I ragazzi sono nostri profeti

di Carlo Maria Martini

“Corriere della Sera” del 21 ottobre 2008

Anticipiamo un brano delle riflessioni di Carlo Maria Martini che escono in libreria il 28 ottobre.

“Possiamo aprirci ai giovani solo prendendo spunto proprio da loro. Di cosa si interessano? Dove vivono? Come vivono le loro relazioni? Cosa criticano e quale impegno pretendono da noi? (…)

Certamente il metodo giusto non è predicare alla gioventù come deve vivere per poi giudicarla con l’intenzione di cercare di conquistare coloro che rispettano le nostre regole e le nostre idee. La comunicazione deve cominciare in assoluta libertà, in caso contrario non è comunicazione.

E, soprattutto, in questo modo non si conquista nessuno, caso mai lo si opprime. L’essere umano che incontro è fin dal principio un collaboratore e un soggetto. Dialogando insieme giungiamo a nuove idee e a nuovi passi condivisi.

La questione che più tocca la sensibilità dei giovani è se li prendiamo sul serio come collaboratori a pieno titolo o se vogliamo farli ravvedere come se fossero stupidi o in errore. Crediamo che tutti gli esseri umani siano creature di Dio e abbiano uguale dignità. Questo è il presupposto fondamentale di ogni comunicazione cui prendiamo parte. (…) Esistono senza dubbio diverse situazioni ed età della vita, come le descrive la moderna psicologia dell’età evolutiva.

Anche la Bibbia dispone di questa conoscenza nel Nuovo Testamento e, prima ancora, nell’Antico Testamento. Nella predica di Pentecoste, Pietro riprende infatti le parole del profeta Gioele del IV secolo a.C. e racconta l’opera dello Spirito Santo in tre fasi della vita, ognuna differente: «I vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni».

I «figli e le figlie» saranno profeti significa che essi devono essere critici. La generazione più giovane verrebbe meno al suo dovere se con la sua spigliatezza e con il suo idealismo indomito non sfidasse e criticasse i governanti, i responsabili e gli insegnanti. In tal modo fa progredire noi e soprattutto la Chiesa. (…) Il contributo «dei figli e delle figlie» è fondamentale. Essi sono ancora interessati oggi a criticare noi, la Chiesa, i governanti, oppure si ritirano in silenzio? Dove esistono ancora conflitti arde la fiamma, lo Spirito Santo è all’opera.

Nella ricerca di collaboratori e vocazioni religiose dovremmo forse prestare attenzione innanzitutto a coloro che sono scomodi e domandarci se proprio questi critici non abbiano in sé la stoffa per diventare un giorno responsabili e alla fine sognatori. Responsabili che guidino la Chiesa e la società in un futuro più giusto e «sognatori» che ci mantengano aperti alle sorprese dello Spirito Santo, infondendo coraggio e inducendoci a credere nella pace là dove i fronti si sono irrigiditi”.

Quei dialoghi notturni in attesa dell’alba
di Gian Guido Vecchi

“Corriere della Sera” del 21 ottobre 2008

«La parte più importante sono le domande dei ragazzi. Sono ancora interessati, oggi, a criticare la Chiesa, noi, chi governa, l’establishment? Oppure si allontanano in silenzio? Io sono convinto che là dove esistono conflitti arde la fiamma, lo Spirito Santo è all’opera…». Da un po’ di tempo il cardinale Carlo Maria Martini si sofferma con urgenza crescente sul tema della morte, «pregherei Gesù di inviarmi angeli, santi o amici che mi tengano la mano e mi aiutino a superare la mia paura», ma le Conversazioni notturne a Gerusalemme (in uscita il 28 da Mondadori) non hanno nulla di crepuscolare e rappresentano piuttosto le considerazioni inattuali del grande biblista, un dialogo con i giovani che tende all’alba, al futuro, «ci siamo avvicinati ai sogni».

