La nostra eredità

di GIUSEPPE RAGNETTI

Direttore Istituto Fattorello

Francesco Fattorello, la sua vita, il suo pensiero, la sua Teoria: la nostra eredità. Francesco Fattorello fu il primo studioso dell’informazione e della comunicazione ad andare controcorrente. Anticipando di oltre mezzo secolo quella che sarebbe stata poi l’impostazione teorica adottata in tutto il mondo, ebbe il coraggio e la determinazione di attaccare scientificamente le più accreditate teorie di oltreoceano.

E lo ha fatto in un periodo, il primo dopoguerra, in cui tutta l’élite culturale e tutta l’Accademia del nostro Paese accettava acriticamente impostazioni “esotiche”, suggestive quanto si vuole, ma prive di qualsiasi humus scientifico. I risultati pragmatici permettevano agli Americani di insistere nelle loro assurde impostazioni teoriche e ai nostri “accademici” di inchinarsi ossequiosi di fronte a cotanto ingegno.

Francesco Fattorello non si uni’ al coro dei replicanti ma volle analizzare a fondo e capire il fenomeno arrivando a conclusioni diametralmente opposte. A distanza di oltre 60 anni dalla sua prima elaborazione, l’impostazione teorica fattorelliana è ormai adottata in tutti i paesi del mondo, anche e soprattutto nel mondo anglosassone ormai totalmente allineato con le nostre posizioni.

Non dovrete allora meravigliarvi più di tanto se tutto il nostro insegnamento sarà una”lotta continua”contro i più abusati luoghi comuni,contro le acque quiete di facili approdi di abituale frequentazione ..Approdi ritenuti “sicuri”in base alla forza inesorabile del conformismo sociale,che spinge inconsciamente tutti noi,ad accodarci tranquillamente ai”più”.
Non siamo i più bravi ma certamente siamo i più insoddi-sfatti di quanto finora raggiunto.

Non abbiamo capito tutto,ma certamente ci sforziamo di capire qualcosa.

Non siamo i più eruditi,ma certamente siamo i più curiosi: la nostra è una curiosità intellettuale che ci spinge a non fermarci all’ovvio.Vogliamo indagare,vogliamo conoscere i presupposti che hanno portato a tutto ciò che viene infine definito ed accettato come ovvio.

Siamo più che mai convinti che “niente è meno ovvio dell’ovvio”e valga,pertanto,la pena di non fermarsi al primo gradino.

Non siamo, infine, impegnati o legati a chicchessia:non sappiamo e non vogliamo diffondere insegnamenti accomodanti per non turbare equilibri ormai consolidati e posizioni intoccabili.Tutto ciò non sarebbe “fare ricerca”e i nostri studi non fornirebbero il benché minimo apporto alla conoscenza del fenomeno che tanto ci prende e ci appassiona. Sarebbe ancora una volta,fare “Sociologia dell’Informazione” all’acqua di rose o alla camomilla,se preferite,così come avviene in diverse Università Italiane.

Si impartiscono fumose lezioni di “S o c i o l o g ia d e l l a Comunicazione”che si limitano ad enunciare ora questa ora quella teoria,che non va oltre la descrizione di ciò che è sotto gli occhi di tutti.Per dirla con FERRAROTTI, laddove si dovrebbe indagare e fare ricerca, ci si limita a fare “Sociografia”!

Al di là non si riesce o non si vuole andare:è molto più facile, rassicurante e gratificante raccontare la solita storia dei mezzi caldi e freddi,( ignorando completamente i surgelati!) dell’onnipresente MAC LUHAN, o dei bisogni indotti dalla pubblicità o dello strapotere dei media e della loro subdola attività di persuasione occulta ,piuttosto che indagare scientificamente in merito ai problemi di cui vogliamo occuparci.

E’ a tutti noto che lavorare stanca e molto spesso la gratificazione ottenuta e i riconoscimenti che ne derivano,non sono pari all’impegno richiesto:e allora “meglio evitare”.

Oggi tutti parlano di informazione o di comunicazione:tutti i giorni sorgono iniziative culturali o didattiche al proposito.

Gli addetti ai lavori in qualsiasi settore dell’informazione e a qualsiasi livello di responsabilità e di preparazione,smaniano di attivare corsi,corsetti, seminari, tavole rotonde ,scuole per l’insegnamentodella”comunicazione”.Siamo ai corsi di giornalismo per corrispondenza o,peggio ancora “on line” o al “tutto sull’informazione in 5 lezioni”,che tanta assonanza presenta con il ben noto “7 Kg in 7 giorni!”.

Come possono,addetti ai lavori,operatori culturali ,organizzatori di studi e ricerche pretendere di esaminare un fenomeno sociale di sì vasta portata, per corrispondenza o in corsi intensivi di 5 lezioni? E alla fine che cosa si insegna in cotanta offerta formativa ? I soliti autori e le solite teorie ormai ripudiate persino dagli ambienti scientifici che le avevano partorite!

Evidentemente questi addetti ai lavori o hanno una bassissima stima della loro professione e dei presupposti scientifici che la sostengono oppure ,peggio ancora,hanno una considerazione molto scarsa per i loro “allievi”.

