La pubblicazione dei prodotti intangibili

ISTITUTO “FRANCESCO FATTORELLO”

SCIENZE E METODOLOGIA DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE

SCUOLA SUPERIORE – ROMA

“LA PUBBLICIZZAZIONE DEI PRODOTTI INTANGIBILI”

ESITI DELLA RICERCA METODOLOGICA
A cura del Dott. MARCO CUPPOLETTI

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Oggetto della ricerca :

La ricerca proposta intende analizzare e verificare, con i tradizionali strumenti della metodologia sociologica, quale sia il grado di apprezzamento di un nuovo mezzo di comunicazione sociale come Internet, nel caso in cui si voglia ottenere una adesione di opinione di un soggetto recettore, potenzialmente interessato all’acquisto di un prodotto “intangibile” quale, come nel nostro caso, la partecipazione ad un corso di formazione sulla comunicazione.

La tesi che si vuole sostenere è che tale mezzo di comunicazione sia largamente inefficace per il fine in questione, mentre altri canali più socialmente circoscritti ma più fidelizzanti siano decisamente più utili.

Il fenomeno Internet, ormai conclamato universalmente, si sta affermando prepotentemente come lo strumento più utilizzato quando ci si trovi nella necessità di trarre informazioni sugli argomenti più disparati, almeno in una prima fase di superficiale acquisizione, oppure quando si vogliano reperire informazioni di natura commerciale, tanto che è diventato un imperativo categorico per enti, società oltre alle innumerevoli persone fisiche, dotarsi di un opportuno Blob o sito istituzionale in rete.

Internet genera nuove tendenze ed abbatte le vecchie abitudini, anche le più radicate.

In un primo momento, molti analisti del fenomeno Internet hanno giudicato difficile un attecchimento abitudinario delle modalità di fruizione di servizi on–line in Italia a causa della spiccata propensione, dovuto ad un atteggiamento culturale tipico del nostro paese, a non fidarsi di quei processi che escludono un rapporto diretto con il proponente di una transazione commerciale.

Recarsi in un esercizio commerciale per visionare di persona i prodotti, chiedere a voce informazioni inerenti l’acquisto, indossare un capo di abbigliamento in prova o manipolare una merce per saggiarne la qualità e la consistenza, sembrava infatti, fossero necessità irrinunciabili.

Oggi va però registrato che i dati statistici relativi alle transazioni di acquisto andate a buon fine su portali specializzati quali ad esempio E-Buy testimoniano che il ricorso all’acquisto on line è in netta ascesa anche tra gli italiani.

Si è portati ad ipotizzare pertanto che tale strumento sia efficace anche relativamente alle campagne di pubblicità che riguardano la proposta di acquisto di beni intangibili, come corsi di formazione professionale o di specializzazione inclusi i corsi scolastici ed universitari.

Come verificheremo nella parte finale, questa ipotesi non e’ suffragata dai risultati di ricerca, mentre sarà confermata la tesi per la quale la pubblicità di beni intangibili si deve avvalere di altri percorsi informativi.

Non spetta certo a questo lavoro trarre conclusioni rispetto alle reali potenzialità di Internet nella fase attuale, oppure rispetto a quanto il fenomeno “rete” permeerà, cambiandole, le radicate abitudini degli utenti internet in un prossimo futuro, bensì ci si vuole concentrare sullo studio di un sondaggio effettuato con la somministrazione di un questionario anonimo ad un “campione di indagine” che si ritiene sia rappresentativo di una categoria predefinita, quella relativa a soggetti di formazione culturale medio alta e di età compresa tra i 18 e i 60 anni.

Modalità del sondaggio:

Il questionario, articolato su tre domande a risposta multipla, per un totale di nove opzioni, come si evince dal prospetto qui di seguito riportato, è stato proposto a 400 soggetti, nella classica forma anonima.

Il campione rappresentativo a cui è stato sottoposto il questionario, che raccoglie in se studenti di scuola media superiore, impiegati di concetto e professionisti, è stato prescelto presupponendo una certa familiarità con il mezzo informatico e con la navigazione in rete.

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ISTITUTO “FRANCESCO FATTORELLO”

SCIENZE E METODOLOGIA DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE

SCUOLA SUPERIORE – ROMA

Questionario informativo:
Da sempre, saper comunicare bene è sinonimo d’affermazione e successo sia in ambito lavorativo e professionale sia nell’ambito della sfera familiare ed amicale.

L’Istituto “Francesco Fattorello” ti propone di rispondere alle domande formulate nel questionario anonimo per valutare il tuo potenziale interesse a partecipare ad un corso di formazione sui temi della comunicazione e per capire meglio attraverso quali canali preferiresti eventualmente approfondire la ricerca di un corso che sia affidabile ed autorevole, nella giungla di proposte poco attendibili quando non decisamente commerciali.

Nel ringraziarti per la gentile collaborazione restiamo a disposizione per qualsiasi chiarimento in merito ai corsi sulla comunicazione realizzati dal nostro Istituto che potrai conoscere nel dettaglio consultando il sito www.istitutofattorello.org
Abilità comunicative:

Hai mai sentito il bisogno di comunicare meglio agli altri il tuo pensiero? si□ no□
Quando ti trovi a parlare in pubblico ti senti a disagio e non riesci ad esprimerti adeguatamente? si□ no□
Hai mai pensato di frequentare un corso di comunicazione ? si□ no□
Se decidessi di partecipare ad un corso di comunicazione:

□ Vorresti che fosse un amico che ha gia esperienza a consigliarti dove e con chi.

□ Faresti una ricerca su Internet per leggere i contenuti dei siti di chi propone corsi.

□ Preferiresti i corsi pubblicizzati da riviste e quotidiani
Giudicheresti più attendibile e fruttuoso un corso:

□ Intensivo del tipo “7 chili in 7 giorni”

□ Tradizionale, un giorno a settimana per alcuni mesi

□ Non hai elementi per decidere quale dei due

 

Risultati del sondaggio:

Le scelte effettuate dalle persone che hanno redatto il questionario hanno generato i seguenti risultati :

Hai mai sentito il bisogno di comunicare meglio agli altri il tuo pensiero? 324 si□76 no □

Quando ti trovi a parlare in pubblico ti senti a disagio e non riesci ad esprimerti adeguatamente? 157 si□243 no□

Hai mai pensato di frequentare un corso di comunicazione ? 123 si□277 no□

□ 322 Vorresti che fosse un amico che ha gia esperienza a consigliarti dove e con chi.

□ 72 Faresti una ricerca su Internet per leggere i contenuti dei siti di chi propone corsi.

□ 6 Preferiresti i corsi pubblicizzati da riviste e quotidiani
□ 12 Intensivo del tipo “7 chili in 7 giorni”

□ 381 Tradizionale, un giorno a settimana per alcuni mesi

□ 7 Non hai elementi per decidere quale dei due
Analisi dei risultati:

L’ analisi dei risultati ottenuti per ciascuna opzione proposta ci autorizza a formulare le seguenti considerazioni:

· La prima opzione mostra con evidenza che esiste una diffusa consapevolezza tra gli intervistati, di dover migliorare le proprie capacità comunicative, che vengono quindi da loro stessi giudicate inadeguate, anche se in realtà si tratta di persone che dovrebbero “esercitare” frequentemente o comunque più di altri articolati processi comunicativi in relazione alla loro professione o impegno scolastico

· La seconda opzione propone un sostanziale bilanciamento tra le risposte date, segno che anche coloro i quali si ritengono adeguati a sostenere il processo comunicativo in pubblico vorrebbero acquisire strumenti per comunicare meglio e di più.

· La terza opzione pone in netta prevalenza le persone che, pur dichiarando precedentemente di sentire il bisogno di comunicare meglio, non hanno mai pensato che gli strumenti di cui hanno bisogno, possono essere reperiti attraverso un naturale processo di formazione. Un ulteriore interessante approfondimento di questo risultato ottenuto, potrebbe consistere nel verificare se nel nostro paese l’offerta di corsi di comunicazione e la loro pubblicità, è adeguata ad una potenziale e latente domanda che sembra emergere da questo sondaggio.

· L’analisi comparata delle opzioni quattro, cinque e sei, tra di loro correlate e relative alle modalità con cui gli intervistati preferiscono attivarsi per partecipare eventualmente ad un corso di comunicazione, mostra con grande chiarezza che questi preferiscono essere “consigliati” da un conoscente di cui evidentemente si ha stima. Come già detto in precedenza, il campione individuato per le sue caratteristiche culturali e professionali, dovrebbe presumibilmente avere una discreta confidenza con il computer e con la rete.

