Il Codice dell’Anima

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” – URBINO – Laurea specialistica Editoria Media Giornalismo – Tecniche di relazione
Prof. Giuseppe Ragnetti

“Il Codice dell’Anima”

Dissertazione a cura di Noemi Bicchiarelli

…il genio può essere confinato dentro un guscio di noce
e ciò nonostante abbracciare tutta la pienezza della vita.
Thomas Mann

Esiste qualcosa, in ciascuno di noi, che ci induce ad essere in un certo modo, a fare certe scelte, a prendere certe vie, anche se talvolta simili passaggi possono sembrare casuali o irragionevoli.

Spesso si ha la vaga sensazione che esiste un motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo, e che esistono cose alle quali mi devo dedicare al di là del quotidiano e che al quotidiano conferiscono la sua ragion d’essere. Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada, questo “qualcosa” alcuni di noi lo ricordano come un momento preciso della nostra infanzia, quando si avverte un bisogno pressante e improvviso, come se si fosse colpiti dalla forza di un’annunciazione; altre volte la chiamata non è così vivida e netta ma ci restituisce la percezione del nostro destino.

Questo è ciò che in tante vite è stato smarrito, il senso della propria vocazione, ovvero che c’è una ragione per cui si è vivi. Attenzione, non la ragione per cui vivere, non il significato della nostra vita o la scelta di un credo religioso, ma la ragion d’essere, la sensazione che il mondo voglia, in qualche modo, che io esista, la percezione che ciascuno di noi è responsabile di fronte ad un’immagine innata. La nostra persona non è un processo o un evolversi, noi siamo quell’immagine fondamentale. Vocazione, destino, carattere, immagine innata, e cioè gli elementi che, insieme, sostanziano una teoria, la “Teoria della ghianda”, l’idea, cioè, che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente ancor prima di poter essere vissuta.

Ogni persona viene al mondo perché chiamata, questa l’idea di Platone tratta dal “Mito di Er”: prima della nascita la nostra anima sceglie un’immagine o una sorta di disegno che intende realizzare sulla terra e riceve un compagno che ci guida quassù, un daimon. Il daimon è l’angelo, l’anima, l’immagine, il destino, il gemello interiore, la ghianda, il compagno dell’esistenza, il custode, la vocazione del cuore. Esso avrà il compito di guidarci e orientarci verso il compimento del disegno che la nostra anima ha scelto, tuttavia, una volta nati, ci dimentichiamo tutto questo e pensiamo di essere soli alla mercé della vita e di essere nati vuoti. E’ il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è il nostro daimon a farci costantemente presente chi siamo e da dove veniamo, a mostrarci il nostro destino.

Tuttavia, se noi, a partire dall’infanzia, gli prestassimo attenzione, riusciremmo a riconoscere le nostre personali vocazioni, allineeremmo la nostra vita su di esse e capiremmo che ogni evento, positivo o negativo, che caratterizzerà il nostro percorso, concorrerà al compimento di tale disegno. Io e voi dunque siamo venuti al mondo con un’immagine che ci definisce, un’immagine innata, un’intenzionalità angelica o daimonica, un’immagine che ha a cuore il nostro interesse, perché ci ha scelti per il proprio.

Un disegno unico e irripetibile che è l’essenza della nostra vita e la chiama ad un destino, l’immagine è il nostro genio personale, il compagno e la guida memore della nostra vocazione. Il daimon ci motiva, ci protegge, inventa e insiste nella nostra vita con ostinata fedeltà, si oppone alla ragionevolezza facile e ai compromessi e spesso ci obbliga alla devianza e alla bizzarria, soprattutto quando si sente trascurato o contrastato; ci offre conforto ma allo stesso tempo può far ammalare il nostro corpo ricordando la sua presenza con sintomi o malattie, è legato ai sentimenti di unicità, grandezza, insoddisfazione, inquietudine del cuore. Vocazione, chiamata, i latini parlavano di genius, i greci di daimon e i cristiani di angelo custode. Essa può essere rimandata, elusa, non ascoltata o a tratti perduta di vista, oppure al contrario possederci totalmente; non importa, alla fine verrà fuori, perché il daimon non ci abbandona mai.