Essenziale è il contesto. Figurarsi il cardinale conversare notte dopo notte con Padre Georg Sporschill, amico e confratello gesuita che aiuta i bimbi di strada in Romania e in Moldavia. Gesù e la «radicalità» del Vangelo, la giustizia «attributo fondamentale di Dio» e l’«inferno sulla terra», l’«opzione a favore dei poveri» e la speranza di «un nuovo rinnovamento della Chiesa». Al centro, i ragazzi. Il libro è scandito dalle domande che i giovani volontari impegnati con padre Georg gli hanno affidato. Così Martini li ascolta: la Chiesa «ha bisogno dei giovani» perché «ha sempre bisogno di riforme», e specie «nella vecchia Europa» è necessaria «una ventata d’aria fresca».

In questo senso il cardinale nota preoccupato «l’indubbia tendenza a prendere le distanze dal Concilio» e dice che Lutero «fu un grande riformatore», salvo aggiungere: «Trovo problematico il punto in cui, da riforme necessarie e ideali, crea un sistema a sé».

La «forza riformatrice» della Chiesa «deve venire dal suo interno», Martini invoca una Chiesa «capace di ammettere i propri errori » come «dopo l’ingiusta condanna di Galilei o Darwin» («per i temi che riguardano la vita e l’amore non possiamo attendere tanto »), soprattutto «una Chiesa aperta». Attenzione, però: non intende una Chiesa che s’affanni a inseguire la modernità, disposta a concessioni per recuperare un po’ di consenso.

L’apertura è alle domande di chi vive nella modernità: è restare accanto alle persone, prendere sul serio i loro dubbi, aiutarle a crescere e diventare «collaboratori di Dio». Questione di metodo, «i percorsi non possono essere imposti dall’alto, dalle scrivanie o dalle cattedre». Agitare il ditino alzato non serve. Serve aprirsi alle persone concrete, «rendere testimonianza come Gesù» perché il Vangelo è aperto a tutti, «il samaritano vede il prossimo che il sacerdote non ha visto». Per dire: il sesso prima del matrimonio è un dato di fatto, «illusioni e divieti non portano a nulla». Non significa che il cardinale approvi. Però «nella Chiesa nessuno è nostro oggetto, un caso o un paziente da curare». Con sant’Agostino dice: «Ai giovani non possiamo insegnare nulla, possiamo solo aiutarli a trovare il loro maestro interiore». Si tratta di dare fiducia, «renderli indipendenti» («anche i vescovi hanno bisogno di un interlocutore forte e consapevole») e accompagnarli nel loro sviluppo spirituale.

Un bellissimo capitolo è dedicato agli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, «le guide sono amici nel senso evangelico: accompagnano, fanno domande, sostengono, ma non si mettono mai tra il singolo e Gesù, anzi promuovono questo dialogo». Martini offre risposte aperte e mette in gioco se stesso. Perché c’è il dolore? «Se osservo il male del mondo, esso mi toglie il respiro. Capisco chi ne deduce che non esista alcun Dio».

Non ci sono risposte facili, bisogna mettersi in cammino: «Qual è la mia parte, e come posso io cambiare la situazione?». Il rischio è l’indifferenza. «Mi angustiano le persone che non pensano, che sono in balia degli eventi. Vorrei individui pensanti. Solo allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti». Per questo il fondamento dell’educazione cristiana è la Bibbia: «Non pensare in modo biblico ci rende limitati, ci impone dei paraocchi». Non si coglie «l’ampiezza della visione di Dio». Perché «l’uomo, e anche la Chiesa, corre sempre il rischio di porsi come un assoluto. Dobbiamo imparare a vivere la vastità dell’”essere cattolico”». Sapendo che «non puoi rendere Dio cattolico ». Gesù tratterebbe la Chiesa attuale come i farisei? «Sì», risponde il cardinale: erano i suoi «amici» e Gesù «li amava».

C’è chi nasce postumo, diceva Nietzsche. Di quello che Martini definisce «un piccolo libro» si parlerà per anni. L’importante è capire come la parola «critica», qui, non abbia un senso «politico», negativo: ha il valore essenziale che le può attribuire uno studioso di «critica» testuale delle Scritture. Quando padre Sporschill gli ricorda la storiella ricorrente del Martini «antipapa», lui sorride: «Sono, semmai, un ante-papa, un precursore e preparatore per il Santo Padre».

CARLO MARIA MARTINI GEORG SPORSCHILL,
Conversazioni notturne a Gerusalemme, Mondadori