E siamo ai “divi”del mestiere o, addirittura, alle famose soubrettes che s’improvvisano docenti,pur ignorando qualsiasi nozione scientifica nei riguardi dell’informazione e ancor meno della didattica arrivando a scambiare l’aula per uno studio televisivo! Usiamo termini diversi per indicare lo stesso oggetto o,peggio ancora,usiamo gli stessi termini per

identificare oggetti diversi!Ti arriva l’invito a partecipare ad un convegno sui “Moderni mezzi di comunicazione” e scopri,alla fine,che si parlerà di navi,ferrovie e dell’irrisolto problema dei TIR!?!

Si tratta di scrutare fenomeni di estrema mutevolezza, proprio perché di natura sociale:fenomeni quasi mai inquadrabili in caselle e schemi precostituiti. Fenomeni che non possono prescindere dallo studio del motore centrale di tutta la tematica ,rappresentato dal problema dell’opinione.

Soltanto se entreremo nell’ottica che ci permette di ricercare e possibilmente capire la genesi,la persistenza o il mutamento dell’opinione,soltanto allora potremo umilmente avvicinarci al fenomeno “informazione”.

Ogni scorciatoia,semplificazione o deviazione ci porterebbe fuori strada:avremmo indubbiamente perso il nostro tempo non facendo neppure un timido passo avanti verso la conoscenza.

I luoghi comuni,tuttavia, gli stereotipi , le mode e le banalità del “pensiero dominante” sarebbero, ancora una volta, salve.

La pubblicazione dei prodotti intangibili

ISTITUTO “FRANCESCO FATTORELLO”

SCIENZE E METODOLOGIA DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE

SCUOLA SUPERIORE – ROMA

“LA PUBBLICIZZAZIONE DEI PRODOTTI INTANGIBILI”

ESITI DELLA RICERCA METODOLOGICA
A cura del Dott. MARCO CUPPOLETTI

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Oggetto della ricerca :

La ricerca proposta intende analizzare e verificare, con i tradizionali strumenti della metodologia sociologica, quale sia il grado di apprezzamento di un nuovo mezzo di comunicazione sociale come Internet, nel caso in cui si voglia ottenere una adesione di opinione di un soggetto recettore, potenzialmente interessato all’acquisto di un prodotto “intangibile” quale, come nel nostro caso, la partecipazione ad un corso di formazione sulla comunicazione.

La tesi che si vuole sostenere è che tale mezzo di comunicazione sia largamente inefficace per il fine in questione, mentre altri canali più socialmente circoscritti ma più fidelizzanti siano decisamente più utili.

Il fenomeno Internet, ormai conclamato universalmente, si sta affermando prepotentemente come lo strumento più utilizzato quando ci si trovi nella necessità di trarre informazioni sugli argomenti più disparati, almeno in una prima fase di superficiale acquisizione, oppure quando si vogliano reperire informazioni di natura commerciale, tanto che è diventato un imperativo categorico per enti, società oltre alle innumerevoli persone fisiche, dotarsi di un opportuno Blob o sito istituzionale in rete.

Internet genera nuove tendenze ed abbatte le vecchie abitudini, anche le più radicate.

In un primo momento, molti analisti del fenomeno Internet hanno giudicato difficile un attecchimento abitudinario delle modalità di fruizione di servizi on–line in Italia a causa della spiccata propensione, dovuto ad un atteggiamento culturale tipico del nostro paese, a non fidarsi di quei processi che escludono un rapporto diretto con il proponente di una transazione commerciale.

Recarsi in un esercizio commerciale per visionare di persona i prodotti, chiedere a voce informazioni inerenti l’acquisto, indossare un capo di abbigliamento in prova o manipolare una merce per saggiarne la qualità e la consistenza, sembrava infatti, fossero necessità irrinunciabili.

Oggi va però registrato che i dati statistici relativi alle transazioni di acquisto andate a buon fine su portali specializzati quali ad esempio E-Buy testimoniano che il ricorso all’acquisto on line è in netta ascesa anche tra gli italiani.

Si è portati ad ipotizzare pertanto che tale strumento sia efficace anche relativamente alle campagne di pubblicità che riguardano la proposta di acquisto di beni intangibili, come corsi di formazione professionale o di specializzazione inclusi i corsi scolastici ed universitari.

Come verificheremo nella parte finale, questa ipotesi non e’ suffragata dai risultati di ricerca, mentre sarà confermata la tesi per la quale la pubblicità di beni intangibili si deve avvalere di altri percorsi informativi.

Non spetta certo a questo lavoro trarre conclusioni rispetto alle reali potenzialità di Internet nella fase attuale, oppure rispetto a quanto il fenomeno “rete” permeerà, cambiandole, le radicate abitudini degli utenti internet in un prossimo futuro, bensì ci si vuole concentrare sullo studio di un sondaggio effettuato con la somministrazione di un questionario anonimo ad un “campione di indagine” che si ritiene sia rappresentativo di una categoria predefinita, quella relativa a soggetti di formazione culturale medio alta e di età compresa tra i 18 e i 60 anni.

Modalità del sondaggio:

Il questionario, articolato su tre domande a risposta multipla, per un totale di nove opzioni, come si evince dal prospetto qui di seguito riportato, è stato proposto a 400 soggetti, nella classica forma anonima.

Il campione rappresentativo a cui è stato sottoposto il questionario, che raccoglie in se studenti di scuola media superiore, impiegati di concetto e professionisti, è stato prescelto presupponendo una certa familiarità con il mezzo informatico e con la navigazione in rete.