Eppure la ricerca di informazioni on-line per questo specifico segmento di offerta, quello del prodotto intangibile, non sembra essere preferita. Risulta essere assolutamente marginale poi la pubblicità veicolata da riviste e periodici. Di qui la considerazione che un corso di formazione, non può essere trattato, nel pubblicizzarlo, come un prodotto tangibile. Decidere a chi sarà concesso di “potersi avvicinare” per formarci, implica un conseguente abbassamento dei nostri scudi protettivi.

Significa tutto sommato scegliere chi deve interagire con noi anche emotivamente, empaticamente, affinché ci possa trasferire nozioni valide ed attendibili, che contribuiranno a formare il nostro indissolubile bagaglio culturale. Questo processo di scelta non può essere lasciato evidentemente al caso.

· L’analisi comparata delle opzioni sette, otto e nove, tra di loro correlate e relative alle modalità di durata temporale con cui gli intervistati intendono frequentare il nostro ipotetico corso di comunicazione, evidenzia nettamente che gli intervistati optano per un corso di durata adeguata alle aspettative di apprendimento. A parte l’esiguo numero di indecisi, qui viene scartata drasticamente la formula del full-immersion per aderire ad una articolazione di tipo tradizionale. Questo ci porta a considerare il fattore durata del corso, o se si preferisce, la quantità di ore di insegnamento, come l’elemento basilare per considerare implicitamente affidabile ed attendibile o meno, un corso di formazione strutturato come dovrebbe essere un corso di comunicazione.

Considerazioni finali:

Una valutazione complessiva dei risultati del lavoro svolto ci porta a prendere atto che nelle persone intervistate e quindi, atteso che il campione sia effettivamente rappresentativo, anche in senso generalizzato, esiste latente il bisogno di comunicare meglio.

Tuttavia questo bisogno, viene dichiarato in larga parte anche da chi si ritiene già in grado di esprimere un processo comunicativo interpersonale normale e senza particolari ansie.

Ciò autorizza a valutare che anche questi soggetti potrebbero trarre vantaggio da un corso di comunicazione, mettendoli in grado, di dire meglio e di più, come infatti loro stessi ammettono di volere.

Eppure, i due terzi dei soggetti intervistati dichiara di non aver mai pensato di partecipare ad un corso di formazione sul tema della comunicazione, nonostante il latente bisogno percepito.

Una tesi plausibile è che gli intervistati non sono stati mai informati adeguatamente rispetto le iniziative formative presenti nel mercato.

A questo punto il concetto nodale della ricerca appare chiaramente: tre quarti del campione dichiara la preferenza di voler essere informato di come e dove frequentare un corso di comunicazione attraverso un consiglio amicale e giudicato attendibile dall’esistenza di un rapporto di stima tra soggetto promotore e soggetto recettore.

Questo risultato è quindi in controtendenza rispetto a quanto ci si aspetterebbe se si fosse convinti delle potenzialità persuasive dei mezzi di informazione tradizionali o emergenti ( stampa periodica ; internet ) mentre sembra confermare la tesi che quando si tratta di un prodotto di natura intangibile le iniziative pubblicitarie non sortiscano effetti evidenti in quanto si preferisce “prendere informazioni” da fonti giudicate degne di fiducia.

Del resto questo e’ abbastanza plausibile se si considera anche questo caso, la messa in campo dell’ analogo processo di scelta di un professionista ( medico di famiglia, psicologo, avvocato, commercialista, notaio,) al quale vogliamo rivolgerci per ottenere una consulenza ed un servizio alla persona che coinvolge inevitabilmente la sfera dell’intimo personale.

Anche la scelta praticamente unanime dei soggetti intervistati, verso corsi che propongono una durata coscienziosamente articolata su un grande monte ore di lezione, sta ad indicare che quando si parla di situazioni nelle quali si mette in conto di dover partecipare ad un percorso di crescita professionale e culturale, si preferisce una offerta tradizionale e non formule poco sostenibili di apprendimento rapido.

Nel caso quindi si debbano intraprendere azioni di pubblicità per proporre l’acquisto di beni intangibili, si denota dai risultati ottenuti dalla ricerca che è preferibile creare occasioni d’incontri diretti tra docenti e potenziali discenti attraverso work shops e presentazioni illustrative magari a margine di convegni, oppure pubblicizzare i corsi per mezzo di “agenti promotori” che possano ben rappresentare la serietà e l’autorevolezza di una struttura formativa.

I risultati della ricerca proposta, che vuol essere soltanto un modesto contributo al dibattito sul tema, meriterebbero di essere sottoposti a ulteriore verifica, per validare o meno quanto emerso, attraverso un ulteriore grado di approfondimento ed una fase di acquisizione dati, non sostenibile dal singolo ricercatore, poiché operata con più ampi mezzi organizzativi e numeri di soggetti intervistati, per ridurre al minimo possibili imprecisioni statistiche e profilando con l’occasione i soggetti per età, sesso e preparazione culturale, con l’inserimento di ulteriori domande nel questionario informativo.

Roma 16 dicembre 2008

Dott. Marco Cuppoletti

 

Perchè alle donne piacciono i barbuti?

Abbastanza spesso si nota che le donne sono attratte dagli uomini barbuti. Che ruolo puo’ giocare la barba nell’attrazione amorosa?

Richiesto dalla nostra fattorelliana Concetta.
Chiedersi cosa ci sia dietro alla scelta di un uomo di proporsi a altri e in particolare all’attenzione femminile con un viso rasato e ordinato piuttosto che barbuto, apparentemente puo’ sembrare una questione del tutto priva di fondamento.

Tuttavia se si vuole dare un significato alla scelta di portare e di preferire la barba, non bisogna dimenticare quello che:” se non è il più importante, è certamente il più evidente e anche il più naturale: il suo significato sessuale. Probabilmente era la barba che permetteva ai nostri antenati i cavernicoli di riconoscere imme- diatamente e a distanza un uomo da una donna: era dunque un segnale di identificazione sessuale ben preciso. Ma oggi che le donne sono più abituate a non vedere barbe che a vederne; la barba ha ancora questo significato?

Oggi è difficile trovare donne .. che abbiano delle vere pregiudiziali sul fatto che un uomo abbia o non abbia la barba. Preferenze forse si, ma in generale la donna accetta l’uomo con l’aspetto che ha, se questo le piace nel suo complesso. Se pero’ la barba dà fastidio, la cosa è più che altro dovuta a fattori culturali: in generale piace l’uomo dall’aspetto ordinato, oppure si nutrono preoccupazioni igieniche.

Quando invece piace, è perché la barba viene interpretata proprio e ancora per quello che è il suo significato Il primitivo”, un segnale sessuale: le donne che si sentono attratte in prevalenza dagli uomini barbuti, vedono effettivamente un che di mascolino, di virile, un qualcosa di piacevolmente diverso” dall’aspetto femminile. Inoltre sembra che la donna recepisca altri tipi di segnale, ad esempio che il suo possessore accetta tranquillamente e senza ansie di essere maschio, tanto da non temere di dimostrarlo.

Senza bisogno di andare a tirar fuori la ricerca di una figura che dia appoggio e protezione, che sarebbe fuori luogo, è pero’ forse probabile che per la donna che si sente attratta in prevalenza da uomini con la barba, questa rappresenti una certa chiarezza e onestà, insomma una rassicurazione inconscia sull’identità del suo possessore verso cui rivolgere senza dubbio la propria carica sessuale.

La redazione di megghy.com

La Tesina di Giuditta Avellina

Tesina realizzata per “Tecniche di Relazione”(prof.Ragnetti)
A cura di Giuditta Avellina

IL FATTORELLO 2.0
Opinioni opinabili nel Web di seconda generazione

Web 2.0, termine coniato da Tim O’Reilly e Dale Dougherty, rappresenta una nuova visione del web che si riferisce alle tecnologie di Internet che permettono ai dati di diventare indipendenti dalla persona che li produce o dal sito in cui vengono creati: l’informazione può essere suddivisa in unità che viaggiano liberamente da un sito all’altro, spesso in modi che il produttore non aveva previsto o inteso.

Una rivoluzione del concetto di opinione dominante, in puro stile fattorelliano: il paradigma del Web 2.0 permette agli utenti di prendere informazioni da diversi siti simultanemente e di distribuirle sui propri siti per nuovi scopi, aumentando la moltiplicabilità e la soggettività dell’opinione.

Ma qual è il valore del web 2.0 in rapporto al concetto esteso di opinione?

– Potenzia la rete minore , ossia permette agli utenti non interessati ai grandi circuiti industriali bensì a prodotti meno commerciali, di trovarli ed acquistarli in rete. Amazon ed eBay hanno usato quest’idea per costruire società che valgono miliardi su miliardi.