La teoria della ghianda si propone come una psicologia dell’infanzia, afferma con forza l’intrinseca unicità del bambino, il suo essere portatore di un destino, ogni bambino è infatti un bambino dotato e noi dovremmo imparare a guardarlo, tenendo presente la vocazione, il daimon, limitando così l’accanimento del nostro approccio al carattere e alle abitudini infantili; dislessia, ritardo cronico, distraibilità, iperattività, sono sintomi della “Sindrome da deficit dell’attenzione”, ma questo deficit ha un’altra faccia, poiché spesso i bambini così classificati, e anche gli adulti, sono quelli con intelligenza superiore alla media, inclini a perdersi in innumerevoli fantasie e con un’anima talmente aperta e sensibile, che l'”Io” non riesce a starle dietro e il loro comportamento risulta così disorganizzato. E allora, alé! Somministrazioni di Prozac, Ritalin, Xanax e la cura funziona, anche se il fatto che le pillole combattano il deficit, non significa che la causa ne sia confermata, le stampelle funzionano, però non spiegano la mia gamba rotta.

Ma cosa sta facendo il daimon che non sta leggendo, non sta parlando, non sta rispondendo alle aspettative? Per scoprirlo occorrono molta pazienza e una forte percezione immaginativa. Ecco allora che non si parlerà più di patologia, ma di eccezionale, si userà l’espressione “fuori dal comune” piuttosto che “anormale” e invece che storie cliniche lo psicologo leggerà storie di esseri umani. C’è bisogno di uno sguardo nuovo per ripristinare il senso e l’importanza della nostra vita, è necessario ristrutturare la nostra percezione, vedere il bambino che eravamo e l’adulto che siamo.

I nostri genitori non sono né artefici della nostra vita, né colpevoli dei nostri problemi, noi siamo vittime dell’ideologia del genitore, la superstizione parentale ci distoglie dalla nostra ghianda riportandoci da mamma e papà; i genitori dovrebbero dare ascolto e importanza al loro daimon senza sottrarsi al compito che la ghianda gli ha assegnato nella loro vita, se invece un figlio va a sostituirsi ad esso, prima o poi proveranno risentimento per lui, finiranno addirittura per odiarlo. Possono dunque due persone infelici trasmettere felicità? Soltanto un daimon che riceve ciò che gli spetta può trasmettere un effetto di felicità all’anima di un bambino.

La ghianda ha bisogno di un mentore, una persona che apra il suo cuore e percepisca l’immagine che c’è nel cuore dell’altro, l’occhio percettivo è infatti quello del cuore. Diventi mentore se la tua immaginazione sa innamorarsi della fantasia dell’altro; per cambiare il modo di vedere le cose, bisogna innamorarsi, allora la stessa cosa sembra del tutto diversa. Per vedere la ghianda occorre avere occhio per le immagini, occhio per lo spettacolo, per la fantasia, e avere il linguaggio giusto per dire ciò che vediamo.

I nostri fallimenti in amore, nelle amicizie, in famiglia, spesso sono riconducibili a fallimenti della percezione immaginativa; quando non guardiamo con gli occhi del cuore, allora sì che l’amore è cieco, perché in quei casi non sappiamo vedere l’altro come portatore di una ghianda. Mettiti nei panni di tuo marito, di tua moglie, di tuo figlio, di un tuo amico, immagina quello che provano, come sarebbe essere loro, immagina! Forse se guardi meglio con l’immaginazione riuscirai a scoprire un cuore di verità nel loro comportamento; la percezione immaginativa richiede grande pazienza. Tale percezione conferisce una benedizione, mantiene in vita l’essenza di ciò che è percepito e quando essa vede negli affetti del cuore, allora ci viene dimostrata la verità di tale immaginazione. Il figlio pretende, sbagliando, la visione, la benedizione e gli insegnamenti rigorosi del mentore, egli pretende che il genitore sia il suo mentore, ma i due ruoli sono ben differenti.