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ISTITUTO “FRANCESCO FATTORELLO”

SCIENZE E METODOLOGIA DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE

SCUOLA SUPERIORE – ROMA

Questionario informativo:
Da sempre, saper comunicare bene è sinonimo d’affermazione e successo sia in ambito lavorativo e professionale sia nell’ambito della sfera familiare ed amicale.

L’Istituto “Francesco Fattorello” ti propone di rispondere alle domande formulate nel questionario anonimo per valutare il tuo potenziale interesse a partecipare ad un corso di formazione sui temi della comunicazione e per capire meglio attraverso quali canali preferiresti eventualmente approfondire la ricerca di un corso che sia affidabile ed autorevole, nella giungla di proposte poco attendibili quando non decisamente commerciali.

Nel ringraziarti per la gentile collaborazione restiamo a disposizione per qualsiasi chiarimento in merito ai corsi sulla comunicazione realizzati dal nostro Istituto che potrai conoscere nel dettaglio consultando il sito www.istitutofattorello.org
Abilità comunicative:

Hai mai sentito il bisogno di comunicare meglio agli altri il tuo pensiero? si□ no□
Quando ti trovi a parlare in pubblico ti senti a disagio e non riesci ad esprimerti adeguatamente? si□ no□
Hai mai pensato di frequentare un corso di comunicazione ? si□ no□
Se decidessi di partecipare ad un corso di comunicazione:

□ Vorresti che fosse un amico che ha gia esperienza a consigliarti dove e con chi.

□ Faresti una ricerca su Internet per leggere i contenuti dei siti di chi propone corsi.

□ Preferiresti i corsi pubblicizzati da riviste e quotidiani
Giudicheresti più attendibile e fruttuoso un corso:

□ Intensivo del tipo “7 chili in 7 giorni”

□ Tradizionale, un giorno a settimana per alcuni mesi

□ Non hai elementi per decidere quale dei due

 

Risultati del sondaggio:

Le scelte effettuate dalle persone che hanno redatto il questionario hanno generato i seguenti risultati :

Hai mai sentito il bisogno di comunicare meglio agli altri il tuo pensiero? 324 si□76 no □

Quando ti trovi a parlare in pubblico ti senti a disagio e non riesci ad esprimerti adeguatamente? 157 si□243 no□

Hai mai pensato di frequentare un corso di comunicazione ? 123 si□277 no□

□ 322 Vorresti che fosse un amico che ha gia esperienza a consigliarti dove e con chi.

□ 72 Faresti una ricerca su Internet per leggere i contenuti dei siti di chi propone corsi.

□ 6 Preferiresti i corsi pubblicizzati da riviste e quotidiani
□ 12 Intensivo del tipo “7 chili in 7 giorni”

□ 381 Tradizionale, un giorno a settimana per alcuni mesi

□ 7 Non hai elementi per decidere quale dei due
Analisi dei risultati:

L’ analisi dei risultati ottenuti per ciascuna opzione proposta ci autorizza a formulare le seguenti considerazioni:

· La prima opzione mostra con evidenza che esiste una diffusa consapevolezza tra gli intervistati, di dover migliorare le proprie capacità comunicative, che vengono quindi da loro stessi giudicate inadeguate, anche se in realtà si tratta di persone che dovrebbero “esercitare” frequentemente o comunque più di altri articolati processi comunicativi in relazione alla loro professione o impegno scolastico

· La seconda opzione propone un sostanziale bilanciamento tra le risposte date, segno che anche coloro i quali si ritengono adeguati a sostenere il processo comunicativo in pubblico vorrebbero acquisire strumenti per comunicare meglio e di più.

· La terza opzione pone in netta prevalenza le persone che, pur dichiarando precedentemente di sentire il bisogno di comunicare meglio, non hanno mai pensato che gli strumenti di cui hanno bisogno, possono essere reperiti attraverso un naturale processo di formazione. Un ulteriore interessante approfondimento di questo risultato ottenuto, potrebbe consistere nel verificare se nel nostro paese l’offerta di corsi di comunicazione e la loro pubblicità, è adeguata ad una potenziale e latente domanda che sembra emergere da questo sondaggio.

· L’analisi comparata delle opzioni quattro, cinque e sei, tra di loro correlate e relative alle modalità con cui gli intervistati preferiscono attivarsi per partecipare eventualmente ad un corso di comunicazione, mostra con grande chiarezza che questi preferiscono essere “consigliati” da un conoscente di cui evidentemente si ha stima. Come già detto in precedenza, il campione individuato per le sue caratteristiche culturali e professionali, dovrebbe presumibilmente avere una discreta confidenza con il computer e con la rete.

Eppure la ricerca di informazioni on-line per questo specifico segmento di offerta, quello del prodotto intangibile, non sembra essere preferita. Risulta essere assolutamente marginale poi la pubblicità veicolata da riviste e periodici. Di qui la considerazione che un corso di formazione, non può essere trattato, nel pubblicizzarlo, come un prodotto tangibile. Decidere a chi sarà concesso di “potersi avvicinare” per formarci, implica un conseguente abbassamento dei nostri scudi protettivi.

Significa tutto sommato scegliere chi deve interagire con noi anche emotivamente, empaticamente, affinché ci possa trasferire nozioni valide ed attendibili, che contribuiranno a formare il nostro indissolubile bagaglio culturale. Questo processo di scelta non può essere lasciato evidentemente al caso.