– Piccoli Pezzi, Slegati. Il monoblocco non esiste più. Non è agile. Quello che si è costruito non si può aggregare: è la somma delle singole opinioni a generare la totalità.

– Self Service e Partecipazione. Ogni utente fornisce la propria opinione e partecipa alla modifica di quella altrui.

– Decentralizzazione. Le singole fonti di funzioni sono singole fonti di fallimento ed oggi sono inaccettabili poiché non forniscono nè la distribuzione nè il ritrovamento di contenuti di valore significativo; invece, l’opinione, grazie al web 2.0, non parte da un centro ma dagli stimoli multilaterali delle parti.

Insomma, è un nuovo modo di intendere la Rete, che pone al centro i contenuti, le informazioni, l’interazione sulla rete globale che oltre ai computer, comprende altre periferiche quali il cellulare, la televisione, la radio, che possono interagire tra loro utilizzando le nuove tecnologie di condivisione, all’insegna della collaborazione, dell’interazione sociale realizzata grazie alla tecnologia.

I servizi e gli strumenti del Web 2.0 trasformano ogni utente da consumatore a partecipante, da utilizzatore passivo ad autore attivo di contenuti, messi a disposizione di chiunque si affacci su Internet, indipendentemente dal dispositivo che utilizza e dall’ambiente sociale in cui opera.

Gli stimoli diventano migliaia per un utente, e tra questi: cosa fa nella vita, il sesso/età, l’ambiente sociale, il linguaggio, lo stato economico,attività odiate/amate, modo di comportarsi, rapporti con altri, obiettivi della sua vita, punti di forza/debolezza.

Queste e mille altre variabili determineranno la crescita dell’utente navigatore del web: il suo orizzonte “virtuale”, sollecitato da tali stimoli, comincerà ad allargarsi e ad adottare norme sociali intorno a valori ed interessi che contribuiranno a formare le sue intenzioni personali.

La matura navigazione sul web, gli consentirà di fortificare le proprie opinioni personali e gli darà altresì la possibilità, con tali opinioni, di agire a sua volta sull’ambiente sociale che lo ha formato (seppur, ovviamente, in virtuale).
In pratica:

AMBIENTE SOC.—)AGISCE SULL’UOMO—)
L’UOMO DIVIENE UTENTE
UTENTE—————————)AGISCE SUL WEB

Come si può chiaramente notare, il processo di condizionamento possiede una propria circolarità, nonostante l’ambiente sociale risulti più forte nel condizionare la personalità dell’individuo.

Le variabili sopra elencate (ambiente sociale,stato economico,ecc.) riusciranno a dispiegare la loro forza grazie a un processo mentale agevolato dall’educazione (che agisce attraverso attitudini) e dall’intelligenza (che genera un pensiero più personale) che consentirà all’utente una affiliazione alla community sul web.

L’affiliazione sarà confermata dall’adozione di dati stereotipi (il multilinguaggio del web 2.0), elementi preponderanti per sentirsi in armonia sociale: l’opinione espressa dall’utente sarà in armonia con gli stereotipi della community virtuale.

Le communities virtuali sono generate da applicazioni, e le più diffuse del Web 2.0 sono: blog, social network, podcasting, bookmarking,wiki, ecc.

Tutte permettono la partecipazione nonché la diffusione di ciò che viene prodotto all’interno delle comunità interattive di fruitori/autori di contenuti.

Le materie e gli argomenti trattati spaziano lungo tutti i campi del sapere, rendendo ogni informazione immediatamente visibile e rielaborabile per qualsiasi media.
Può capitare che un articolo apparso su un quotidiano online sia commentato su un blog, per poi essere arricchito dall’aggiunta di contenuti audio e video, essere condiviso all’interno di una comunità, diventando a ogni passaggio sempre più approfondito e “popolare”.

La notizia, è insomma fonte e prodotto della non obiettività, essendo formata dalla somma di più opinioni e formandosi in un vero e proprio luogo di incontro, discussione e condivisione di argomenti e contenuti, disponibili come testo, immagini, audio e video.

Col Web 2.0 nascerà una visione del web in cui l’informazione viene spezzettata in unità di “microcontenuti” che possono essere distribuiti su dozzine di domini: Internet come la summa delle capacità tecnologiche raggiunte dall’uomo nell’ambito della diffusione dell’informazione e della condivisione del sapere.

Scorrendo l’elenco delle soluzioni Web 2.0 troviamo i wiki, l’espressione più democratica della diffusione della conoscenza attraverso la tecnologia.

La logica che muove e sviluppa i wiki è la partecipazione degli utenti a un obiettivo comune, come la realizzazione della più grande enciclopedia mondiale, la “Wikipedia”, o la creazione di un glossario informatico, o di una knowledge base dedicata a un argomento specifico.

Il metodo di lavoro è in questo caso l’elemento innovatore; chiunque può aggiungere o modificare il contenuto (testo, immagini e video) presente in un wiki. Ecco perché si può affermare che la partecipazione libera del singolo produce un bene culturale comune, fruibile da tutti gratuitamente.

Non si possono non menzionare i social network, o reti sociali, che consistono in gruppi di persone, con vincoli familiari e non, con passioni e interessi comuni, intenzionati a condividere pensieri e conoscenze. Si trovano online comunità di persone che condividono i link ai siti che ritengono interessanti, oppure alle proprie foto o video, come anche poesie, o anche resoconti di eventi cui hanno partecipato.

Persone che hanno la capacità e la voglia di distribuire contenuti multimediali relativi ai propri interessi. Questi gruppi si rivelano spesso una preziosa fonte di informazioni e al contempo divulgatori specializzati in argomenti di nicchia.

Nel rapporto con l’altro, l’internauta proviene da varie esperienze di socializzazione e di acculturazione che lo hanno accompagnato durante tutta la sua vita: l’insieme di circostanze, credenze, valori ed eventi che lo hanno reso “sociale” avranno avuto modo di scontrarsi con miriadi di formule d’opinione, ossia opinioni propostegli da un ipotetico ”altro”.

E’ chiaro come egli, in parte, sarà contagiato dal gruppo d’interesse sul web, che contribuirà alla formazione delle sue attitudini sociali, ossia quel complesso sistema di rappresentazioni, ricordi, sentimenti, che è possibile sintetizzare nelle seguenti categorie:

1. sentimenti collettivi
2. ideali collettivi, atti a definire macroconcetti quali il bene,il male,ecc.
3. idee, credenze, visioni del mondo

Che contribuiranno a definire l’utente quale membro sociale di “quel dato gruppo” e a farlo agire nei processi di opinione.

La cultura, bagaglio di conoscenze che ogni individuo eredita dal sociale, sarà un altro fattore primario che determinerà l’acculturazione dell’utente, ossia quel complesso processo di socializzazione (intesa come integrazione in società) e di assimilazione di credenze, tendenze e valori provenienti dalla società medesima: insomma, una definizione molto vicina a quella di social network.

Condizionato da questa miscela esplosiva di acculturazione e attitudini sociali, l’utente deciderà se aderire o meno alle formule propostegli e in caso di esito positivo, si dirà che egli avrà dato la propria adesione d’opinione a un contenuto, scaricabile per scopo commerciale o per la libera circolazione del pensiero.

Se si verifica un’adesione a scopo commerciale si pensa immediatamente alla vendita di pubblicità o di servizi professionali su Internet, ma non vanno trascurate la visibilità e la credibilità che un’azienda può acquisire aprendo il proprio blog, o partecipando a comunità di nicchia i cui interessi coincidono con i prodotti offerti.

Per non parlare dei vantaggi nel campo delle relazioni pubbliche e della comunicazione d’impresa: “io commerciante aderisco a una community virtuale per lavorare bene e farlo sapere a tutti”. E cosa c’è di meglio di un blog, o un wiki, o una community, per farlo sapere a tutti?

L’adesione a scopo libera circolazione del pensiero, possiede altrettanti importanti obiettivi:

a) il contenuto cui si aderisce sarà completamente svincolato dalla sua rappresentazione;

b) l’adesione genererà giudizi d’opinione che verranno aggregati e riaggregati secondo i bisogni degli utenti e saranno fruibile su diverse piattaforme di distribuzione;

c) oltre alla capacità di comunicare in nuovi ambienti le proprie opinioni, si dovrà anche imparare a gestire nuove dinamiche relazionali (es.peer to peer) ;

d) la comunicazione diverrà sempre più flessibile e adattata ai contesti ed ai comportamenti di fruizione, contro la presunta obiettività dei massimi poteri;

e) si assisterà ad un aumento di nuovi contenuti creati oltre che a diverse nuove modalità di ricombinazione di vecchi contenuti che renderanno obsoleti i tradizionali concetti di protezione dei diritti e di digital right management.