Un clima negativo si potrebbe però creare quando i nostri genitori non hanno nessuna fantasia su di noi, quando cioè si viene a creare un ambiente neutro e oggettivo, non si è bravi genitori quando ci si astiene dal fare fantasie sui figli, quando si ritiene che ciascuno deve vivere la propria vita e decidere autonomamente, poiché ciò creerà solo distanziamento. I figli non fuggono dall’autoritarismo dei genitori, essi fuggono dal vuoto insopportabile di vivere in una famiglia senza altre fantasie che il fare compere, cenare insieme o lavare la macchina; il grande valore delle fantasie dei genitori per i figli, è quello di obbligarli ad opporsi, a riconoscere che il loro cuore è diverso, eccentrico, insofferente magari; la ghianda ha bisogno di personificazioni viventi della fantasia, persone in carne ed ossa il cui comportamento, modo di vestire, di parlare, porti una sana ventata di immaginazione. Le fantasie dei genitori smaschereranno la superstizione parentale e ci aiuteranno a vedere che io non sono condizionato dai miei genitori, non sono il loro risultato. Il resto non significa amare, perché quando si ama si è pieni di fantasie, di idee (e di ansie).

La ghianda è una realtà invisibile, l’invisibilità è un’idea che turba, da sempre vi è la smania di ingabbiare l’invisibile con metodi visibili, da sempre tutti i corpi immaginali finiscono per fondersi in modo indiscriminato nel mostruoso, l’invisibile diventa l'”alieno”. Il mondo invisibile è il mondo del demonio e bisogna starne alla larga, non posso conoscere ciò che non riesco a vedere; ciò che non conosco temo; ciò che temo odio e ciò che odio voglio distruggere. Sicché, la mente razionalizzata preferisce separare il visibile dall’invisibile, preferisce l’abisso al ponte tra i due mondi, ma la loro compresenza è ciò che alimenta la nostra esistenza e noi arriviamo a riconoscere la straordinaria importanza dell’invisibile, soltanto quando ci lascia soli.

Anche la vita di tutti i giorni si svolge sullo sfondo di elementi invisibili: le forme di energia, le entità della teologia di fronte alle quali ci inginocchiamo, gli invisibili ideali, il tempo,”qualcuno l’ha visto di recente?”. Viviamo circondati da una folla di invisibili che ci danno continuamente ordini: i valori della famiglia, i rapporti umani, uno spietato gruppo di parole mitiche chiamate successo, dominio, economia….nonostante questo tendiamo sempre a separare le due entità e a non vedere l’invisibile davanti a noi. La modalità per percepire l’invisibile, e dunque per percepire la ghianda, è l’intuizione. Intuizione in psicologia significa “conoscenza diretta e non mediata”, è una percezione chiara, fulminea e completa; le intuizioni arrivano senza che vi siano passaggi logici coscienti o pensieri riflessivi, esse arrivano e basta, non le facciamo noi, giungono come un’idea improvvisa, un giudizio certo, un significato colto al volo. Come una rivelazione esse arrivano tutte in una volta, istantaneamente, prescindendo dal tempo.

