La pubblicità ci condiziona. (?)

ISTITUTO DI COMUNICAZIONE “FRANCESCO FATTORELLO” – ROMA

Tesina per lo “scambio culturale” di fine corso a cura di Lidia Avella

La pubblicità ci condiziona. (?)

Ogni giorno siamo bombardati da una infinità di messaggi pubblicitari. Per strada, sui mezzi di trasporto, su cartelloni giganti, sui giornali e sulle riviste, in televisione e alla radio.
Insomma oggi, alla pubblicità non possiamo proprio sfuggire. Ci segue in ogni momento e diventa parte della nostra vita. Una parte ogni giorno più invadente.

Canticchiamo i jingle dei vari spot, o addirittura battute e gag pubblicitarie entrano a far parte del nostro linguaggio quotidiano.
E la pubblicità, a volte, arriva fino a diventare una ossessione.

Insinua nella testa di chi la guarda una attrazione ossessiva verso il prodotto che presenta. Un prodotto descritto nei minimi dettagli, esaltato, reso emozionante, e soprattutto un prodotto che permetterà a chi lo acquista di essere esattamente ciò che vuole essere. Infatti la pubblicità vuole attirarti verso gli articoli che propone e convincerti a comprarli rappresentando tutte le persone che ne sono in possesso felicissime, piene di amici e di avventure, decise e realizzate, glamour e moderne…

E con questo pensiero ti assilla, ti tormenta, e non riesci più a staccarti dalla voglia di avere quell’oggetto!

La pubblicità, dunque, ti condiziona, ti fa credere vero ciò che non lo è, ti fa pensare e desiderare cose che normalmente né penseresti né desidereresti, ti fa voler essere una persona che in realtà non vuoi essere, ti porta a comprare cose di cui non hai bisogno e che probabilmente non vuoi nemmeno.

E oggi lo fa in maniera sempre più subdola. Infatti hanno trasformato molti dei semplici spot pubblicitari in veri e propri film, a volte addirittura a puntate. Li realizzano alla perfezione in modo che nemmeno sembri più pubblicità e possano farcire meglio e più facilmente il nostro cervello di concetti assurdi. La pubblicità fa nascere in noi delle insicurezze che riusciamo a colmare solo acquistando i prodotti che ci vengono propinati.

La cosa più grave è che non possiamo farci nulla.
Siamo costretti a subire degli attacchi sempre più sfacciati. E anche i più scettici alla fine cedono, e si abbandonano all’acquisto di prodotti venduti come se valessero oro e che daranno loro la sicurezza di raggiungere un certo status, che sia di famiglia felice o di giovane single attraente.

La Verità. FINALMENTE!

Cancellate tutto quello che finora è stato detto. Cancellate tutto quello che finora hanno voluto farvi credere. E lasciate spazio alla verità.
Anche io prima ero come voi. Mi ero lasciata convincere che qualcuno fosse capace di influenzarmi, condizionarmi, convincermi, fosse capace di farmi scegliere.
Poi ho incontrato una teoria che mi ha aperto gli occhi. E mi ha fatto vedere e capire qualcosa di così evidente che ancora mi chiedo “Ma come ho fatto a non capirlo prima?”

La Tecnica sociale dell’informazione

La teoria della Tecnica sociale dell’informazione di Francesco Fattorello è molto semplice e allo stesso tempo estremamente innovativa.

Ci spiega che un rapporto di informazione, ovvero la comunicazione, si basa su uno speciale rapporto tra due principali termini: il soggetto promotore e il soggetto recettore. Il primo trasmette una notizia all’altro che la riceve.

Sono poi presenti altri due termini: il mezzo o strumento, attraverso cui la notizia viene data, e il contenuto, meglio definito come forma dell’oggetto dell’informazione. Infatti bisogna tener conto di un ultimo elemento che però è esterno al rapporto di informazione, ma che costituisce il motivo per cui il rapporto prende vita: l’oggetto del rapporto di informazione, ovvero ciò di cui si parla.

x)
                    M
SP                                     SR
                    O

x)= oggetto del rapporto di informazione
SP= soggetto promotore SR= soggetto recettore
M= mezzo O= forma data all’oggetto del rapporto di informazione

Per spiegare:
Il soggetto promotore decide di comunicare un fatto, un evento, ecc. al soggetto recettore. Sceglie il mezzo che meglio si adatta allo scopo e soprattutto sceglie la forma migliore da dare all’oggetto comunicato, sceglie cioè il modo in cui comunicare il fatto, affinché il soggetto recettore possa condividere la sua posizione.

Affinché, cioè, ci sia adesione di opinione. Quindi il soggetto promotore mette in forma (in un certo senso ne da un’interpretazione filtrata dalla propria soggettività) l’oggetto dell’informazione, che resta, è bene sottolinearlo, sempre esterno alla comunicazione e che non potrà mai essere comunicato nella sua più onesta obbiettività, in quanto sempre osservato con gli occhi specifici di un soggetto.

Questa è in breve la descrizione della teoria che mi ha aperto gli occhi.
Ed ora passiamo alla descrizione di alcuni punti di tale Teoria che mi permettono di spiegare perché tutto quello detto finora è semplicemente una “bufala”.

La Soggettività

Ciò per cui la teoria di Fattorello è rivoluzionaria e anticipatrice è che considera i due termini principali di un rapporto di comunicazione due SOGGETTI OPINANTI.

Non si parla più di emittente e ricevente che passivamente prendono parte alla comunicazione. Si parla di due soggetti che decidono di comunicare. Il soggetto promotore prende un fatto della realtà e lo inserisce nella comunicazione, dandone una precisa forma dettata dalla propria soggettività, fatta di interiorità, di un contesto esterno e culturale che può influenzarlo, di pregiudizi negativi e positivi e così via. E allo stesso modo il soggetto recettore non recepisce passivamente ciò che l’altro gli comunica.

Anch’egli è attivo nel processo comunicativo, anch’egli basa la recezione sulla propria soggettività e da a sua volta una interpretazione dell’oggetto comunicato, che è la realtà, esterna alla comunicazione. Quindi ciò che “entra” nella comunicazione è sempre e solo l’interpretazione, cioè la forma, che i soggetti opinanti danno dei fatti della realtà.

Ma perché questo è così importante per dimostrare che la pubblicità non ha alcun potere su di noi?

Bisogna pensare al pubblicitario come SP e a noi come SR. Lo spot, il manifesto ecc. saranno il mezzo e il contenuto sarà ovviamente la forma data all’oggetto del rapporto di informazione, che è semplicemente il prodotto.

Il pubblicitario farà di tutto per dare la giusta forma al prodotto, per renderlo interessante, appetibile, affascinante, per farci correre a comprarlo.

Dall’altra parte però ci siamo noi. Soggetti opinanti. Che ascoltiamo. Che valutiamo. Che riflettiamo basandoci sulle nostre conoscenze. Che abbiamo delle aspettative. E che decidiamo. Solo noi possiamo decidere. Solo noi soggetti e non automi che passivamente credono a tutto ciò che gli si dice.

Quello che non dobbiamo mai dimenticare è che ognuno di noi è un soggetto pensante, che ha capacità di valutazione, di decisione. Nessuno può entrare in noi e decidere per noi. Nessuno potrà mai farci acquistare un prodotto che in realtà non vogliamo comprare. Se riescono a convincerci è perché, sotto sotto, volevamo essere convinti.

E dunque io con la mia intelligenza, con il mio spirito critico, con la mia dignità non permetterò mai più a qualcuno di dire che la pubblicità ha scelto per me, che sono stata condizionata. È fin troppo comodo dare la colpa ad altri per scelte che consapevolmente decido di compiere.

L’adesione di opinione (l’unica cosa che puoi ottenere – se sei bravo!)

Vi spiego ora un secondo importante punto della teoria Fattorelliana.
Partiamo dall’inizio.
In un rapporto d’informazione bisogna tenere ben distinto lo scopo dall’effetto. Lo scopo è l’adesione di opinione, l’effetto è l’azione prodotta dal rapporto di informazione.

Chi informa è in torto se crede di non avere uno scopo. Infatti dalla semplice chiacchierata con l’amica, alla lezione del professore, allo spot pubblicitario lo scopo c’è sempre, ed è quantomeno quello di veder condiviso e appoggiato il proprio punto di vista.
Per l’effetto invece la questione è più complicata.

Abbiamo già rappresentato il rapporto di informazione come una sorta di anello, un anello che fa parte di una lunga catena fatta di tanti altri rapporti di informazione tra loro collegati. Quindi l’effetto che si desidera ottenere con un determinato rapporto di informazione non può che essere ricercato in un fase successiva, e spesso lontana, della catena di rapporti che si va a formare.

Quindi valutare gli effetti che derivano da un rapporto di informazione è una cosa estremamente complicata.

La valutazione, inoltre, è resa ancora più difficile da una parte che non si può dimenticare: l’imprevedibile, che consiste nelle autonome, diverse ed originali facoltà opinanti di chi prende parte alla comunicazione.

Inoltre è bene chiarire una cosa molto importante: non è detto che l’effetto ci sia.

Cioè non possiamo dire con certezza che il rapporto di informazione riesca a dar vita all’effetto desiderato. L’azione quindi non è qualcosa che possiamo controllare, dirigere, orientare, determinare con la comunicazione.

Nell’informazione dunque bisogna tenere sempre ben distinta l’adesione di opinione (che è l’unica cosa che possiamo ottenere) dalla conseguente azione (la cui determinazione non è in nostro potere).

E questo è ancor più vero nella pubblicità, l’argomento di cui ci occupiamo.
Cercano di farci credere, soprattutto i pubblicitari, che la pubblicità fa vendere.

Creare una bella campagna pubblicitaria dunque dovrebbe garantire l’aumento delle vendite del prodotto. O per meglio dire l’acquisto da parte dei consumatori.
Cioè dovremmo credere che se il pubblicitario (SP) realizzasse uno spot eccezionale, convincente, attraente, i telespettatori/consumatori (SR) comprerebbero sicuramente il prodotto pubblicizzato?

Bè, allora dovremmo comprare ogni giorno migliaia e migliaia di prodotti!
Siamo realisti. La teoria che vi ho illustrato spiega perfettamente questo punto. La pubblicità, che è comunicazione, non potrà mai dare la certezza che un prodotto venga acquistato (che è l’azione, ovvero l’effetto della comunicazione).

Quello che una buona pubblicità può arrivare a fare è solo ottenere l’adesione di opinione, che è poi lo scopo di ogni rapporto di informazione.

Infatti il soggetto recettore, ovvero chi guarda, ad esempio, uno spot pubblicitario, può apprezzarlo, può riderne, può ricordarlo, può emozionarsi guardandolo, può condividerne i contenuti.

Ma tutto questo non è comprare il prodotto.
“Il fatto che il recettore, dopo aver aderito all’opinione propostagli su un certo prodotto o servizio, possa passare all’acquisto, rappresenta un secondo momento del tutto diverso e distinto dal primo. Tanto è vero che egli può aderire all’opinione del promotore e limitarsi a questa prima fase.”

Cioè possiamo apprezzare uno spot che ci presenta un prodotto, ma non per forza correre a comprarlo.

Quindi ancora una volta la Teoria della tecnica sociale dell’informazione ci dimostra che siamo liberi. Liberi dalla pubblicità. Che non ha potere sulle nostre azioni, a meno che non siamo noi stessi a volerlo.

Breve conclusione

Spero che quanto detto finora abbia aperto gli occhi anche a voi.Infatti per me è ormai chiaro ed evidente che la pubblicità non può condizionarmi.
A meno che non sia io a decidere di farmi condizionare.

[1] – G. Ragnetti (a cura di), Teoria della tecnica sociale dell’informazione, Quattroventi, pag. 102

La Comunicazione di Obama

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” URBINO – Editoria, Media e Giornalismo – Elaborato per l’esame di Tecniche di Relazione – Prof. Giuseppe Ragnetti

“La Comunicazione di Obama”

di Lucia Elena Vuoso

Indice

  • Introduzione: L’importanza della comunicazione politica 
  • Obama, grande maestro della comunicazione Gli elementi del successo
  • La rete di Obama

Introduzione: L’importanza della Comunicazione Politica

“Comunicare non significa solo inviare informazioni all’indirizzo di un’altra persona. Significa creare negli altri un’esperienza, coinvolgerli fin nelle viscere e questa è una abilità emotiva”. Daniel Goleman

Nella società odierna, le potenzialità dei mass-media si sono sviluppate a tal punto da poter comunicare praticamente con chiunque abbattendo ogni barriera spazio/temporale.

Saper comunicare è fondamentale per gestire le nostre relazioni, che siano di ambito sociale, culturale o politico. Il modo con cui lo facciamo determina il rapporto che si crea con “l’altro”. Quindi, al giorno d’oggi, la comunicazione è uno degli strumenti più importanti per relazionarsi col mondo esterno. La politica, che governa la società, non può non saper comunicare. Esser un buon amministratore ma non essere in grado di dirlo alla gente risulta, oggi, inutile. Si è capito quanto sia fondamentale il ruolo del comunicatore, cioè di colui che si occupi di suggerire, promuovere ed elaborare l’immagine, sviluppando relazioni tra tutti i possibili centri di informazione, assicurando il flusso di rapporti con la stampa e il pubblico finale.

Un ottimo esperto, che sia in ambito politico o meno, deve saper leggere, scrivere, osservare, parlare e far parlare, mediare e intrattenere rapporti. Deve essere in contatto coi vertici della propria “azienda” ma anche con l’esterno. Negli Stati Uniti le relazioni pubbliche rappresentano la terza industria per numero di addetti e volume di capitali mosso [fonte CNN]. Quasi il 50% degli impiegati lavora in ambito politico. In un paese in costante campagna elettorale, dove la politica smuove milioni di dollari, il saper comunicare meglio con il pubblico, interagire con esso ed ottenere la maggioranza, significa poter gestire flussi di denaro ingenti, relazionarsi con le più grandi industrie e prendere decisioni a carattere mondiale. Si evince da ciò il ruolo fondamentale ricoperto, in tutti i paesi ma in particolare negli U.S.A., dalla comunicazione politica.

Barack Obama durante la campagna elettorale

 

Obama, grande maestro della comunicazione

“C’è qualcosa che accade quando gli americani che non hanno mai partecipato alla vita politica, si sentono coinvolti, bussano alle porte degli amici, telefonano e condividono con gli altri la loro visione del paese. C’è qualcosa che accade quando le persone,  non solo votano per il partito a cui appartengono, ma anche per le speranze che hanno in comune. Il cambiamento è ciò che sta accadendo ora in Amarica” Barak Obama

Barack Obama il 44° Presidente degli Stati Uniti d’America ha vinto le elezioni grazie ad una comunicazione integrata a 360° che ha tenuto conto di tutti i media tradizionali e non convenzionali e di tutte le tecniche di visibilità e di contatto alternative e innovative. La storia è una tavolozza di colori (nero, bianco, rosso, blu) che impasta la diversità, tritura il luogo comune, miscela ieri, oggi e domani. Aggiunge, toglie, rimette, ritoglie. La pelle è quasi un dettaglio, perché il primo nero alla Casa Bianca è una leggenda che non si può banalizzare con una tinta. È la sfumatura che diventa dominante.

Barack si sente il futuro. Parla al plurale: «Yes we can». Chi è? Che vuole? Che fa? Dove va? Ora non c’è un centimetro quadrato del pianeta che non sappia chi sia. Barack il seduttore della folla, l’adescatore di voti: negli ultimi 22 mesi ha detto più una sua smorfia che l’intero discorso di qualcun altro. Ha le chiavi della storia in tasca. Lui trasmette futuro, per qualcuno speranza, per altri sogni. Per qualcun altro terrore, certo. E poi ansia, incertezza, inadeguatezza. Diversità, anche.

Obama è piaciuto all’America: perché sa parlare, perché cancella una generazione che forse ha fallito troppe volte, perché lo si ascolta e gli si crede. Non si sa se ce la farà, però se non lo si mette alla prova non si scoprirà mai. Allora ispira. Affascina, colpisce, prega, piange. E’ umano. Uno che fumava, che ha provato la cocaina, che sbaglia, uno che non vuole dare l’impressione di essere perfetto.

L’hanno chiamato il Kennedy nero, con quel paragone ingombrante che deve sopportare ogni candidato democratico che non sia un Clinton. Lui ringrazia, poi però all’ultimo giro tira fuori uno spot che sembra uscito dalla campagna di Reagan, qualcosa tipo: «Ehi America, siamo nei guai. Però possiamo farcela». È l’ottimismo. È la consapevolezza delle radici di un sogno. Si ispira a Lincoln, allora. Springfield è stata la città da dove ha annunciato la corsa verso la Casa Bianca. A Springfield finì la schiavitù negli Stati Uniti d’America: il primo afroamericano presidente non è uno che trascura i dettagli. All’inizio e alla fine. Perché l’ultimo discorso arriva a Manassas, in Virginia, dove 146 anni fa i Sudisti ottennero le loro più famose vittorie nella Guerra Civile. Due battaglie che per la storia oggi sono le peggiori sconfitte per i diritti dei neri d’America. Simboli. Obama sa. Obama è un messaggio perenne, come se voglia ripetere il suo mantra: «Se io nero, vengo qui, dove i neri furono massacrati, lo faccio perché questo Paese deve superare le diversità. E può farlo». Yes we can, sempre. Comunque.

Obama è un sognatore pragmatico, cioè un ossimoro nella vita, ma non nella politica. Toglie la giacca, arrotola le maniche della camicia, non urla, non insulta, non si agita: si siede su uno sgabello e comincia. Qui c’è il romanzo dell’America che comincia dal basso e può arrivare in alto. Comincia da un immigrato del Kenya che conosce una giovane bianca del Kansas, se ne innamora e la sposa. Comincia il 4 agosto del 1961, al Queen’s Medical Center di Honolulu, Hawaii, dove la madre si trasferisce per stare con i genitori. Comincia dal nome: Barack Hussein Obama Junior. Il sogno di Obama non è sola retorica: è la storia di un Paese che accoglie, accetta, alleva i suoi figli.

Barack è andato e tornato: ha vissuto in Indonesia, a Giakarta. È rientrato per stare alle Hawaii coi nonni materni. È partito di nuovo per l’università: s’è laureato a New York, alla Columbia University. Poi Harvard, la specializzazione in legge. Il sogno americano è ancora questo: è la possibilità perenne di un riscatto o di una chance. Gli Stati Uniti l’hanno scoperto a Boston, durante la Convention del 2004. Lo staff di John Kerry scelse Barack per il discorso più importante, perché aveva bisogno di un afroamericano. Obama non era nessuno. Si presentò sul palco: «Siamo qui per il nostro futuro. Perché dobbiamo smetterla di pensare che un ragazzo nero con dei libri in mano è solo uno che imita un bianco».

Obama sa ascoltare e sa parlare. E sa anche comunicare benissimo.

E’ un volto, un sorriso, una battuta, una voce. E trasmette messaggi concreti. Speranza, possibilità, vigore, ottimismo, evoluzione, innovazione. Obama ha sfruttato il momento, la popolarità, il politicamente corretto, una campagna perfetta fatta di slogan perfetti: «Yes we can», poi «Change». Domani, domani, domani. L’audacia della speranza. Ha avuto il grande appoggio dei media internazionali e nazionali: tv e grandi giornali si sono innamorati di lui e della sua storia da vincente che ci ha sempre e comunque provato. E’ la concretizzazione dell’American dream.

Già nel giugno del 2007 si è preparato ad un cambio strategico nella sua campagna che, fino ad allora, si era concentrata in misura preponderante sulle attività grassroot: ha lanciato, infatti, i primi spot televisivi nello stato dell’Iowa che è stato il primo a votare nelle primarie 2008. Negli Stati Uniti la televisione è, ormai, il campo di battaglia principale delle elezioni presidenziali e gli spot televisivi rappresentano l’arma centrale, oltre che più costosa, a disposizione dei manager della campagna. Essendo la televisione diventata la fonte predominante di informazione politica, ecco che anche gli spot televisivi rappresentano un’importante fonte di informazione sia sul candidato che sui temi fondamentali della sua campagna.