· L’analisi comparata delle opzioni sette, otto e nove, tra di loro correlate e relative alle modalità di durata temporale con cui gli intervistati intendono frequentare il nostro ipotetico corso di comunicazione, evidenzia nettamente che gli intervistati optano per un corso di durata adeguata alle aspettative di apprendimento. A parte l’esiguo numero di indecisi, qui viene scartata drasticamente la formula del full-immersion per aderire ad una articolazione di tipo tradizionale. Questo ci porta a considerare il fattore durata del corso, o se si preferisce, la quantità di ore di insegnamento, come l’elemento basilare per considerare implicitamente affidabile ed attendibile o meno, un corso di formazione strutturato come dovrebbe essere un corso di comunicazione.

Considerazioni finali:

Una valutazione complessiva dei risultati del lavoro svolto ci porta a prendere atto che nelle persone intervistate e quindi, atteso che il campione sia effettivamente rappresentativo, anche in senso generalizzato, esiste latente il bisogno di comunicare meglio.

Tuttavia questo bisogno, viene dichiarato in larga parte anche da chi si ritiene già in grado di esprimere un processo comunicativo interpersonale normale e senza particolari ansie.

Ciò autorizza a valutare che anche questi soggetti potrebbero trarre vantaggio da un corso di comunicazione, mettendoli in grado, di dire meglio e di più, come infatti loro stessi ammettono di volere.

Eppure, i due terzi dei soggetti intervistati dichiara di non aver mai pensato di partecipare ad un corso di formazione sul tema della comunicazione, nonostante il latente bisogno percepito.

Una tesi plausibile è che gli intervistati non sono stati mai informati adeguatamente rispetto le iniziative formative presenti nel mercato.

A questo punto il concetto nodale della ricerca appare chiaramente: tre quarti del campione dichiara la preferenza di voler essere informato di come e dove frequentare un corso di comunicazione attraverso un consiglio amicale e giudicato attendibile dall’esistenza di un rapporto di stima tra soggetto promotore e soggetto recettore.

Questo risultato è quindi in controtendenza rispetto a quanto ci si aspetterebbe se si fosse convinti delle potenzialità persuasive dei mezzi di informazione tradizionali o emergenti ( stampa periodica ; internet ) mentre sembra confermare la tesi che quando si tratta di un prodotto di natura intangibile le iniziative pubblicitarie non sortiscano effetti evidenti in quanto si preferisce “prendere informazioni” da fonti giudicate degne di fiducia.

Del resto questo e’ abbastanza plausibile se si considera anche questo caso, la messa in campo dell’ analogo processo di scelta di un professionista ( medico di famiglia, psicologo, avvocato, commercialista, notaio,) al quale vogliamo rivolgerci per ottenere una consulenza ed un servizio alla persona che coinvolge inevitabilmente la sfera dell’intimo personale.

Anche la scelta praticamente unanime dei soggetti intervistati, verso corsi che propongono una durata coscienziosamente articolata su un grande monte ore di lezione, sta ad indicare che quando si parla di situazioni nelle quali si mette in conto di dover partecipare ad un percorso di crescita professionale e culturale, si preferisce una offerta tradizionale e non formule poco sostenibili di apprendimento rapido.

Nel caso quindi si debbano intraprendere azioni di pubblicità per proporre l’acquisto di beni intangibili, si denota dai risultati ottenuti dalla ricerca che è preferibile creare occasioni d’incontri diretti tra docenti e potenziali discenti attraverso work shops e presentazioni illustrative magari a margine di convegni, oppure pubblicizzare i corsi per mezzo di “agenti promotori” che possano ben rappresentare la serietà e l’autorevolezza di una struttura formativa.

I risultati della ricerca proposta, che vuol essere soltanto un modesto contributo al dibattito sul tema, meriterebbero di essere sottoposti a ulteriore verifica, per validare o meno quanto emerso, attraverso un ulteriore grado di approfondimento ed una fase di acquisizione dati, non sostenibile dal singolo ricercatore, poiché operata con più ampi mezzi organizzativi e numeri di soggetti intervistati, per ridurre al minimo possibili imprecisioni statistiche e profilando con l’occasione i soggetti per età, sesso e preparazione culturale, con l’inserimento di ulteriori domande nel questionario informativo.

Roma 16 dicembre 2008

Dott. Marco Cuppoletti

 

Oltre il ricordo

di Francesco Ricci

Sono passati alcuni mesi dalla conclusione della bellissima esperienza di studio a Poggiovalle, quale attività finale del corso di metodologia dell’informazione e tecniche della comunicazione, tenutosi durante l’inverno, presso l’istituto Francesco Fattorello di Roma.

Il ricordo del corso e dell’esperienza finale ha lasciato in tutti noi partecipanti l’arsura del ritrovarci, per continuare l’esperienza dello scambio, del confronto e della condivisione.

Durante i vari incontri invernali abbiamo avuto l’occasione di conoscerci attraverso le lezioni, le presentazioni e perché no, anche condividendo le ricche merende, ma quello che è successo a Poggiovalle è stato diverso.

Sembra proprio che in quell’occasione, si sia abbattuta ogni barriera di divisione e distacco tra tutti i partecipanti, rendendoci in qualche maniera fratelli dello stesso padre, legati da una comunione di intenti e da una rispettosa confidenza tipica di vecchie amicizie.