E’ essenzialmente intuitiva ad esempio la nostra percezione delle persone, noi assorbiamo l’altro tutto insieme, vestiti, corporatura, gesti, postura, voce, espressione, accenti, carnagione, caratteri etnici, sociologici, di classe….tutti questi dati si offrono istantaneamente all’intuizione. Lo stesso vale per un evento, è come se l’intuizione fosse portata da quell’evento o sia insita in esso, un amico mi dice una cosa ed io zac!, ho capito tutto, ho colto al volo ciò che voleva dirmi; leggo pochi versi di una poesia e “vedo” ciò che intendeva il poeta. Le intuizioni possono essere poi completamente sbagliate, essendo chiare, veloci e immediatamente convincenti, ce lo insegnano ogni giorno i nostri atti più tempestivi, come quando ci innamoriamo della persona sbagliata, muoviamo accuse ingiuste o ci diagnostichiamo malattie inesistenti.

Forte è la tensione tra intuizione ed istruzione, non a caso tutti i personaggi più eminenti della nostra epoca presentavano gravi problemi scolastici, lo scarto tra l’innata abilità intuitiva del bambino e l’istruzione formalizzata della scuola, diventa sempre maggiore, la scuola non è infatti in grado di percepire l’invisibile presente nel bambino. La ghianda traccia il confine e nessuno può obbligarla ad oltrepassare il territorio che non è di sua competenza, è come se la quercia non potesse piegarsi, non potesse fingere di essere un pioppo; la ghianda così come porta doni, allo stesso modo pone limiti, e solo se l’insegnante lascia spazio all’intuizione nei suoi metodi, allora si creerà un ponte verso la scuola. Chi può decidere dove la ghianda impara di più o dove l’anima ti mette alla prova? Gli esami sono un esempio dove la nostra vocazione viene verificata, il mio daimon vuole davvero la strada che ho scelto? La mia anima è davvero coinvolta?

Se il riuscire bene in un esame, può rappresentare una conferma, al contrario, una bocciatura può essere il modo in cui il daimon ci fa sapere che abbiamo preso la direzione sbagliata. Spesso la sua intuizione non può assoggettarsi alla normalità dell’istruzione e allora diventa demoniaca, la tristezza dei bambini sui banchi di scuola, non è sempre un esempio di fallimento, bensì, è un modello dell’operare della ghianda. La totale incomprensione o sintomi quali allergia, dislessia, asma, iperattività, sono tutti disturbi che dimostrano l’ostinato attaccamento del bambino al suo daimon, alla sua intuizione, e l’allontanano sempre di più dalla scuola; dalla scuola, sì, ma non dall’imparare, dall’istruzione, ma non dall’intuizione.

Bisogna saper guardare all’invisibile, la porta verso i fattori invisibili presenti nei disturbi dovrebbe sempre restare aperta, nel caso sia poi un angelo a bussare e non una malattia. Per vederlo però occorre occhio per l’invisibile, è impossibile scorgere l’angelo se prima non abbiamo un’idea dell’angelo, il bambino allora diventa solo stupido, caparbio, svogliato o addirittura malato; è necessario essere istruiti nell’arte di vedere, allora tutto ad un tratto l’invisibile diventa visibile, è lì, sotto l’occhio che abbiamo lasciato aperto. Del resto c’è in tutti noi un forte desiderio di vedere al di là di ciò che ci insegna la nostra normale vita/vista.

Lo stesso vale per l’amore, l’innamoramento ci da la sensazione che si tratti di una chiamata del destino, di una complessa e invisibile immagine che portiamo nel cuore. L’esperienza dell’amore trascende ogni condizionamento, pretende devozione al di là di ogni vincolo, è inesorabilmente legato alle fantasie ed è idealizzazione, non imitazione, non la replica del noto, bensì, l’aspettativa dell’ignoto.

La mappa amorosa attraverso la quale costruiamo elementi base del nostro innamorato/a ideale, ancor prima che ci passi davanti o attraversi la nostra strada, può spiegare le cose visibili, i fianchi morbidi, gli occhi azzurri o una bella automobile, ma l’amore s’innamora anche di “qualcos’altro” che è invisibile. “Lui/lei ha quel certo non so che…”, “Il mondo cambia quando sono vicino a lui/lei…” questo sulla mappa non c’è, qui siamo di fronte al mondo della trascendenza dove le realtà normali sono molto meno convincenti delle cose invisibili. Per avere la prova lampante dell’esistenza del daimon basta innamorarsi una volta. Lì ci sei, sei presente tutto intero e in nessun altra occasione ti senti così sopraffatto dal tuo essere e dal tuo destino e in nessun altro momento ogni tuo gesto si rivela così chiaramente ispirato da un daimon.