Il primo spot, della durata di 60 secondi, era intitolato “Choices” (scelte) ed era incentrato sulla scelta che Obama fece dopo la laurea in legge ad Harvard di non accettare le vantaggiose offerte economiche da parte di studi legali per andare a Chicago ed impegnarsi come “community organizer”. Il docente di Harvard descrive la scelta di Obama come “ispiratrice”: la decisione di un individuo brillante che, invece di puntare verso Wall Street, ha scelto di “mettere il suo talento e le sue conoscenze al servizio della comunità e della qualità della vita delle persone che ne fanno parte”.

Il secondo spot, della durata di 30 secondi, si intitolava “Carry” e descriveva il lavoro legislativo svolto da Obama, nello stato dell’Illinois, per estendere l’assistenza verso i bambini e la copertura sanitaria e per tagli alla tassazione dei “working poor”; lo scopo è anche quello di evidenziare la capacità di ottenere accordi bipartisan.

La scelta di Obama ha seguito, in ordine cronologico, quella di Bill Richardson (democratico) e Mitt Romney (repubblicano) che hanno visto crescere i consensi nei sondaggi elettorali dopo la trasmissione dei loro primi spot televisivi. Quella del 2008 era annunciata, come una campagna con un investimento senza precedenti negli spot televisivi ed anche Obama ha fatto la sua parte. I due spot televisivi del candidato democratico sono stati anticipati da una intensa campagna di mailing che ha incluso anche la distribuzione di un dvd contenente la biografia di Obama.

La fortuna e il forte utilizzo degli spot televisivi sono dovuti al fatto che sono in grado di far diventare rapidamente noto un nuovo candidato, di raggiungere elettori che difficilmente seguirebbero trasmissioni di informazione politica e di tematizzare la campagna. Così anche Obama ha deciso di puntare sugli elettori che difficilmente riuscirebbe a contattare attraverso le classiche attività di campagna elettorale sul territorio. E lo ha fatto seguendo il manuale, cioè attraverso due spot di tipo “identification” che hanno la funzione di far conoscere il candidato evidenziando caratteristiche biografiche, enfatizzando alcuni momenti della storia personale o ricorrendo a testimonial famosi.

Il candidato democratico ha scelto di ricorrere a due testimonial per enfatizzare caratteristiche biografiche e della storia personale che evidenziano lati del carattere, priorità e modo di operare come esponente politico: il senatore repubblicano Kirk Dillard che ha lavorato con Obama in Illinois (e che sostiene la candidatura di John McCain) e il docente di legge dell’Università di Harvard, Laurence Tribe.

Negli ultimi giorni di campagna elettorale Barack Obama ha speso tre volte di più del suo rivale John McCain. A segnalarlo è uno studio della Università del Wisconsin, secondo il quale il senatore dell’Illinois ha speso 21,5 milioni di dollari in spot televisivi fra il 21 e il 28 ottobre, mentre il candidato repubblicano ne ha investiti solo 7,5 milioni. Obama, il cui budget pubblicitario complessivo potrebbe superare i 100 milioni di dollari battendo ogni record negli Stati Uniti, ha speso oltre il 70% del totale negli Stati dove nel 2004 vinse il presidente George W. Bush.

Ed il gran finale: “Spot a reti unificate”.

Per una volta la pubblicità non fa cambiare canale, anzi. Il megaspot da mezz’ora andato in onda il 29 ottobre su tre grandi network americani, Cbs, Nbc e Fox, ha alzato la media degli ascolti stagionali per un mercoledì sera. Il messaggio promozionale di Obama è stato seguito da 26,3 milioni di persone. Lo rivelano i primi dati sugli ascolti diffusi da Nielsen, che non tiene conto degli ascolti sui canali via cavo, Msnbc, Univision, Bet e Tv One, che pure hanno mandato in onda lo spot. Su Nbc il messaggio di Obama ha raggiunto 9,8 milioni di spettatori, su Cbs 8,6 e sulla repubblicana Fox 7,9 milioni. In media si tratta di un incremento del 13 per cento rispetto agli ascolti della normale programmazione in quella fascia oraria a metà settimana. Abc, l’unico dei network a non mandare in onda lo spot, è comunque arrivata quarta, con la fiction “Pushing Daisies”, che ha fatto 6,8 milioni di spettatori, il 16% per cento in più rispetto alla settimana precedente ma non certo il risultato sperato dall’emittente di Disney.

Obama ha sgretolato il record di ascolti di Ross Perot, il miliardario che nel 1992 si candidò come indipendente alle presidenziali. Perot acquistò spazi pubblicitari in prima serata sui grandi network e tenne una serie di 11 lezioni di economia agli americani per promuovere la sua ricetta di taglio del debito. In media raggiunse 11 milioni di americani, con un picco di 16 milioni.
Barack ha fatto meglio! E’ entrato nelle case degli americani ed ora anche nella storia, anzi nella leggenda con una campagna perfetta, con una comunicazione vincente.

Gli elementi del successo

A prescindere dalla propria visione politica non si può mettere in dubbio che l’elezione di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti d’America sia un fatto storico non solo per le dimensioni della vittoria, ma specialmente per gli strumenti di comunicazione che hanno permesso ad un uomo quasi sconosciuto, di trionfare prima contro la donna più famosa d’America ed in seguito su uno degli uomini americani più apprezzati per le grandi imprese eroiche. Il messaggio di Obama è stato diffuso principalmente fra i vari social network e le tante community mondiali e soprattutto attraverso le e-mail con cui il neo presidente americano ha inviato comunicazioni puntuali, coinvolgenti ed empatiche dimostrando una netta e concreta volontà di cambiamento. L’e-mail marketing di Obama è stato la guida del suo successo e solo cinque sono statigli elementi che lo hanno caratterizzato. 

Contenuti: Barack Obama nelle e-mail ha utilizzato messaggi semplici veicolati non da infinite dissertazioni politiche o morali, ma da frasi brevi, puntuali, efficaci. Nei contenuti e nelle idee si è esposto personalmente ed è apparso come il compagno di viaggio di milioni di individui che affollano la rete, instaurando con loro un amichevole dialogo assai lontano dalle impostate e formali campagne elettorali.

Innovazione: non sono politica, ma anche tecnologica che ha fatto apparire il suo avversario come un cavernicolo troppo ancorato ai vecchi canali di comunicazione. Obama si è presentato come un concreto innovatore capace di interpretare le sfide tecnologiche e di valorizzare la modernità.      

Immediatezza: Per tutta la campagna elettorale Barack Obama ha inviato mensilmente a ciascun elettore una ventina di e-mail personalizzate informando gli americani su tutti gli aspetti della campagna elettorale e dimostrando trasparenza e volontà di condivisione. Esattamente tre minuti dopo l’ufficializzazione della sua vittoria, tutti gli iscritti alla newsletter hanno ricevuto un’e-mail di ringraziamento: ogni elettore si è sentito realmente protagonista dell’evento storico. L’e-mail marketing di Obama ha raggiunto immediatamente tutti, ha reso tutti protagonisti, ha valorizzato i singoli, ha reso determinanti le scelte di ciascuno. “Hai fatto la storia. Tutto questo è accaduto per merito tuo”, ha scritto Obama. 

Semplicità: mentre gli avversari hanno studiato infinite strategie e molteplici frasi ad effetto. Il neo presidente si è basato su due affermazioni semplici e significative, comprensibili da chiunque “Change” e “Yes, we can”. Affermazioni dirette e non artefatte, semplici e incisive, empatiche e coinvolgenti.

La rete di Obama

La comunicazione di Obama è già un culto, un mito, un modello da imitare e da studiare. Proprio per questo motivo in molte università italiane e sono nati nuovi corsi che hanno come perno principale le strategie di Barak Obama. A tal proposito lo scorso dicembre, a Roma, ISIMM e Università Roma Tre hanno promosso una giornata di lavoro per analizzare la comunicazione elettorale di Barack Obama nel suo rapporto con la rete e, più in generale, con i media digitali.  

Non vi è dubbio che uno dei fattori del successo di Obama è stato il suo rapporto privilegiato con la Rete, la sua cultura e le sue tecnologie sociali. Anche per questo tramite il giovane senatore afroamericano dell’Illinois, grazie alla sua immedesimazione nell’immaginario delle Reti e in virtù della sua capacità di stabilire con esse un rapporto diretto e attivo, è stato in grado di costituire e mobilitare network e comunità in modo orizzontale, partecipativo e spontaneo, e di animare intorno alla sua figura un’effervescenza e un virtuoso intreccio di comunicazioni e di relazioni che lo hanno trasformato da outsider in vincente. Attorno a questo tema hanno discusso con il presidente di ISIMM, Enrico Manca, dirigenti di imprese di comunicazione (Lorenzo Pupillo di Telecom Italia, David Bogi di Mediaset, Paolo Tacconi di Microsoft, insieme agli studenti e a un nutrito gruppo di studiosi e docenti: Alberto Abruzzese, Sebastiano Bagnara, Sara Bentivegna, Francesco Cardarelli, Gian Piero Jacobelli, Paolo Mancini, Vincenzo Susca. A fare gli onori di casa, per Roma Tre, Gianpiero Gamaleri, Edoardo Novelli, Vincenzo Zeno-Zencovich.

Non tutte le opinioni coincidevano ma l’impressione di tutti i presenti è stata quella, piuttosto piacevole, di avere tematizzato in maniera efficace le novità di Obama, andando oltre i primi commenti a caldo.  

Non c’è dubbio intanto che l’uso intelligente e consapevole delle Reti, degli “sms di massa” e delle varie forme di espressione del Web 2.0. e costituisce una forte innovazione

nell’organizzazione della politica e del consenso, ma che tuttavia non sarebbe stato sufficiente senza una proposta politica innovativa che ha trovato nella crisi economica americana e nei timori molto diffusi nella popolazione un momento di coagulo. La vecchia massima, per cui la pubblicità non funziona se il prodotto non risponde a standard di qualità largamente accettati, mantiene qui tutta la sua validità.  

Il prodotto che è stato “venduto” con successo è un candidato alle elezioni, non un mandato presidenziale. Nonostante molti precedenti parziali, Obama è sicuramente il primo candidato vincente che è espressione delle culture digitali, un candidate.com; ma è presto per dire se sarà anche un president.com. Le reti che egli ha attivato, in un intreccio peculiare tra contatti faccia a faccia tra i suoi attivisti ed elettori e le forme di mobilitazione a distanza, hanno diffuso le issues e le policies della sua campagna. Altra cosa, che non è mai stata tentata, è svolgere il mandato presidenziale mantenendo un costante flusso interattivo con un ampio strato di sostenitori attivi, prevalentemente amministrato attraverso reti digitali. Vedremo se Obama vorrà farlo, e se sarà possibile curvare su questi nuovi obiettivi la novità di queste reti intanto stabilite.  

Di reti si è parlato sempre al plurale. Non c’è solo Internet, c’è un uso straordinario degli SMS, c’è Facebook, c’è l’idea che all’attivista va fornito un kit c’è l’idea che all’attivista va fornito un kit di strumenti di intervento con cui potranno organizzarsi riunioni fra vicini, negli immensi suburbi delle città americane, rivitalizzando strumenti della comunicazione politica novecentesca e anche le catene di di Sant’Antonio, e riuscendo a raccogliere una quantità immensa di denaro non con i soliti pranzi elettorali a pagamento per Vip ma attraverso versamenti minuscoli di milioni di persone, in gran parte effettuati in rete. E poi c’è quello che Obama è riuscito a evitare: la comunicazione farraginosa di Hillary Clinton, o i tristi comizi virtuali in Second Life durante le presidenziali francesi di appena un anno fa. Ha dunque qualche senso affermare (quante volte l’abbiamo letto sui giornali) che Franklin Delano Roosevelt è stato il presidente della radio, John Kennedy della televisione e Obama di Internet, ma molti distinguo sono necessari. Kennedy si rivolgeva per televisione alla grande platea dei cittadini, invitandoli a votare per lui anche grazie al fascino personale. Obama usa le reti in modo interattivo, a due vie, e per giunta si fonda sulle loro grandi capacità di replicazione, per produrre attivismo elettorale. E’ stato notato che in qualche misura Obama ha ripercorso in linguaggio digitale vecchie forme di militanza politica (proselitismo, sottoscrizione ecc.) che la televisione, e la politica-spettacolo, sembravano aver mandato in soffitta. Forse in un futuro i cinquant’anni della tv (il duello Nixon-Kennedy era del 1960) ci appariranno un periodo in cui una politica “spettatoriale” aveva preso il posto di quella agita attraverso la partecipazione diretta. Un periodo definitivamente chiuso da nuove forme di mobilitazione mediate dalle reti.

Di seguito alcuni degli interventi più importanti e significativi per comprendere appieno la rete di Obama.

Enrico Manca

Il coinvolgimento messo in atto da Barack Obama è stato totale ed è riuscito ad abbracciare i due estremi della società americana: dalla classe creativa a quella degli emarginati. Inoltre ha saputo integrare l’utilizzo dei vecchi e dei nuovi media.I nuovi media sono sempre stati cruciali per l’elezione del presidente USA. Jefferson = Quotidiani; Roosvelt = Radio; Kennedy = Tv; Obama = Internet. Già nel 2000 Howard Dean aveva puntato su internet ma il suo caso fallimentare è l’esemplificazione del fatto che l’uso, seppure sapiente, di internet da solo non basta per arrivare alla Casa Bianca. Obama è web-compatibile perché web-generato. I social network hanno dato forma alle sue idee, hanno realizzato una rete organizzata di sostenitori e una rete forte per la raccolta fondi. Obama fa sperare in un ritorno della politica alta, della politica del consenso – attraverso una cultura di massa non massificata.

Di Chio

Nell’era della new economy la parola chiave è innovare, e la gioventù è un valore. Obama è un outsider non è un leader storico, non fa parte dell’”aristocrazia” del partito, né è stato scelto per “selezione dinastica”. Ha fondato il suo successo politico non sull’anzianità della militanza. Obama non rappresenta il partito democratico, Obama è la sua storia personale.

Se Internet nella sua prima fase aveva una funzione destruens, rispetto ai linguaggi e ai formati della vecchia comunicazione, l’internet del web 2.0 è passato alla fase construens (con l’affermazione delle social communities). Nuova modalità di comunicare la politica, nuova proposta politica, un nuovo coinvolgimento. Il messaggio della vittoria di Obama è di portata epocale e deve far riflettere la classe politica e chi si occupa di comunicazione. Stanno cambiando le logiche in politica e nel mercato. Il Web 2.0 e lo user generated content è un fenomeno che potrebbe sovvertire i vecchi assetti.

Paolo Annunziato

Due riflessioni principali:

  1. l’uso che Obama ha fatto e farà delle nuove tecnologie;
  2. la concezione che Obama ha della rete (e le implicazioni di policy).

Per dirla con McLuhan, se internet è stato il mezzo, “cambiamento” è stato il messaggio.

Obama ha saputo trasformare i suoi sostenitori da volontari passivi a empowered organizer, spingendo sul right-brain, la parte emotiva dell’elettore. Ha potuto fare questo grazie ad una field operation,  il suo sito infatti è in realtà un sito di social networking. Obama ha capitalizzato questa “fortuna” di risorse umane e ora può contare su una rete di milioni di contatti per testare le sue proposte. L’uso innovativo delle nuove tecnologie è stato a 360°, prevedendo anche lo sviluppo di apposite applicazioni dell’iPhone e dell’X-box e di tecniche di localizzazione mobile.

Paolo Tacconi

La rete e la politica hanno due cose in comune:

  1. l’impossibilità di separare il cuore e la ragione
  2. la dimensione di flusso

Internet è un insieme di dati è quindi un enorme strumento per la politica: è fondamentale per la targettizzazione del pubblico. Internet interagisce con i cambiamenti all’interno dell’opinione pubblica.

Alberto Abruzzese 

La vittoria di Obama ci fa riflettere sul futuro dell’Occidente.

Obama è la grande chimera del nuovo mondo, è il mondo occidentale che si esprime in modi diversi. Se Bush era l’espressione della hardware; Obama, dobbiamo riconoscere, è l’espressione della software. Internet ha permesso a Obama di costruire la sua innovazione, di costruire il simulacro.

E’ la terza fase dei presidenti americani. Se Kennedy rappresenta il simulacro del presidente che porta la felicità nel mondo, Reagan incarnava il modello del politico/attore, il simulacro del presidente che recita la grande scena della sovranità americana. Obama ora porta con se una nuova narrazione: il dolore incarnato dal presidente, il nero che ha sofferto. Il prossimo potrebbe essere una donna, che è l’altro esempio di corpo sofferente. Si è passati, quindi, dalle grandi astrazioni (massa), alla sofferenza di un singolo uomo (la carne). Il sorriso di Obama ricorda il sorriso del Joker, un uomo che siccome ha sofferto in passato, ora gioca il ruolo del potere.

Sebastiano Bagnara

Per il finanziamento delle campagne ha usato lo stesso metodo, teorizzato da Chris Anderson nella teoria della Coda Lunga, raccogliere anche il più piccolo obolo se il costo della raccolta è minore del guadagno che ne ricavi. Il rapporto tra Obama e la rete non è tecnico, ma antropologico.

Obama parla ai così detti nativi digitali, che hanno, tra l’altro, una diversa concezione dell’amicizia – la cosiddetta enlarged friendship – puoi sentirti parte di un processo anche se sei distante nello spazio e nel tempo, perché ti senti comunque vicino emozionalmente.

I nativi digitali ai quali lui parla sono il simbolo della peer2peer education: le conoscenze non vengono trasmesse come a scuola, ma vengono condivise con gli altri, il che porta ad una diversa costruzione dell’identità.

Nella frase “Yes we can” la dimensione del “noi” è fondamentale per la tenuta di quello slogan. Essere legato agli altri vuol dire che tutto quello che produci lo condividi, è il concetto del creative commons (forse anche per questo lo stesso slogan italianizzato nel “si può fare” non ha funzionato, usa la forma impersonale che non porta vicinanza emotiva).

Sara Bentivegna

Obama ha saputo fare un uso sapiente di sms e mail.

E’ stato tempestivo e personalizzato, come ad esempio quando ha comunicato il ticket con Joe Biden. L’apice è stato raggiunto il 5 novembre all’1.00 quando ha mandato a tutti i suoi sostenitori il messaggio via mail prima di andare a Grant Park per tenere il comizio conclusivo. Ciò denota una grandissima attenzione da parte della sua squadra nell’utilizzo di Internet fin nei minimi dettagli. C’è un’identificazione totale di Obama in Internet, a tal punto che si è parlato di una Facebook Administration. Obama ha utilizzato la rete per creare un individualismo reticolare organizzato: aveva a disposizione un database degli elettori incredibile che ha sputo utilizzare in maniera molto intelligente. Ha prima predisposto una mappatura dei militanti per il porta a porta, dopodiché ha stilato un manuale online per il porta a porta sui modelli di conversazione possibili, fino ad arrivare all’Houdini project: i militanti fuori dai seggi mandavano via sms i nomi degli elettori in fila per espungerli dalla lista e mandavano a chiamare quelli che non si erano ancora presentati (Get-out-the-vote operation).

Gianpiero Gamaleri

Obama ha utilizzato molto la forza del passaparola e dei rapporti interpersonali.

Obama dava per scontata la conoscenza del suo messaggio nelle mail che manda ai suoi sostenitori, costruisce così un rapporto confidenziale con i suoi. Da questo momento avremo non solo dei leader che usano Internet, ma che vengono selezionati da Internet, ciò darà vita a un nuovo tipo di leadership.