Web 2.0 è la nuova democrazia, che permette a tutti di avere un opinione e, pur lasciando ai dati una loro identità propria, tale identità può essere cambiata, modificata o remixata da chiunque per uno scopo preciso.

Una volta che i dati hanno un’identità, la rete si sposta da un insieme di siti web ad una vera rete di siti in grado di interagire ed elaborare le informazioni collettivamente.

L’adesione da parte dell’utente a una data formula d’opinione proposta dalla community, ovviamente dipenderà dalla netta dominanza di alcuni fattori di conformità con cui egli possa agevolmente identificarsi, ossia quei fattori-chiave che serviranno da collante e polarizzeranno in un dato senso il rapporto promotore/recettore.

Infatti l’opinione proposta verrà passata al vaglio, misurandone attivamente(e non in modalità passiva!)la coerenza con la propria scala di valori e se e soltanto se essa coinciderà con i propri fattori di conformità, le si darà valida adesione.

Tra i fattori di conformità (e ve ne sono parecchi!), che polarizzeranno il singolo/il gruppo verso l’adesione a una data opinione, ricordiamo:

• La ragione vs la superstizione (determineranno una maggiore/minore ragionevolezza da parte dell’individuo nell’aderire a date formule d’opinione).

• I valori, ossia quell’insieme di contenuti cristallizzati nell’individuo che instabilmente vengono adottati/scartati dai gruppi sociali e che possiamo suddividere in:

1. valori particolari (legati al rapporto tra valori tra singoli e valori generali)
2. valori generali (legati al rapporto tra gruppi più vasti)
3. valori assoluti (legati a un bene comune e pseudo-indiscutibile)

• Il comune interesse (capace di generare comunità d’opinioni)

• L’opinione della maggioranza, legata di volta in volta a diversi Sp.

• Gli stereotipi.

L’utente si immerge totalmente nel sociale categorizzandolo in maniera contingente e distinguendo le aree di appartenenza predominanti all’interno del gruppo: l’ambiente sociale con cui si relazionerà causerà in lui curiosità e, di conseguenza, dubbi circa

l’opinione da dare su una determinata circostanza (il dubbio negativo genererà ignoranza, quello positivo, incertezza).

L’insopportabile malessere provocato dal dubbio, lo costringerà a ricercare la ‘presunta’ verità ritenuta più plausibile e ad essa affiderà il proprio giudizio d’opinione per uscire dallo stato di insoddisfazione; tale opinione non sarà mai fine a sé o esaurita nella sua stessa essenza, ma avrà caratteristiche di contingenza che doneranno un momentaneo stato di quiete.

Certo, dare forma e comunicazione al messaggio da veicolare implica una tecnica ben precisa, la tecnica sociale fattorelliana.

x)
M
Sp Sr
O

• Sp, ossia il Soggetto Promotore,in questo caso rappresentato dall’utente;

• Sr, ossia il Soggetto Recettore, in questo caso rappresentato dalla community;

• X), ossia l’argomento vero e proprio oggetto del rapporto tra le parti, che però viene tenuto fuori dalla comunicazione tra le parti;

• O, ossia la maniera in cui l’utente “confeziona”l’argomento per ottenerne l’adesione di opinione da parte della community;

• M, ossia il mezzo con cui l’utente si rivolge alla community per ottenerne l’adesione d’opinione (es.blog, gruppi di discussione, myspace,ecc.).

Cosa cambia per le imprese sul web, con l’applicazione della tecnica sociale connessa alle innovazioni del web 2.0?

Web 2.0, per le net-companies, significa un diverso modo di approcciare la Rete. Utilizzare la molteplicità di opinione, per l’azienda, significa incoraggiare i contributi degli utenti, rendendo il sito web il più interattivo possibile, mediante recensioni e commenti: un utente, sempre più “smaliziato”, sempre più protagonista, che desidera assolutamente dire la sua.

E cosa cambia per gli utenti?

Web 2.0 è opinione dell’utente nonché sinonimo di intelligenza collettiva e network relazionale: la popolarità di un sito web o di un blog non è determinata solamente dal budget pubblicitario on line e off line stabilito da un’azienda.

Se un sito web fornisce dei contenuti di qualità e/o di un certo interesse, suscita immediatamente la reazione positiva degli internauti. Si creerà così un effetto “passaparola” e il sito sarà linkato.
Ma l’opinione resterà modificabile. All’infinito.

I messaggi subliminali influenzano il vostro pensiero a vostra insaputa…?

A cura di Francesca Romana Seganti

“I messaggi subliminali influenzano il vostro pensiero a vostra insaputa”…uno scherzo? Si, ma ovviamente il titolo era solo una scusa per invogliarvi a leggere, che siate fattorelliani o soprattutto che non lo siate.

Già perché chi non ha seguito le lezioni del Prof. Ragnetti, molto facilmente sarà attratto dalle numerose teorie che sostengono che le persone possano essere condizionate in modo subliminale, ovvero inconsapevolmente, attraverso messaggi, spesso sotto forma di immagini, che al livello consapevole non ci si rende conto di aver visto.

Un esempio noto: cinquant’anni fa, il ricercatore di mercato, James Vicary, sostenne di aver sperimentato che nelle sale cinematografiche si potessero condizionare gli Americani a bere più coca cola e a mangiare più pop corn proiettando sullo schermo messaggi flash (della durata di una frazione di secondo) contenenti immagini pubblicitarie dei suddetti prodotti. Egli sostenne che utilizzando questa tecnica le vendite di coca cola erano salite del 57.5 per cento.

Il caso di Vicary e della coca cola è uno tra i più famosi, ma ce ne sono tantissimi ed in particolare quelli relativi alla musica ed ai famosi dischi (dei Led Zeppelin e Ozzy Osbourne, solo per fare qualche nome) che ascoltati al contrario inneggiano a Satana e alla droga e quindi porterebbero i ragazzi sulla strada della perdizione!Ma ne siamo così convinti? Pare di sì. Basta fare una breve ricerca su Google, ed ecco che vi appariranno migliaia di siti dedicati all’argomento.

Il più ‘interessante’ che ho trovato è quello di un Istituto che organizza conferenze sul tema con tanto di incontri ed aggiornamenti sugli ultimi messaggi subliminali scoperti. In questo sito si parla dei messaggi subliminali come tecniche di genocidio, mezzi per diffondere la droga, per allontanare dalla religione e per manipolare le masse, in particolare le persone deboli.

Ora, su questo sito si parla anche del caso di Vicari. C’è solo un fatto però, non si dice che Vicary nel ‘67 ammise di aver falsificato i risultati della sua ricerca. Gli fu chiesto dal direttore della Psychology Corporation, Dr. Henry Link, di ripetere l’esperimento che..udite, udite: non produsse alcun risultato!

La confessione di Vicary pare sia stata dimenticata dai media. Non dall’Independent online però il cui editore della sezione ‘Science’, S. Connor cita il caso in un interessante articolo in cui spiega l’esperimento condotto dal dottor Bahador Bahrami dell’ University College London nel 2007.

Il team condotto da Bahrami ha dimostrato che i messaggi subliminali nascosti possono attrarre l’attenzione del cervello anche quando la persona è apparentemente inconsapevole della stimolazione visiva provocata dall’immagine. I risultati, dice Connor, potrebbero spiegare molti fenomeni quotidiani, come la consapevolezza di passare davanti a cartelloni pubblicitari mentre si guida in una strada affollata (pur senza vederli in realtà), o come il fatto di percepire i messaggi flash che passano in televisione o mentre siamo connessi al Web.

I ricercatori hanno riscontrato che il cervello è capace di registrare frame o brevi immagini che ci cadono sotto gli occhi anche quando siamo sicuri di non aver visto il messaggio. Bahrami ha detto di aver dimostrato che esiste una risposta cerebrale nella corteccia visiva alle immagini subliminali che attraggono la nostra attenzione senza che noi abbiamo avuto l’impressione di aver visto qualcosa.

Gli esperimenti sono stati svolti con dei volontari che hanno dovuto indossare occhiali simili a quelli che si usano per vedere un film in 3D (con una lente rossa e una blu). Una forte luce blu è stata diretta su un occhio, mentre l’altro era stimolato da una serie di immagini rosse indistinte.