In quei due giorni ognuno di noi si è messo in gioco con il suo modo di essere, ed è bastato soltanto qualche minuto di curiosità, seduti intorno al tavolo della prima conferenza, per capire cosa facessimo realmente là, e per magia, ognuno di noi libero e alleggerito dal tran- tran delle sue giornate, è riuscito ad accogliere l’altro per come era, con le sue caratteristiche, i sui pregi e difetti e anche le sue potenzialità, superando quella conoscenza un po’ timida e distaccata che ci aveva accompagnato durante il corso a Roma.

Le diversità di ognuno ( l’età, le diverse professioni e ceti sociali), si sono azzerate davanti alla volontà di conoscerci, di accoglierci e di imparare nuovi temi e condividere gli argomenti che ci avevano portati in quel luogo e per i quali ci trovavamo uniti.

In fondo prima di gennaio nessuno di noi avrebbe pensato di vivere una così bella esperienza di vita, di gioco e di studio, che avrebbe portato a conoscere tante persone nuove che solo per il fatto di essersi ritrovati a scuola sarebbero restati uniti, solo per aver conosciuto quella teoria che inizialmente pensavamo un po’ strana, non molto definita e misteriosa.

Mi chiedo: qual è il nostro compito oltre la nostra crescita e arricchimento personale?

Essere diventati amici e ritrovarci nel ricordo di una bella esperienza, basta?

Penso: a ognuno di noi spetta ora un compito importantissimo, quello di poter portare la nostra esperienza nella vita di tutti i giorni, dei piccoli e dei grandi gesti, nelle nostre famiglie, nei nostri amici e soprattutto in tutte quelle persone che per qualsiasi motivo si affacceranno sulla nostra strada e permettere a tutti di condividere questa nostra gioia e capacità, che forse è ancora di pochi, ma con l’aiuto di tutti potrebbe diventare di tanti e soprattutto di tanti uomini e donne speciali che non riusciranno a cambiare il mondo, ma potranno vantarsi di averci provato solo per la capacità di sapersi presentare, riconoscere, ascoltare.

Solo allora la nostra misteriosa e amata teoria, sarà sicura di aver centrato il suo obbiettivo, quello di non essere rimasta dietro un banco di scuola, o incorniciata come un meraviglioso ricordo. Sarà invece riuscita a girare, farsi catturare e lasciare un segno in un presente certo e difficile e contribuendo ad un futuro tutto da costruire ma ancora in tempo per poter regalare meravigliose emozioni.

Cerveteri, Ottobre 2008

Francesco Ricci

Il Fatto-rello

Prof. Giuseppe Regnetti

Prof. Giuseppe Regnetti

 

L a  v i a i t a l i a n a  a l l a  c o m u n i c a z i o n e
Il 2008 sarà il sessantaduesimo anno di insegnamento della Tecnica Sociale dell’ Informazione all’Istituto “Francesco Fattorello”.

Per l’occasione nasce il nuovo house organ “Il Fatto-rello”. Tale pubblicazione realizzata all’interno dell’Istituto da docenti e studenti dello stesso, vuole essere una palestra di allenamento intellettuale, un luogo di ricerca e sperimentazione ma, soprattutto, uno spazio dove presentare l’originale impostazione teorica sui problemi dell’informazione e della comunicazione.

Ci auguriamo che tutti coloro che intendono avvicinarsi o approfondire i loro studi sulle dinamiche relazionali e comunicative all’interno della società, trovino sul “Fattorello” proficui spunti di confronto e di riflessione.

I ragazzi sono nostri profeti

di Carlo Maria Martini

“Corriere della Sera” del 21 ottobre 2008

Anticipiamo un brano delle riflessioni di Carlo Maria Martini che escono in libreria il 28 ottobre.

“Possiamo aprirci ai giovani solo prendendo spunto proprio da loro. Di cosa si interessano? Dove vivono? Come vivono le loro relazioni? Cosa criticano e quale impegno pretendono da noi? (…)

Certamente il metodo giusto non è predicare alla gioventù come deve vivere per poi giudicarla con l’intenzione di cercare di conquistare coloro che rispettano le nostre regole e le nostre idee. La comunicazione deve cominciare in assoluta libertà, in caso contrario non è comunicazione.

E, soprattutto, in questo modo non si conquista nessuno, caso mai lo si opprime. L’essere umano che incontro è fin dal principio un collaboratore e un soggetto. Dialogando insieme giungiamo a nuove idee e a nuovi passi condivisi.

La questione che più tocca la sensibilità dei giovani è se li prendiamo sul serio come collaboratori a pieno titolo o se vogliamo farli ravvedere come se fossero stupidi o in errore. Crediamo che tutti gli esseri umani siano creature di Dio e abbiano uguale dignità. Questo è il presupposto fondamentale di ogni comunicazione cui prendiamo parte. (…) Esistono senza dubbio diverse situazioni ed età della vita, come le descrive la moderna psicologia dell’età evolutiva.

Anche la Bibbia dispone di questa conoscenza nel Nuovo Testamento e, prima ancora, nell’Antico Testamento. Nella predica di Pentecoste, Pietro riprende infatti le parole del profeta Gioele del IV secolo a.C. e racconta l’opera dello Spirito Santo in tre fasi della vita, ognuna differente: «I vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni».