L’amore promuove la crescita dell’individualità, è una forza che aiuta a creare o potenziare il sé, l’individualità e l’autonomia del daimon; l’innamoramento è un evento raro e fortuito, colpisce ad una profondità incredibile, inspiegabile, e quando accade, accade esclusivamente per la singolarità dell'”oggetto” che è quella persona, non un’altra. Non gli attributi fisici, non le virtù, la voce, i fianchi, il conto in banca, semplicemente l’unicità di questa persona che l’occhio del cuore ha visto fra tante.

In ciascuno di noi è racchiusa un’immagine del cuore, ciò è particolarmente provato quando cadiamo preda dell’amore, perché lì, in quel momento, siamo aperti a dimostrare chi realmente siamo, lasciando intravedere il genio della nostra anima: “E’ innamorato, non sembra più lui!”, “Sembra un altro…dev’essere innamorato!”. L’incontro tra due innamorati è un incontro di immagini, uno scambio d’immaginazioni, quando ciò accade incominciamo a vedere tutto in modo diverso, immaginiamo il mondo in modo romantico e quando lo facciamo intensamente, iniziamo ad innamorarci delle immagini evocate davanti all’occhio del cuore, le nostre immagini ci attirano sempre di più dentro il nostro rapporto.

Ma se tutti hanno una propria individualità, una strada, un destino, un’anima, un angelo, esiste un angelo mediocre? Una vocazione alla mediocrità? Per molti la vocazione è quella di starsene in disparte, di porsi al servizio della via di mezzo, di restare in mezzo alla truppa. E’ la vocazione all’armonia dell’uomo. L’individualità non si può identificare con l’eccentricità. La vocazione accompagna la vita e la guida in maniera impercettibile e in forme meno vistose di quelle a cui si assiste in certe figure esemplari, siamo tutti chiamati, non solo i prediletti. Nessuna anima è quindi mediocre, per quanto convenzionali siano i nostri gusti, per quanto medie siano le nostre prestazioni, non possiamo far coincidere la mediocrità dell’anima con tutto questo o con un mestiere mediocre che una persona fa, poiché potrà essere mediocre il lavoro in sé, ma non il modo in cui è svolto.

Io sono il mestiere che faccio e il mio carattere non è quello che faccio, ma il modo in cui lo faccio, ogni persona, pur svolgendo la stessa cosa, è diversa, perché ciascuno ha un daimon individuale; la teoria della ghianda afferma che ciascuno di noi è un eletto, una ghianda unica e irripetibile che caratterizza ogni persona. Dentro ciascun caso c’è una persona, dentro una persona c’è un carattere e ogni carattere è un destino. Il fatto di seguire il daimon, si traduce nell’avere carattere, il daimon rappresenta i nostri tratti comportamentali più profondi, frena gli eccessi e l’arroganza e ci induce a restare fedeli ai paradigmi della nostra immagine; tali paradigmi si manifestano nel modo in cui ci comportiamo, per trovare il nostro genio quindi, dobbiamo guardare nello specchio della nostra vita, l’immagine visibile renderà manifesta la nostra verità interiore.

Tu sei il modo come sei, il “modo come”, il destino del daimon è nostra responsabilità, egli ci ha scelto come sua dimora, ma ciò non significa che esso si preoccupi del nostro destino, siamo noi che dobbiamo allineare la nostra condotta alle sue intenzioni, poiché le cose che facciamo nella nostra vita hanno effetti sul nostro cuore, modificano la nostra anima e riguardano il nostro daimon. Con il nostro comportamento noi facciamo anima. Come il daimon chiamandoci ci dispensa un bene prezioso, una benedizione, così facciamo noi con lui attraverso il modo con il quale lo eseguiamo.