L’attività cerebrale dei volontari veniva registrata mentre, essendo esposti a delle serie di immagini, gli era stato chiesto di fare dei test psicologici di varia difficoltà. I risultati, pubblicati su Current Biology, hanno rivelato che il cervello è capace di registrare le immagini deboli ma solo quando alle prese con i test psicologici più facili. Ciò significa che ad un certo livello è necessaria l’attenzione affinché il cervello registri l’immagine subliminale.

Se il cervello è troppo occupato a fare qualcos’altro, l’immagine non ha alcun effetto su di esso. Bahrami afferma che la sua ricerca mette in crisi l’idea, ormai radicata, che ciò che subconscio è anche automatico, non richiede sforzo ed è condizionato dall’attenzione.

L’editore Connor conclude: ‘Da quando, 50 anni fa, la pubblicità subliminale ha preso piede, gli scienziati hanno tentato di appurare se le immagini flash che appaiono sugli schermi possano essere registrate dal cervello. Questi ultimi studi dimostrano di sì, ma ancora non è dimostrato che tali immagini possano avere un effetto nella decisione della persona di comprare un determinato prodotto.’

Anche il signor Connor ha frequentato l’Istituto Fattorello dunque. Fu proprio Fattorello che, come ci insegna il Prof. Ragnetti, già nel 1959 sosteneva che non esiste la possibilità di inviare messaggi universali che condizionino le ‘masse’. Secondo la Tecnica Sociale di Fattorello, il fenomeno dell’informazione si concreta in un rapporto fra due termini: il promotore e il recettore.

Il soggetto promotore trasmette al recettore la sua interpretazione del fatto e perciò si attiva il rapporto di informazione attraverso il mezzo (giornale, video…). Fattorello sostiene che per una comunicazione di successo, ovvero che induca nel recettore un’adesione all’opinione proposta, tutto il processo di comunicazione dovrebbe ruotare intorno al soggetto recettore.

Il promotore, dunque, studierà il recettore, il suo livello di acculturazione e, quando riuscirà a parlare il suo linguaggio, ecco che l’interpretazione proposta convergerà con l’interpretazione del recettore e ne scaturirà l’auspicata adesione.

Non dico oltre. Per un approfondimento, consiglio a chi non è iscritto all’Istituto Fattorello di farci una visita. E concludo: che cos’è peggio? La teoria della persuasione occulta o certi istituti, come quello sopra citato, che terrorizzano la gente sostenendo che bisogna difendersi dai messaggi subliminali e per fare ciò vi consigliano di acquistare il loro cd? Attenzione al placebo!

Fonti:
Bahrami, B., Lavie, N., & Rees, G. (2007). Attentional load modulates responses of human primary visual cortex to invisible stimuli. Current Biology, 17, 509–513.

Connor, S. (2007) Subliminal messages do reach your brain – but you won’t know it, the Independent Online, 9 Marzo

Stuart, R (1993) How a Publicity Blitz Created the Myth of Subliminal Advertising.” Public Relations Quarterly. Winter 1993 (pp. 12-17).

P.S. Nel 1978, la polizia locale chiese ad un canale televisivo in Wichita, Kansas, di inserire messaggi subliminali nel servizio su un noto assassino pensando che, nel caso in cui egli lo avesse visto, si sarebbe convinto ad arrendersi. Il messaggio includeva delle immagini ritenute significative per l’assassino con sotto la scritta “ora rivolgiti a noi”. Il risultato fu che l’assassino non fu catturato fino al 2005.

La buona comunicazione è importante per il professionista

di LUCIANO FRUGIONI

Non era un corso come tutti gli altri quello a cui avevo deciso di partecipare quel 14 dicembre del 2004. Effettivamente era proprio diverso rispetto a quelli che siamo normalmente abituati a frequentare noi commercialisti, anzi mi correggo, “dottori commercialisti” come raccomanda vivamente di definirci il nostro Ordine. Parlavo di un corso diverso, mi spiego meglio.

Normalmente i corsi che riguardano un dottore commercialista hanno sempre a che fare con Testi Unici delle Imposte dirette, DPR sulle imposte indirette, decreti legislativi, circolari, principi contabili, argomenti dalle sigle ai più insignificanti come IVA, IRAP, IRE, IRES, ecc.

Secondo l’impostazione di origine anglosassone, il cliente può essere influenzato con un’opportuna scelta delle variabili comunicazione, prezzo, prodotto e punto vendita

L’argomento che si sarebbe tenuto quel giorno, LA COMUNICAZIONE DEL PROFESSIONISTA, proprio per la sua diversità, aveva attirato la mia attenzione e così, decisi di parteciparvi. Sentendo la parola comunicazione il mio pensiero è tornato indietro, a cercare tra i ricordi universitari una traccia dell’esame di marketing, che avevo superato brillantemente vent’anni prima. Affioravano nella mia mente vaghi e sbiaditi ricordi sulla comunicazione.

Rammentavo che la comunicazione era una delle quattro variabili (insieme a prezzo, prodotto e punto vendita/distribuzione) della strategia di vendita o di marketing mix. Secondo questa impostazione di origine anglosassone, il consumatore (o più genericamente un cliente finale) può essere influenzato con un’opportuna scelta di queste variabili, ed in particolar modo attraverso un’importante campagna pubblicitaria/di comunicazione, a compiere azioni che altrimenti non avrebbe mai compiuto.

L’informazione di per se stessa è come una materia grezza, come la creta in mano al suo scultore, non avrebbe alcun valore se in qualche modo non venisse “manipolata”

In altre parole, una volta identificato, attraverso delle opportune ricerche di mercato, il bersaglio (o target), che è fisso e ben definito, l’importante è miscelare bene le variabili ed il gioco è fatto. Ma è davvero così semplicistico convincere un cliente? Il cliente è realmente un bersaglio fisso? Comunicazione e pubblicità sono allora la stessa cosa? Se è così ne deve allora conseguire che chi fa più pubblicità vende automaticamente di più il proprio prodotto o servizio?

L’informazione non può mai essere obiettiva ed è sempre espressione di soggettività

Come professionista mi sono fatto molte volte queste domande, ponendomi non pochi dubbi a riguardo, senza darmi mai delle spiegazioni esaurienti. Forse a partire da quel giorno avrei potuto dare delle risposte più convincenti ai miei tanti interrogativi. Comincia così la mia “avventura” con il Fattorello. Premessa l’importanza, in taluni casi, delle altre tre variabili indicate (prezzo, prodotto e punto vendita/distribuzione), nel caso di un professionista un ruolo fondamentale, per poter “vendere” meglio i propri servizi, è quello occupato dalla comunicazione.

Non si può parlare di comunicazione se non ci si sofferma inizialmente sulla “materia prima” informazione e su come trasformarla. L’informazione di per se stessa è come una materia grezza, come la creta in mano al suo scultore, di per sé non avrebbe alcun valore se in qualche modo non venisse “manipolata”. Il fatto che l’informazione sia sempre in qualche modo manipolata mi permette di sfatare subito un mito: l’obiettività dell’informazione.

Un professionista sarà tanto più convincente con il suo cliente quanto più riuscirà ad entrare nel suo cervello, quanto più sarà in grado di interpretare i suoi gusti, le sue tendenze, le sue preferenze

Quante volte in tv o alla radio o leggendo un giornale ci siamo sentiti dire che l’informazione che da loro viene data è obiettiva. Oppure, ancora peggio, che la loro informazione è assolutamente obiettiva mentre quella del concorrente no. Nulla di più falso!!! L’informazione non può mai essere obiettiva ed è sempre espressione di soggettività. Fatta questa fondamentale premessa si può parlare di comunicazione.

La disciplina della comunicazione è molto complessa in quanto, come vedremo successivamente, entrano in gioco mille componenti e proprio quando si pensa di aver capito tutto emergono altre variabili non considerate. Come deve essere allora attivato il processo di comunicazione? Esiste una formula “magica” per descrivere questo processo di comunicazione? Il prof. Fattorello, studiando la comunicazione come tecnica sociale, ha elaborato una formula dentro la quale l’intero concetto di comunicazione è racchiuso.

Comunicare significa mettere in comune. Non è solo di tipo logico-semantico ma anche e soprattutto di tipo affettivo-emotivo

Abbiamo un soggetto promotore (SP), un mezzo (M), una formula d’opinione (O), attraverso la quale descrivo un fatto, ed un soggetto recettore (SR) che impropriamente nella scuola anglosassone viene definito target o bersaglio fisso. Supponiamo che in questo istante nel mondo si verifichi un determinato fatto, colui o coloro che decidono di parlarne comunicheranno quel qualcosa a modo loro. La realtà non entrerà mai tale e quale nel rapporto di comunicazione. Il soggetto promotore vede la realtà con tutta la sua soggettività e mette addosso a quel fatto la sua interpretazione, il suo abitino.