I «figli e le figlie» saranno profeti significa che essi devono essere critici. La generazione più giovane verrebbe meno al suo dovere se con la sua spigliatezza e con il suo idealismo indomito non sfidasse e criticasse i governanti, i responsabili e gli insegnanti. In tal modo fa progredire noi e soprattutto la Chiesa. (…) Il contributo «dei figli e delle figlie» è fondamentale. Essi sono ancora interessati oggi a criticare noi, la Chiesa, i governanti, oppure si ritirano in silenzio? Dove esistono ancora conflitti arde la fiamma, lo Spirito Santo è all’opera.

Nella ricerca di collaboratori e vocazioni religiose dovremmo forse prestare attenzione innanzitutto a coloro che sono scomodi e domandarci se proprio questi critici non abbiano in sé la stoffa per diventare un giorno responsabili e alla fine sognatori. Responsabili che guidino la Chiesa e la società in un futuro più giusto e «sognatori» che ci mantengano aperti alle sorprese dello Spirito Santo, infondendo coraggio e inducendoci a credere nella pace là dove i fronti si sono irrigiditi”.

Quei dialoghi notturni in attesa dell’alba
di Gian Guido Vecchi

“Corriere della Sera” del 21 ottobre 2008

«La parte più importante sono le domande dei ragazzi. Sono ancora interessati, oggi, a criticare la Chiesa, noi, chi governa, l’establishment? Oppure si allontanano in silenzio? Io sono convinto che là dove esistono conflitti arde la fiamma, lo Spirito Santo è all’opera…». Da un po’ di tempo il cardinale Carlo Maria Martini si sofferma con urgenza crescente sul tema della morte, «pregherei Gesù di inviarmi angeli, santi o amici che mi tengano la mano e mi aiutino a superare la mia paura», ma le Conversazioni notturne a Gerusalemme (in uscita il 28 da Mondadori) non hanno nulla di crepuscolare e rappresentano piuttosto le considerazioni inattuali del grande biblista, un dialogo con i giovani che tende all’alba, al futuro, «ci siamo avvicinati ai sogni».

Essenziale è il contesto. Figurarsi il cardinale conversare notte dopo notte con Padre Georg Sporschill, amico e confratello gesuita che aiuta i bimbi di strada in Romania e in Moldavia. Gesù e la «radicalità» del Vangelo, la giustizia «attributo fondamentale di Dio» e l’«inferno sulla terra», l’«opzione a favore dei poveri» e la speranza di «un nuovo rinnovamento della Chiesa». Al centro, i ragazzi. Il libro è scandito dalle domande che i giovani volontari impegnati con padre Georg gli hanno affidato. Così Martini li ascolta: la Chiesa «ha bisogno dei giovani» perché «ha sempre bisogno di riforme», e specie «nella vecchia Europa» è necessaria «una ventata d’aria fresca».

In questo senso il cardinale nota preoccupato «l’indubbia tendenza a prendere le distanze dal Concilio» e dice che Lutero «fu un grande riformatore», salvo aggiungere: «Trovo problematico il punto in cui, da riforme necessarie e ideali, crea un sistema a sé».

La «forza riformatrice» della Chiesa «deve venire dal suo interno», Martini invoca una Chiesa «capace di ammettere i propri errori » come «dopo l’ingiusta condanna di Galilei o Darwin» («per i temi che riguardano la vita e l’amore non possiamo attendere tanto »), soprattutto «una Chiesa aperta». Attenzione, però: non intende una Chiesa che s’affanni a inseguire la modernità, disposta a concessioni per recuperare un po’ di consenso.

L’apertura è alle domande di chi vive nella modernità: è restare accanto alle persone, prendere sul serio i loro dubbi, aiutarle a crescere e diventare «collaboratori di Dio». Questione di metodo, «i percorsi non possono essere imposti dall’alto, dalle scrivanie o dalle cattedre». Agitare il ditino alzato non serve. Serve aprirsi alle persone concrete, «rendere testimonianza come Gesù» perché il Vangelo è aperto a tutti, «il samaritano vede il prossimo che il sacerdote non ha visto». Per dire: il sesso prima del matrimonio è un dato di fatto, «illusioni e divieti non portano a nulla». Non significa che il cardinale approvi. Però «nella Chiesa nessuno è nostro oggetto, un caso o un paziente da curare». Con sant’Agostino dice: «Ai giovani non possiamo insegnare nulla, possiamo solo aiutarli a trovare il loro maestro interiore». Si tratta di dare fiducia, «renderli indipendenti» («anche i vescovi hanno bisogno di un interlocutore forte e consapevole») e accompagnarli nel loro sviluppo spirituale.

Un bellissimo capitolo è dedicato agli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, «le guide sono amici nel senso evangelico: accompagnano, fanno domande, sostengono, ma non si mettono mai tra il singolo e Gesù, anzi promuovono questo dialogo». Martini offre risposte aperte e mette in gioco se stesso. Perché c’è il dolore? «Se osservo il male del mondo, esso mi toglie il respiro. Capisco chi ne deduce che non esista alcun Dio».

Non ci sono risposte facili, bisogna mettersi in cammino: «Qual è la mia parte, e come posso io cambiare la situazione?». Il rischio è l’indifferenza. «Mi angustiano le persone che non pensano, che sono in balia degli eventi. Vorrei individui pensanti. Solo allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti». Per questo il fondamento dell’educazione cristiana è la Bibbia: «Non pensare in modo biblico ci rende limitati, ci impone dei paraocchi». Non si coglie «l’ampiezza della visione di Dio». Perché «l’uomo, e anche la Chiesa, corre sempre il rischio di porsi come un assoluto. Dobbiamo imparare a vivere la vastità dell’”essere cattolico”». Sapendo che «non puoi rendere Dio cattolico ». Gesù tratterebbe la Chiesa attuale come i farisei? «Sì», risponde il cardinale: erano i suoi «amici» e Gesù «li amava».