Gianpiero Jacobelli

La vera novità non è l’uso di internet, ma l’uso innovativo di internet, un uso a cavallo tra le diverse realtà reale/virtuale. I social network sono stati utilizzati non solo come struttura comunicativa, ma come struttura di mobilitazione. Talbot ha fatto un’inchiesta sul settore “reti” della comunicazione di Obama e sono venute fuori 3 cose:

  1. Non si parla di rete ma di reti (informatiche, telefoniche, postali…) il che da l’idea della complessità della sua azione (la campagna di Dean fu fallimentare perché puntò tutto sul fundraising senza farcirlo di passione ed emotività)
  2. Nessuna delle iniziative in rete si è lì esaurita, ma aveva sempre un prosieguo nella vita reale. Il doppio corpo della rete veniva fuori nella capacità di responsabilizzarsi nella vita reale rispetto a ciò a cui si aveva aderito online.
  3. Siamo in attesa di una verifica potenziale dei fatti, che è poi il punto critico. La rete è in grado di divulgare delle speranze, ma non è in grado di dare una risposta. Per ora non c’è stata novità nel  comportamento politico.
    Adesso aspettiamo Obama al varco, per capire se sarà in gardo di dare consistenza al fascino delle sue promesse.

Edoardo Novelli

Le funzioni che ha assunto la rete in questa campagna elettorale sono esattamente le stesse utilizzate dalla vecchia politica. I social network hanno preso il posto della vecchia militanza e hanno organizzato il porta a porta esattamente come si faceva ai tempi del Pci. E anche l’Houdini project ricordato prima dalla Bentivegna non è nient’altro che la versione moderna delle vecchie staffette organizzate dal Pci.Obama ha saputo, come nelle vecchie organizzazioni politiche, creare un’appartenenza e una struttura organizzativa gerarchica. Tutto ciò negli anni passati (dai ’60 a oggi) è stato assorbito dalla Tv, ora si è finalmente a tornati alla vecchia politica, solo con l’utilizzo di nuovi mezzi. Internet agisce sui comportamenti: ti fa uscire a fare il porta a porta, ti fa donare fisicamente del denaro.

Vincenzo Susca

William Gibson nel 1982 inventò il termine cyberspazio e la sua definizione: “un’allucinazione vissuta consensualmente”: Obama ha incarnato il principio del cyberspazio.Per dirla con De Kerkove non si parla più di tecnologia ma di tecnomagia.

Obama emette un impulso tecnomagico che porta ad una partecipazione mistica; I sensi e l’aspetto cognitivo sono attivati. E’ lo scarto comunicativo che tira fuori il massimo della partecipazione cognitiva ed emotivo-emozionale. Con le nuove tecnologie possiamo assistere ad un ritorno del totem. Nel sistema totemistico (mix tra religione, credenze e magia) c’è un forte carico estatico, nel quale però si sceglie in maniera consapevole di essere coinvolti. La comunicazione in rete è molto diversa dalla propaganda. Le Reti, infatti, non si accontentano di elaborare un programma o un messaggio. Ogni epoca storica è contraddistinta da un cuore comunicativo, il cuore dell’industria culturale oggi è nella Rete. La Rete può costruire un modello di politica che ancora non abbiamo conosciuto.

Due diversi Universi

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” URBINO – Corso di Laurea specialistica in Editoria Media Giornalismo – Tecniche di relazione – Prof. Giuseppe Ragnetti

“Due diversi Universi”

a cura di Silvia Martinelli

L’amore è un sentimento. Che cos’è un sentimento? È un processo molto difficile da spiegare che include noi stessi, l’uomo che scegliamo come nostro partner  e tutto un insieme di esperienze vissute che hanno inevitabilmente segnato il nostro essere,  il modo in cui ci rapportiamo agli altri e in questo specifico caso all’uomo che ci sta di fronte. Parlo di uomo perché sono una donna appunto, ma non mancherò di spiegare anche il punto di vista dell’uomo.  Anche l’amore è comunicazione, anzi lo è principalmente  e come ben sappiamo noi studenti di EMG, parlando di comunicazione non possiamo prescindere dall’interlocutore e dal suo punto di vista.

Questa è un’analisi del rapporto uomo/donna partendo da un nuovo presupposto. Nuovo presupposto che sto cercando di fare mio. Dopo aver seguito le lezioni del professor Ragnetti ho preso in considerazione un libro che il suddetto professore ci ha consigliato di leggere a lezione. Questo libro ha un titolo strano che mi è parso subito illuminante. Si, infatti è proprio di illuminazione che vorrei parlare. Il libro è di uno psicoterapeuta americano specializzato nei rapporti di coppia, il suo nome è John Gray. Ha scritto del 1991 il libro ”Gli uomini vengono da marte, le donne da venere”.

Penso che il fulcro delle nostre lezioni sia stato quello di rivedere il nostro modo di comunicare, pensando principalmente ad esprimerci prendendo in considerazione chi ci troviamo di fronte, ovvero il nostro interlocutore. Questo perché la socializzazione e l’acculturazione della persona a cui noi parliamo o che stiamo ascoltando è importante, senonchè fondamentale per arrivare dove vogliamo e per far capire con esattezza il nostro messaggio. Se infatti ci esprimiamo nello stesso identico modo sia quando parliamo con delle persone istruite, che quando siamo a contatto con gente che pur non avendo assolutamente niente in meno rispetto agli eruditi,  semplicemente non conosce delle nozioni, rischiamo di risultare incomprensibili, noiosi e poco efficaci.

Questo modo di comportarmi per me è abbastanza normale, diciamo innato. Non dico questo per presunzione di essere una brava comunicatrice perché in alcuni ambiti so perfettamente di peccare e non poco. Lo dico solo per esperienza personale. Vivo in una zona in cui la maggior parte dei ragazzi non continuano gli studi dopo le scuole superiori, spesso anche dopo la scuole medie. Questo perché nella zona di Pesaro-Urbino il lavoro da operaio abbonda e si sa, il ragazzino ha voglia di essere indipendente economicamente, se poi non ha una famiglia alle spalle che da importanza allo studio, è facile che prenda questa strada. Ho tantissimi amici “ignoranti”, uso questa parola non in senso dispregiativo, ma seguendone l’etimologia. I miei amici, se mi sentono parlare di quello che faccio all’università a malapena capiscono cosa studio, sarebbe quindi irrispettoso e sgarbato nei loro confronti parlarne solo per far vedere che ho più conoscenze di loro. Sono ignoranti, non stupidi dunque lo sanno già  e non c’è bisogno di mettersi in mostra.

Dunque importantissimo sapere con chi si sta parlando, cosa fa nelle vita, dove vive, quali sono le sue aspirazione e le sue conoscenze. Insomma partendo dal background di acculturazione di una persona si cerca di comunicare con lui in modo corretto,  andando a cercare quello che vuole sentirsi dire, ma più che altro come vuole sentirselo dire.

Fin qui niente di difficile, mi sono quasi sempre giostrata bene, il problema arriva quando devi comunicare con la persona che ami. Si comincia a entrare in contatto con tantissimi problemi che durante una relazione, (questo prima di leggere il libro di gray),  diventano insormontabili fino a farti quasi rinunciare a sperare che un giorno potreste andare d’accordo.

Il punto è che uomini e donne sono veramente diversi. Non è ne una leggenda, ne una frase fatta, ma pura realtà.

Prima della relazione che sto vivendo ora, non me ne ero ancora resa conto, questo perché ho sempre incontrato degli uomini con spiccate caratteristiche femminili, ed è per questo che ci andavo d’accordo senza problemi.

Il punto è proprio questo, ci andavo troppo d’accordo, come si sta con un’amica o un fratello, quindi senza alti e bassi, senza incomprensioni che diventano inspiegabili e senza nessuno di questi enormi problemi in cui mi trovo a spalleggiare quotidianamente.

L’uomo di cui parlo è un vero uomo. Non nel senso che è virile o aggettivi simili, dico questo perché presenta tutte le caratteristiche e i modi di fare elencati e spiegati nel libro di Gray. Dunque è un uomo che va considerato come tale e come tale va capito, interpretato e “trattato”.

Un altro mondo che si combacia solo se ne capiamo le differenze e applichiamo le nuove conoscenze apprese. Io sono una donna e come tale anche io ho delle mie caratteristiche peculiari che si discostano dalle sue. Il problema è che da profana non potevo neanche immaginare che il mio modo di vedere e fare le cose era tutto quello che in realtà non andava fatto. Mi sono comportata fino ad adesso seguendo la mia natura e facendo quello che per me era naturale. Ho dato quello che volevo ricevere e in cambio non ho ricevuto nulla. E’una situazione questa abbastanza frustrante, ci ritroviamo a comportarci nel modo giusto per noi, ma vediamo che nonostante le attenzione che diamo, queste non sono recepite come tali. Il mio modo di essere premurosa e il mio esprimere i sentimenti rendeva le cose solo più difficili.

Abbiamo una diversa essenza, dunque prima ce ne rendiamo conto e prima riusciremo ad avere una relazione sentimentale sana e soddisfacente.

Il punto da cui parte lo scrittore è proprio questo. Gray lo spiega in modo molto chiaro presentando i due generi: quello maschile e quello femminile come provenienti da due mondi diversi, in cui si pensa, ci si comporta e ci si aiuta in modo differente.   I marziani e le venusiane prima di incontrarsi vivevano divisi gli uni su marte le altre su venere.

Le venusiane sono dedite alla comunicazione, sono proprio le relazioni interpersonali a renderle piene e a farle considerare importanti. Le donne parlano per parlare, per conoscersi meglio, per entrare interiormente in contatto tra di loro e con loro stesse. I loro rapporti sono basati sull’aiuto reciproco, sull’amore e sul consigliarsi a vicenda. Il consiglio è fondamentale come sono fondamentali gli scambi comunicativi per riprendersi quando si è turbate da un qualsiasi problema.

Qui il punto fondamentale per comprendere una donna: la donna ha bisogno di essere ascoltata con affetto, comprensione e dedizione. Non ha bisogno di soluzioni pratiche, non parla perché vuole arrivare al punto della questione, ne perché  vuole risolvere il problema. Parla perché vuole essere capita e se viene capita si potrà sentire amata e protetta. La donna ha quindi bisogno di essere ascoltata, questo bisogno se soddisfatto fa crescere l’intimità nella coppia, ma non ha niente a che vedere con la risoluzione del problema ipotetico di cui sta parlando. 

L’orgoglio personale di una donna è proprio questo: dimostrare attenzione ai sentimenti, desideri e necessità altrui.

L’uomo su marte vive invece secondo dei principi totalmente diversi.

I marziani hanno come obiettivi: il potere, la competenza, l’efficienza e danno molto rilievo ai risultati ottenuti. Questi risultati però devono sempre essere raggiunti esclusivamente tramite le proprie forze. Gli uomini hanno tutto un altro modo di relazionarsi tra di loro. Essi non parlano per scoprirsi interiormente o per accrescere l’intimità, loro parlano solo per scambiarsi informazioni o per trovare la risoluzione razionale ad un problema.

Essi vedono il parlare come qualcosa di materialmente utile, non superfluo. Non danno consigli ma soluzioni. Non capiscono assolutamente l’arte del consigliare e non gli è congeniale per niente.

Il primo grande problema parte da questa differenza fondamentale. Ad una donna piace parlare con il proprio uomo. Le piace raccontargli tutto, le cose importanti e quelle superflue, ma non lo fa con un fine preciso, lo fa così. L’uomo dal suo punto di vista vede questo comportamento come una richiesta di soluzione che lei si aspetta da lui. Quando lui, interpretando male lei, offre la soluzione la donna ci rimane male perché non è quello di cui lei ha bisogno.

Il problema contrario, relativo alla cattiva interpretazione delle venusiane, è che per l’uomo un consiglio non richiesto è un insulto supremo. Infatti su marte l’uso dei consigli è sconosciuto. L’uomo fa sempre tutto da solo. Questo è un imperativo categorico.

 La donna cerca di aiutarlo secondo la propria natura, ma così facendo ferisce l’uomo, che si sente non accettato per quello che è e non stimato. Quando una donna ama un uomo, le viene spontaneo cercare di aiutarlo quando percepisce delle difficoltà o dei turbamenti in lui, ma sbaglia enormemente.

Non comprendendo a vicenda questo primo ostacolo si cominciano a fraintendere vari comportamenti.

 Gli uomini e le donne reagiscono allo stress in maniera diversissima. Per stress intendo un qualsiasi problema, o un insieme di situazione che ci turbano.

Anche in questo caso ignorando le differenze strutturali dell’uno e dell’altro genere rischiamo di finire in un buco nero.

Quando un marziano ha un problema, non gli piace parlarne, si rinchiude in se stesso per rielaborare interiormente e per cercare di trovare una soluzione. In questi momenti la donna non deve esserci, non deve stargli vicino e non deve intromettersi perché così facendo rovinerebbe il processo di assimilazione tipico dell’uomo. L’uomo stressato preferisce svagarsi, fare qualcosa che non lo fa pensare e che lo diverte, vuole evadere. La donna quando è nella stessa identica situazione fa esattamente il contrario. Ha un bisogno viscerale di aprirsi, di comunicare i suoi turbamenti, di ricevere consigli e rassicurazione. Se questo non accade si sentirà sempre più turbata fino a scoppiare.

Il punto è, che poche donne lo sanno, io e tutte le mie amiche per esempio, non eravamo a conoscenza di questo ”piccolo dettaglio”, quindi pur pensando di fare del bene facevamo male. Dare consigli o arrabbiarsi con lui perché si nasconde, diventa assente, distante, irrecepibile è sbagliato. Lui ha bisogno di risolvere il problema da solo. Poi in un secondo momento tornerà senza spiegazione e come se nulla fosse accaduto.

D’altro canto non aiutare una donna in difficoltà, non ascoltandola o ascoltandola in modo assente e non partecipativo è l’errore che fa l’uomo. Ci sentiamo trascurate, non capite, non importanti e soprattutto inutili. Quando abbiamo un problema che per noi “povere donnine” è enorme, ci sentiamo rispondere che non è niente, che non sono questi i problemi o semplicemente ci viene proposta una bella soluzione pronta, di cui non ci facciamo assolutamente nulla perché è come se non avessimo fatto capire quello che stavamo dicendo. Noi parliamo per sentirci meglio, è verissimo, ci dilunghiamo nei dettagli (che per lui sono insignificanti e irritanti). Questo costituisce per noi il gusto del parlare, la nostra natura.

Per andare d’accordo bisognerebbe andare dritte al punto e poi semmai allargarsi, bisognerebbe inoltre specificare prima che non ci aspettiamo una soluzione. Infatti l’uomo ha paura dei nostri turbamenti perché si sente il diretto responsabile. Pensa che se qualcosa va storto è colpa sua, di conseguenza non si sente accettato e apprezzato.

Noi donne invece ci rimaniamo molto male quando il marziano si chiude in se stesso perché vorremmo aiutarlo con tutti i nostri mezzi, come siamo abituate a fare quando una nostra amica o nostra sorella ha bisogno di noi. Con lui ci ritroviamo private di questo piacere, di aiutare tramite questa capacità di empatia che ci rende peculiari. Niente da fare, bisogna arrendersi all’evidenza se non si vuole precipitare in un vortice di incomprensioni che poi aumentano fino a non ricordarsi neanche più perché si sta insieme.

La cosa più strana è che noi donne tutto ci potremmo immaginare tranne che le cose stiano così. Vediamo l’uomo indistruttibile, fiero e mai io avrei pensato che invece è così sensibile. Sensibile a tal punto da far dipendere la sua apertura dalla nostra approvazione.

Infatti l’uomo ha paura di dare perché ha paura di sentirsi inadeguato, ha una gran paura di fallire e di non sentirsi all’altezza. Per l’uomo non sentirsi accettato equivale ad una morte lenta. La donna facendo delle rimostranze, esigendo attenzioni e presenza che lui non dà da solo, ma che noi puntualmente ci aspettiamo, facciamo in modo che lui non si senta accettato. Quindi provochiamo un bel disastro pur non essendone coscienti. Infatti finchè non ci mostreremo soddisfatte di lui e non daremo più la sensazione di volerlo cambiare a tutti i costi, lui non ci darà mai niente. Avrà sempre più paura di sentirsi inetto ed inadeguato.

Parliamo lingue diverse e dobbiamo quindi relazionarci capendo il loro punto di vista e abbandonando il nostro. Quindi basta con i consigli non richiesti, basta con il voler a tutti i costi aiutare il patner quando vuole stare da solo. La cosa migliore da fare in questi momenti anche se risulta estremamente difficile per la donna è svagarsi, divertirsi, fare e pensare ad altro. Quindi è indispensabile avere altri punti di riferimento per non addossare tutto su di lui. Se infatti nel frattempo che il marziano riflette, noi ci andiamo a  divertire, gli alleggeriremo il peso. Almeno non dovrà preoccuparsi anche del nostro malessere.

Quando poi tornerà non bisognerà fare delle domande inutili ma solo ringraziarlo e incoraggiarlo. In fondo se ci siamo legate il motivo nella nostra mente c’è ed è chiaro. Quindi perché non dirglielo spesso, visto che è questo quello di cui ha bisogno. Lui vuole sapere perché abbiamo scelto lui, quali miglioramenti ha reso alla nostra vita la sua presenza. Altrimenti se ci sentirà solo lamentarci finirà per convincersi che ci fa solo soffrire e non si aprirà facilmente.

E’ tutto molto complicato, dal momento che anche noi abbiamo i nostri periodi e i nostri cali di umore. Noi vorremmo che lui capisse da solo ma “parliamo lingue differenti”.

“Io vorrei che lui desse importanza ai miei interessi e invece di pressarlo per fare qualcosa insieme, esigendo da lui l’iniziativa, dovrei solo aspettare o chiedere con modi che non lo turbino, cioè che non lo facciano sentire non accettato”.

I consigli poi hanno un effetto terribile, visto che trasmettono la sensazione che lui da solo non sa fare niente, quindi non potrà avere fiducia in se stesso.

Ha paura, come d’altronde abbiamo paura noi, solo che noi questa paura la esterniamo, loro assolutamente no, se la tengono dentro e ci mandano in confusione. Ora devo dire che sembra tutto molto più facile. Certamente non sarà semplice applicare queste direttive, specialmente all’inizio, ci potrà sembrare di essere false, ma sapendo che in questo modo la comunicazione migliorerà penso di sentirmi abbastanza incoraggiata a provarci.

Le differenze non sono finite qui, l’uomo e la donna hanno dei cicli in cui il loro umore e grado di intimità cambia.

Gray chiama gli uomini “elastici” e le donne “onde”. La metafora dell’elastico è esemplare per far capire alle donne una cosa che prima non ci saremmo mai spiegate: da un momento all’altro, specialmente quando comincia ad andare tutto per il verso giusto, l’uomo sparisce e non vuole più parlarci e vederci. Quello che a noi arriva è: non ti voglio più bene! Invece no, lui va via e quando torna è tutto meglio di prima. Ma tu nel frattempo cos’hai fatto? Come sei stata?…ovvio malissimo. Per l’universo maschile questa fuga è indispensabile. Quando infatti l’uomo raggiunge un grado di intimità tale, ha poi bisogno di recuperare la sua autonomia e indipendenza, per poi ritornare, più motivato a dare e ricevere affetto ed attenzioni. Interpretando erroneamente l’accaduto noi abbiamo accumulato tanto risentimento durante la sua assenza. Lui torna con tutte le più buone intenzioni, ma noi lo rifiutiamo verbalmente e non. E’ proprio dal nostro sguardo freddo, poco convinto e da come diciamo le cose che lui viene deluso. Lui è fuggito per tornare a dare, ma noi pensiamo solo che si sta prendendo gioco di noi. Abbiamo difficoltà a dargli fiducia, che è proprio il suo primo bisogno emotivo, mentre il nostro è la sollecitudine. E’ qui che la barca si incaglia, si entra in un circolo vizioso, si ci si vuole bene, ma non basta.