Da questo si deduce che la tanto decantata obiettività è un clamoroso “bluff”. In qualunque ambito ci troviamo dobbiamo allora concentrarci sulla O ossia sull’interpretazione che il soggetto promotore dà alla realtà. Tale interpretazione sarà tanto più convincente quanto più riuscirà a raggiungere il maggior numero di soggetti recettori. Emerge allora una eclatante verità: il soggetto recettore è un elemento fondamentale nel processo di comunicazione e non un soggetto passivo come forse fino ad oggi qualcuno credeva o voleva farci credere.

L’impatto della comunicazione non verbale è nettamente superiore a quella di tipo verbale. Il 90% della comunicazione interpersonale è rappresentata da messaggi non verbali emessi in maniera inconsapevole

Analogamente un professionista sarà tanto più convincente con il suo cliente quanto più riuscirà ad entrare nel suo cervello, quanto più sarà in grado di interpretare i suoi gusti, le sue tendenze, le sue preferenze. Un aspetto che il soggetto promotore dovrà sempre tenere presente è che i soggetti recettori sono capricciosi quindi potrebbero cambiare idee, esigenze ecc.

Un buon commercialista, ad esempio, non sarà soltanto colui che fornisce un buon servizio o che sa a memoria tutto il testo delle imposte dirette, ma colui che cercherà di entrare il più possibile nel pensiero del suo soggetto recettore che, nel caso specifico, è il cliente.

Possiamo allora definire due concetti fondamentali: 1) la realtà non può essere comunicata ma solo essere messa in forma”, cioè informata; 2) per ottenere l’adesione del soggetto recettore bisogna guardare la realtà il più vicino possibile a come la vedrebbe lui. Quanto più il soggetto promotore/professionista (SP) ed il soggetto recettore/cliente (SR) riusciranno a condividere il modo di vedere la realtà tanto più sarà efficace il processo di comunicazione.

Ne consegue che non esiste un modo di condizionare gli altri per portarli verso noi stessi, esiste però l’imperativo categorico di studiare a fondo e capire il nostro soggetto recettore/cliente. Quanto più capiremo il nostro soggetto recettore, tanto più sarà efficace il processo di comunicazione. Comunicare significa mettere in comune. La comunicazione non è solo di tipo logico-semantico (verbale) ma anche e soprattutto di tipo affettivo-emotivo (non verbale).

Laddove comunicazione verbale e non verbale (tono della voce, gestualità, movimenti ecc.) coincidono tanto più efficace è il messaggio che vogliamo comunicare

L’impatto della comunicazione non verbale è nettamente superiore a quella di tipo verbale. Il 90% della comunicazione interpersonale è rappresentata da messaggi non verbali emessi in maniera inconsapevole. Per un professionista imparare a comprendere e gestire tali messaggi è fondamentale per comunicare bene. Laddove comunicazione verbale e non verbale (tono della voce, gestualità, movimenti ecc.) coincidono tanto più efficace è il messaggio che vogliamo comunicare.

Il professionista (soggetto promotore) ed il cliente (soggetto recettore) all’interno del processo di comuni14 - comunicazione bncazione non occupano sempre la stessa posizione ma alternativamente diventano soggetto recettore e soggetto promotore, dando vita ad un continuo processo di comunicazione. Una volta avviato il processo di comunicazione segue un processo fondamentale che è il controllo. Con il processo di controllo si arriva a misurare (in situazioni importanti si ricorre a studi come la doxometria) la l’adesione, ossia il consenso che viene dato dal soggetto recettore.

E nel caso di scarso consenso il soggetto promotore dovrà cercare di apportare gli opportuni cambiamenti alla formula di opinione proposta, per avvicinarsi il più possibile al soggetto recettore. Un professionista che vuole comunicare bene con il suo cliente deve innanzitutto capire chi è il suo interlocutore e qual è il modo migliore per entrare in comunicazione con lui. Non deve, inoltre, mai perdere di vista quelli che possono essere i cambiamenti che intervengono nei suoi gusti, nelle su
e esigenze, nelle sue aspettative.

Da quanto finora esposto si deduce che comunicare sia un’arte, difficile e semplice nello stesso tempo. Saper comunicare bene è, quindi, una sfida importante che coinvolge indistintamente tutte le categorie ma, in particolar modo, quella dei professionisti che necessitano di ottenere una comunicazione quanto più efficace.

Purtroppo ancora oggi molti professionisti cercano di “colpire” i clienti con paroloni inutili, linguaggio tecnico ed una terminologia che, alla maggior parte delle persone, appare a dir poco incomprensibile. Parafrasando una famosa pubblicità di tanti anni fa verrebbe da dire “meditate professionisti, meditate……”

L’Attualità

Cosi’ scriveva Francesco Fattorello nell’Aprile del 1975

Il giornalista, l’informatore dei fatti del giorno, dei fatti contingenti, per eccellenza, ha come oggetto delle sue attività professionali l’attualità. Che cosa è l’attualità, che cosa sono i fatti del giorno? Scrive Guy Gauthier in un suo volume dal titolo “L’actualitè, le journal et l’èducation” (Paris; Tema editions 1975) “l’èvenèment est un rècit de presse”.

Il giornalista si trova nel mezzo degli avvenimenti ancora in via di svolgimento e per queto il suo racconto dell’avvenimento ha qualche cosa di vivo

E la definizione può andar bene se si sa che cosa vuol dire “relazione giornalistica”, se si sa quali sono i vincoli dai quali è 3-4 - title bncondizionata la stesura giornalistica. Questi “rècit de presse” suscitano in noi una certa emozione più o meno immediata. Possono esercitare anche un’emozione collettiva alla quale più o meno possono partecipare i recettori del giornale come un recettore di gruppo.

La storia non può incominciare se non dopo che le sue “onde” (impulsi animati) hanno cessato di farsi sentire, il giornalista proprio quelle “onde” deve percepire: in esse il senso dell’attualità

Naturalmente il “rècit de presse” non è una narrazione storica. La storia ha per oggetto i fatti trascorsi di cui conosciamo il principio, lo svolgimento e la fine. Qui ci troviamo, invece, nel bel mezzo dei fatti, ci troviamo nel mezzo degli avvenimenti ancora in via di svolgimento o appresso ai fatti di cui riteniamo di conoscere un certo svolgimento contingente.

E il rendiconto giornalistico dell’avvenimento, proprio per il suo rapporto ancor immediato col fatto, ha qualche cosa di vivo, come ha scritto Pierre Nora, qualcosa che, inserito nel contesto del giornale e per il rapporto diretto “ancora caldo” con l’avvenimento, suscita qualche effetto, emana delle “onde” che sono la sua forza sociale, quasi gli impulsi di qualche cosa ancora animata.

Mentre nella tradizione del giornalismo occidentale l’attualità è la realtà sociale immediata, nel giornalismo marxista-leninista è soprattutto una valutazione di essa dal punto di vista politico e ideologico

Ora, mentre la storia non può incominciare se non dopo che quelle “onde” hanno cessato di farsi sentire, il giornalista proprio quelle “onde” deve percepire: in esse il senso dell’attualità. Si aggiunga ancora che, mentre nella tradizione del giornalismo occidentale l’attualità è la realtà sociale immediata, ancora palpitante, realtà sociale contingente, non attinente a ciò che fu ma a ciò di cui l’informatore è testimone o partecipe e di cui riferisce, come altri ha detto, “al ritmo del presente”; nella tradizione del giornalismo marxista-leninista l’attualità attiene non soltanto alla realtà sociale contingente, ma è soprattutto una valutazione di essa dal punto di vista politico e ideologico dell’editore, del giornalista e del lettore.

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Francesco Fattoreello

Non si tratta di una realtà astratta, rilevata secondo una teoria obiettivistica: perché se tale fosse non sarebbe più una realtà giornalistica. Secondo Vladimir Hudec (di cui è apparso un saggio in “Journaliste dèmocratique“, n.2 del 1975) non si tratta di una realtà astratta.

Poiché non si possono presentare tutte le informazioni, esse sono presentate secondo una scelta delle più interessanti o delle più importanti, valutate secondo interessi e ideologie

E’ il contenuto sociale con i suoi tratti politico-ideologici, il suo valore differenziato secondo interessi di classe e di partito che fa di una attualità una attualità giornalistica . L’attualità (sono sempre concetti di Hudec) non esiste da sola. Non si tratta di una presa di conoscenza, ma di una valutazione di quella attualità utilizzata nella lotta di classe per imporre le tendenze ritenute più giuste per lo sviluppo sociale.