L’ispirazione ci fa paura e tale paura ci impedisce di tornare a sentire la grandezza nella ghianda di ognuno di noi, indipendentemente dalla sua mediocrità. In una società, in cui le persone fuori dall’ordinario, i tipi strambi, bizzarri, sono rinchiusi in centri, in ospizi, impasticcati con sostanze curative, riabilitati in gruppi; in un’epoca in cui qualsiasi cosa risulti troppo diversa viene emarginata, è importante capire che anche la via di mezzo è una strada per la grandezza, che anche la mediocrità è un valore nel quale il daimon può manifestarsi, dietro ad ogni esempio di mediocrità, c’è comunque un carattere specifico, quella “ciascunità” della ghianda. La nostra società, i nostri media, sanno invece celebrare, esagerare, adulare, ma non sanno immaginare, e dunque non sanno vedere.

Esistono anche caratteri malvagi, esiste una vocazione al delitto, esiste il male; la ghianda può albergare persino un cattivo seme ed un cattivo seme che incontra una personalità, un carattere, che non gli oppone né dubbi, né resistenze, da origine al demone, al male supremo. Non molto c’è da stupirsi poiché questa è l’età della psicopatia, oggi lo psicopatico non si aggira più furtivo come un topo di fogna nei vicoli bui, ma vince le elezioni, buca lo schermo televisivo, amministra nazioni o multinazionali, prende decisioni che sconvolgono intere collettività…è una maschera quella che il demoniaco indossa oggi e continuerà ad indossare domani.

Se per il tuo tipo di personalità la ricompensa che trai dalla violenza impulsiva, dall’omicidio premeditato, dalle tutte le tue cattive azioni, supera in valore la punizione prevista, ti ci butti automaticamente; se poi come accade oggi incontri addirittura una sorta di successo, allora aumenterà in te la convinzione di essere sulla strada giusta. Anche il potenziale criminoso dello psicopatico appartiene al daimon ed è dato con la ghianda, i suoi delitti non sono tanto il risultato di una scelta, quanto di una necessità; tale necessità può comunque essere dirottata, inibita, soffocata, sublimata. Il primo passo da fare per toglier forza al cattivo seme è quello di riconoscerlo pienamente, riconoscere cioè che la ghianda, perfino come cattivo seme, è la più profonda forza motivante della vita.

Il cattivo seme dopo essere stato riconosciuto dovrà poi essere sedato attraverso rituali e rivolto al servizio della collettività; un esempio sono ex detenuti che entrano nelle scuole e spiegano ai ragazzi come opera il cattivo seme, cosa vuole, che prezzo esige e come aggirarlo. Sono riti che oltre a proteggere la società, integrano i demòni, scorgono il daimon nel demonio. La ghianda si manifesta quindi non soltanto come angelo che guida, ammonisce, protegge, consiglia, esorta e chiama, ma sa anche esprimersi con una violenza implacabile.

Il vero concetto di vocazione prende dunque anima e corpo attraverso questa teoria insolita, la teoria della ghianda. Dovremo imparare a vedere la ghianda non più solo come seme o frutto della quercia, essa infatti fin dai tempi antichi è considerata alimento primordiale, è metafora del nostro nocciolo interiore di cui noi stessi ci nutriamo, vocazione dunque, come primo nutrimento della psiche.