Noi donne dice invece Gray siamo come onde. Quando siamo nel pieno dell’innamoramento riluciamo di amore e di gratificazione. L’uomo all’inizio della relazione pensa che questa situazione durerà per sempre e si sbaglia. Le fasi esistono anche per noi. Da un momento all’altro scendiamo nel “pozzo”. E’ proprio questo il momento in cui abbiamo bisogno di sfogo, a volte il turbamento non è chiaro agli uomini, che pensano in modo più logico e razionale. Diventa impossibile capire il nostro tormento, che si manifesta sotto forma di angoscia inspiegabile. Ma la loro incapacità di capire ed ascoltare peggiora le cose. Anziché di minimizzare il problema dando soluzioni, farebbero meglio ad ammettere che fanno fatica ad ascoltare. Siccome essi pensano, che sia la nostra felicità che l’infelicità dipenda da loro, nel secondo caso lo sconcerto è grande. A loro basterebbe controbattere questo nostro stato con un amore incondizionato. Ma non è facile comprenderci, questo è da ammettere. Bisogna poi aggiungere, che i problemi che abbiamo, dipendono per il 90 per cento da problemi irrisolti del nostro passato e solo per il 10 per cento dipendono dal momento presente. Questo stato di fatto è relativo sia alla donna che all’uomo. Sono sempre gonfiati i nostri turbamenti amorosi e questo perché quando amiamo ritornano a galla tutte le nostre paure relative alla crescita.

Di queste paure bisognerebbe parlarne, ma ci risulta tutto molto difficile. Allora dovremmo scriverne, consiglia Gray, scrivere delle lettere d’amore, quando siamo da soli, per riuscire a fare emergere il vero problema e renderlo così più chiaro.

Accennato  questo, vorrei parlare del capitolo che mi ha sconvolto più di tutti e cioè la diversità dei nostri bisogni emotivi primari. Uomo e donna hanno dei bisogni emotivi diversi, abbiamo diverse priorità, ignorandole però non sappiamo come aiutarci a vicenda.

Le donne hanno bisogno di amore in questo ordine:

  • sollecitudine
  • comprensione
  • rispetto
  • devozione
  • rassicurazione

Gli uomini hanno bisogno d’amore in questo ordine:

  • fiducia
  • accettazione
  • apprezzamento
  • ammirazione
  • incoraggiamento

Abbiamo entrambi bisogno di tutti e dieci i tipi di amore, ma se non saranno soddisfatti i primi cinque, che sono quelli primari, non potremo godere degli altri. Se prima non mangio e non bevo, sarà superfluo il comprare un vestito alla moda visto che la mia vita sarà più che breve.

L’illuminazione che segue da questo elenco è la seguente: se noi donne soddisfiamo il bisogno primario dell’uomo di fiducia, lui ci risponderà naturalmente con sollecitudine. Così sarà conseguentemente per tutti  gli altri bisogni.

Ora sapendo che è così facile non basta che provarci. Spero di farcela, e spero di poter dare ragione al signor Gray, per adesso posso solo dire che  do ragione al prof. Fattorello che con le sue intuizioni ha dato inizio alla vera comprensione del mondo.

Cioè comprendere l’altro. Infondo anche questo libro non è che l’affermazione di quanto tratta “La  teoria della tecnica sociale dell’informazione”. Se non capiamo l’importanza della diversità dell’altro e ci comportiamo come se fossimo al centro del mondo, come se il nostro punto di vista fosse il migliore, finiamo solo per cozzare contro la complessità sempre  crescente in cui viviamo. Niente è più facile, se pensiamo alla comunicazione poi ci rendiamo conto che riusciamo anche a farci fraintendere da chi ci vuole bene e ci conosce, (parlo anche di persone del nostro stesso sesso).

Si pensi poi a chi non ci conosce e non sa nulla di noi…

Non serve spiegare noi stessi, serve capire, capire e capire l’altro. Poi le cosa si spera  verranno più facili.

Tecniche di Seduzione

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” URBINO – Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione – Prof. Giuseppe Ragnetti – Materia d’insegnamento: Tecniche relazionali e comunicative

“Tecniche di Seduzione”

Elaborato di Elisa Ravaglia

Premessa

La Seduzione

Ho sottoposto alcuni miei colleghi al significato di questo termine.

Che cos’è la seduzione?

“Fascino irrazionale che ti cattura e tu non te ne accorgi”,

“Un gioco di sguardi misterioso bellissimo”,

“Un’attrazione inconsapevole tra un uomo e una donna, ma anche tra persone dello stesso sesso  e che non deve perciò essere necessariamente finalizzata all’atto sessuale”,

“Qualcosa di non propriamente lecito, un gioco sporco, dove qualcuno cattura, strega, inganna qualcun altro”.

Che cosa ritieni seducente?

“Una bella ragazza, una bocca sensuale, un paio di gambe lunghe e un po’ storte, un sedere sporgente, un modo di parlare, di muovere le mani, di camminare, un timbro di voce”.

Chi è seducente?

“Sharon Stone in Basic Instinct nella scena in cui accavalla le gambe senza indossare la biancheria,

“Charlize Theron nella pubblicità della Martini quando, mano a mano che si allontana di schiena dalla telecamera,  le si scuce  il vestito,

la burbera impetuosità di Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi, le gambe storte di Alessia Marcuzzi, la camminata legnosa della giornalista Daria Bignardi, i primi piani sulle labbra di Scharlett Jhoansonn in Match Point di Woody Allen”,

e poi ancora:

l’accento della compagna di corso,

il profumo del vicino di banco,

l’esuberanza nell’abbigliamento mista al modo di fare, di atteggiarsi del coinquilino, la svampitaggine di una ragazza qualunque, ecc ecc”.

Questo lavoro parte dalle risposte date dai miei colleghi per poi estendersi ad analizzare alcuni aspetti della seduzione e le rispettive tecniche alla luce della teoria e del pensiero di Francesco Fatterello.

Introduzione

L’elaborato si compone di quattro parti; un primo capitolo in cui, partendo dall’etimologia del verbo “sedurre”, traccio una breve genesi del significato del termine; da come da azione inconsapevole, istintuale e di accezione negativa, il verbo “sedurre” acquisti, nei secoli, un valore sempre più positivo di atto consapevole e intrigante.

Nel secondo capitolo prenderò ad esame la seduzione nel suo significato più comune: seduzione come comunicazione amorosa, come approccio eterosessuale e, dopo aver passato in rassegna le principali tecniche che operano nella seduzione tra uomo e donna, spiegherò come, alla luce della teoria fattorelliana[1], tali tecniche, pur valide e comprovate, non riscuotano sempre, e per diverse ragioni, lo stesso esito in tutti i soggetti recettori a cui si rivolgono. Allo stesso modo analizzerò anche la seduzione mediatica, in particolare quella seduzione che è alla base della produzione pubblicitaria la quale, sempre secondo quanto teorizzato da Fattorello, è un’informazione di tipo contingente strumentalizzata a scopo commerciale.

Come la seduzione amorosa, anche la seduzione mediatica si avvale di tecniche di seduzione che sottintendono la realizzazione degli spot e che, per quanto valide ed efficaci, non garantiscono quella persuasione occulta tanto sbandierata e osannata dalla moderna sociologia dei media, la stessa che considera il recettore, in questo caso il pubblico, come una massa priva di individualità e soggettività, vittima passiva della seduzione operata dai (mass) media.

Capitolo 1. Che cos’è la seduzione?

Dal latino “SE-DUCERE” dove “se” è prefisso separativo che significa “allontanare”, mentre il verbo “ducere” deriva da “duco” e significa condurre.

Originariamente questo verbo ha accezione negativa significa infatti allontanare dalla retta via, con lusinghe e astuzia; sedurre come arte di attirare qualcuno in disparte, come capacità di essere seducenti.

Seducenti, inoltre, sono anche tutti quei  piaceri verso i quali si è irresistibilmente attratti (s. del cibo, del denaro, della fama, della gloria, s. del sesso, ecc ecc).

E se cerchiamo sul dizionario della lingua italiana (Devoto-Oli) la parola “seduzione” essa è così lemmatizzata: “sostantivo femminile, istigazione alla colpa, al male, con allettamenti e lusinghe: seduzione al furto. Più com. fascino, capacità di suscitare un’attrazione viva o addirittura irresistibile”.

I suoi sinonimi sono: allettamento, attrazione, adescamento, lusinga, attrattiva, fascino, prestigio, corruzione.

I suoi contrari sono: antipatia e ripugnanza.

L’etimologia del termine seduzione, quindi,  è antica e ha accezione negativa.

Le prime forme di seduzione sono inconsapevoli; l’approccio è finalizzato alla scelta del partner migliore,  quello più attraente, più “sano”, e sempre soggettivamente più adatto a preservare la propria stirpe.

Ma, con l’evolvere  della civilizzazione e della cultura[2], dopo l’oscurantismo medievale e il rinascimento, a cavallo tra il ‘600 e il ‘700 si approda alla nozione moderna, e più positiva di “seduzione”, quella di arte consapevole e divertente, intrigante e magnetica tra due o più persone che si carica di una valenza psicologica e di costume.

Sedurre diventa un’arte quotidiana che si regge su equilibri casuali, alchemici, fortuiti, e delicati, ma anche su schemi ricorsivi e standardizzati, sono le tecniche di seduzione.

Nel ‘900 la seduzione vive un vuoto artistico riempito dallo star system, dai media e dai messaggi persuasivi; le teorie sui media del dopoguerra parlano di persuasione occulta e inconsapevole (teoria ipodermica) che opera su un soggetto recettore passivo, persuasione che viene definita  seduzione tout court.

Capitolo 2. La Seduzione come una comunicazione amorosa

 Nell’accezione più comune del termine “seduzione” risiede il concetto di seduzione tra due persone di sesso opposto, tra un uomo e una donna, e sempre nell’immaginario collettivo legato al verbo sedurre c’è sempre la diatesi attiva e quella passiva,  c’è chi seduce e chi viene sedotto.

A corroborare questa concezione troviamo un lungo inventario di tecniche si seduzione che, secondo diversi manuali di sociologia e di psicologia contemporanea, garantiscono l’efficacia della seduzione e assicurano al soggetto che le mette in atto e che secondo la terminologia della teoria dell’informazione fattorelliana  è il soggetto promotore (SP), di sedurre la vittima, ovvero il soggetto recettore (SR).

Le tecniche di seduzione nella seduzione amorosa[3].

La tecnica principale è l’empatia con la quale il seduttore si mette nella stessa condizione del soggetto sedotto, condivide la stessa condizione sociale, politica, lavorativa, propaga la stessa fede religiosa, prende parte alla stessa lotta politica sostenendo gli ideali ecc ecc.

Un altro meccanismo di seduzione è quello dell’esibizione della propria prodigalità che consiste nel donare qualsiasi bene alla persona che si desidera sedurre.

Il meccanismo insito in questa tecnica è quello dell’attimo fuggente; implicitamente si dichiara alla persona che questo è, grazie alla sua presenza, il momento più bello della propria vita.

Esiste poi anche la tecnica della progettualità da sfida che si esercita quando si vuole sedurre qualcuno solo per salvarlo da una situazione disastrosa e/o pericolosa, quando cioè si vuol portare a sé, sedurre, conquistare una persona sofferente e problematica solo per misurarsi con le proprie potenzialità di sfida (es. la tecnica della crocerossina, tanto cara alle ragazze).

Se la seduzione è comunicazione allora la tecnica più immediata e, forse, più potente e antica al contempo, è la seduzione attraverso la bellezza, in primis quella esteriore, che si manifesta avvalendosi  canale visivo (aspetto estetico, cura del corpo, abbigliamento, postura, movenze, gestualità), quello uditivo (il tono, timbro, modulazione della voce, velocità d’eloquio, argomenti trattati, cultura. simpatia), quello olfattivo, (l’odore della pelle, il profumo, l’alito, …) e quello tattile (stretta di mano, prossemica, rispetto della distanza interpersonale) e che si realizza mediante una trasmissione di informazioni verbali e non verbali.

È vero che le tecniche di seduzione esistono, ma non sempre basta adottarne una, o anche tutte insieme, per far si che la seduzione messa in moto dal soggetto promotore risulti efficace sul soggetto recettore. Primo perché la seduzione è un gioco bilaterale dove nessuno è passivo ma entrambe le parti hanno pari dignità, pari peso, uguale partecipazione e forza, secondo perché, sempre secondo quanto sostiene la teoria fattorelliana, non esiste una tecnica di seduzione oggettivamente e universalmente valida ma la sua efficacia dipende dal soggetto recettore e dal suo proprio background socio-culturale.

Basti pensare che una stessa tecnica di seduzione, sempre la stessa, con una persona più funzionare e con un’altra no.

Capitolo 3. La seduzione nell’ informazione pubblicitaria

La vera differenza tra l’essere sexy o seducente: sexy è banale, inflazionato, solo di pelle; seducente vuol dire intelligenza, gioco, ironia, intuizione e un po’ di cattiveria… Tutte cose molto più intriganti.

Milka Pagliani[4]

Prima di cominciare ad elencare le tecniche di seduzione con cui lavorano i pubblicitari per la realizzazione degli spot televisivi, vorrei specificare che la seduzione lavora anche  dietro e all’interno dei programmi, di tutti programmi in cui quotidianamente ci imbattiamo.

Per quanto concerne il prodotto pubblicitario esso è, sempre secondo quanto teorizzato dalla Teoria della tecnica sociale dell’informazione di Francesco Fattorello, un’informazione di tipo contingente e in quanto tale dotato di tutti gli elementi propri di modalità.

La pubblicità si basa quindi sulla novità, che spesso sfocia nel sensazionalismo, sulla tempestività, sulla genericità, del soggetto promotore e recettore, sulla ripetizione e sull’unilateralità del processo contingente.

A differenza della seduzione amorosa, la seduzione pubblicitaria è strumentalizzata a scopi economici (vendita del prodotto) mentre, parimenti a quella amorosa, anche la seduzione mediatica opera grazie ad alcune tecniche volte ad attirare l’attenzione pubblico con un prodotto che gioca sul nuovo, sull’incredibile, sul sensazionale, con qualcosa che nel bene e nel male secondo chi lavora nella progettazione e dei palinsesti e della pubblicità, non può non restare impresso nella mente disindividualizzata e passiva dei soggetti recettori, visti come massa.

Ugo Volli[5] traccia una breve descrizione di che cos’è la pubblicità, del fatto che la comunicazione pubblicitaria è per lo più una comunicazione non verbale dove a prevalere è la componente visiva.

Da qui l’importanza di alcune tecniche di seduzione pubblicitaria legate alla scelta della grafica, della fotografia, di una frase che passa sullo sfondo o di un testimonial  più o meno noto, più o meno popolare, più o meno bravo, bello, autorevole che reclamizza il prodotto.

Tra le tecniche adoperate al fine di realizzare lo scopo prefissato dalla pubblicità che è quello di far sì che lo spot stupisca, nel bene e nel male, e faccia parlare di sé, molto importante risulta anche l’aspetto fonico-musicale come una bella musica che si sposa con la grafica, un suono evocativo, o una  voce seducente, magari conosciuta, che parla sulla sfondo.

Altre tecniche di seduzione adottate in pubblicità sono state esaminate da Anna Maria Testa[6] e sono così riassunte:

Iperbole: l’esagerazione  connaturata alla comunicazione commerciale. Si cerca cioè di esaltare la propria merce;

ironia: tecnica abbastanza difficile da applicare in una campagna pubblicitaria poiché, basandosi su un’affermazione ironica, generalmente sul prodotto in questione, che è l’esatto opposto da ciò che è il prodotto nella realtà e, da per scontata la capacità del soggetto recettore di conoscerla e, poi, di comprenderla;

straniamento: consiste in una procedura formale volta a creare immagini non banali, non automatiche diverse dalla percezione consueta. Si tratta di una tecnica capace di dare rilevo emozionale a una comunicazione pubblicitaria altrimenti fredda. Generalmente, attraverso lo s., l’immagine apre lo spot e la parola lo chiude (es. Alfa Romeo), ma sarebbe possibile anche il contrario.

Lo stereotipo è la tecnica più usata in pubblicità, perché proprio per la sue caratteristiche riconoscibili e consolidate, si racconta da solo e in pochissimo tempo.

Tra gli stereotipi ci sono: la figura della casalinga, del manager, dell’avvocato, la giovane e inesperta, la vecchia ed esperta, il nonno sorridente, il bimbo birichino, la famiglia a colazione… A un concetto si aggiunge un’emozione che agisce sul piano visivo, tra le due, poi, ci deve essere un continuo equilibrio tra tensione e coerenza.

Conclusione

Vi siete mai chiesti perché uno spot pubblicitario che a qualcuno fa impazzire a voi non piace affatto?

O per quale ragione una certa persona che secondo qualcuno è molto seducente per voi non lo è per niente?

Le tecniche di seduzione, sia per quel che concerne la seduzione come comunicazione amorosa, sia per quanto riguarda la seduzione nella progettazione pubblicitaria, esistono e sono, specie quelle medianiche, processi molto più che consapevoli.

Presuppongono una parte attiva della seduzione, colui che seduce, ovvero il soggetto promotore e una passiva, un uomo o una donna nella seduzione amorosa, un pubblico generico, intenso, non specializzato nella seduzione mediatica, meglio definiti  come “soggetto recettore”.

Ma tali tecniche, insegna Fattorello, non risultano valide in sè.

Sempre alla luce delle “Teoria della tecnica sociale dell’informazione” infatti, SP e SR hanno pari dignità, quindi concorrono entrambi a rendere più o meno efficace la comunicazione senza che uno soccomba passivamente all’altro, ma abbia la facoltà di decidere, secondo la sua propria soggettività, se apprezzarle o meno, se rispondere o meno. Una pubblicità per quanto ben costruita, nuova, sensazionale, può non sortire sul soggetto recettore alcun esito, così come invece, la stessa, può sedurre un altro SR e indurlo, in un secondo momento, ad acquistare il prodotto.

Nell’informazione, nella comunicazione e in  questo caso nella seduzione non  esiste, dunque, una tecnica valida in sé, così come non esistono una parte attiva e una passiva, non regge il “sedurre” e l’essere sedotti”,  ma entra in gioco la soggettività, il libero arbitrio, le facoltà opinanti, il sistema valoriale, il  background culturale del soggetto recettore che a sua volta può decidere di diventare soggetto promotore, quindi parte attiva della comunicazione, mente pensante in quanto essere dotato di sua propria soggettività.

Tutti possiamo essere seduttori, se lo vogliamo, non c’è nessuna vittima della seduzione e, di conseguenza, la seduzione non è persuasione, né tanto meno persuasione occulta, o gioco sporco, ma comunicazione tout court, che generalmente risulta tanto più efficace tanto più conosciamo il soggetto recettore con cui stiamo comunicando.

Infine, per chiarire che cosa si intende per comunicazione, mi aiuto riportando le parole di maestro Fattorello che attingono dall’insegnamento di Socrate[7]:

  • la comunicazione è relazione con gli altri, è un comune sentire dove entrambi i soggetti crescono nella relazione che stabiliscono,
  • i soggetti, in particolare il recettore, sono attivi ed entrambi dotati di facoltà opinanti (toglietevi dalla testa i condizionamenti, le persuasioni occulte ecc),
  • le parole acquistano significato nella nostra mente e non possiedono valore di per sé. Ciò è fondamentale perché presuppone la conoscenza del soggetto recettore che abbiamo di fronte. Non possiamo parlare e cercare di stabilire un dialogo se pensiamo solo con la nostra mente e in base alla nostra acculturazione, esperienza di vita ecc ecc. Dobbiamo calarci nei panni del nostro soggetto recettore, capire che cosa è importante per lui! Solo così la comunicazione riesce e il dialogo diventa autentico. Tutte le incomprensioni nascono dal fatto che ognuno di noi continua a relazionarsi secondo il proprio punto di vista e non riesce a cogliere nell’altro ciò che per lui è importante.

