still convenient to have people believe in the power of publicity, public relation and propaganda. So, people can blame the media and don’t think about their own responsibility in social change. Instead, if journalists, copywriters and politicians who are not yet powerful and don’t belong to the dominant media industry, became aware of the audiences’ active role in the process of communication and used Fattorello’s technique, they can create a shift in power relations. Therefore, we believe that the Social Technique of Information is an appropriate answer to the needs of today’s democratic societies.

– Can the theory somehow be applied to studying the political processes as well, and if yes – can it be used in analyzing the process and results of the Italian elections in 2013?

– Definetly yes. Italian processes can be interpreted in the light of Fattorello’s model. Those who managed to understand and interpret the expectations and acculturation of their audiences have been succesful, while those who based their campaign on their own believes without adapting the message to the audience had worst results. It is not sufficient to do things in a certain way but it is necessary to pay attention to the audiences’ desires and expectations. The Social Technique of Information in an extremly useful model to analyze political communication.

– What are your impressions about Moscow, meeting students, faculty staff?

– Moscow is a very fascinating city and I am “glad” I did not have the chance to see many parts of it because now I have an excuse to go back there! Also, I have been impressed by the great curiosity and the intellectual vivacity of the young aspiring journalists who paid attention to my speech and especially have been open and willing to understand a theory that was new to them. So it really looks like I have to return to Moscow soon!