Terza pagina dei Giornali: Cultura impossibile ?

Laurea specialistica Editoria Media Giornalismo – UNIVERSITA’ DI URBINO – Professor Giuseppe Ragnetti – Materia d’insegnamento: Tecniche relazionali e comunicative

“Terza pagina dei Giornali: Cultura impossibile ?”

Elaborato di Tommaso Bertelli

In questo breve elaborato cercherò di rispondere alla domanda del titolo, se sia quindi possibile trovare cultura tra le pagine dei giornali; quotidiani, settimanali o mensili fa poca differenza.

Dopo una breve storia della terza pagina, affronterò l’analisi dei concetti di informazione contingente e informazione non contingente alla luce della Teoria della tecnica sociale dell’informazione di Francesco Fattorello , traendo poi alcune considerazioni finali

1. Breve storia della “terza pagina”.

Fin dalla metà dell’Ottocento e dalla nascita dei quotidiani nazionali il panorama giornalistico italiano si è contraddistinto per una netta distinzione tra giornali (fogli politico-informativi) e gazzette (di taglio più letterario o scientifico). Con la nascita della terza pagina questa marcata differenza viene ad assottigliarsi, fino a scomparire quasi con il passare degli anni. Questa particolare sezione trova la sua ragion d’essere in relazione ad un approccio molto superficiale e limitato del pubblico italiano alla lettura di libri, rispetto alla consuetudine più diffusa di accostarsi al quotidiano; essa deve pertanto integrare e sopperire a un vuoto culturale e letterario.

La terza pagina, chiamata così perché posta dopo le prime due, dedicate alle notizie di politica e cronaca, compare per la prima volta il 10 gennaio 1901 su Il Giornale d’Italia, storico quotidiano nazionale, diretto da Alberto Bergamini. Questi raccolse in un unico spazio i quattro articoli di cronaca e di critica sulla prima assoluta della Francesca da Rimini, di Gabriele D’Annunzio interpretata da Eleonora Duse. L’intuizione e lo scopo di Bergamini è, quindi, quello di aver dato vita ad una pagina che fondesse l’aspetto tecnico-giornalistico con quello artistico-letterario, cercando di dare in questo modo risalto alle mille sfaccettature della vita culturale e sociale del nostro paese. Questo spiega la varietà e la ricchezza della pagina che contiene recensioni teatrali e letterarie, articoli scientifici, interviste, pubblicazioni di stralci di nuovi romanzi inediti, cronaca sportiva, il tutto alleggerito da articoli di varietà e di mondanità.

Nonostante una prima fredda accoglienza da parte del pubblico dei lettori italiani, la notorietà non tardò ad arrivare per la nuova “creatura” di Bergamini, che venne poco a poco copiata ed introdotta negli altri grandi quotidiani nazionali. Fu la terza pagina del Corriere della Sera a diventare, in poco tempo, la più famosa e ambita: il direttore Luigi Albertini impose l’esclusiva di firma ai suoi collaboratori, tra i quali spiccano i nomi di Gabriele D’Annunzio, Luigi Pirandello e Grazia Deledda.

Per molti storici del giornalismo è il 21 aprile 1956 la data della morte della Terza: quel giorno, infatti, compare nelle edicole Il Giorno, quotidiano milanese di Enrico Mattei e diretto da Gaetano Baldacci. È il primo giornale nazionale a non avere la terza pagina, scelta adottata anche da la Repubblica vent’anni dopo, che la sostituirà con una sezione culturale di due pagine al centro del giornale.

La Stampa la abolirà nel 1989, mentre sarà Paolo Mieli nel 1992 a farla scomparire dalle pagine del Corriere della Sera.

Al giorno d’oggi la terza pagina propriamente detta non esiste più, mentre proliferano sui maggiori quotidiani nazionali sezioni culturali più o meno ampie, anche a cadenza settimanale come la Domenica di Repubblica o il domenicale de Il sole 24 ore.