La stessa quercia anticamente era considerata un albero ancestrale magico, albero paterno e materno, albero che nella sua forma di ghianda conteneva in nuce la verità; quercia come albero dell’anima, poiché offriva rifugio alle api che vi custodivano nel suo tronco il miele, ingrediente del nettare, bevanda degli dei; quercia come albero grande e saggio, che conosce ciò che all’occhio comune è nascosto, tale conoscenza potrà poi essere rivelata solo a coloro che sanno ascoltare. La ghianda quindi è vita piena in potenza, cioè vita non vissuta, è necessità, è immanenza che attira a sé occasioni, opportunità, conferendo loro lo scopo che meritano.

Non sempre infatti le sue attenzioni sono rivolte a ciò che crediamo sia meglio per noi stessi, ma piuttosto a ciò che è bene per la nostra anima e per la sua crescita spirituale. Dove noi non cogliamo il senso, è proprio lì che essa acquista il suo significato più autentico.

Ecco perché è così difficile comprendere la vita, persino la nostra. “Le folate che ci trattengono sono diversivi? O hanno ciascuna il proprio particolare scopo? Contribuiscono, prese tutte insieme, a far avanzare la barca? Magari verso un altro porto?”, ciò che conta non è tanto stabilire se un’interferenza abbia o no uno scopo, è importante, piuttosto, guardare con occhio sensibile ad esso e cercare il valore dell’imprevisto.

Ciò che spesso vengono chiamati incidenti nient’altro sono che percorsi, tappe obbligate, prove che, anche se non comprese o metabolizzate, aiutano a rafforzare l’integrità della forma dell’anima, aggiungendovi perplessità, sensibilità e vulnerabilità. Esiste infatti un’arte del crescere, cioè discendere: quanto più si discende in noi stessi tanto più la crescita sarà sana, equilibrata e in armonia con l’universo.

Se ognuno di noi con cuore aperto si lasciasse camminare senza indugio, si abbandonasse all’ascolto di un sé autenticamente profondo, percorresse odorando le vie dell’anima, oltrepassasse con lo sguardo il visibile, allora gli errori, le scelte sbagliate, le strade mancate, forse acquisterebbero più senso, perché tutto è per ciò che deve essere, tutto è necessario e noi così siamo, non potevamo essere altrimenti.

Il daimon guida la nostra vita e le nostre scelte. Non è una questione di natura o di cultura, di patrimonio genetico o di influssi ambientali, di infanzia e genitori inadeguati: il dipanarsi delle nostre esistenze è guidato da qualcos’altro che la psicologia scientifica non riesce a focalizzare, perché non si tratta di entità visibili e misurabili. Come la ghianda, anche il daimon e l’anima sono metafore del piccolo ed appartengono al mondo degli invisibili, l’anima infatti non è calcolabile, non è una forza o una sostanza, non ha nulla di corporeo e dunque la natura del daimon e il codice dell’anima, non possono essere compresi con mezzi fisici ma solo con un pensiero aperto e indagatore, un sentimento rivolto al sacro, un’intuizione evocativa e una forte immaginazione.

Il fatto di cercare la ghianda influisce sul modo di vedere noi stessi e gli altri e ci permette di scoprire un po’ di bellezza in quello che vediamo, e dunque ce lo fa amare. Amare questa vocazione e convivere con il suo esigente amore per noi, unirci ad essa finchè morte non ci separi (ammesso che la morte sia la fine), significa considerare la nostra persona come un esempio di tale vocazione, il nostro destino come una manifestazione di un daimon, solo così placheremo le nostre ansie, le nostre paure, la tristezza, l’ossessione di trovare risposte a domande sbagliate; la ricerca della felicità è tutt’altro e l’intera vita non è soltanto un processo naturale, è anche, e forse più ancora, mistero. Ecco il destino, il codice dell’anima, la sua melodia infinita che chiede di essere ascoltata, compresa, abbracciata. Vita che assume significato nella misura in cui realizza la meraviglia cui è chiamata. Stupefacente e appassionante.

…In ultima analisi, noi contiamo qualcosa solo in virtù dell’essenza che incarniamo, e se non la realizziamo, la vita è sprecata.
C.J.Jung