[1] – G.Ragnetti, Opinioni sull’Opinione, Quattroventi, Urbino, 2005

Ragnetti,-a cura di – Teoria della tecnica sociale dell’informazione, Urbino, Quattroventi 2005

[2] – Cfr. G. Ragnetti, Opinione sull’opinione, Quattroventi, Urbino, 2005

[3] – Seduzione, Istituto Corel a cura di Alessandra Tedesca, Centro studi e ricerche sulle tecniche di comunicazione e sulle capacità relazionali, Casini Editore, Roma, 2007

[4] – D. Brancati, La pubblicità è femmina ma il pubblicitario è maschio, per una comunicazione oltre i luoghi comuni, 2 ed, Milano, I Segni 2004

[5]  – U. Volli, Il libro della comunicazione, Il Saggiatore, Milano, 2004

[6] –  U. Volli, Il libro della comunicazione, pagg. 151, 152

[7] – Dispensa consegnata durante le lezioni in aula “Comunico ….ergo sum”

Achille o Acilήos? Al buon comunicatore la scelta

Elaborato di Tecniche di Relazione – Professore Giuseppe Ragnetti

“Achille o Acilήos? Al buon comunicatore la scelta”

a cura di Emma Re Cecconi

E’ suonata già da qualche minuto la campanella di inizio lezione quando la professoressa di italiano entra nella I C di una scuola media .

Gli alunni sono ancora un po’ assonnati nel momento in cui la prof. prende la parola:

“Oggi leggeremo il proemio dell’Iliade”dice “chi mi vuole riassumere che cosa ho spiegato riguardo ai poemi epici?”

Una mano si alza dal primo banco vicino alla finestra, “Posso dirglielo io…” sussurra la voce di una ragazzina.

La prima metà della lezione passa con l’elenco delle nozioni esposte nei giorni precedenti dall’ insegnante che aveva spiegato che cosa si intende per epica, quali sono le sue caratteristiche e il linguaggio usato, per poi passare ad esaminare, in maniera generale, la questione omerica e l’antefatto che causò lo scoppio della guerra di Troia, che è il filo conduttore dei 24 canti dell’ Iliade.

La prof. , poi, prende la parola e incomincia a leggere ad alta voce il proemio dell’Iliade:

Canta, o dea, l’ira di Achille Pelide,

rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei,

gettò in preda all’Ade molte vite gagliarde

d’eroi, ne fece il bottino dei cani,

di tutti gli uccelli – consiglio di Zeus si compiva-

da quando prima si divisero contendendo

l’Atride signore d’eroi e Achille glorioso.”

La lettura desta stupore e un briciolo di incomprensione tra gli ascoltatori della classe che non riescono a comprendere il significato di alcuni termini ed è per questo che la prof, per far capire il passo appena letto, decide di parafrasarlo in parole più semplici, utilizzando dei sinonimi.

Canta, o dea, l’ira di Achille figlio di Peleo,

che ha avuto catastrofiche conseguenze, che infiniti dolori inflisse agli Achei,

gettò nel regno dei morti molte giovani vite,

d’eroi, che divennero il pasto di cani e uccelli- la volontà di Zeus si realizzava-

da quando si divisero, litigando l’uno con l’altro,

Agamennone, figlio di Atrèo, capo di eserciti, e il nobile Achille.”

Si può notare che è stato compiuto un procedimento di semplificazione, in cui tutte le parole più complesse sono state sostituite con sinonimi o perifrasi:

Pelide: figlio di Peleo;

rovinosa: che ha avuto catastrofiche conseguenze;

Ade: regno dei morti;

gagliarde: giovani;

uccelli:..cadaveri dati in pasto a cani e uccelli, cioè insepolti;

consiglio: la volontà;

contendendo:litigando l’uno con l’altro

Atride: figlio di Atrèo.

Nonostante questo sforzo di semplificazione, si alza una mano dai banchi dell’ultima fila:

“Mi scusi” esclama una chiara voce “ io non so cosa significa la parola catastrofica…”

“ Un fatto è catastrofico quando porta delle terribili, disastrose…brutte conseguenze…Hai capito, ora?”

ùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùù

Ù

ùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùùù

Il ragazzino annuisce, sembra che abbia afferrato il concetto.

L’insegnante capisce che l’unico modo per arrivare nella mente degli alunni è quello di avvicinarsi alla loro ottica e di spiegare i versi omerici con termini più vicini al loro patrimonio conoscitivo e usare anche, conoscendo le loro possibilità e facoltà recettive e la  passione per i fumetti, alcune simpatiche vignette.

 

E’ suonata già da qualche minuto la campanella di inizio lezione quando la più temuta professoressa dell’istituto entra nella I B di un Liceo Classico .

I ragazzi ancora non sono seduti, alcuni fanno un gruppetto intorno al banco in cui troneggia la “Gazzetta dello Sport”, altri sono raggomitolati vicino al termosifone e si raccontano il week-end appena trascorso.

“Ragazzi, mi sembra che la campanella sia suonata da qualche minuto. Perchè non siete seduti?” ruggisce la professoressa.

In un attimo la classe si compone, oggi ci sono proprio tutti, siede nel proprio banco, vicino alla porta, pure il “Tomma”, che come dicono i suoi amici, “ fa buca un giorno si e l’ altro…si”.

L’insegnante, chiamata confidenzialmente “Hitler” dai suoi amati alunni, ripercorre in maniera sintetica gli argomenti trattati nelle ultime settimane durante le interminabili ore di greco: la questione omerica, la struttura dei poemi omerici, il dialetto dell’epica, la tesi “eolica” e quella “ acheo-micenea”, la Kunstsprache, gli elementi di stratificazione linguistica, alcune nozioni di fonetica, di morfologia e di metrica.

Al termine della sua dissertazione sottolinea che tutti gli argomenti trattati, così come, il proemio dell’ Iliade che si appresterà a leggere, saranno oggetto di un compito in classe.

“Bene ora incomincio a leggere il proemio dell’ Iliade, che come tutto il poema, è scritto con l’esametro dattilico catalettico che è basato sull’alternanza di brevi e lunghe, nonchè sull’ isocronia, per la quale ad una lunga corrispondono due brevi.”

“La traduzione in italiano la guardate voi nelle note del libro, non ho niente da dirvi riguardo al contenuto che già ben sapete…Analizzeremo insieme la struttura e la metrica.”

Così la professoressa inizia a spiegare dinanzi alla sua numerosa classe che riesce bene ad afferrare le  nozioni perchè si inseriscono in un patrimonio conoscitivo già esperto a questo tipo di concetti.

La spiegazione subito si focalizza sulla posizione enfatica dell’accusativo μήνιν, posto all’inizio del primo verso e in dipendenza dell’imperativo presente άειδε forma non contratta di άειδw  per poi passare al vocativo θεά di origine eolica e alla forma del dativo -οισι, nel vocabolo οινοισί, più frequente in Omero rispetto al tradizionale e consuetudinario –οις.

L’insegnante continua a spiegare gesticolando le sue esili braccia e aggiustandosi di frequente il solito ciuffo di capelli che non trova mai una stabile posizione : conoscendo le possibilità e le facoltà ricettive dei suoi scolari sotto i più diversi aspetti, adegua il  suo modo di spiegare per essere percepita nella maniera più esatta possibile.

Questi due semplici esempi esprimono in maniera molto chiara che non può esistere una comunicazione sempre valida e applicabile a qualunque recettore, ma che esiste una relazione comunicativa tarata su di esso.

Fu Francesco Fattorello, il primo in Italia a formulare una teoria sull’informazione e la comunicazione fondata su rigorose basi scientifiche, che prende il nome di Tecnica Sociale dell’ Informazione.

Esiste, dunque, un modo di interpretare i fatti oggetto di un rendiconto in base a un determinato soggetto recettore, che assume una valenza attiva pari a quella del soggetto promotore, interagendo sempre e comunque con chi innesca la comunicazione.

Il fenomeno dell’informazione si concretizza attraverso un rapporto che mette in gioco più termini: l’oggetto del processo di informazione, un soggetto promotore e uno recettore, lo strumento che serve a saldare il loro rapporto e il contenuto, ossia la forma di ciò che è oggetto del rapporto di informazione.

Questi aspetti fondamentali possono essere schematizzati da una formula ideografica:

x)

                               M

Sp                                                        Sr

                               O

Sp è il soggetto promotore che dà avvio all’informazione; Sr è il soggetto recettore; M  è il mezzo tramite il quale si salda il rapporto; ed infine O è la fomula data a x), l’oggetto dell’ informazione.

Sp e Sr sono i principali componenti dell’informazione: il primo trasmette la forma che ha attribuito a ciò che ha interpretato e con la quale cerca di rappresentare agli altri un determinato fatto o ideologia; il secondo non si limita soltanto a ricevere quella forma, ma la interpreta a sua volta.

E’ norma fondamentale per il soggetto promotore, al fine di mettere in atto un proficuo rapporto di informazione, conoscere i fattori di acculturazione del recettore, infatti solo così potrà adeguarsi a lui. Adeguarsi, ma non rinunciare al suo scopo e a quella iniziativa sulla quale si era proposto di ottenere una conforme adesione di opinione.

Fondamentale è, poi, la scelta del mezzo perchè ogni strumento possiede un proprio linguaggio ed è legato ad esso il tipo di recettore a cui ci si rivolge.

In base a questo schema possiamo analizzare gli esempi esposti nelle pagine precedenti.

L’oggetto della comunicazione, in entrambi i casi, è il proemio dell’ Iliade di Omero.

Primo caso

x) : proemio dell’Iliade

Sp: professoressa di una scuola media

Sr: una classe di prima media

O: formula data da Sp a x)

M: lingua parlata; uso di vignette.

L’insegnante utilizza, per farsi comprendere, uno strumento molto vicino al linguaggio dei suoi alunni: quello dei fumetti. Le persone adulte non capiscono il linguaggio delle vignette che tanto piacciono ai più piccoli: questo mezzo è dotato di una specificità del linguaggio fatta propria dai “recettori bambini” e non dai “ recettori adulti”.

Il docente si cala nello stesso ambito culturale dei soggetti recettori e cerca di venire a conoscenza dei motivi culturali che possono ispirare il loro comportamento.

Secondo caso

x) : proemio dell’Iliade

Sp: professoressa del liceo classico

Sr: una classe del terzo anno del liceo classico

O: formula data da Sp a x)

M: lingua parlata; uso della lingua greca.

Si può notare che la materia che è oggetto del processo di informazione, è uguale in entrambi i casi ma il modo di esporre il rendiconto dei fatti è diverso in base alle persone a cui è indirizzato.

Per essere recettore, è fondamentale, la sua socializzazione allo stesso ambito culturale del soggetto promotore: dove mancasse una tale corrispondenza culturale, il rapporto di informazione non avrebbe l’effetto voluto, il contenuto non potrebbe essere ricevuto o capito, oppure sarebbe capito male e, comunque, con difficoltà rilevanti.

Questo caso si sarebbe verificato se l’insegnante di scuola media avesse spiegato il proemio dell’ iliade in lingua greca con al seguito  nozioni sulla sintassi, fonetica e metrica.

Il contenuto sarebbe stato ricevuto dagli alunni-recettori?

Ovviamente no, a differenza degli alunni- ricettori del liceo classico che, in base alle loro facoltà percettive, capiscono il contenuto.

Il soggetto recettore obbliga quindi il promotore, che vuole trasmettergli nella maniera più efficace un messaggio, alla conoscenza delle sue possibilità e facoltà recettive sotto i diversi aspetti, condiziona l’elaborazione dei messaggi che gli devono essere adeguati, altrimenti non saranno percepiti e condiziona la scelta dello strumento. La bravura del soggetto recettore sta nel trasmettere il messsaggio nel modo più vicino possibile al suo recettore.

Il processo di informazione può essere contingente e non contingente:il primo è caratterizzato dalla rapidità e dalla limitatezza del lasso di tempo, entro il quale si deve concretare il rapporto tra i soggetti interessati; il secondo è molto più lento e alla ricerca di una adesione non immediata e tempestiva.

Il rapporto insegnante e alunno è tipico per indicare un processo di informazione non contingente: il professore impiega molto tempo per informare il suo alunno e ciò che gli spiegherà gli servirà per domani e per sempre, non è tanto correlato al momento presente, quanto alle esigenze alla cui cultura, il soggetto recettore deve essere educato.

Il recettore, in questo caso, è un gruppo caratterizzato da una certa omogeneità di età e, talvolta, di integrazione culturale che partecipa in maniera attiva: l’alunno pone domande, obiezioni al maestro e sottopone alla sua considerazione nuove idee.

La Tecnica sociale dell’ Informazione si basa sul presupposto che la comunicazione non è un processo definito, ma è in continua evoluzione, perchè semplicemente le persone sono diverse le une dalle altre e per questo è necessario utilizzare molteplici linguaggi e strumenti.

É fondamentale, quindi, la conoscenza del soggetto recettore che si ha di fronte perchè non c’è la possibilità di stabilire un dialogo se pensiamo solo con la nostra mente e in base alla nostra acculturazione o esperienza di vita.

Il Fattorello 2.0 – Opinioni opinabili nel Web di seconda generazione

Laurea Specialistica in Editoria Media Giornalismo – Università degli Studi “Carlo Bo” Urbino – Elaborato per “Tecniche di Relazione” – Prof. Giuseppe Ragnetti

“Il Fattorello 2.0 – Opinioni opinabili nel Web di seconda generazione”

a cura di Giuditta Avellina

Web 2.0, termine coniato da Tim O’Reilly e Dale Dougherty, rappresenta una nuova visione del web che si riferisce alle tecnologie di Internet che permettono ai dati di diventare indipendenti dalla persona che li produce o dal sito in cui vengono creati: l’informazione può essere suddivisa in unità che viaggiano liberamente da un sito all’altro, spesso in modi che il produttore non aveva previsto o inteso.

Una rivoluzione del concetto di opinione dominante, in puro stile fattorelliano: il paradigma del Web 2.0 permette agli utenti di prendere informazioni da diversi siti simultanemente e di distribuirle sui propri siti per nuovi scopi, aumentando la moltiplicabilità e la soggettività dell’opinione.

Ma qual è  il valore del web 2.0 in rapporto al concetto esteso di opinione?

– Potenzia la rete minore, ossia permette agli utenti non interessati ai grandi circuiti industriali bensì a prodotti meno commerciali, di trovarli ed acquistarli in rete. Amazon ed eBay hanno usato quest’idea per costruire società che valgono miliardi su miliardi.

Piccoli Pezzi, Slegati. Il monoblocco non esiste più. Non è agile. Quello che si è costruito non si può aggregare: è la somma delle singole opinioni a generare la totalità.

Self Service e Partecipazione. Ogni utente fornisce la propria opinione e partecipa alla modifica di quella altrui.

Decentralizzazione. Le singole fonti di funzioni sono singole fonti di fallimento ed oggi sono inaccettabili poiché non forniscono nè la distribuzione nè il ritrovamento di contenuti di valore significativo; invece, l’opinione, grazie al web 2.0, non parte da un centro ma dagli stimoli multilaterali delle parti.

Insomma, è un nuovo modo di intendere la Rete, che pone al centro i contenuti, le informazioni, l’interazione sulla rete globale che oltre ai computer, comprende altre periferiche quali il cellulare, la televisione, la radio, che possono interagire tra loro utilizzando le nuove tecnologie di condivisione, all’insegna della collaborazione, dell’interazione sociale realizzata grazie alla tecnologia.

I servizi e gli strumenti del Web 2.0 trasformano ogni utente da consumatore a partecipante, da utilizzatore passivo ad autore attivo di contenuti, messi a disposizione di chiunque si affacci su Internet, indipendentemente dal dispositivo che utilizza e dall’ambiente sociale in cui opera.

Gli stimoli diventano migliaia per un utente, e tra questi: cosa fa nella vita, il sesso/età, l’ambiente sociale, il linguaggio, lo stato economico,attività odiate/amate, modo di comportarsi, rapporti con altri, obiettivi della sua vita, punti di forza/debolezza.

Queste e mille altre variabili determineranno la crescita dell’utente navigatore del web: il suo orizzonte “virtuale”, sollecitato da tali stimoli, comincerà ad allargarsi e ad adottare norme sociali intorno a valori ed interessi che contribuiranno a formare le sue intenzioni personali. La matura navigazione sul web, gli consentirà di fortificare le proprie opinioni personali e gli darà altresì la possibilità, con tali opinioni, di agire a sua volta sull’ambiente sociale che lo ha formato (seppur, ovviamente, in virtuale).

In pratica:

AMBIENTE SOC. –> AGISCE SULL’UOMO —>

L’UOMO DIVIENE UTENTE

UTENTE —————————> AGISCE SUL WEB

Come si può chiaramente notare, il processo di condizionamento possiede una propria circolarità, nonostante l’ambiente sociale risulti più forte nel condizionare la personalità dell’individuo.

Le variabili sopra elencate (ambiente sociale,stato economico,ecc.) riusciranno a dispiegare la loro forza grazie a un processo mentale agevolato dall’educazione (che agisce attraverso attitudini) e dall’intelligenza (che genera un pensiero più personale) che consentirà all’utente una affiliazione alla community sul web.

L’affiliazione sarà confermata dall’adozione di dati stereotipi (il multilinguaggio del web 2.0), elementi preponderanti per sentirsi in armonia sociale: l’opinione espressa dall’utente sarà in armonia con gli stereotipi della community virtuale. 

Le communities virtuali sono generate da applicazioni, e le più diffuse del Web 2.0 sono: blog, social network, podcasting, bookmarking,wiki, ecc.

Tutte permettono la partecipazione nonché la diffusione di ciò che viene prodotto all’interno delle comunità interattive di fruitori/autori di contenuti.

Le materie e gli argomenti trattati spaziano lungo tutti i campi del sapere, rendendo ogni informazione immediatamente visibile e rielaborabile per qualsiasi media.

Può capitare che un articolo apparso su un quotidiano online sia commentato su un blog, per poi essere arricchito dall’aggiunta di contenuti audio e video, essere condiviso all’interno di una comunità, diventando a ogni passaggio sempre più approfondito e “popolare”.

La notizia, è insomma fonte e prodotto della non obiettività, essendo formata dalla somma di più opinioni e formandosi in un vero e proprio luogo di incontro, discussione e condivisione di argomenti e contenuti, disponibili come testo, immagini, audio e video.

Col Web 2.0 nascerà una visione del web in cui l’informazione viene spezzettata in unità di “microcontenuti” che possono essere distribuiti su dozzine di domini: Internet come la summa delle capacità tecnologiche raggiunte dall’uomo nell’ambito della diffusione dell’informazione e della condivisione del sapere.

Scorrendo l’elenco delle soluzioni Web 2.0 troviamo i wiki, l’espressione più democratica della diffusione della conoscenza attraverso la tecnologia.

La logica che muove e sviluppa i wiki è la partecipazione degli utenti a un obiettivo comune, come la realizzazione della più grande enciclopedia mondiale, la “Wikipedia“, o la creazione di un glossario informatico, o di una knowledge base dedicata a un argomento specifico.

Il metodo di lavoro è in questo caso l’elemento innovatore; chiunque può aggiungere o modificare il contenuto (testo, immagini e video) presente in un wiki. Ecco perché si può affermare che la partecipazione libera del singolo produce un bene culturale comune, fruibile da tutti gratuitamente.

Non si possono non menzionare i social network, o reti sociali, che consistono in gruppi di persone, con vincoli familiari e non, con passioni e interessi comuni, intenzionati a condividere pensieri e conoscenze. Si trovano online comunità di persone che condividono i link ai siti che ritengono interessanti, oppure alle proprie foto o video, come anche poesie, o anche resoconti di eventi cui hanno partecipato. Persone che hanno la capacità e la voglia di distribuire contenuti multimediali relativi ai propri interessi. Questi gruppi si rivelano spesso una preziosa fonte di informazioni e al contempo divulgatori specializzati in argomenti di nicchia.