2. Ci può essere una cultura contingente ? Risponde Francesco Fattorello

Il quotidiano è, per antonomasia, il luogo deputato all’informazione contingente, dato il suo carattere di immediatezza, tempestività e attualità, che, quindi, esclude dalla sua trattazione ciò che era presente prima e quello che sarà presente dopo. È invece solo l’informazione non contingente che può, con i suoi tempi e metodi più lenti, con la sua base di razionalità e adesione non emotiva, dare spazio alla cultura, se con questo termine “intendiamo un insieme di ingredienti in grado di mutare i nostri schemi mentali ed aprirci alla complessità e immensità del “fuori’” .

Alla luce di quanto detto, la cultura è il risultato di un lungo processo di sedimentazione d’opinioni e convinzioni che un individuo ha appreso ed interiorizzato attraverso tempi dilatati e via via cristallizzatesi. Non è quindi possibile che questo percorso possa attuarsi con un mezzo di diffusione delle informazioni che oggi apporta elementi di novità pronti ad integrare o, addirittura, smentire quelli di ieri.

L’informazione contingente dà sì la possibilità all’individuo di sensibilizzarsi sui temi d’attualità sociale, sul mondo che lo circonda, ma sarà poi solo con il tempo, attraverso media diversi dal quotidiano o dai periodici di breve durata, che svilupperà quel senso di “analisi” che lo porterà ad avere una cultura.

Secondo Francesco Fattorello la differenza tra le due categorie di informazione è data, oltre che dal tipo di materia trattata, anche dai soggetti: il promotore e il recettore. Nel primo caso, quello della contingenza, il promotore può non avere una qualificazione specifica e il recettore è generico; nel secondo caso, quello della non contingenza invece, il promotore è un soggetto qualificato così come lo è, di norma, anche il recettore . Ne deriva, quindi, la possibilità da parte del recettore nel processo non contingente di affermare tutta la propria reazione di opinione, instaurando così un rapporto bilaterale con il soggetto promotore, cosa che invece non si verifica nel caso dell’informazione contingente, dove il rapporto, nonostante sia tra due soggetti opinanti posti sullo stesso livello, è inevitabilmente a senso unico.

3. Sintesi e considerazioni finali.

Enrico Faqui loda il significato “sociale” della terza pagina affermando che favorì “non solamente la diffusione generale della cultura, ma operò in modo benefico sulla stessa arte dello scrivere liberandola da un’eccessiva fedeltà alle norme tradizionali e classiche” , mentre, ritornando al concetto di tempestività, è stato lo stesso Benedetto Croce a dire come le opere periodiche non debbano essere incluse nella storia delle opere letterarie, adducendo come principale motivazione proprio la tempestività, “il fatto che si trovino ad apparire in motivi pratici, non per servire l’arte e la bellezza” . Questa considerazione, per quanto fondata e autorevole, non è da me pienamente condivisibile per quanto riguarda l’oggetto di analisi di questo elaborato: la terza pagina.

Al tempo presente, infatti, le terze pagine e, in linea generale, le rubriche culturali dei periodici non hanno più le stesse caratteristiche delle loro antesignane dell’inizio del Novecento. Sulle pagine di oggi non si trovano, come succedeva allora, articoli di grandi firme, scrittori o filosofi, o romanzi a puntate, non hanno quindi quella pretesa alta di letteratura che Croce contestava. Oggi le sezioni “cultura” del Corriere della Sera o la Repubblica, L’Espresso o Panorama, riportano eventi culturali, mostre, spettacoli teatrali e non si spingono più in là di una recensione sull’ultimo film uscito nei cinema o sul best-seller appena pubblicato. Non hanno nessuna pretesa di fare cultura, ma vogliono solo rendere presente al lettore che una cultura c’è (forse).


  1. F.Fattorello, Teoria della tecnica sociale dell’informazione, a cura di Giuseppe Ragnetti. QuattoVenti, Urbino 2005.
  2. F.Fattorello, op. cit., pag. 149
  3. F.Fattorello, op. cit., pag. 130
  4. E.Faqui, Giornalismo e letteratura, Mursia, Milano 1969, pag. 16
  5. F.Fattorello, op. cit., pag. 112-113