Questa è la concezione dell’attualità in funzione giornalistica che discende dalla interpretazione politica del giornalismo marxista-leninista. Dice ancora Hudec che, nel mondo occidentale, giornale, cinema, radio e televisione ritengono di avere come fine quello di fornire delle informazioni obiettive.

Lenin diceva che un giornale deve avere un orientamento permanente. Un giornale senza orientamenti è una cosa assurda

Ma poiché non si possono presentare tutte le informazioni, esse sono presentate sempre secondo una scelta delle più interessanti o delle più importanti, e questa scelta è già una valutazione secondo determinati interessi e determinate ideologie.

Lo aveva già affermato uno dei maggiori maestri della propaganda politica: Lenin, quando diceva che un giornale deve avere un orientamento permanente. Un giornale senza orientamenti è una cosa assurda.

Nicola Montorsi: il più giovane dirigente BP degli Stati Uniti

Una testimonianza diretta di come l’Istituto Fattorello di Roma permette di raggiungere importanti traguardi.

di ELEONORA PICCI

Nicola Montorsi ha 32 anni ed è Director dei Public Affairs del Golfo del Messico Offshore e Louisiana per la BP America Inc. Nonostante la sua importante posizione, non è stato difficile “raggiungerlo” dall’altro capo del mondo. E’ bastata una semplice email perchè Nicola accogliesse con gioia l’invito a raccontarsi su “Il Fatto-rello”.

Mi ha raccontato di sé ma soprattutto mi ha trasmesso una grande stima per la nostra piccola Scuola, che lo ha reso “tanto grande”. Laureato in Economia a Roma, Nicola ha frequentato il Corso all’Istituto Francesco Fattorello nel 1999.

E’ entrato nella multinazionale dei petroli BP nel 2001, percorrendo una brillante carriera, prima come Trade Marketing Manager Lubrificanti, poi Brand Manager e Corporate Communications Manager. Da Milano è arrivato al Parlamento Europeo di Bruxelles come Adviser European Government Affairs per poi trasferirsi direttamente in Texas, dove vive ancora oggi ricoprendo la carica di Direttore dei Public Affairs.

Nicola è appassionato di sport ma, soprattutto, della piccola Giulia, la prima figlia, nata tre mesi fa. Lavorare con Giulia – mi dice – è addirittura più faticoso che stare sulle piattaforme petrolifere per giorni interi. Si stava laureando in Economia quando, grazie all’associazione studentesca AIESEC, Nicola è venuto a conoscenza del Corso al Fatto-rello. Nonostante i numerossimi impegni che aveva, decise di provare questa nuova esperienza.

A distanza di anni ricorda la sua formazione al Fattorello come un periodo intenso ma estremamente produttivo e gratificante.

A differenza della scuola o dell’università, l’Istituto Fattorello gli ha offerto l’opportunità di iniziare a riflettere con la propria testa (non con le idee di altri) e di esprimersi e confrontarsi disinteressatamente con persone di eta’ e preparazione diverse. Questa è il primo ricordo del Fattorello: una vera scuola “formativa”, che gli ha dato una regola mentale ed una grande disponibilità al “nuovo”.

Dopo il Fattorello ha iniziato a lavorare per la BP, multinazionale petrolifera inglese, seconda major petrolifera mondiale e quinta azienda al mondo per capitalizzazione di mercato.

Tante le diversità culturali che Nicola ha percepito, sin dal primo colloquio di lavoro. Mi racconta che il capo del personale (inglese) gli disse che mentre i britannici accentrano tutto nella sintesi, gli italiani nella parafrasi. E poi gli italiani sono estetici, dividono il mondo tra bello e brutto mentre gli inglesi sono etici, dividono tra buono e cattivo e, soprattutto, non si perdono in chiacchiere. Adattarsi a “quel mondo” per un italiano verace ed espansivo come lui non e’ stato affatto facile.

Nelle multinazionali c’e’ spazio per fare carriera se si e’ ovviamente capaci, produttivi, ma soprattutto flessibili. Non basta saper fare bene il proprio mestiere e raggiungere i risultati preposti. Chi sa cambiare ruolo, ufficio, anche nazione se necessario, ed adattare il proprio modo di lavorare a seconda del mercato o del contesto dove si trova, allora trova molte porte aperte.

C’e’ una selezione naturale darwininana nelle aziende, perchè chi ha flessibilita’ e capacita’ di adattamento sopravvive e progredisce. Chi impone le proprie idee, il proprio stile, si scontrera’ prima o poi contro muri invalicabili o finira’ con il fare sempre le stesse cose.

Senza conoscere bene la Tecnica Sociale dell’Informa-zione di Francesco Fattorello – afferma – non riuscirei a pensare concetti in un’altra lingua ed aderenti ad un’altra cultura, con la stessa efficacia di un professionista madrelingua.

Grazie a questa innata flessibilità e alla volontà di girare il mondo, Nicola ha ricoperto diversi ruoli in Italia, occupandosi di marketing e comunicazione, poi di lobby presso il Parlamento Europeo di Bruxelles, fino ad arrivare a Houston, dove concretamente è impegnato negli affari esterni dell’esplorazione, dallo sviluppo alla produzione dell’oro nero che la BP estrae nel Golfo del Messico, dove si accentra circa il 10% della produzione mondiale dell’azienda.

Ora Nicola è il più giovane direttore BP degli Stati Uniti (è stato anche il più giovane dirigente d’Europa) ed afferma con orgoglio che questa brillante carriera è anche merito del Fattorello, uno degli investimenti migliori della sua vita. Dell’Istituto Fattorello mi dice che, secondo lui, e’ una scuola impegnativa e non per tutti, perchè per essere un’operatore dell’informazione bisogna avere una notevole apertura mentale.

Nicola definisce la tecnica sociale come un meccanismo potentissimo per comunicare in maniera efficace sia pubblicamente che individualmente. E’ una formula universale ed applicabile in ogni contesto, addirittura – mi ha confessato – riesco ad utilizzarla con mia figlia che ha tre mesi, riuscendo a capirla molto bene. La corretta informazione si ottiene attraverso un mix tra scienza e creatività: la tecnica sociale è scienza, la mente umana creativa.

Mi sembra che Nicola ricordi con affetto e, forse, un po’ di nostalgia, i bei momenti trascorsi tra i banchi del Fattorello, dove gli accesi dibattiti hanno accresciuto una costante autoconsapevolezza assieme ad una propria capacità di critica. Inoltre, il Fattorello gli ha permesso di realizzare un sogno, quello di poter scrivere un dossier sulla seduzione. Persino un uomo di larghe vedute come il Prof. Ragnetti sembra che, per un attimo, vacillasse davanti alla proposta di Nicola.

L’ho fatto ricredere, come e’ successo ad oltre 5000 persone che si scaricarono la mia tesina da internet – conclude Nicola – Una bella soddisfazione. L’evento fu persino citato al fu Costanzo Show, su TMC, MTV e varie radio che mi chiamavano per delle dichiarazioni.

In America la Tecnica Sociale e’ l’alfabeto della comunicazione. Mi meraviglio come in Italia ancora si discuta su questo e si dia ancora credito ad impostazioni teoriche ormai ripudiate dalla stessa cultura che in passato le aveva generate.

Cercare alternative e’ come cercare di scrivere in italiano con caratteri cinesi o arabi. Oppure come andare in bici con la tenuta subacquea. Scomodo e inefficace.

Con la valigia sempre pronta e la Tecnica Sociale ben impressa nella mente, Nicola si dichiara pronto a qualsiasi avventura, perche’ il Fattorello ha notevolmente migliorato non solo le sue qualita’ professionali, ma anche quelle interpersonali. Insomma, un corso da gustare fino in fondo. Come si dice in America, enjoy!

 

L’oratore “parlante”…

Come parlare in pubblico e riuscire a … parlare!!!

di EUFRASIA D’AMATO

Sembra un paradosso, ma in realtà è capitato a molti oratori di bloccarsi mentre si accingevano a parlare in pubblico! Parlare dinnanzi ad una platea sembra facile! In realtà la paura di essere giudicati e la difficoltà concreta, a volte, di tradurre il pensiero in parole, soprattutto dinnanzi a mille occhi che scrutano ogni più recondito particolare, giocano brutti scherzi.accorsi bn

Sappiamo parlare perchè sin da piccoli lo abbiamo imparato, ma coinvolgere e trasmettere ad una moltitudine di persone il proprio pensiero non è cosa altrettanto semplice. Affrontare la platea è un po’ come essere sull’orlo di un precipizio…meglio non guardare giù; e, invece, non c’è niente di più sbagliato.