Nel rapporto con l’altro, l’internauta proviene da varie esperienze di socializzazione e di acculturazione che lo hanno accompagnato durante tutta la sua vita: l’insieme di circostanze, credenze, valori ed eventi che lo hanno reso “sociale” avranno avuto modo di scontrarsi con miriadi di formule d’opinione, ossia opinioni propostegli da un ipotetico ”altro”.

E’ chiaro come egli, in parte, sarà contagiato dal gruppo d’interesse sul web, che contribuirà alla formazione delle sue attitudini sociali, ossia quel complesso sistema di rappresentazioni, ricordi, sentimenti, che è possibile sintetizzare nelle seguenti categorie:

  1. sentimenti collettivi
  2. ideali collettivi, atti a definire macroconcetti quali il bene,il male,ecc.
  3. idee, credenze, visioni del mondo

Che contribuiranno a definire l’utente quale membro sociale di “quel dato gruppo” e a farlo agire nei processi di opinione.

La cultura, bagaglio di conoscenze che ogni individuo eredita dal sociale, sarà un altro fattore primario che determinerà l’acculturazione dell’utente, ossia quel complesso processo di socializzazione (intesa come integrazione in società) e di assimilazione di credenze, tendenze e valori  provenienti dalla società medesima: insomma, una definizione molto vicina a quella di social network.

Condizionato da questa miscela esplosiva di acculturazione e attitudini sociali, l’utente deciderà se aderire o meno alle formule propostegli e in caso di esito positivo, si dirà che egli avrà dato la propria adesione d’opinione a un contenuto, scaricabile per scopo commerciale o per la libera circolazione del pensiero.

Se si verifica un’adesione a scopo commerciale si pensa immediatamente alla vendita di pubblicità o di servizi professionali su Internet, ma non vanno trascurate la visibilità e la credibilità che un’azienda può acquisire aprendo il proprio blog, o partecipando a comunità di nicchia i cui interessi coincidono con i prodotti offerti. Per non parlare dei vantaggi nel campo delle relazioni pubbliche e della comunicazione d’impresa: “io commerciante aderisco a una community virtuale per lavorare bene e farlo sapere a tutti”. E cosa c’è di meglio di un blog, o un wiki, o una community, per farlo sapere a tutti?

L’adesione a scopo libera circolazione del pensiero, possiede altrettanti importanti obiettivi:

  1. il contenuto cui si aderisce sarà completamente svincolato dalla sua rappresentazione;
  2. l’adesione genererà giudizi d’opinione che verranno aggregati e riaggregati secondo i bisogni degli utenti e saranno fruibile su diverse piattaforme di distribuzione;
  3. oltre alla capacità di comunicare in nuovi ambienti le proprie opinioni, si dovrà anche imparare a gestire nuove dinamiche relazionali (es.peer to peer) ;
  4. la comunicazione diverrà sempre più flessibile e adattata ai contesti ed ai comportamenti di fruizione, contro la presunta obiettività dei massimi poteri;
  5. si assisterà ad un aumento di nuovi contenuti creati oltre che a diverse nuove modalità di ricombinazione di vecchi contenuti che renderanno obsoleti i tradizionali concetti di protezione dei diritti e di digital right management.

Web 2.0 è la nuova democrazia, che permette a tutti di avere un opinione e, pur lasciando ai dati una loro identità propria, tale identità può essere cambiata, modificata o remixata da chiunque per uno scopo preciso.

Una volta che i dati hanno un’identità, la rete si sposta da un insieme di siti web ad una vera rete di siti in grado di interagire ed elaborare le informazioni collettivamente.

L’adesione da parte dell’utente a una data formula d’opinione proposta dalla community, ovviamente dipenderà dalla netta dominanza di alcuni fattori di conformità con cui egli possa agevolmente identificarsi, ossia quei fattori-chiave che serviranno da collante e polarizzeranno in un dato senso il rapporto promotore/recettore.

Infatti l’opinione proposta verrà passata al vaglio, misurandone attivamente(e non in modalità passiva!)la coerenza con la propria scala di valori e se e soltanto se essa coinciderà con i propri fattori di conformità, le si darà valida adesione.

Tra i fattori di conformità (e ve ne sono parecchi!), che polarizzeranno il singolo/il gruppo verso l’adesione a una data opinione, ricordiamo:

  • La ragione vs la superstizione (determineranno una maggiore/minore ragionevolezza da parte dell’individuo nell’aderire a date formule d’opinione)
  • I valori, ossia quell’insieme di contenuti cristallizzati nell’individuo che instabilmente vengono adottati/scartati dai gruppi sociali e che possiamo suddividere in:
    1. valori particolari (legati al rapporto tra valori tra singoli e valori generali)
    2. valori generali (legati al rapporto tra gruppi più vasti)
    3. valori assoluti (legati a un bene comune e pseudo-indiscutibile)
  • Il comune interesse (capace di generare comunità d’opinioni)
  • L’opinione della maggioranza, legata di volta in volta a diversi Sp
  • Gli stereotipi

L’utente si immerge totalmente nel sociale categorizzandolo in maniera contingente e distinguendo le aree di appartenenza predominanti all’interno del gruppo: l’ambiente sociale con cui si relazionerà causerà in lui curiosità e, di conseguenza, dubbi circa l’opinione da dare su una determinata circostanza (il dubbio negativo genererà ignoranza, quello positivo, incertezza).

L’insopportabile malessere provocato dal dubbio, lo costringerà a ricercare la ‘presunta’ verità ritenuta più plausibile e ad essa affiderà il proprio giudizio d’opinione per uscire dallo stato di insoddisfazione; tale opinione non sarà mai fine a sé o esaurita nella sua stessa essenza, ma avrà caratteristiche di contingenza che doneranno un momentaneo stato di quiete. Certo, dare forma e comunicazione al messaggio da veicolare implica una tecnica ben precisa, la tecnica sociale fattorelliana.

x)

                                   M

Sp                                                                 Sr

                                   O    

  • Sp, ossia il Soggetto Promotore,in questo caso rappresentato dall’utente;
  • Sr, ossia il Soggetto Recettore, in questo caso rappresentato dalla community;
  • X), ossia l’argomento vero e proprio oggetto del rapporto tra le parti, che però viene tenuto fuori dalla comunicazione tra le parti;
  • O, ossia la maniera in cui l’utente “confeziona”l’argomento per ottenerne l’adesione di opinione da parte della community;
  • M, ossia il mezzo con cui l’utente si rivolge alla community per ottenerne l’adesione d’opinione (es.blog, gruppi di discussione, myspace,ecc.).

Cosa cambia per le imprese sul web, con l’applicazione della tecnica sociale connessa alle innovazioni del web 2.0?

Web 2.0, per le net-companies, significa un diverso modo di approcciare la Rete. Utilizzare la molteplicità di opinione, per l’azienda, significa incoraggiare i contributi degli utenti, rendendo il sito web il più interattivo possibile, mediante recensioni e commenti: un utente, sempre più “smaliziato”, sempre più protagonista, che desidera assolutamente dire la sua.

E cosa cambia per gli utenti?

Web 2.0 è opinione dell’utente nonché sinonimo di intelligenza collettiva e network relazionale: la popolarità di un sito web o di un blog non è determinata solamente dal budget pubblicitario on line e off line stabilito da un’azienda. Se un sito web fornisce dei contenuti di qualità e/o di un certo interesse, suscita immediatamente la reazione positiva degli internauti. Si creerà così un effetto “passaparola” e il sito sarà linkato.

Ma l’opinione resterà modificabile. All’infinito.

Web 2.0 e la Tecnica Sociale dell’Informazione

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” – URBINO – Corso di Laurea specialistica in Editoria Media Giornalismo – TECNICHE DI RELAZIONE – Prof. Giuseppe Ragnetti

“Web 2.0 e la Tecnica Sociale dell’Informazione”

a cura di Mirko Chiappinelli

Sono passati ormai sette mesi da quando la mia attenzione di studente si soffermò su un fenomeno molto affascinante, una “evoluzione” per dirla come gli informatici, ovvero il secondo paradigma del Web. Questo argomento fu oggetto della mia tesi di laurea nel Luglio dello scorso anno e quello che mi colpì fu l’ampia letteratura dedicata alle funzioni sociali delle nuove proprietà del World Wide Web, inteso come strumento con il quale tutti gli utenti di questo mondo globalizzato si interfacciano alla Rete mondiale di Internet.

L’evoluzione sta nel fatto che le aziende leader del settore, le applicazioni e i siti web del momento sono accumunate dall’utilizzo di tecnologie e software che enfatizzano la collaborazione e la partecipazione collettiva degli utenti, cioè favoriscono quei processi sociali di comunicazione o “messa in comune” di individui con interessi, passioni, valori, credenze e attitudini comuni. Durante le lezioni del Prof. Ragnetti notai immediatamente una connessione tra il fenomeno sociale dell’informazione e la ragnatela sociale, creatasi grazie al Web 2.0, presente on-line.

A questo proposito è importante fare una precisazione: comunicare non è sinonimo di informare, ma ha un significato generico ed estensivo con il quale s’identifica il “mettere in comune”, mentre l’informazione ha a che fare con l’opinione e le intenzioni degli individui. Il fenomeno dell’informazione prende vita quando un soggetto promotore trasmette la sua opinione, anzi “da forma” alla sua opinione e la trasmette ad un soggetto recettore attraverso un determinato strumento di “messa in comunanza”. Il contenuto del rapporto d’informazione è la forma dell’oggetto del rapporto stesso e non è mai l’oggetto vero e proprio in virtù della soggettività di qualsiasi individuo.

x)

                       M

Sp                                           Sr

                       O

Sp è il soggetto promotore che ha l’iniziativa dell’informazione; Sr è il soggetto recettore; M è il mezzo utilizzato che veicola l’informazione;O indica la forma dell’oggetto d’informazione e quindi l’opinione; il punto x) rappresenta il motivo, la materia, l’intenzione ed è tra parentesi perché resta fuori dal processo. I due soggetti sono entrambi opinanti: il primo elabora una forma con la quale rappresentare agli altri quella cosa, quella ideologia o quell’opinione; il secondo non si limita a ricevere quella forma, ma la interpreta a sua volta e si fa promotore verso altri recettori della sua personale interpretazione.

Questo fenomeno non ha un inizio ed una fine come mostra la formula ideografica precedente ma è un istante del continuo articolarsi dei rapporti sociali, tramite i quali si rinnova continuamente la società. Perciò nel contesto sociale la formula sarà estesa in questo modo:

              M                       M                        M                        M

Sp                 Sr/Sp                 Sr/Sp                 Sr/Sp                 Sr/Sp

              O                        O                        O                        O

Il soggetto recettore di un rapporto diventa promotore nel successivo anello della catena che si sviluppa all’interno della complessa ed infinita ragnatela di rapporti sociali.

A questo punto del ragionamento sembra chiara la motivazione che accomuna il contesto sociale “reale” al contesto sociale “internettiano”: vediamo alcune caratteristiche di quest’ultimo e compariamole con i termini del fenomeno sociale dell’informazione e successivamente descriveremo le affinità del processo di formazione dell’opinione pubblica in società  e di quello in Rete.

Il Web 2.0 e la sua nuova cultura della condivisione aperta hanno favorito lo sviluppo della partecipazione dei singoli individui in una community sociale che crea contenuti online.

L’insieme della moltitudine delle piccole partecipazioni contribuisce al successo dei software sociali, ovvero quei sistemi online che realizzano vere e proprie reti sociali fruttando lo spirito di appartenenza dei gruppi di individui con interessi, opinioni e credenze comuni. Il Web 2.0 si presenta, in questo senso, come una grande conversazione in Rete tra tutti gli utenti del pianeta. Il sistema che permette la reale creazione di una rete sociale nel Web è l’Architettura di Partecipazione, ovvero l’insieme di quelle entità (aziende, progetti, network) che sono incentrate sulla cultura open (come l’open source che si propone di creare software a sorgente aperta, cioè senza diritti di tutela, per permettere a tutti gli utenti del mondo di modificarlo e di migliorarlo in virtù della convinzione che più persone ci lavorano sopra e più il risultato sarà qualitativamente alto) e di partecipazione, favorendo la cooperazione tra tutti gli utenti che sono coinvolti in una community sociale online.

Wikipedia rappresenta in pieno una rete sociale che grazie alla somma dei contenuti generati da qualsiasi individuo ha creato la migliore enciclopedia in rete, o per lo meno quella con più “voci” generate, considerando che comunque la qualità delle stesse non può essere di valore assoluto. Quindi possiamo definire un’architettura partecipativa come un sistema basato su principi democratici (la voce “Foggia” è stata creata perché la maggioranza degli utenti di wikipedia l’ha identificata con “una città della regione Puglia”) dove l’utente può aggiungere contenuti e al cui interno sia presente una Human Network basata su software sociali che mettono in comunicazione gli utenti stessi.

Questo contesto non è molto diverso da quello della vita in società dove la formazione dell’opinione pubblica viene favorita dalle dinamiche inerenti i soggetti del fenomeno sociale dell’informazione dove il promotore, o gruppo di promotori, cerca l’adesione di opinione di un recettore, o gruppo di recettori, attraverso un mezzo (software sociali in Internet) per giungere, grazie ai fattori di conformità, ad una opinione maggioritaria, ovvero l’opinione pubblica, riguardo un determinato oggetto (Foggia in wikipedia) in un determinato momento.

Se in un ipotetico referendum nazionale un gruppo di individui dovrà aderire all’opinione del partito del “si” o di quello del “no” tenendo presente le proprie attitudini, credenze e valori, i politici dovranno cercare di agire, per ottenere l’adesione al loro partito tramite la tecnica sociale dell’informazione, nel modo più vicino possibile ai loro interessi, e se il risultato del referendum dirà che ci sono tre gruppi e cioè uno del si, maggioritario (distribuzione delle opinioni conformata), uno del no e uno degli astensionisti, minoritari; si può, quindi, affermare che l’opinione pubblica sull’oggetto del referendum è conformata verso il si.

E Se immaginiamo che all’interno della ragnatela di Internet, nello specifico nella blogosfera, ovvero il mondo dei blog dove i blogger pubblicano dei “post” giornalmente su questioni inerenti tutte le sfere della cosa pubblica e non, un argomento contingente viene cliccato maggiormente dai lettori del Web e questo argomento è l’eutanasia, possiamo, allora, aspettarci una clima d’opinione di questo tipo: la maggioranza dei “click” dei lettori riguarda articoli o post a favore dell’eutanasia e ciò costituisce l’opinione dominante degli utenti del Web riproponendo un processo, quello della formalizzazione dell’opinione pubblica, che domina la reale ragnatela di rapporti: la società.

L’uomo se isolato non è in grado di esprimere un’opinione individuale, né tantomeno una pubblica. Per poterlo fare ha bisogno di un insieme d’individui che opinano con lui e che siano legati tra loro dagli stessi interessi. E’ il gruppo a generare la formazione dell’opinione pubblica in quanto i suoi membri sono accomunati da stessi valori e interessi che permettono a loro stessi di tendere verso un’opinione simile e di differenziarsi da chi non ha gli stessi interessi.

Per Jean Stoetzel sulla determinazione delle opinioni di un individuo influiscono molte determinanti esterne come l’ambiente sociale dove si cresce fin da bambini, lo stato economico, il luogo, l’ambiente familiare, le amicizie, l’ambito professionale, l’educazione, l’intelligenza e tutte queste determinanti influiscono sugli impulsi originali ed autonomi di ciascuno di noi. Tutto ciò fa si che si creino dei gruppi in società, tutti noi apparteniamo a dei gruppi e siamo estranei ad altri, e ne conseguono i sentimenti di amicizia e di rivalità che si instaurano tra i vari gruppi.

L’affiliazione al gruppo s’identifica con l’adozione degli stereotipi per uniformarsi in armonia con il gruppo. Quindi, secondo Stoetzel, l’individuo si forma socialmente attraverso questo complesso di attitudini personali che condizioneranno i processi d’opinione. In pratica, direi ironicamente, il filosofo francese ha anticipato di qualche decina di anni i principi fondamentali secondo i quali le aziende leader del settore di Internet hanno realizzato tutti i Social Network, sistemi basati sui “profili” personali degli utenti/individui, basati sulla suddivisione in gruppi di discussione, di valori, di interessi, gruppi professionali, e dove la distribuzione delle opinioni individuali di un gruppo crea delle “opinioni di gruppo” nell’accezione di Stoetzel.

I Blog sono nati come pagine personali e diari di personaggi che volevano dare sfogo al proprio narcisismo, ma in breve tempo sono diventati veri e propri mezzi, anche e spesso usati dai giornalisti, per comunicare, anzi per informare su un determinato “oggetto” in un determinato momento, e quindi opinare.

D’altra parte i frequentatori del Web, sempre più numerosi, in quanto lettori-recettori si trovano a dover accettare o a respingere l’adesione di quella opinione. Se, come dice Stoetzel, “opinare significa per il soggetto porsi socialmente in rapporto con il suo gruppo e con gli altri gruppi esterni” allora possiamo dire che aveva ragione Luca Grivet Foiaia quando affermava, nel suo ultimo libro dedicato al Web 2.0, che “Con il processo di conversazione dei blog, si crea sulla Rete qualcosa si simile alla formalizzazione dell’opinione pubblica”.

Come la tecnica sociale dell’informazione ha riportato l’attenzione sul ruolo attivo nei processi relazionali sia del promotore che del recettore, smentendo tutte quelle teorie che ostinatamente attribuivano ampi poteri di persuasione e manipolazione dei media nei confronti di un “pubblico” impotente; così il Web 2.0 grazie alla bi-direzionalità inerente alla generazione dei contenuti, ovvero il paradigma read/write secondo il quale tutti gli utenti hanno la possibilità di essere fruitori e creatori di contenuti diventando attivi grazie alla “piattaforma di partecipazione” di Internet.

La circolarità è una caratteristica dei processi relazionali della nostra società ed è il principio cardine delle nuove tecnologie applicate alla comunicazione, mentre la pari dignità dei soggetti “promotore e recettore” rappresenta né più né meno il doppio ruolo degli utenti del Web 2.0 in quanto generatori di contenuti e fruitori di contenuti.

Se la Rete venisse considerata come un sistema di comunicazione per le persone e il computer come amplificatore della mente umana (“dar forma”), si può assolutamente definire la ragnatela globale online come un mezzo che favorisce l’interconnessione delle menti pensanti e opinanti degli utenti (soggetti “promotore e recettore”) all’interno di un ambiente che dal filosofo francese Pierre Lèvy fu definito il cyberspazio (opinione pubblica), cioè l’ambiente di comunicazione dei gruppi umani (gruppi di opinione). 

In ultima analisi vorrei sottolineare ancora una volta l’affinità tra la rivalutazione della dignità dei soggetti che rappresentano i termini della tecnica sociale dell’informazione che grazie al Prof. Francesco Fattorello ne ha rivalutato le capacità nel processo che li relaziona nella società, e la rivalutazione delle persone comuni come agenti attivi nell’era dell’informazione grazie agli strumenti che Internet ha messo a disposizione di tutti; quest’affinità è rappresentata dalla prima pagina di “TIME” del 13 dicembre 2006 quando la rivista assegnò il consueto titolo di “Person of the year” e sulla copertina apparì un computer con un generico “YOU” sullo schermo, e sotto questo mero strumento tecnologico un testo chiariva: “Si, tu. Tu controlli l’era dell’informazione. Benvenuto nel tuo mondo.”