C’è chi nasce postumo, diceva Nietzsche. Di quello che Martini definisce «un piccolo libro» si parlerà per anni. L’importante è capire come la parola «critica», qui, non abbia un senso «politico», negativo: ha il valore essenziale che le può attribuire uno studioso di «critica» testuale delle Scritture. Quando padre Sporschill gli ricorda la storiella ricorrente del Martini «antipapa», lui sorride: «Sono, semmai, un ante-papa, un precursore e preparatore per il Santo Padre».

CARLO MARIA MARTINI GEORG SPORSCHILL,
Conversazioni notturne a Gerusalemme, Mondadori

Perchè alle donne piacciono i barbuti?

Abbastanza spesso si nota che le donne sono attratte dagli uomini barbuti. Che ruolo puo’ giocare la barba nell’attrazione amorosa?

Richiesto dalla nostra fattorelliana Concetta.
Chiedersi cosa ci sia dietro alla scelta di un uomo di proporsi a altri e in particolare all’attenzione femminile con un viso rasato e ordinato piuttosto che barbuto, apparentemente puo’ sembrare una questione del tutto priva di fondamento.

Tuttavia se si vuole dare un significato alla scelta di portare e di preferire la barba, non bisogna dimenticare quello che:” se non è il più importante, è certamente il più evidente e anche il più naturale: il suo significato sessuale. Probabilmente era la barba che permetteva ai nostri antenati i cavernicoli di riconoscere imme- diatamente e a distanza un uomo da una donna: era dunque un segnale di identificazione sessuale ben preciso. Ma oggi che le donne sono più abituate a non vedere barbe che a vederne; la barba ha ancora questo significato?

Oggi è difficile trovare donne .. che abbiano delle vere pregiudiziali sul fatto che un uomo abbia o non abbia la barba. Preferenze forse si, ma in generale la donna accetta l’uomo con l’aspetto che ha, se questo le piace nel suo complesso. Se pero’ la barba dà fastidio, la cosa è più che altro dovuta a fattori culturali: in generale piace l’uomo dall’aspetto ordinato, oppure si nutrono preoccupazioni igieniche.

Quando invece piace, è perché la barba viene interpretata proprio e ancora per quello che è il suo significato Il primitivo”, un segnale sessuale: le donne che si sentono attratte in prevalenza dagli uomini barbuti, vedono effettivamente un che di mascolino, di virile, un qualcosa di piacevolmente diverso” dall’aspetto femminile. Inoltre sembra che la donna recepisca altri tipi di segnale, ad esempio che il suo possessore accetta tranquillamente e senza ansie di essere maschio, tanto da non temere di dimostrarlo.

Senza bisogno di andare a tirar fuori la ricerca di una figura che dia appoggio e protezione, che sarebbe fuori luogo, è pero’ forse probabile che per la donna che si sente attratta in prevalenza da uomini con la barba, questa rappresenti una certa chiarezza e onestà, insomma una rassicurazione inconscia sull’identità del suo possessore verso cui rivolgere senza dubbio la propria carica sessuale.

La redazione di megghy.com

Avviso ai “Cerveretani”

Vi attendiamo numerosi mercoledì 19 Settembre 2008 alle ore 18:00 presso la sede didattica dell’Istituto “Seraphicum”, Via del Serafico, 1 – 00142 Roma Zona (Eur).

Vista la latitanza dei “Cerveterani”, il Prof. Ragnetti insieme al comitato di Istituto ha deciso che devono pagare un’ammenda… portando la merenda.
Vi aspettiamo tutti…
Alessandra Romano

A proposito di spazzatura…di Giuseppe Ragnetti

In foto il Prof. Ragnetti.

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Mi capita tra le mani una vecchia copia del giornale “la Repubblica” del 2 settembre 1992 Trovo di grande interesse ed attualità l’intervista a Giorgio Gori Direttore di Canale5. La TV volgare? E’ lo specchio degli Italiani. “Nostro compito è dare al pubblico ciò che vuole perché vendiamo telespettatori agli inserzionisti pubblicitari.

La tv è un eccezionale specchio sociologico: andiamo in giro per le case degli italiani e scopriremo che la televisione non è altro che un’immagine fedele del paese” E più avanti “….per avere questa grande platea di telespettatori, noi dobbiamo capire che cosa piace alla gente, perché il pubblico sceglie e in qualunque momento può usare il telecomando”.

Quanto appena affermato, è molto interessante perché consente agli studiosi ed appassionati del settore di innescare varie riflessioni; pensiamo ad esempio alla polemiche che sovente vengono fatte su determinati programmi radio-televisivi. La domanda, a questo proposito, che ci piace porre e che, solitamente, è argomento di dibattito in aula è la seguente: “Tv spazzatura o pubblico spazzatura?”.

Da ciò si evince che molte delle c.d. problematiche inerenti la “qualità” dei programmi radio-televisivi risultano relativamente importanti poiché, in virtù di quanto affermato ormai da diversi decenni nella nostra piccola Scuola, l’industria dei mezzi di comunicazione non fa altro che “mettere in forma” un prodotto che è pari ai gusti del pubblico al quale è indirizzato.