Affrontare la platea è un po’ come essere sull’orlo di un precipizio

E’ necessario guardare giù o meglio guardare gli ascoltatori per poter stabilire con loro un contatto diretto. Lo scambio di sguardi contribuisce a diminuire il distacco che concretamente c’è tra l’oratore e la platea. I bravi oratori lo sanno: la cosa più importante da fare è adattare il discorso al pubblico.

Solo riuscendo a capire l’atmosfera e la tipologia di personaggi che abbiamo davanti possiamo trasferire contenuti e modalità comunicative in sintonia con le loro aspettative. Il passato insegna. La tradizione storico culturale dei grandi oratori romani ci ha tramandato una letteratura ricca e appassionata di “ciceroni” che animavano il Foro e non solo.

Una tradizione che si coniuga perfettamente con l’impostazione fattorelliana; una linea retta tra il prestigioso passato e la Tecnica Sociale che da sessanta anni coniuga lo studio attento del soggetto recettore alla perfetta riuscita del processo comunicativo. Ebbene…è giunta l’ora! Le gambe tremano, il cuore palpita e la platea rumoreggia…aspettano tutti noi.

E’ necessario guardare giù o meglio guardare gli ascoltatori per poter stabilire con loro un contatto diretto

oratore bnDa dove cominciare? Innanzitutto il lavoro imprescindibile per un buon oratore è l’organizzazione del discorso che presuppone la conoscenza e la dimestichezza dell’argomento. Va bene essere emozionati ma se non sappiamo neanche di cosa parlare…

Organizzare l’argomento dell’esposizione equivale a parlare con chiarezza di non più di due o tre idee chiave, attorno a cui sviluppare l’arringa. Dinamismo e brevità sono le due inseparabili amiche dell’organizzazione del discorso.

Il bluff si scopre subito! Se cerchiamo di imitare o scimmiottare qualcuno veniamo smascherati immediatamentepericle bn

La cosa più importante, infine: il bluff si scopre subito! Se cerchiamo di imitare o scimmiottare qualcuno veniamo smascherati immediatamente. Essere se stessi con i propri difetti, soprattutto, aiuta a rendere umani anche i più “impacciati” tra gli oratori.

Non sottovalutare né sopravalutare le persone presenti: anche loro, al posto dell’oratore, avrebbero le stesse difficoltà. In fin dei
conti, siamo “tutti sulla stessa barca”.

Colui che, capace di pensare, non sa esprimere il suo pensiero, è allo stesso livello di chi non riesce a pensare

Per i futuri successi, un consiglio dal passato: come affermava Pericle, una delle più grandi personalità della storia di Atene “colui che, capace di pensare, non sa esprimere il suo pensiero, è allo stesso livello di chi non riesce a pensare”.

Se Cleopatra sapesse comunicare…

di SARA ANGELUCCI

Cleopatra è il nome della mia gattina, ed ogni volta che esco di casa la saluto dicendole “ciao topolino mio”!! Ma se Cleopatra sapesse che, il vezzeggiativo con il quale mi rivolgo a lei, è il nome che il nostro linguaggio assegna a quegli animaletti ai quali dà la caccia con tanta foga, cosa direbbe?

Probabilmente, la sua reazione non sarebbe affettuosa come, viceversa, si dimostra. Tra gli uomini la comunicazione, per essere tale, deve avvenire con modalità diverse e chi ha letto il numero precedente del nostro bollettino ha certamente compreso la rivoluzione operata dalla fattorelliana “Scuola di Roma”.

Considerare sullo stesso piano sia il soggetto promotore che il soggetto recettore, entrambi soggetti opinanti di pari dignità, significa che per comunicare bisogna avere chiaro chi è il destinatario del nostro messaggio. Quando parliamo non possiamo rovesciare sull’altro il nostro pensiero, bensì dobbiamo costruirlo tenendo conto anche della sua idea.

E’ evidente come nella maggior parte dei casi questo non avvenga: si parla ma non si comunica, e ciò è visibile nella conflittualità che si registra negli ambienti politici, professionali e familiari. Ciò che sembra scontato (chi ammette di parlare senza conoscere chi si ha davanti?!), manda in corto circuito il processo comunicativo e la lite (verbale, ma non sempre) invalida lo scambio.

I politici, d’altro canto, rappresentano un caso esemplificativo di come, sullo stesso concetto, si possono costruire significati contrapposti, pur tuttavia validi, perché indirizzati a pubblici differenti. Solo chi fuori dagli schieramenti di partito vuole trovare un’univoca soluzione, si renderà conto che in realtà questa non esiste e sono proposte visioni diverse, che non costituiscono una risoluzione concreta.

Ci può essere un sistema migliore? Ci sono parole ed espressioni che abbiamo timore di pronunciare a noi stessi e che avrebbero invece un gran effetto benefico sul nostro essere e sul modo di relazionarci all’altro. Allora, forse, è il caso di avere più comprensione per noi stessi, dobbiamo esercitarci a pronunciare ad alta voce quelle parole che germogliando dentro di noi, ci predispongono all’accoglienza verso chi abbiamo di fronte.

Il perchè di un lavoro sull’opinione

di GIUSEPPE RAGNETTI

Gli studi accademici, in Italia, non si sono occupati frequentemente dell’opinione: da una parte gli studiosi non le dedicano molta attenzione, dall’altra i cosiddetti “esperti” e quelli “neanche-esperti” ne parlano e straparlano in ogni occasione e in ogni contesto senza conoscerne minimamente la struttura e i meccanismi evolutivi.

E allora sentiamo, (ancora!), parlare di informazione obiettiva, condizionamento, persuasione occulta, messaggi subliminali, strapotere dei mezzi di comunicazione, di par condicio e di altre amenità che quotidianamente ci vengono somministrate senza un minimo humus scientifico che renda il tutto appena credibile.

E’, tuttavia, quello dell’opinione un argomento affascinante che ci coinvolge tutti i momenti, tutti i giorni, tutta la vita. L’uomo non può esimersi dall’esprimere opinioni su tutto ciò di cui viene a conoscenza, su tutto ciò che lo riguarda direttamente o che semplicemente lo sfiora, ma non conosce i mille limiti dell’opinione.

Opinare è quasi un’esigenza fisiologica al pari del respirare o del parlare: e, forse, è proprio questo innato, naturale meccanismo mentale, ad affievolire l’interesse per lo studio e l’approfondimento del fenomeno.

Giungiamo fino al paradosso che non esistono insegnamenti di “scienze dell’opinione” nelle scuole che preparano i tecnici dell’informazione, i giornalisti cioè, per i quali, invece, l’opinione rappresenta la materia prima, componente di base insostituibile di tutto il loro lavoro.

Questa non conoscenza, questa sciatta trascuratezza didattico-formativa consente ancora oggi a direttori di importanti quotidiani nazionali di affermare: “il nostro giornale, come sempre ha fatto, terrà separati i fatti dalle opinioni”. E, arrivando alla stazione di Roma Termini, non può non colpirci la pubblicità di un giornale della capitale che recita, ancora una volta, “I fatti e le opinioni”.

L’uomo non può esimersi dall’esprimere opinioni su tutto ciò di cui viene a conoscenza, su tutto ciò che lo riguarda direttamente o che semplicemente lo sfiora, ma non conosce i mille limiti dell’opinione

Ed ecco perché, con grande modestia e con piena consapevolezza dei limiti del nostro contributo, ci siamo lasciati convincere a mettere nero su bianco quello che andiamo raccontando, ahimé da molti anni, nei nostri Corsi nei contesti più diversi. Il libro è semplicemente una raccolta dei contenuti di tante mie lezioni: non c’è nulla di inedito e non ha pretese di originalità.

La bibliografia è modesta per il semplice fatto che tutto quello che ho detto nelle lezioni l’ho appreso da altri ma, spesso, non ricordo né mi interessa la fonte. Se ho dato la mia adesione alle opinioni da altri proposte, significa che le stesse mi hanno interessato, che le ho valutate e condivise e, quindi, fatte mie!

Per i giornalisti l’opinione rappresenta la materia prima, componente di base insostituibile di tutto il loro lavoro

Ho avuto sempre pudore a scrivere qualcosa per non voler essere identificato come uno dei tanti replicanti: tutto ciò che c’era da dire è stato già detto in maniera migliore, in altre epoche, dai grandi del passato. Ho capito che tutti i miei pensieri, le mie idee, non erano mie.

Ho capito che tutti i miei pensieri, le mie idee, non erano mie

E allora, ho accettato gli incoraggiamenti che mi venivano da più parti: ora, voglio scrivere per restituire tutto ciò che mi era stato dato in prestito. Nel transito della vita mi è stata concessa la “servitù di passaggio”, ma la proprietà rimane ad altri.