Il diavolo, Francesco Fattorello e Jean Stoetzel vestono “Prada”

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” URBINO – Corso di Laurea specialistica in EDITORIA MEDIA GIORNALISMO – Esame di Tecniche di relazione – Prof. Giuseppe Ragnetti

Il diavolo, Francesco Fattorello e Jean Stoetzel vestono “Prada”

Lavoro a cura di Martina Zelco

Al titolo “Il diavolo veste Prada”  alla maggior parte della gente verrà in mente il  film di David Frankel ma, non tutti sapranno che, alla base di questa pellicola di risonanza mondiale c’è il romanzo, dal medesimo titolo, dell’autrice statunitense Lauren Weisberger. Prima di diventare un’affermata scrittrice tradotta in tutto il mondo, la giovane Weisberger ha iniziato a lavorare, proprio come la protagonista del suo bestseller come giornalista: appena laureata ha infatti trovato un impiego come assistente della dirigente di una importante rivista di moda, Anna Wintour di ‘Vogue’ (tra l’altro citata anche nelle ultime pagine del romanzo), ritratta poi nel suo libro col nome di Miranda Priestly, della fittizia rivista ‘Runway’. Andrea, l’alter-ego della scrittrice, accantona il suo obiettivo di diventare una giornalista del ‘New Yorker’ quando le viene fatta la proposta di lavoro in questo giornale, posto che nessuna neolaureata può rifiutare in quanto, dopo solo un anno di gavetta, si è certi di poter arrivare dove si vuole grazie alla potenza e alle conoscenze di questo guru della moda.

Siamo nella colorata e caotica New York, città per eccellenza della moda e del glamour. Andrea è una giovane neolaureata in lettere che cerca disperatamente lavoro. Nonostante il suo curriculum di tutto rispetto l’unico lavoro che le viene offerto è come assistente in una rivista di moda: Runway. Alla ventitreenne, in realtà, questo mondo non interessa ma, sa che entrando in una rivista di così grande portata le si potrebbero aprire molte strade nel mondo del giornalismo.

Andrea non è frivola, è la tipica ragazza seria “della porta accanto” con degli amici con dei lavori umili ed un cuoco come fidanzato. A capo della rivista in cui è stata presa c’è la crudele Miranda Priestly. Lei, esattamente come la sua rivista, sono impeccabili in ogni particolare. Miranda è la donna più potente nel settore della moda,  e basta un minino errore per perdere il lavoro nella sua azienda. Miranda è classe, eleganza e perfezione, Andrea è semplicità, “goffaggine” e sbadataggine. Eppure lavoreranno assieme.

Miranda si rivela essere il più spietato e crudele dei capi e caccia Andrea in situazioni scomode, che risultano poi divertenti, e cerca di piegarla al suo volere e di plasmarla a sua immagine fino a quasi rovinarle la vita. Essere l’assistente personale di Miranda significa: girare in limousine per cercare un antiquario fantasma in tutta New York, scartare e catalogare centinaia di regali di Natale, lasciare a casa il fidanzato per andare a una festa di vip, spedire una gonna a Santo Domingo senza sapere quale, imparare a memoria tutti gli invitati della settimana della moda di Parigi e mandare oltreoceano una copia dell’ ultimo  Harry Potter, la sera prima dell’uscita ufficiale. Senza contare una serie infinita di assurde richieste quotidiane, che arrivano ad ogni ora del giorno e della notte. Il “gioco” è duro ma per Andrea si tratta solo di stringere i denti per un anno senza lasciarsi trasportare esageratamente dal mondo della moda. Con il passare dei mesi, però, il non lasciarsi trasportare non risulta così semplice.

Se all’inizio la neolaureata guardava quasi con disprezzo il mondo di passerelle e lustrini ora l’ammirazione per il talento di Miranda e l’attrazione verso accostamenti, accessori di lusso e scarpe firmate prendono il sopravvento su di lei, innescando un processo di trasformazione radicale del look, del guardaroba e del modo di rapportarsi con il suo lavoro. Andrea sembra quasi dimenticarsi delle sue radici e comincia a prendere più consapevolezza di se e ad acquisire quella perfezione ed efficienza lavorativa che erano esclusivi del suo capo.

La prima lezione che Andy impara è che l’industria della moda, che lei guarda con intellettuale disprezzo, è meno superficiale di come si immagini, dietro a quello che vediamo sulle passerelle o sulle copertine delle riviste, c’è il duro lavoro di migliaia di persone. La nostra assistente impara inoltre molte cose sull’ambizione e la sulla carriera, e quale prezzo si è disposti a pagare pur di raggiungere il successo: sacrificare famiglia, amore e valori vale il raggiungimento di un obiettivo professionale?

Miranda, quasi a conclusione dell’anno di lavoro, sceglierà proprio Andrea per accompagnarla all’ambita settimana della moda di Parigi dove si “guadagnerà” un possibile avanzamento di carriera. La giovane assistente si trova così davanti ad una scelta: cercare di ricostruire la sua vita sentimentale e relazionale o avanzare nel lavoro? Complici i consigli e il perbenismo del mentore – art director Nigel e di una Miranda nuova nelle vesti della moglie abbandonata e triste Andrea decide di tornare alle sue origini ritrovando, come era prevedibile, l’amore del suo delizioso fidanzato. La non scelta del sottostare a Miranda ci ricorda che la nostra libertà resta, indissolubilmente coniugata con la possibilità e la responsabilità della decisione.

IL LIBRO “Il diavolo veste Prada” di Lauren Weisberger

 Un libro leggero, scorrevole che diverte, non manca di verve e fa anche pensare. Potremmo definire questo romanzo come una commedia glamour dalle ambientazioni scintillanti e sfarzose, le battute pungenti e le solite rivalità tra donne. E’ un quadro colorato del mondo della moda, la sua efficacia è forte ed è sicuramente aiutata da una città di stile come New Your.

La scrittrice Lauren Weisberger dipinge situazioni al limite del paradosso con ironia e passione, perché quello descritto è lo sfavillante mondo della moda, che lei conosce bene, come  ex assistente personale di Anna Wintour, direttore di Vogue America. Nel romanzo la storia è raccontata seguendo i passi di Andrea con stile amalgamato, deciso e coinvolgente, senti di essere una sua amica, di condividere le sue confidenze, la conosci, la ammiri. Andrea nel libro cambia, si evolve. Da brutto anatroccolo a cigno su 15 centimetri di tacchi, ma non è solo un cambiamento estetico il suo. C’è anche un’evoluzione affettiva e psicologica. La domanda di fondo, quindi, è: vale la pena di affannarsi così tanto per il lavoro? Sta proprio qui la parte più profonda e attuale del libro, che analizza, tramite battute e aneddoti, una vera e propria questione sociale in grande ascesa in una società così frenetica che vede la famiglia sempre più in crisi, spesso proprio per stress e mancanza di tempo.

Probabilmente questo romanzo deve il suo successo di vendite anche ad un titolo intrigante ed al fatto di essere figlio di questi tempi e in quanto tale gradito a un pubblico che vi si riconosce, anche se il mondo della moda, che doveva essere il punto forte del romanzo, è trattato un po’ superficialmente. Il romanzo è indicativo di una dimensione della narrativa declinata al femminile e di una certa posizione di questa “femminilità stereotipata ma non troppo” nella società; in esso c’è una componente che un giorno verrà vista come parzialmente sovversiva, perché i generi sessuali perdono i confini, perché le donne rivelano disinibizioni e pensieri che non si potrebbero credere, perché i romanzi migliori offrono contesti originali e impensabili.

IL FILM “Il diavolo veste Prada” di David Frankel

Divertente, frivolo, straordinario. Trasposizione cinematografica dell’omonimo best-seller autobiografico di Laura Weisberger, “Il Diavolo veste Prada” è quasi una rivisitazione della favola di Cenerentola, dove la protagonista più che un principe azzurro trova una mai posseduta eleganza e una maggiore consapevolezza di se.

Il film guarda con ironia all’inferno della moda, mettendo in luce gli aspetti dominanti di un universo in cui “milioni di ragazze ucciderebbero per avere un posto”: ambizione, carrierismo, ipocrisia, culto della forma. Ma soprattutto: abiti, gioielli, scarpe, borse e cinture. Tutto rigorosamente firmato.
Una commedia ben riuscita che riflette sull’eterno fascino di lusso, fama e successo professionale. In breve: lavoro di responsabilità, ascesa sociale e ricchezza assicurate o “due cuori e una capanna” con normalissimi amici e tenero boyfriend, umile cuoco innamorato? La protagonista si trova perennemente di fronte a questo interrogativo e la sua anima sembra scegliere la via del Diavolo: come le ricorda il compagno, “la persona con cui hai un vero rapporto è quella di cui non perdi mai una telefonata”. Miranda Priestly, dunque.

Amici, amore, famiglia: tutto sembra vacillare di fronte allo sfarzo del glamour newyorkese e parigino, vero protagonista del film, ritratto con abilità da David Frankel. Lo spettatore si butta dentro le immagini a capofitto, ritrovando una leggiadra perfidia che c’è nel romanzo, i tempi e i ritmi ti catturano; un film dotato di una potenza capace di far sussultare il nostro contemporaneo e i suoi pilastri fondanti. Al cinema, a differenza delle pagine del libro, invece di farti coinvolgere si ammira, si resta esterni. Spettatori di qualcosa di bello e curato, il prodotto è raffinato e si propone come eccitantissimo; una sfilata di moda lunghissima, un bagno di colori e griffe dove ciò che è glamour è anche crudele, in agguato, pretenzioso, capriccioso, affilato come una lama che taglia l’ autostima e il rispetto degli altri. Sta di fatto che il “vendere l’anima al Diavolo” da parte della protagonista si realizza solo attraverso un cambio d’immagine.

Come dire: è un quasi addio all’introspezione psicologica che è presente nel libro. Andrea, dopo un breve ma intenso periodo di fatiche e umiliazioni, inizia a guardare il mondo con gli occhi del successo e dell’ambizione (tanto che Miranda le confesserà di vedersi rispecchiata in lei), ma la trama non approfondisce questo momento di passaggio: si limita a mostrarla rinnovata nel look e nell’atteggiamento. Nel film la dimensione affettiva della protagonista è semplificata e narrata male, Anne Hathaway, infatti, ci dona un’apprezzabile interpretazione di “occhioni dolci” , forse un pò troppo affascinante nei panni di Andy, l’adattamento tende ad appiattire lo spessore e l’introspezione psicologica della protagonista.

Questa forse una delle poche pecche della pellicola.  Un film comunque da vedere, perchè bruciante e ficcante come solo la satira americana sa essere, ma anche efficacemente patinato ed edulcorato da diventare una sorta di cenerentola moderna priva dello zucchero Disney.

Il film regala uno spaccato tagliente e sarcastico del pianeta moda, pur riconoscendone le traiettorie trasversali all’arte e alla cultura , nonché le sostanziose ricadute economiche e l’influenza sul costume globale, ma il suo aspetto meglio riuscito e memorabile è rappresentato dalla performance attoriale di Meryl Streep, la quale da vita ad un personaggio estremo nella sua sgradevolezza e presunzione , ma anche umano nella sua ambizione e nella sua apparente contraddittoria fragilità. L’attrice rapisce con una recitazione che è tutta nei movimenti delle labbra, nei cenni del capo, nell’angolazione e nell’inclinazione dello sguardo, nel registro vocale, nei toni bisbigliati; fredda ma in fondo umana, regale ed altera anche quando mostra la sua vulnerabilità; impeccabile nel modo di congedare con “è tutto!”

Analisi de “Il Diavolo veste Prada” (film e libro) secondo le teorie dell’informazione di Fattorello e la teoria delle opinioni di  Stoetzel.

La Tecnica Sociale Fattorelliana,  spiega con una semplice e altrettanto esaustiva formula quali siano le correlazioni tra i vari fattori che operano in ogni processo di informazione. Esiste un Soggetto Promotore, il quale interpreta secondo la propria visione soggettiva un fatto, un’informazione, che chiameremo “X”. Il Soggetto Promotore trasmette l’informazione usando un mezzo (il giornale, ad esempio) per comunicare questo messaggio a un Soggetto Recettore (chi legge il giornale). Inoltre il Soggetto Promotore elabora l’informazione usando un modo di raccontare l’accaduto.

Questo elemento si chiama “Formula d’Opinione” e varia a seconda del destinatario al quale va il messaggio. Infatti il Soggetto Promotore non può avere la presunzione di scrivere come se stesse stilando un diario personale e che un pubblico indistinto debba riuscire a capire ciò che scrive. A seconda del Soggetto Recettore (il quale va studiato anteriormente, nella sua acculturazione, nelle modalità che questo preferisce usare per comunicare, ecc…) la Formula d’Opinione e il Mezzo varieranno. Nella sua rappresentazione grafica, possiamo esprimere la formula fattorelliana seguendo queste interconnessioni:

In questo modo le due parti coinvolte nel processo di informazione assumono una pari dignità. Il Soggetto Promotore racconta la sua visione soggettiva della realtà, il Soggetto Recettore riceve il rapporto d’informazione nei modi e con i mezzi che a questo si adattano maggiormente. Per comprendere correttamente i contenuti il Soggetto Recettore rielabora a sua volta l’informazione ricevuta secondo la sua percezione della realtà. Questo diviene così Soggetto Promotore instaurando un nuovo rapporto d’informazione verso altri Soggetti Recettori con Mezzi e modalità (M ed O) consoni a questi ultimi, e così via.

In questo modo si costruisce la rete dell’informazione rispetto a un determinato fatto e per un determinato gruppo di persone tra loro legati da rapporti d’informazione.

Da ciò deriva il nome di Tecnica Sociale dell’Informazione.           

Il fenomeno dell’informazione è molto vasto e complesso, ed è opportuno quindi fare una duplice classificazione: l’informazione può essere contingente e non contingente.

L’Informazione Contingente si avvale di opinioni generiche legate alla loro tempestività, sono punti di vista di un soggetto che ha a sua disposizione stretti limiti di tempo nei confronti di un recettore che è altrettanto pressato dall’urgenza e dalla curiosità di conoscere. La rappresentazione ed interpretazione di ciò che è oggetto di informazione, ovvero la forma, si avvale di stereotipi, i quali vengono recepiti istantaneamente. Possiamo quindi dire che le caratteristiche principali dell’informazione contingente sono:

  • unilateralità del processo
  • tempestività
  • pubblicità
  • soggetto promotore specialista
  • soggetto recettore generico
  • contenuto generico
  • stereotipi di cui si avvale
  • novità

L’Informazione Non Contingente, non è legata a stretti limiti di tempo, certo legate ad esigenze contingenti ma accettate attraverso un processo storico da una società, di cui sono diventate patrimonio tradizionale; qui la forma rispetta i valori, atti a formare attitudini profonde.

Quindi l’informazione non contingente è dotata di:

  • bilateralità del processo
  • soggetto promotore specialista
  • soggetto recettore qualificato, omogeneo
  • contenuto specifico
  • si avvale di valori
  • articolazione tramite procedimenti logici e razionali
  • assenza di novità
  • assenza di tempestività

Secondo Fattorello, l’attività di informare si può avvalere di molti strumenti, in questo caso; con il “Diavolo veste Prada” la vicenda viene narrata con due mezzi di comunicazione diversi : la carta stampata e il cinema.

Il libro è informazione non contingente in quanto le esigenze del soggetto recettore riflettono una modalità di apprendimento che non ha limiti ne di tempo, ne di spazio, non sono quindi caratterizzate dall’immediatezza e dalla tempestività. Questi limiti definiscono i bisogni di un differente tipo di recettore, vincolato dalla necessità di ricevere un informazione tempestiva, dunque contingente. Semplicemente, il libro è un chiaro esempio di informazione non contingente perché l’adesione ad esso è più lunga, in quanto entrano in ballo esigenze di comprensione, di riflessione e di razionalità. Bisogna capire prima di aderire, infatti il soggetto usa il suo  bagaglio socioculturale, i suoi schemi mentali, per poter leggere e comprendere il romanzo. Il processo si basa su procedimenti logici e razionali.  

Al contrario il film ha un tempo breve, poco più di un’ora e mezzo, e quindi l’adesione è rapida, essendo ricca di splendide immagini e sgargianti colori il recettore non si ferma a riflettere ma si limita ad osservare. Il recettore, inoltre, è rappresentato da un gruppo generico, eterogeneo e intenso. Lo stesso mezzo è usato per saldare il rapporto tra i due Soggetti: il cinema è caratterizzato dalla ripetitività e periodicità delle proiezioni in un arco del tempo variabile. L’informazione è quindi contingente.

L’informazione oltre a passare attraverso due differenti strumenti, è narrata da due differenti soggetti promotori, legati dal rapporto che si instaura tra promotore e recettore. Fattorello sostiene che i due principali termini dell’informazione sono soggetti opinanti, in quanto il soggetto promotore, come già detto in precedenza, trasmette la forma che ha dato a ciò che ha interpretato, cercando in questo modo di rappresentare ad altri quel fatto o quell’ ideologia. Il soggetto recettore, invece, interpreta a sua volta l’informazione pervenuta e si fa promotore verso altri della sua personale interpretazione.

Semplicemente, il promotore ed il recettore sono sullo stesso livello e sono sempre gli stessi. Nel “Diavolo veste Prada” (libro) il soggetto promotore primo, è la Lauren, la quale attraverso il libro ha narrato la sua storia. I lettori, soggetti recettori, sono diventati a loro volta promotori nel momento in cui hanno riferito la vicenda letta, secondo la personale interpretazione, ad altri (soggetti recettori). Il regista e la sceneggiatrice fanno parte dei soggetti recettori perché hanno interpretato ed elaborato, secondo il loro punto di vista e la loro opinione, la trama del libro adattandola alle esigenze cinematografiche.

Anche la teoria di Jean Stoetzel è applicabile ad un passaggio del libro in questione (dico libro, e non film, perché il cambiamento di Andrea è molto più completo ed efficace nelle pagine del romanzo che non nelle immagini del film). La neolaureata dall’inizio della storia alla conclusione ha un cambiamento radicale di opinione sul mondo della moda. Da non sapere se Gabbana si scrive con due o una B a vestirsi con dei capi extralusso, da ignorare i nomi dei giornali sulla moda a leggerne tantissimi tutti i giorni.

Inizialmente il suo scopo era poter lavorare in un famoso giornale, e il lavoro di assistente a Runaway era solo la via per esaudire il suo sogno. Avere dei pregiudizi e rimanere sulle sue idee erano le caratteristiche con cui Andy inizialmente si approcciava al nuovo lavoro e al mondo della moda. Con il passare del tempo, però, si accorge che per raggiungere il proprio obbiettivo e finire l’anno di lavoro a Runway era necessario adattarsi a quel mondo che, a suo “primo” parere, era così superficiale e frivolo.

Nel momento in cui Andrea cambia il suo look, diventando una quasi modella, in lei cambia anche l’opinione sulla moda in generale. Stoezel sostiene che ogni uomo appartiene ad un gruppo sociale, e lo ritiene come ideale, considerando gli altri gruppi inferiori; l’adesione ad un gruppo comporta anche l’adozione degli stereotipi, questo, per l’uomo è un modo di uniformarsi e di stare in armonia con il proprio gruppo.

Il gruppo sociale di appartenenza della nostra protagonista è sicuramente un ambiente semplice dove la moda e il glamour sono solo elementi superficiali e da prima pagina. Andrea ha quindi, adottato dal suo ambiente sociali determinati stereotipi che erano ben lontani dal mondo della moda. Nonostante ciò è interessante come l’assistente di Miranda si trasformi pagina dopo pagina. Abbiamo l’adesione ad un altro gruppo sociale che con il passare del tempo porterà all’allontanamento dalla famiglia e dagli affetti avviene, cioè, rottura con il suo gruppo sociale di appartenenza. Il cambiamento di opinione sulla moda è stata quindi una manifestazione che si è concretizzata con l’adesione ad un gruppo sociale diverso da quello in cui Andrea è cresciuta.

Opinione per Stoetzel è infatti porsi socialmente in rapporto con il proprio e altri gruppi. L’opinione della minoranza, in questo caso il mondo di Miranda e più in generale della moda, ottiene l’adesione del recettore, Andrea, che non lo accetta passivamente ma solo dopo un’attenta valutazione di coerenza con le proprie scale di valori. Andrea scopre che la moda non è solo frivolezza ma anche duro lavoro fatto con passione. L’Impegno è sicuramente un valore con il quale lei è cresciuta. Anche la scoperta della fragilità di Miranda rimanda al gruppo sociale di appartenenza di Andy. Andrea quindi si uniforma al nuovo gruppo sia perché ritrova in questo dei valori a lei cari sia per stare in armonia con esso e con i suoi membri.