Non può permettersi di creare programmi che non derivino da uno studio dei recettori perché tale industria ha ovvie finalità imprenditoriali e gli investimenti effettuati devono fornire un consistente ritorno economico.

Proprio come il marketing, l’industria dei mezzi di comunicazione ha l’obbligo di studiare il suo mercato-recettore e fornire un prodotto adeguato, semplicemente perché le regole del mercato sono queste: “compro se il prodotto è di mio gradimento” (ovvero, guardo o ascolto un programma se mi piace) altrimenti “cambio canale”.

L’industria dei mezzi di comunicazione, proprio perché azienda, non crea prodotti che non abbiano riscontri sul pubblico ed allora: “Tv spazzatura o pubblico spazzatura?”. Ignoranza, superficialità o malafede impediscono a molti di dare una risposta univoca a quella che è soltanto una domanda retorica.

Prof. Ragnetti

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L’ accademia della vigna

A cura di Francesco Ricci

Mi trovavo in campagna a compiere alcuni lavori nel vigneto in una bellissima giornata di primavera, in completa solitudine tra il verde dei prati e i germogli delle viti che lasciavano già vedere i piccoli grappoli, con la sola compagnia di una cornacchia che seguiva instancabilmente il mio lavoro svolazzando in ogni filare alla ricerca di qualcosa che avevo reso più visibile con il mio passaggio.

Il rumore del trattore mi ha permesso di estraniarmi dai soliti pensieri quotidiani come se stessi in una campana di vetro, lasciando spazio a riflessioni interiori tra me e me, riascoltando concetti acquisiti recentemente che in questo ultimo periodo sono protagonisti nella mia vita.

Ripensavo agli incontri del venerdì al Fattorello alle lezioni del professor Ragnetti agli scambi tra i partecipanti e anche alle simpatiche merende, e non ho potuto tralasciare alcuni concetti come affermazioni ed esempi, che solo in una seconda accurata riflessione chiariscono le idee.

Ripensavo al gioco del target, alle freccette nei diversi materiali, ai più o meno abili tiratori nonché al bersaglio vicino o lontano, libero o schermato, alla M di metro o di maiale, al carrello della spesa, al freezer necessariamente ben fornito, alla disattenzione verso alcune indicazioni che in quel momento non sono ciò che cerchiamo (mobilificio o pizzeria), alla memoria, al filtro percettivo e alla manipolazione.

Questo elenco di parole, di esempi anche se apparentemente semplici, mi hanno messo spesso in difficoltà nel capire cosa ci si nascondesse dietro, ma la tanta curiosità ha vinto anche lo sconforto di mollare perché argomenti troppo difficili o lontani dalla mia persona.

In quel giorno lontano da tutti e da tutto, sono riuscito a sbriciolare ed a capire l’importanza semplice e intrigante, curiosa e accattivante di questo nuovo mondo che sto conoscendo, formato da vocaboli nuovi, profondi e significativi, legati da un unico filo conduttore: la riscoperta di me stesso ed il riappropriarmi della mia naturale vocazione, quella dell’uomo libero, libero da tutto ciò che io ho erroneamente fatto entrare, libero da tutte quelle situazioni alle quali ho consegnato le chiavi della mia casa ed alle quali ho permesso di mettermi alla porta, perdendo il mio ruolo di padrone per essere servitore.

Sono molto risentito e amareggiato nel pensare al faticoso studio e lavoro che dovrò fare per riconquistare ciò che è mio, ciò che con molta facilità mi è sfuggito di mano, solo per una semplice superficialità, distrazione o condizionamento; ma altrettanta gioia e forza alimenta la mia voglia di proseguire in questo viaggio ancora misterioso, ma che inizia a far assaporare i primi frutti e mi consentirà di essere più attento, coraggioso e libero, e soprattutto, mi insegnerà ad aver cura delle chiavi, ad essere una buona sentinella su ogni orizzonte nuovo che mi si presenterà, fatto di situazioni ma anche di persone che saprò ascoltare e che sapranno ascoltarmi.

Il mio lavoro giungeva al termine perché la mia amica cornacchia, con il suo ultimo volo, mi faceva capire che i filari erano finiti, e guardando l’orologio anche il tramonto era vicino, quello di una piacevole giornata di lavoro e riflessione, che segnava la fine di un giorno di luce ma rappresentava una nuova alba di un pensiero nuovo di una nuova persona in una nuova esperienza.

L’accademia della vigna mi ha permesso di riflettere e mi ha donato il coraggio di poterlo raccontare e condividere.

Cerveteri Maggio 2008
Francesco Ricci

Poggiovalle: “Parlare in pubblico” 6-8 giugno

Il seminario intensivo su “Parlare in Pubblico” è parte integrante delle attività culturali e didattiche riservate agli iscritti all’Istituto Fattorello. La partecipazione, pertanto, è a titolo completamente gratuito.
da Roma: Autostrada A1 direzione Firenze – Uscita Fabro

Località Poggiovalle – 05015 Fabro (TR)

ITALIA

Tel. +39-0578-248125 – Fax +39-0578-248219

www.poggiovalle.com

Il costo di vitto e alloggio, da pagare direttamente alla struttura ospitante è di circa 170 euro

PROGRAMMA DEL SEMINARIO —-> POGGIOVALLE 2008