La favola dell’oggettività – Perché non parliamo di fatti, ma di interpretazioni dei fatti

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” URBINO – Laurea specialistica in Editoria Media Giornalismo – Tecniche di relazione – Prof. Giuseppe Ragnetti

“La favola dell’oggettività – Perché non parliamo di fatti, ma di interpretazioni dei fatti”

a cura di Marco Guardanti

Spesso, si dice che uno degli imperativi della deontologia di ogni giornalista sia rispettare l’oggettività dei fatti. Ovvero, ogni giornalista che si rispetti dovrebbe riportare la realtà dei fatti esattamente così come si è verificata, senza alcuna influenza o interpretazione.

Assai meno di frequente, di contro, si realizza che questo è impossibile. Laddove vi sia comunicazione, c’è sempre interpretazione. Gli uomini non sono macchine, sono individui, soggetti. E sono tali sia che facciano i giornalisti, i professori, gli studenti o qualsiasi altra professione. Ciò implica che chiunque, nessuno escluso, detiene una formazione personale psico-sociale ben definita, cresciuta e cristallizzata sulla base di esperienze e valori consolidati del gruppo di cui si fa parte. Alla luce di essa, come si può parlare di oggettività?

Esaminiamo la questione in maniera generale. Se assistiamo ad un evento, uno qualsiasi, e poi riportiamo il resoconto di esso ad un interlocutore che non era presente, è lampante che non sarà l’evento stesso a proporsi a lui, quanto, piuttosto, una nostra interpretazione di esso. E centinaia sono i fattori che concorrono a definire e particolareggiare tale interpretazione.

Infatti, guardare una cosa da due punti di vista, significa, spesso, guardare due cose. E’ una questione di prospettive. Se assistessimo, per assurdo, allo stesso avvenimento per due volte, senza serbare memoria della precedente ma variando la posizione di osservazione, e poi seguitassimo a parlare dell’evento, ne daremmo due descrizioni differenti. Forse in minima parte, forse esponenzialmente, ma differenti.

Inoltre, nel riportare il nostro racconto a chi ci ascolta, ci serviamo di infiniti accorgimenti, inconsci o perfettamente consapevoli, con i quali diamo una forma, una “fisicità” all’idea che vogliamo trasmettere. Lo stesso evento di prima, tanto per intenderci, necessita di una sua forma comunicativa per essere narrato. E tale forma è mutevole e dipende da tanti fattori. Il mezzo che usiamo per trasmettere l’informazione, il destinatario a cui ci rivolgiamo, i rapporti che abbiamo con esso, eccetera.

Nondimeno, la nostra natura di soggetti permane sempre, anche quando presenziamo all’ormai celebre evento. Qualsiasi sia la specificità di esso, noi la filtriamo attraverso la nostra personalità, i nostri dettami culturali, le nostre idee, specie quelle non contingenti, ossia radicate, cristallizzate a livello educativo e valoriale. Per chiarire, ritorniamo all’esempio precedente, sempre ragionando per assurdo: se facessimo assistere due individui differenti ad un medesimo avvenimento, dalla medesima posizione, otterremmo comunque due racconti diversi, forse, chissà, persino incompatibili. Questo perché i nostri filtri agiscono anche se non badiamo loro, anche se cerchiamo di zittirli o nasconderli in vece della ricerca chimerica di una tanto decantata oggettività.

Diamo corpo al nostro esempio. Supponiamo, banalmente, che il nostro summenzionato evento non sia altro che l’avvenuto screzio tra un cane ed un gatto, quest’ultimo scacciato dal giardino del primo. Ci sono vari modi in cui il presunto “fatto” può essere riportato, confacenti alle attitudini personali di colui che narra. “Aggressione subita da un ignaro micetto indifeso” e “Finalmente Fido si è liberato dell’odioso gattaccio” sono due modi, esemplificativi quanto estremi e ironici, per dire la stessa cosa. Non per niente, leggere i titoli della più parte delle testate giornalistiche italiane si traduce in un esercizio simile.

Ma torniamo al nostro diverbio tra animali domestici. Nel descriverlo, anche laddove si cercasse di essere il più attinente possibile alla neutralità, quest’ultima non sarebbe che un miraggio. Se non altro, perché le idee personali premerebbero comunque per uscire. Supponiamo, nel caso, che tale notizia sia riportata da un accanito cinofilo, o, all’opposto, da un amante dei gatti. Il risultato, al di là di ogni tentativo o spinta verso la presunta neutralità, sarebbe, molto probabilmente, influenzato dalle vicende personali e dai personali gradimenti dei due narratori.

Non va dimenticato, infine,  che l’atto informativo avviene tra due soggetti, come detto sopra. E’ un soggetto colui che parla, o scrive, o filma; ma la stessa condizione è propria anche di colui che ascolta, o legge, o guarda. Gli schemi interpretativi che adottiamo quando esplicitiamo qualcosa, andranno, giocoforza, valutati e interpretati (sì, ancora!) da colui o coloro che interagiscono con noi. Pertanto, se le parole, il tono e i gesti da noi scelti per comunicare ci appariranno perfetti e funzionali allo scopo per cui li abbiamo chiamati in causa, alla valutazione altrui gli stessi procedimenti potrebbero risultare diversamente.

Poniamo il caso che il cinofilo di prima recensisca la cacciata del gatto all’amante dei felini, di cui sopra, ignaro del fatto. Quest’ultimo potrebbe non gradire l’interpretazione vittoriosa e positiva dell’evento, conferita dal “rivale”. Ecco che l’incomunicabilità dei soggetti potrebbe emergere senza troppe esitazioni, condannando i due a non capirsi, a non raggiungere una vera comunicazione (secondo l’etimologia, “comunicare” significa “mettere in comune”: è evidente lo scarto tra l’uso colloquiale del termine, inteso come informare). La ricerca di adesione, di accordo, di omologazione sociale che tanto ci sta a cuore quando intessiamo le nostre relazioni comunicative sarebbe, senza dubbio, ben ardua da ottenere, in questo caso. Ma non solo in questo. Possiamo ipotizzare infiniti motivi di conflitto nell’espressione di opinioni.

Se il cinefilo parlasse ad un altro cinefilo ed essi fossero, poniamo, rivali in amore, probabilmente le vicissitudini personali dei due occulterebbero ogni comunanza canina, finendo per creare attriti anche se, sulla carta, il discorso in sé non poneva alcun punto di contrasto. O, ancora, se il cinefilo fosse in compagnia della moglie, amante dei felini, e dovesse fare ad un amico il resoconto di quanto avvenuto, egli propenderebbe per una versione meno schierata dalla parte del cane, per quieto vivere coniugale. Eccetera.

Ora, ben consapevoli delle velleità e dell’ironia delle situazioni proposte, è tuttavia innegabile che esse siano, in qualche modo, confacenti alla realtà. La soggettività dei soggetti (e la cacofonia è ancor più esemplificativa) in gioco durante il processo della informazione è tale da influenzare l’intero processo, in ogni sua parte, in modi talmente viscerali che, spesso, sono difficili da prevedere a priori e spiegare a posteriori.

Un metodo più scientifico e meno scenografico per descrivere questo fenomeno, che mette una pietra definitiva sulle pretese di oggettività, è esemplificato nella teoria della tecnica sociale, di Francesco Fattorello.

In maniera chiara e scientifica, tale teoria esplica le influenze e le modalità di realizzazione dei processi informativi. Lo schema che ne deriva, intuibile e preciso, è il seguente:

x)

                                                             M

                                                 Sp                    Sr

                                                             O

Come si può vedere, l’oggetto reale x) di cui si dibatte, non è interno alla comunicazione. Noi non possiamo, in tutta evidenza, riprodurre concretamente lo stesso evento, mentre ne narriamo la nostra interpretazione. Ciò che possiamo fare, ed infatti facciamo di continuo, è dare una rappresentazione, una forma alla nostra opinione, (O) e trasmetterla attraverso un mezzo (M) adeguato, per ottenere l’adesione che agogniamo.

Le “S” poste davanti alla “p” di Promotore e alla “r” di Ricettore ci ricordano, e faremo sempre bene a non dimenticarlo, che il processo dell’informazione avviene tra Soggetti, eguali tra loro.

Siamo, in tutta evidenza, anni luce lontani dai modelli di comunicazione pseudo-matematici che propinano un Destinatario passivo, subordinato ad un’Emittente quasi onnipotente, a livello di trasmissione dell’informazione.

Si tratta di soggetti interpretanti, non di macchine programmate per trasmettere input. E, in quanto tali, i soggetti si trovano su un medesimo piano comunicativo, come ben reso dalla linearità della loro posizione nello schema. Non sussistono, tra promotore e ricettore, rapporti di potere tali da ignorare i filtri interpretativi l’uno dell’altro. Non si possono semplicemente bypassare, per usare un termine informatico. Certo, è possibile ottenere prestigio, autorevolezza, specie se si detiene una posizione rispettata all’interno di un gruppo sociale, o se si padroneggiano tecniche comunicative, così come un bravo artigiano sa plasmare i materiali con cui lavora. Ma i divari terminano qui, e non sono certo esponenziali.

Tanto è vero che, nella catena comunicativa, ogni soggetto ricettore può diventare, a sua volta, soggetto promotore di un medesimo argomento, dando luogo a un nuovo processo di informazione, che andrà ad inserirsi in un ciclo teoricamente infinito. E’ questo, sostanzialmente, il modo in cui la società umana, fatta di relazioni sociali, valori, opinioni e peculiarità culturali non contingenti, si protrae nel tempo, garantendo la sua sopravvivenza e, di tanto in tanto, generando cambiamenti e attuando un’evoluzione.

Per questo, per tutto quanto detto sinora, è lampante che nessuno al mondo può forgiarsi del vanto di possedere “la parola assoluta” su qualcosa. Anche il profeta più celebrato, anche l’uomo di stato più votato, anche l’intellettuale più celebrato non detengono la capacità di riprodurre la realtà oggettiva, nei loro processi di informazione. Essi, come tutti, non mettono in scena il fatto in sé, ma si limitano a darne la loro versione. Che essa venga poi considerata autorevole, rispettabile, condivisibile è un altro discorso. Il discorso su cui si basano politica, giornali, scienza e quant’altro. Ma ciò nulla toglie alla soggettività dell’informazione, intesa non certo come un rifiuto postmoderno delle grandi narrazioni filosofiche, o come un’estremizzazione dell’ “anti-anti-relativismo”, per usare le parole dell’antropologo Clifford Geertz, quanto, piuttosto, come il solo modo che gli esseri umani, in quanto soggetti culturali, hanno per esprimersi.

Il condizionamento dei mezzi di informazione: realtà o illusione ?

Università degli studi di Urbino “Carlo Bo” – Facoltà di Sociologia – Corso di Laurea Specialistica in Editoria, Media e Giornalismo – “Tecniche di Relazione” Prof. Giuseppe RAGNETTI

“Il condizionamento dei mezzi di informazione: realtà o illusione ?”

a cura di Annalisa Blasetti

Ogni giorno sentiamo parlare di condizionamento dei mezzi di comunicazione di massa, di onnipotenza dei media, di informazione obiettiva. Ancora, si parla di pubblicità occulta, di messaggi subliminali, per cui esisterebbero informazioni che il cervello di una persona assimila a livello inconscio, suoni, immagini, scritte che nasconderebbero al loro interno, come in un codice cifrato, ulteriori frasi o immagini avulse dal contesto iniziale che rimangono inconsapevolmente nella memoria dell’osservatore.

Si dice che la pubblicità fa vendere, che è forza pervasiva e potente che influisce sulla mentalità e il comportamento dimenticando che, come ogni atto di comunicazione, la forza e il valore della pubblicità dipendono dal suo destinatario. Il “ricordo” specifico di un messaggio pubblicitario non è la misura della sua efficacia. Ci sono annunci, film, manifesti eccetera che ricordiamo, per qualche loro caratteristica insolita o interessante, ma di cui non teniamo alcun conto nelle nostre scelte.

Ci sono, invece, infinite cose di cui siamo convinti anche senza ricordare esattamente da quale persona, fonte, fatto o circostanza abbiamo ricavato quella convinzione. Questo vale anche per la pubblicità. Raccogliamo ciò che ci interessa o può esserci utile, dimentichiamo il resto. Ogni messaggio che riceviamo (pubblicitario o non) non è un segnale isolato; nel momento in cui lo percepiamo si mescola immediatamente con le nostre conoscenze, esperienze e opinioni, diventa una nostra conoscenza, che può essere molto diversa da ciò che qualcuno aveva intenzione di dirci. La non comprensione di questo “metabolismo” mentale è uno dei motivi per cui si produce tanta comunicazione inefficace.

Queste erronee convinzioni hanno il loro capostipite nella cosiddetta “Teoria Ipodermica”, che si sviluppa nel periodo tra le due guerre mondiali, quando l’Europa è attraversata dal fenomeno fascista e nazista dove le masse, ancora inconsapevoli del reale potere dei mezzi di comunicazione di massa, furono portati a sostenere tale tipo di regimi.

La Bullet Theory, detta anche “Teoria dell’ago ipodermico” è una teoria secondo la quale i mass media sono potenti strumenti persuasivi che agiscono direttamente su di una massa passiva e inerte. Il messaggio sparato dal medium viene iniettato direttamente nel cervello del ricevente, il quale ha un ruolo del tutto passivo. Come si evince dalla traduzione letterale, il termine bullet sta a significare la parola “proiettile” ovvero il messaggio mediale che colpisce direttamente un soggetto, evidentemente senza possibilità di opporsi.

In questa fase, il problema centrale della ricerca è quello degli “effetti”: una volta stabilito che il messaggio viene trasmesso per via “ipodermica”, direttamente dall’emittente al pubblico attraverso un “ago ipodermico” rappresentato dal medium, si tratta soltanto di quantificare gli effetti sul comportamento dell’esposizione a quel messaggio. Era quindi dato per scontato che una volta sparato il “bullet”, si dovesse soltanto capire quanti e quali “target” sarebbero stati colpiti, dando per scontato che esistesse una correlazione diretta tra esposizione ai messaggi e comportamento.

“La Tecnica Sociale dell’Informazione, elaborata da Francesco Fattorello, si basa sul presupposto che non possa esistere un’impostazione teorica sulla comunicazione sempre valida ed applicabile a qualunque recettore ma che una metodologia sui processi di interazione tra chi promuove e chi riceve la comunicazione, debba necessariamente essere tarata sul recettore.

Ecco allora il recettore non più oggetto passivo della comunicazione che diviene, a sua volta, un soggetto opinante di pari dignità che interagisce sempre e comunque con il promotore, all’interno di una complessa dinamica sociale.” Da qui l’apporto fondamentale di una Tecnica Sociale che ricerca l’adesione e quindi il consenso dei destinatari sulla base delle loro attitudini sociali. Attitudini sociali intese come disponibilità ad accettare le opinioni proposte, secondo la propria acculturazione, intendendo per acculturazione tutto ciò che l’ambiente sociale ha, inevitabilmente, trasferito nell’arco di tutta una vita a qualsiasi essere umano.

La Teoria della Tecnica Sociale si pone in netta antitesi con l’impostazione teorica anglosassone che per decenni ha inteso far leva sulla psiche dell’individuo attribuendo alla comunicazione in senso lato la capacità di “persuasione occulta”. L’informazione come tecnica sociale si articola tra due soggetti opinanti, il promotore ed il recettore, mediante un mezzo il cui contenuto è quella tal forma data a ciò che è oggetto di informazione. I termini del processo di informazione sono:

                x)

                                                  M

                                   SP                        SR

                                                  O

SP è il soggetto promotore che ha l’iniziativa dell’informazione;

SR è il soggetto recettore;

M è il mezzo o lo strumento che serve a saldare il rapporto tra i primi;

O è il contenuto, ovvero la forma data all’oggetto dell’informazione.

La x) indica ciò che è oggetto del rapporto di informazione, ciò di cui si parla. E’ accompagnata da una parentesi che sta ad indicare come il fatto, l’ideologia, il personaggio di cui si parla resta fuori dal processo.

Infatti, se devo riferire su una mostra di quadri che ho visitato non è questa che metto fra me relatore e il mio recettore, ma la mia relazione sulla mostra.

L’aspetto molto importante da sottolineare è che nel modello Fattorelliano i due termini principali sono soggetti opinanti, cioè opinano su ciò che è motivo dell’informazione. Non è, infatti, corretto dire che il SP promuove l’informazione e il secondo la riceve passivamente. Il SP trasmette la forma che ha dato a ciò che ha interpretato; il SR non si limita a riceverla, ma la trasmette a sua volta. L’informazione non si estingue, ma si rinnova sempre per cui il SR di un rapporto che si vuole considerare diventa SP nell’anello di una catena seguente che si sviluppa orizzontalmente e che può irradiarsi a raggiera ove i destinatari siano diversamente distribuiti. 

L’opinione è quella che il soggetto promotore trasmette al recettore su una cosa, un fatto, un’ideologia e opinione o reazione di opinione è quella del recettore allorché aderisce o meno a quella che gli viene proposta su una cosa, una fatto, un’ideologia. Affinché il recettore sia tale è indispensabile la sua socializzazione allo stesso ambito culturale del soggetto promotore. Ove mancasse una tale corrispondenza, il rapporto di informazione non avrebbe l’effetto voluto: il contenuto non potrebbe essere ricevuto o capito, oppure potrebbe essere male interpretato.

Il fatto che la configurazione del contenuto è preceduta da un processo di opinione, ci richiama alla soggettività che caratterizza il fenomeno dell’informazione. L’uomo non può uscire da se stesso, dalla sua soggettività. Per cui coloro che affermano di essere obiettivi o imparziali presentano, di fatto, una visione della realtà relativa ad ognuno di noi.

La Tecnica Sociale dell’Informazione ha restituito dignità al soggetto recettore rendendolo protagonista del processo comunicativo che è di natura sociale. Questo vuol dire che il processo dell’informazione e dell’adesione di opinione non ha nulla a che vedere con il comportamento del recettore.

Una volta che il SP ha informato la x) e la trasmette al SR in una forma ad esso adeguata, il SR può aderire oppure no, ma il processo si ferma lì. Il conseguente comportamento che assumerà il recettore non riguarda il processo né tanto meno può essere determinato dallo stesso. In altre parole al SR può piacere la pubblicità o il programma che gli è stato proposto, ma questo non implica necessariamente che poi acquisti il prodotto reclamizzato o guardi il programma, per tutta una serie di motivi specifici o particolari per ognuno di noi.

Partendo da ciò l’unica cosa che si può fare è operare sulle opinioni dei recettori e realizzare il messaggio nel modo più consono all’acculturazione degli stessi. Alcune scuole predicano, tuttora, una “strategia psicologica”: soprattutto in propaganda e pubblicità, si dovrebbe giocare con gli istinti dei recettori scavando nelle profondità dell’animo umano, convinti che tale metodo apporti proficui risultati. Non è facile comprendere che compito dell’informazione è raggiungere un’adesione di opinione e, per questo obiettivo, la psicologia non serve.

   “ Vorremmo dubitare del presunto potere, più o meno occulto, dei mezzi di informazione di condizionare il pubblico. Basti pensare alla fine ingloriosa di regimi e dittatori, che disponevano, in assoluto, di tutti i mezzi d’informazione o più semplicemente all’insuccesso di dispendiose campagne pubblicitarie.

   I mezzi di informazione certamente agiscono sulle opinioni, ma non sono in grado di condizionare i comportamenti degli uomini. Sono altri i motivi, alcuni noti altri meno, che stanno alla base delle nostre azioni.”

(Citazione dal libro:Giuseppe Ragnetti,  Opinioni sull’opinione, Ed. QuattroVenti , Urbino 2006)